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Fiorentina. Capitani e bandiere
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E-book409 pagine5 ore

Fiorentina. Capitani e bandiere

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Info su questo ebook

Il racconto dei grandi campioni che hanno fatto la storia del mito gigliato

Un viaggio lungo i novantaquattro anni di storia dell’A.C. Fiorentina attraverso i ritratti di ottantaquattro calciatori e allenatori che quella storia l’hanno costruita. Da bandiere storiche come Julinho, Antognoni, De Sisti e Hamrin agli eroi degli ultimi anni come Giuseppe Rossi, Sébastien Frey e Luca Toni, dagli artefici del primo scudetto alle giovani promesse di oggi, passando per i fuoriclasse assoluti – Baggio e Batistuta in testa – questo libro riunisce i profili dei campioni che hanno reso grande la Viola. Oltre agli ottantaquattro profili, sono presenti poi due approfondimenti tematici: uno dedicato esclusivamente ai capitani, con informazioni e curiosità; l’altro, intitolato Firenze!, racconta invece tutti quei calciatori non fiorentini di nascita, che sono stati “adottati” dalla città in virtù dell’amore e della dedizione dimostrati alla maglia viola. Un libro imprescindibile per tutti i tifosi della Fiorentina e per gli appassionati di calcio in generale.

Campioni, idoli, eroi in viola: un excursus sulla grande storia della Fiorentina, tratteggiata attraverso i ritratti dei più grandi giocatori e allenatori

Tra i capitani e le bandiere viola:

• Giuseppe Galluzzi • Pedro Petrone • Romeo Menti • Fulvio Bernardini • Sergio Cervato • Giuseppe Chiappella • Francesco Rosetta • Julinho
• Miguel Ángel Montuori • Kurt Hamrin • Bruno Pesaola • Claudio Merlo • Giancarlo De Sisti • Luciano Chiarugi • Giancarlo Antognoni • Giovanni Galli • Daniel Passarella • Roberto Baggio • Gabriel Batistuta • Manuel Rui Costa • Luca Toni • Adrian Mutu • Davide Astori • Alia Guagni • Gaetano Castrovilli
Roberto Davide Papini
nato a Milano il 20 marzo 1963 e vive a Firenze dal 1971. Giornalista professionista, lavora nella redazione web de «La Nazione» e si occupa, oltre che di cronaca, anche di calcio, fumetti e cartoni animati. Nel 2017 con il documentario Campioni per sempre – Fiorentina ’55/’56, realizzato per «La Nazione», ha vinto la Ghirlanda d’onore a “Sport Movies & TV – Milano International Ficts Fest”. Nell’edizione 2018 dello stesso festival ha vinto la Menzione d’onore con il cortometraggio Quando Bartali fece un ’48 e in quella del 2019 ha ottenuto il Gentleman Fair Play Award con il documentario Romeo Menti, l’ala granata con il giglio nel cuore. È da sempre tifoso viola. Con la Newton Compton ha pubblicato La storia della grande Fiorentina in 501 domande e risposte e Fiorentina. Capitani e bandiere.
LinguaItaliano
Data di uscita2 ott 2020
ISBN9788822750594
Fiorentina. Capitani e bandiere

