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Stelle comete nel mondo del calcio
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E-book243 pagine3 ore

Stelle comete nel mondo del calcio

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Info su questo ebook

Gianni Gardon (Legnago VR, 1977) è un giornalista sportivo e critico musicale. Collabora con le riviste Guerin Sportivo e Il Nuovo Calcio, il sito Troublezine.it e la webradio Yastaradio.com. Lavora come educatore formatore nell’ambito della disabilità, proponendo progetti legati alla teatro terapia. Con Nulla die edizioni ha pubblicato 4 volumi molto differenti tra loro: “Verrà il tempo per noi” (romanzo, 2011), “Pinguini di carta” (silloge, 2012), “Revolution ‘90” e “Rock’ n Words” (saggistica musicale, usciti rispettivamente nel 2014 e nel 2015). In questo nuovo progetto, di saggistica sportiva, ha voluto riversare tutta la sua passione per quelle storie che fanno alimentare rimpianti e che sanno di incompiute. Ha ripreso una fortunata rubrica curata sul sito del Guerin Sportivo, aggiornando alcune schede e integrandole con molte altre, del tutto inedite. Ne sono usciti più di 50 ritratti di calciatori che, pur avendo tutti i cromosomi del genio calcistico, sono riusciti solo in parte a dimostrare appieno il loro talento, brillando per poche stagioni, come fanno le stelle comete che attraversano i nostri cieli.
LinguaItaliano
Data di uscita3 mag 2016
ISBN9788893214520
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    Stelle comete nel mondo del calcio - Gianni Gardon

    633/1941.

    STELLE COMETE nel mondo del calcio

    di Gianni Gardon

    Nel calcio si sente spesso parlare di meteore, tirando in ballo giocatori che non sono stati in grado di mantenere livelli standard elevati di continuità di rendimento. Declinandolo a livello lessicale, il termine – già di per sé poco lusinghiero – viene scambiato con il più terreno bidone, connotando oltremodo negativamente il valore del giocatore in questione. Io, nell’approcciarmi a raccontare le storie che troverete lungo queste pagine, mi sono affidato al più prosaico stelle comete, intitolando così originariamente una rubrica che ho tenuto per alcuni mesi sul portale del Guerin Sportivo, il più antico magazine italiano, per il quale con soddisfazione collaboro da un lustro. Il riscontro e il ricordo condiviso con i tanti appassionati della rivista, i cosiddetti guerinetti, e le successive sollecitazioni da parte di una schiera di lettori mi hanno indotto a voler riprendere in mano quei ritratti, integrandoli con altre storie, andando anche a ripescare talvolta nel passato di questo splendido e affascinante sport, oppure volgendo lo sguardo altrove, fra i campionati esteri. Certo, la materia da questo punto di vista è vastissima: quanti sono in fondo coloro fra i calciatori che riescono in effetti a raggiungere determinate vette? Uno su mille ce la fa cantava un certo Gianni Morandi, e se lo stesso vale per il canto, materia nella quale l’artista bolognese, tra l’altro molto vicino agli ambienti calcistici – come l’impegno profuso per la squadra della sua città dimostra – eccelle, figuriamoci nel calcio, dove la competizione si istilla in fondo sin dai primissimi anni in cui si mette piede in un rettangolo verde.

    Stelle comete, però, perché tutti coloro di cui ho scritto, seppur per un breve periodo, hanno letteralmente brillato di luce propria, entrando di diritto nell’immaginario e nei cuori dei propri tifosi.

    Poi, per i motivi più svariati - problemi di carattere tecnico, legati agli infortuni, a incomprensioni con i propri allenatori, di scarsa professionalità, quando non proprio esistenziali, con pesanti ripercussioni personali - queste stelle sono rimaste appunto comete, senza entrare nell’empireo del calcio, nella storia di questo sport. Alcuni giocatori sono caduti in basso, rovinosamente, ma tanti di loro hanno saputo rialzarsi, sapendo ritrovarsi e rinascere a nuova vita, magari rinunciando definitivamente al loro sogno nel calcio e trovando una dimensione più adatta, più consona alla loro persona.

    Il calcio in fondo non è fatto solo di grandi star e di campioni: certo, sono loro che fanno innamorare i tifosi, che ci avvicinano a questo sport ma la poesia risiede pure nei piccoli gesti, nelle azioni e nelle movenze di calciatori che possedevano una scintilla di fantasia, di tecnica pura, anche se manifestata solo in parte e per un tempo residuo, ma sufficiente per essere ricordati e omaggiati. Buona lettura!

    PS: Alcuni di questi pezzi erano già usciti quindi per la rubrica tenuta sul Guerin Sportivo ma ugualmente sono stati rivisti e aggiornati, qualora vi fossero state sostanziali modifiche. La maggior parte dei testi invece sono totalmente inediti e scritti appositamente per questo progetto letterario.

    Butterò questo mio

    enorme cuore

    tra le stelle un giorno

    giuro che lo farò

    (Francesco De Gregori)

    ADRIANO

    Quando iniziai questa rubrica, ormai diversi mesi fa, avevo in mente una sorta di target di giocatore a cui dedicare un articolo, in qualche modo commemorativo, o significativo del suo percorso, da stella cometa appunto! Mi sarebbe piaciuto chiudere col botto e, quasi inconsapevolmente, mi rendo conto che il giocatore in questione è stata forse la più grande illusione degli ultimi 20 anni. Mai agli albori del fenomeno in questione (perché in questi termini di lui si parlava e si scriveva agli esordi e oltre), avrei immaginato che proprio con l’ex Imperatore Adriano avrei lanciato dei veri fuochi d’artificio in questo senso, altro che botti. E’ vero, da sempre il Brasile sforna campioni veri e altri presunti, come allo stesso modo abbiamo riscontrato tante volte come alcuni talenti precoci alla prova col professionismo si perdano (senza andare troppo a ritroso nel tempo, pensiamo alle carriere sotto le aspettative di gente come il dribblomane Denilson o il giocoliere Robinho, ma pure l’ex juventino Diego, quando furoreggiava al Santos, proprio in coppia con l’ex rossonero, pareva un predestinato). Ma il caso di Adriano Leite Ribeiro è proprio a parte, perché qui per un (seppur breve) lasso di tempo, si è trattato di uno dei migliori centravanti del mondo.

    Ritrovarlo svincolato già a 33 anni, ma di fatto è come se lo fosse da molto più tempo, viste le non certo entusiasmanti ultime prove sul campo, ti dà un senso di sconfitta, di scoraggiamento, perché mai come stavolta motivi extracalcistici hanno influito sulla sua carriera, sul suo rendimento. Campioni celebrati come Best, tanto per citare uno dei più grandi, o l’immenso Garrincha, non erano certo degli stinchi di santo, e nemmeno professionisti esemplari ma mai abbiamo assistito, finché hanno giocato, a così loro rovinose cadute. L’alcool ma non solo ha influito negativamente nel caso dell’Imperatore: le cattive frequentazioni fuori dal campo sicuramente, un background difficile sin dall’infanzia, in un ambiente borderline, ma anche alla prova del campo i tanti infortuni, le lente riprese, la condizione fisica approssimativa (eufemismo), la scarsa voglia di riprendersi l’antico scettro, la motivazione latitante. Ha inciso forse anche la sensazione precoce di appagamento, visto che a poco più di 25 anni sembrava già vecchio in quanto i suoi esordi appartenevano a un’altra era calcistica, agli albori del 2000, quando appena diciottenne siglava gol a caterve col suo Flamengo, rimasta a tutt’oggi la sua squadra del cuore. Quando poi per te si scatenano delle aste, sei il centravanti e uomo simbolo di un fantastico Brasile Under 17 che si aggiudica il Mondiale di categoria e ti concedi il lusso di incantare al primo istante con la tua nuova maglia dell’Inter, siglando con un bolide su punizione un gol pazzesco contro il Real Madrid, allora si pensa davvero tu sia una stella destinata a risplendere a lungo.