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    Anteprima del libro

    Fiorentina. Capitani e bandiere - Roberto Davide Papini

    EN.jpg

    Indice

    Prefazione di Sandro Picchi

    Introduzione e ringraziamenti

    Rodolfo Volk

    Giuseppe Galluzzi

    Mario Pizziolo

    Bruno Neri

    Pedro Petrone

    Giuseppe Bigogno

    Carlo Piccardi

    Luigi Griffanti

    Romeo Menti

    Ferruccio Valcareggi

    Egisto Pandolfini

    Leonardo Costagliola

    Augusto Magli

    Alberto Galassi

    Luigi Ferrero

    Fulvio Bernardini

    Giuliano Sarti

    Ardico Magnini

    Sergio Cervato

    Giuseppe Chiappella

    Francesco Rosetta

    Armando Segato

    Julinho

    Guido Gratton

    Giuseppe Virgili

    Miguel Ángel Montuori

    Maurilio Prini

    Alberto Orzan

    Francisco Ramón Lojacono

    Kurt Hamrin

    Luigi Milan

    Enzo Robotti

    Sergio Castelletti

    Enrico Albertosi

    Bruno Pesaola

    Franco Superchi

    Bernardo Rogora

    Eraldo Mancin

    Salvatore Esposito

    Ugo Ferrante

    Giuseppe Brizi

    Francesco Rizzo

    Mario Maraschi

    Amarildo

    Claudio Merlo

    Giancarlo De Sisti

    Luciano Chiarugi

    Giancarlo Galdiolo

    Andrea Orlandini

    Giancarlo Antognoni

    Claudio Desolati

    Moreno Roggi

    Vincenzo Guerini

    Giovanni Galli

    Daniel Ricardo Bertoni

    Eraldo Pecci

    Francesco Graziani

    Daniele Massaro

    Daniel Passarella

    Celeste Pin

    Roberto Baggio

    Dunga

    Giuseppe Iachini

    Gabriel Omar Batistuta

    Francesco Toldo

    Manuel Rui Costa

    Angelo Di Livio

    Christian Riganò

    Emiliano Mondonico

    Dario Dainelli

    Cesare Prandelli

    Manuel Pasqual

    Sébastien Frey

    Luca Toni

    Adrian Mutu

    Stevan Jovetić

    Alberto Gilardino

    Gonzalo Rodríguez

    Giuseppe Rossi

    Davide Astori

    Alia Guagni

    Federico Chiesa

    Franck Ribéry

    Gaetano Castrovilli

    Capitano, mio capitano…

    Firenze!

    Bibliografia

    narrativa_fmt.png

    517

    Dello stesso autore:

    La storia della grande Fiorentina in 501 domande e risposte


    Copertina © Sebastiano Barcaroli

    Prima edizione ebook: ottobre 2020

    © 2020 Newton Compton editori s.r.l., Roma

    ISBN 978-88-227-5059-4

    www.newtoncompton.com

    Realizzazione a cura di Caratteri Speciali, Roma

    Roberto Davide Papini

    Fiorentina

    Capitani e bandiere

    Il racconto dei grandi campioni

    che hanno fatto la storia del mito gigliato

    OMINO.jpg

    Newton Compton editori

    A mia madre

    Prefazione

    di Sandro Picchi

    Tutti primi sul traguardo del mio cuore. È una celebre frase con cui Emilio De Martino, un grande giornalista del passato, molto romantico, esprimeva il suo giudizio su un lontano Giro d’Italia. Sembrava soltanto retorica, eppure in un momento, in un’ora, in un giorno, in un tempo senza tempo, è quella la definizione che scegliamo per parlare della Fiorentina, anzi dei giocatori della Fiorentina che Roberto Davide Papini ha riunito in questo suo libro. Papini, per me Papo, potrei con molta spocchia definirlo un mio allievo, ai tempi in cui ero il capo servizio dello sport a «La Nazione», ma siccome non ho mai preteso di fare il maestrino, io e lui ci possiamo chiamare semplicemente amici. Che è la più alta tra le qualifiche.

    Tutti primi sul traguardo del mio cuore, che è anche il titolo di un bel libro dello scrittore versiliese Fabio Genovesi, ha bisogno di una spiegazione se riferito non ai ciclisti, come nel caso di De Martino, ma ai calciatori della storia viola. Scorrendo oggi l’elenco di quei nomi li adottiamo tutti, nessuno escluso. Anche quelli di poca sostanza, ai quali però basta il cognome per far rimbalzare il pallone della nostra memoria. Ed è grazie a questa armonia dei buoni sentimenti che tutti hanno il diritto di tagliare il traguardo del cuore. «Vogliate bene a Gino Bartali, oggi più che mai, voi che andate pazzi per lui. Vogliategli bene soprattutto oggi che ha perduto». Sono parole di un grande scrittore fiorentino, Vasco Pratolini, inviato del «Nuovo Corriere» al Giro d’Italia. Il direttore del «Nuovo Corriere» era un altro grande scrittore toscano, Romano Bilenchi. Senza nulla togliere ai direttori di oggi bisogna riconoscere che un’accoppiata Pratolini-Bilenchi ha pochi rivali.