    Ottime esperienze formative in Italia tra Fiorentina e Parma, dove si trova a comporre in attacco un duo da urlo con Mutu, il ritorno da big assoluto all’Inter e la difficile convivenza con tanti partner d’attacco, specie con il campione di allora Bobo Vieri, anch’egli poderoso centravanti mancino. Segnerà molto con i nerazzurri Adriano, vincendo pure, ma incomprensioni col tecnico Mancini, infortuni perduranti e le prime cattive avvisaglie di una vita non propriamente all’altezza di un professionista in una Milano che, si sa, di tentazioni extracalcistiche ne può saper offrire molte, finiranno col metterlo ai margini del progetto, così da rientrare in due occasioni (intervallate da un nuovo ritorno all’Inter da panchinaro quasi emarginato) in Brasile, prima al San Paolo, poi all’amato Flamengo. Due tentativi atti a rivitalizzarlo, almeno in vista di un’ipotetica nuova conferma nel giro della Nazionale verdeoro. Chiuderà invece proprio nel 2010 la sua avventura con il Brasile, con uno score tutto sommato rispettabile (27 reti in 48 presenze) ma senza mai divenire il vero faro della squadra, il trascinatore. Le esperienze in patria serviranno per rimettere apparentemente in careggiata la sua carriera (tra San Paolo e Flamengo segnerà una trentina di gol nel Brasileirao) ma purtroppo saranno ricordate soprattutto per la cattiva condotta, le tante segnalazioni sul suo conto, le bravate (usiamo volutamente le virgolette, perché questo è un eufemismo vero e proprio) che puntualmente rimbalzavano di qua dell’Oceano, fino a fargli perdere qualsiasi forma di credibilità presso club italiani ed europei. Una deriva ampiamente confermata nella brevissima esperienza alla Roma (5 tristissime presenze senza reti, proprio nella città che gli deve il soprannome).

    In pratica dal 2011 le voci su un suo prematuro ritiro cominciano a diffondersi a macchia d’olio, accentuate da condizioni psico-fisiche precarie, dovute principalmente all’alcool ma si vocifera anche alla depressione. Parentesi al Corinthians nel 2011, con nuove identiche promesse di redenzione da parte sua non confermate alla realtà dei fatti: a un nuovo grave infortunio, si sommano la sua mancanza di disciplina, la partecipazione a pericolose feste e il ritorno sui campi dopo 8 mesi di stop in forma non propriamente smagliante (aveva superato il quintale di peso!). I suoi tormenti lo portano a pensare seriamente al ritiro dopo questa disgraziata stagione, invece poi vorrà rimettersi in gioco nuovamente. Sarà ancora il Flamengo, per la terza volta nella sua carriera ad accoglierlo, come un figliol prodigo, ma poi lo stesso giocatore deciderà di risolvere il contratto annuale, non ritenendosi più pronto a giocare. Passeranno altri due anni di inattività, quando clamorosamente Adriano dichiarerà di volerci riprovare col calcio giocato ad alti livelli. Il suo nome ormai è sbiaditissimo, così come la sua forma fisica non si può certo definire eccellente ma l’Atletico Paranaense decide comunque di tesserarlo, con un singolare contratto a rendimento. Nonostante un gol alla sua seconda apparizione con la nuova maglia, Adriano non perde il vizio di stupire in modo negativo. Salta senza preavviso due allenamenti, viene avvistato in un locale notturno, quasi a festeggiare l’eliminazione della sua nuova squadra dalla Coppa Nazionale. Dopo questi ennesimi incresciosi fatti, anche l’Atletico gli darà il benservito, strappando il contratto che lo legava al club. Nonostante ci siano state voci incessanti su un suo possibile rientro in Italia, la sua seconda patria, al momento di lui non si sa nulla, e diamo per buona la notizia relativa al suo definitivo ritiro dalle scene pallonare. Certo, lo ammetto, ero anch’io tra i curiosi di vederlo con addosso la maglia del Terracina! Magari, a contatto con una genuina realtà dilettantistica, avrebbe ripreso il gusto di giocare. Ma mi sa che l’ex campione dovrebbe prima di tutto ritrovare il gusto per la propria vita e un po’ di amor proprio.