    Quelle parole – vogliategli bene oggi più che mai – si adattano al sottoscritto che, ormai, guarda il passato, che sia vicino, lontano o lontanissimo, con l’occhio che rischia di inumidirsi per l’effetto inevitabile della nostalgia. Prova anche tu, amico lettore, come scriveva un romantico collega del passato, a sfogliare le formazioni della Fiorentina di una volta e vedrai che incontrerai qualche nome dimenticato nella cantina della mente, qualche nome che ti spalancherà la porta dei ricordi, chiusa da tempo. Saranno nomi con poca storia e ne potrei fare tanti, ma il rispetto allontana l’eventualità del dispetto, quindi restiamo sui giocatori del libro di Papini.

    Sono tutti primi sul traguardo del cuore, ma qualche scelta dobbiamo farla e dunque non possiamo che piombare sulla Fiorentina del secondo scudetto, senza ovviamente dimenticare i giganti del primo titolo. Sarti che parava a modo suo, lasciando a casa berretto e guanti. Magnini che fingeva di dimenticarsi dell’ala avversaria per poi salire come un acrobata arpionando il pallone. Cervato, immenso e silenzioso. Chiappella che aveva inventato un ruolo senza accorgersene e che mi regalò la sua confidenza. Rosetta, elegante, forse mai colpevole di una scorrettezza, e che poi consegnò il posto a Orzan, gran saltatore. Segato che allungava l’andatura come un quattrocentista infilandosi in attacco. Julinho per il quale ogni elogio è sempre poco. Gratton che correva anche per gli altri. Virgili, giovane, combattivo e allegro. Montuori seconda punta truccata da mezzala, delegato a spargere finezze e gol. Prini, il grande trucco di Bernardini, un mediano travestito da ala. Era talmente squadra, quella Fiorentina, da meritare il posto più alto, ma alla pari con quella del secondo scudetto che nel mio ricordo faccio vincere in fotografia non perché fosse migliore, tutt’altro, ma perché in qualche modo ne ho fatto parte. Non come giocatore, ci mancherebbe altro, ma come giornalista embedded, definizione da tempo di guerra, cioè aggregato alla truppa. La truppa in questo caso era la Fiorentina che spesso tollerava la mia presenza a bordo del pullman, oppure nello stesso vagone del treno, se non addirittura nell’auto del presidente Baglini che mi aveva in simpatia. Un giorno – e che giorno: quello dello scudetto – Baglini nella hall di un albergo di Torino dove alloggiavano la Fiorentina e il vostro embedded mi presentò a Gualtiero Zanetti, direttore de «La Gazzetta dello Sport». «Caro Gualtiero», disse Baglini che forniva inchiostro ai giornali ed era di casa a Milano, «ti presento un giovane promettente». Zanetti ritenne che il giovane promettente presentatogli dal presidente viola fosse un calciatore della Fiorentina, mi strinse la mano e mi chiese quanti anni avevo. «Ventisette», risposi con garbo. «Mica tanto giovane», disse Zanetti, guardando di traverso il commendator Baglini. In effetti a quella età e in quella Fiorentina avrei dovuto essere un titolare se fossi stato quel calciatore che avevo sognato di essere, in realtà fermatosi, più che affermatosi, nei campionati dilettanti.

    La Fiorentina yé-yé – si chiamava così la squadra viola, in omaggio alla moda musicale dei giovani – un po’ mi appartiene sia per il fatto che la definizione, secondo alcuni ricercatori, l’avrei coniata io (onestamente non ne sono sicuro, ma non ditelo a nessuno), sia per tutte le partite, interne ed esterne, che ho visto, sia per l’equivoco spesso ripetuto di essere stato scambiato per un giocatore. Come quella volta a Bergamo. La Fiorentina aveva espugnato il campo battendo per 1-0 l’Atalanta con un gol di Maraschi in un’azione che il superbo Concetto Lo Bello, arbitrissimo di quella partita, aveva convalidato nonostante le proteste del pubblico e dei giocatori nerazzurri per un presunto fallo di Rizzo su un difensore bergamasco. Il più insistente nelle proteste fu il centromediano Dotti che venne espulso e subì una pesantissima squalifica. A fine partita i tifosi bergamaschi inferociti si riunirono nel piazzale di fronte allo stadio, aspettando Lo Bello che, se non sbaglio, era stato imbarcato su un elicottero atterrato sul campo di gioco. L’indimenticabile Nello Baglini mi offrì un passaggio per Milano, dove avrei preso il treno per Firenze. Quando l’auto di Baglini, con al volante un provetto autista, uscì nel piazzale, un gruppo di tifosi cercò di bloccarla e il giovane cronista Picchi, seduto dietro, venne scambiato per Rizzo a cui somigliavo un po’ (anzi, era lui che mi somigliava un po’) e l’auto fu bloccata e tempestata di pugni al grido di «Rizzo delinquente» e altre dolci paroline che piombarono su di me, colpevole di aver commesso fallo nell’azione del gol. Il presidente Baglini, con un coraggio che non gli ho mai invidiato, scese dall’auto per affrontare i tifosi. Per fortuna intervenne la polizia che fece in modo di aprire un varco tra la folla consentendo all’auto, di cui ricordo il grigio colore, di allontanarsi con a bordo il presidente viola e il falso Rizzo.