    Proprio in extremis, prima di consegnare la bozza per questo libro, Adriano sembrava aver raggiunto un accordo con la squadra francese del Le Havre, militante in Ligue 2, la seconda serie d’Oltralpe. La firma è giunta il 26 dicembre, in tempo quindi per provare a tornare protagonista nella seconda parte di stagione, nonostante la fiducia nei suoi confronti sia a tempo e il contratto preveda diverse clausole, in base al suo rendimento e comportamento. Il brasiliano sembrava aver accettato ogni condizione pur di dimostrare che qualcosa può ancora dare in questo mondo. Tuttavia, il suo acquisto da parte del Le Havre, evidentemente non del tutto convinto a investire su di lui e sulla sua possibile risalita nel mondo del calcio, era vincolato a un finanziamento da parte di un imprenditore che avrebbe in qualche modo garantito per lui. Non essendo stato confermato questo interessamento, la squadra francese ha poi reso noto che l’affare Adriano non era più nei loro piani e nelle loro possibilità. A questo punto la carriera del brasiliano è di nuovo a un bivio, anche se i buoni propositi affinché possa tornare protagonisti ci sono tutti. Ce lo auguriamo vivamente.

    Aggiornamento 2016: svincolato

    ATHIRSON

    Forse solo gli juventini più accesi si ricorderanno di questo terzino sinistro, ormai 37enne e che dal 2011 ha appeso le scarpe al chiodo, il quale sotto la Mole invero non fece mai vedere grosse cose. Giunto in bianconero nel 2011 e molto considerato in patria, addirittura alla stregua di un possibile erede di Roberto Carlos, con il quale condivideva soprattutto la posizione in campo, fu uno degli abbagli più grossi presi dall’ex stella della Juventus Omar Sivori che lo segnalò prontamente alla Vecchia Signora, dopo che nel glorioso Flamengo, club dove era cresciuto e si era consacrato, e in una parentesi al Santos, aveva meravigliato col suo magico sinistro e le continue azioni offensive sulla fascia. Quando lo tessera la Juve è già nel giro della Nazionale verdeoro, si nutrono parecchie aspettative su di lui nell’ambiente; importante – sostengono i più – è che non patisca lo scarto ambientale, la netta differenza tra i due modi di intendere calcio, quello autoctono e più spensierato, a livello tattico, che si gioca in Brasile e quello che specie in quegli anni mette l’Italia al centro d’Europa. Schierato col contagocce il brasiliano nato a Rio de Janeiro ma di origine italiana, come testimoniato dal cognome Mazzoli, non riuscirà mai a convincere i tecnici che in quegli anni si succederanno sulla panchina della Juventus, finendo definitivamente ben presto fuori dai giochi con il ritorno in sella del plurivincente Marcello Lippi che ai suoi, si sa, chiede certamente un grande apporto dal punto di vista tecnico, ma il tutto in funzione della squadra, dell’organizzazione, dell’equilibrio. E’ evidente invece come Athirson risultasse carente, finanche inadeguato dal punto di vista strettamente tattico, soprattutto per quanto concerne la fase difensiva e - detto tra noi - neppure un fulmine di guerra in avanti. Nemmeno una goccia di Serginho, men che mai del campionissimo Roberto Carlos. In bianconero totalizzerà solo 5 grigissime esperienze, in pratica sotto la soglia della sufficienza, né carne, né pesce. La Juventus non è club che può aspettare molto i suoi prospetti, specie dopo averli ben pagati e con all’orizzonte sempre traguardi importanti da conseguire. Così il terzino fa dapprima ritorno al Flamengo dove in due stagioni in prestito magicamente tornerà a incantare sulla sinistra, forte di un tabellino di tutto rispetto (ben 78 presenze e 16 reti, quindi a quanto pare in piena efficienza fisica) ma non al punto da convincere Lippi a tenerlo fra i ranghi della sua squadra, tanto che il suo contratto verrà addirittura rescisso prima del termine previsto, con tanto di sostanziosa penale pagata dalla Juventus (come a dire, pur di liberarcene in fretta, facciamo anche questa!).

    Dopo un’infelice parentesi nella glaciale Russia, ben poco adatta al suo spirito brasileiro, chiusa con zero presenze al CSKA Mosca, per lui l’unica prospettiva certa e sicura è quella rappresentata da un ritorno in Patria, dove di nuovo al Flamengo e poi al Cruzeiro ritroverà voglia di giocare, prestazioni e gol, non però tali da farlo tornare nel giro della fortissima e competitiva selezione verdeoro.

    La tentazione di ritrovare un lauto ingaggio in Europa ma soprattutto di dimostrare ai tanti detrattori di non essere propriamente definibile come un bidone si fa nuovamente strada in lui, tanto che alla fine riuscirà ad accasarsi per le stagioni 2005/06 e 2006/07 in Bundesliga, in una società importante come il Bayer Leverkusen. In due stagioni mette insieme una trentina di presenze ma è poco partecipe all’azione offensiva, e pare limitarsi al compitino, non riuscendo mai in pratica a trovare con continuità una maglia da titolare, anche se in fin dei conti non demerita, dimostrando di poterci stare in un contesto molto competitivo.

    Prestazioni per lo più sufficienti però opache che faranno da preludio al suo ennesimo ritorno in Brasile, stavolta definitivo, dove dal 2007 al 2011 si ritroverà a cambiare tantissime maglie, senza mettere più radici da nessuna parte, passando per club di grande, media e piccola levatura come, in ordine cronologico, Botafogo, Brasiliense, Portoguesa, Cruzeiro fino a chiudere a 34 anni con i dilettanti del Duque de Caxias. Una carriera onesta ma che prometteva molto di più, se è vero che nel 1997 da terzino sinistro titolare vinse con il suo Brasile uno splendido Mondiale Under 20.

    BARONIO ROBERTO

    Roberto Baronio è stata una stella cometa sui generis: ha giocato a lungo in serie A, salvo esperienza sul finire della carriera a Roma (all’Atletico Roma, l’ex Lodigiani), ha vinto – soprattutto a livello giovanile – ma con le doti tecniche che si ritrovava avrebbe potuto recitare un ruolo da assoluto protagonista del calcio italiano, diventando un campione di livello mondiale. No, non sto esagerando, se è vero che vidi per la prima volta in azione il regista a 16 anni, quando lui – mio coetaneo, più o meno vicino anche geograficamente, essendo lui bresciano e io veronese – dava letteralmente spettacolo in campo, elevandosi sul resto dei compagni in un fortissimo vivaio come quello bresciano.

    In origine era emerso nella Voluntas, società satellite da cui sarebbe giunto nel capoluogo di provincia anche Andrea Pirlo, e all’inizio le analogie tra i due erano evidenti. Registi entrambi, con Pirlo da giovanissimo schierato però in posizione più avanzata, pur con la differenza di età di due anni si trovarono spesso a duettare, ma più che altro fra loro fu staffetta, perché entrambi bruciarono le tappe. Roberto già a 17 anni mise piede in prima squadra, incantando, giocando da regista puro come detto, capace di leggere il gioco come pochi, di sventagliare il pallone da una parte all’altro del campo con estrema naturalezza, con due piedi fatati, con cui lanciava, tirava, calciava divinamente le punizioni, segnava. Baronio mette insieme 33 presenze in 2 anni in prima squadra e, quando ha solo 19 anni, la Lazio se lo accaparra a suon di miliardi. D’altronde è già da tempo protagonista delle compagini azzurre giovanili, leader riconosciuto in campo per le sue doti squisitamente tecniche. Dall’Under 17 in poi sarà sempre importante punto di riferimento per i compagni, disputando il suo miglior periodo con la Under 21, quando mise insieme ben 27 presenze con 5 gol, con ciliegine sulla torta due importanti affermazioni: il campionato europeo di categoria e i Giochi del Mediterraneo, quando era sotto età, appena 20enne. Prima ancora, perno dell’Under 19, era giunto terzo all’Europeo. Tante premesse giovanili non confermate però, se non in parte, dalla sua lunga avventura professionistica, dopo che la Lazio lo prestò una prima volta al rampante Vicenza. Gioca poco, così come l’anno successivo (1998/99) coinciso col suo ritorno alla Lazio – solo 20 presenze in due stagioni, raramente da titolare. Ma sarà l’anno seguente ancora quello del primo fragoroso squillo, coinciso con il ritrovato amico Pirlo a comandare la mediana della Reggina. Lui regista basso, Andrea più libero di inventare dietro le due punte, fatto sta che la squadra calabrese si salva, oltretutto spesso incantando, e molti meriti sono da ascrivere alla qualità pura dei suoi migliori interpreti giovani a centrocampo, gli stessi che come detto avevano appena conquistato l’Europeo Under 21 nel 2000 (una squadra incredibile col senno di poi, con gente come loro due, ma anche Gattuso, Cristiano Zanetti, Ventola).

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