    A queste rimembranze personali, alle quali si può aggiungere la confidenza con alcuni giocatori del secondo scudetto (De Sisti, Merlo, Maraschi, Esposito, Chiarugi, tanto per fare qualche nome), deve seguire qualche parola su quella squadra che nel libro di Papini è presente al completo, com’è giusto che sia. Pesaola, l’allenatore, era un argentino ormai napoletano che aveva imparato come comportarsi sulla panchina quando la squadra giocava in casa. Il pubblico del San Paolo pretendeva il gioco d’attacco e Pesaola aveva stabilito un accordo con i giocatori in base al quale quando lui si alzava dalla panchina sbracciandosi per invitare la squadra all’offensiva in realtà voleva che il Napoli si chiudesse in difesa. A Firenze, quando qualcuno lo criticava, Pesaola diceva, in stretta confidenza, che c’erano stati troppi geni in questa città e che ormai gli uomini intelligenti erano esauriti.

    La Serie A di quella stagione era un campionato a sole 16 squadre, dunque molto più breve rispetto a quelli futuri. Pesaola trovò la formazione tipo il giorno della sconfitta casalinga contro il Bologna, un 3-1 alla quinta giornata che seminò paura, ma che indicò a Pesaola la strada giusta. A volte le sconfitte, come in questo caso, sono provvidenziali. Al 37’ mandò in campo il giovanissimo Esposito, la sostituzione non cambiò il risultato, ma modificò il destino della squadra che trovò uno schieramento definitivo con Superchi in porta, Rogora e Mancin terzini, Brizi stopper, Ferrante libero, Esposito mediano, Rizzo ala tattica, De Sisti regista, Merlo rifinitore, Maraschi centravanti e Amarildo a sinistra, come seconda punta. Risultato: la sconfitta con il Bologna rimase l’unica di quel campionato e lo scudetto arrivò alla penultima giornata con la vittoria per 2-0 sul campo della Juventus, avvenimento sensazionale anche se quella Juve fu soltanto quinta in classifica.

    Uno scudetto a sorpresa, uno scudetto a cui nessuno pensava. In estate Baglini aveva raggiunto l’apice dell’impopolarità cedendo Albertosi e Brugnera al Cagliari in cambio di Rizzo e lasciando partire Bertini verso l’Inter per una cifra consistente. Fu lo scudetto del risparmio, un colpo imprevedibile. Ceduti i migliori, risanato il deficit, pescato l’allenatore giusto e con i ragazzi yé-yé che seppero cantare la canzone giusta. Arrivò così quel meritato momento di gloria.

    Introduzione e ringraziamenti

    Ripercorrere la splendida avventura della Fiorentina, da quel 29 agosto 1926 a oggi, per me è sempre entusiasmante. Vuol dire ogni volta ritornare a quei racconti sentiti mille volte da mio nonno e da mio padre delle prodezze di giocatori mitici, da Petrone agli eroi del primo scudetto a partire da Julinho. Scavare tra i libri e i video d’epoca mi riporta alle prime gioie da bambino viola, con il secondo trionfo tricolore seguito da lontano. Venendo a tempi (relativamente) più recenti, mi emoziono di nuovo ogni volta nel rileggere e riammirare le tante perle vissute di persona allo stadio: le giocate di Antognoni, le invenzioni di Baggio, le valanghe di gol di Batistuta (primo fra tutti, nel mio cuore, quello a Wembley: indimenticabile), la rimonta vincente sulla Juve con la tripletta di Pepito Rossi e via dicendo. Certo, si rivivono anche momenti brutti e delusioni così come è nella vita di tutti noi, ma la vicenda umana e sportiva di questa ragazza quasi centenaria che infiamma il cuore del popolo viola non manca di emozionare e di essere, ogni volta che la si rilegge, nuova e sempre entusiasmante. Una storia resa ancor più affascinante dall’essere intrecciata in modo inscindibile con Firenze, la sua bellezza e il meraviglioso caratteraccio dei fiorentini: brontoloni, incontentabili e generosissimi.

    Spero di essere riuscito a trasmettere al lettore un po’ dell’entusiasmo che ho messo nel raccontare l’avventura della Fiorentina attraverso i profili di Capitani e bandiere che compongono questo libro. Dopo aver percorso la storia viola nel mio primo libro, La storia della grande Fiorentina in 501 domande e risposte, adesso ho cercato di approfondire le vicende di 84 tra giocatori e allenatori. La selezione è stata facile e scontata per certi nomi imprescindibili e più difficile per altri. Immagino (ed è giusto così) che qualcuno potrà chiedersi perché ci sia questo nome e non ci sia quell’altro e si tratterà certamente di obiezioni sensate, ma una lista così è fatta anche di aspetti emotivi, di ricordi personali, di valutazioni tecniche sulle quali è sempre bello discutere senza dogmi o scomuniche. L’elenco parte dal 1926 con il primo bomber della storia viola e finisce proiettandosi nel futuro con quello che potrebbe essere il grande talento della Fiorentina di domani.

    Anche questa volta devo ringraziare molte persone a partire da Massimo Cervelli, Simone Nozzoli e Sandro Picchi per la loro pazienza nel correggere, suggerire, integrare il racconto di questi 84 protagonisti. Il loro apporto è stato fondamentale e non per modo di dire. A Picchi devo un grazie in più per la bella prefazione che arricchisce il libro.

    Altro compagno di viaggio importantissimo è stato il Museo Fiorentina, presieduto da David Bini, e non solo per il lavoro certosino di Cervelli (che ne è il vicepresidente), ma anche per il prezioso supporto di Mauro Moschini del Collegio statistico. Grazie anche a Raffaele Righetti, colonna della storia gigliata. Un ringraziamento va a Martina Donati e Sandro Ristori, a Claudia Lorenzini, ai colleghi della redazione sportiva de «La Nazione» (Paolo Chirichigno, Riccardo Galli, Angelo Giorgetti, Giampaolo Marchini) e a Maurizio Sessa così come a Cristina Scaletti e Tamara Gomboli, a Moreno Roggi (vicepresidente dell’Associazione Glorie Viola), Roberto Romoli, Alberto Panizza e Marco Vichi dell’Associazione Giglio Amico, Valentina Conte.

    E, ancora una volta, un grazie alla mia compagna Patrizia per la sua pazienza anche quando si è ritrovata la casa invasa da libri sulla storia viola. Una storia che fa parte della mia vita e che spero di aver saputo raccontare emozionando, almeno un po’, il lettore.

    Rodolfo Volk

    Domenica 3 ottobre 1926, sono le 16:10 circa: è appena cominciato il secondo tempo di Fiorentina-Pisa, prima gara di campionato nel girone C della Prima Divisione 1926-27 (l’equivalente dell’attuale Serie B) e prima partita ufficiale della Fiorentina, nata nell’agosto 1926 dalla fusione di Libertas e Club Sportivo. C’è sempre una prima volta e questa per i biancorossi fiorentini (il viola arriverà nel 1929) non si sta mettendo bene. La folla che riempie lo stadio di via Bellini ha l’amaro in bocca perché gli ospiti sono in vantaggio grazie a un gol di Danovaro Bugni al 43’. A far esplodere di gioia il pubblico fiorentino ci pensa il centravanti Volk, destinato a diventare un campione delle prime volte come vedremo più avanti: proprio al 46’ l’attaccante fiumano raccoglie un assist di Baldini e infila la porta pisana. Passa poco più di un quarto d’ora e Volk raddoppia, su assist di Bandini questa volta: al 62’ i biancorossi ribaltano il risultato. Poi sarà Baldini a completare la festa gigliata segnando il 3-1 al 67’.

    Il grande protagonista di questa prima volta è, indiscutibilmente, il ventenne Volk che in un colpo solo segna la prima rete e la prima doppietta in gare ufficiali nella storia della Fiorentina. Volk aveva già realizzato un gol nell’amichevole contro la Sampierdarenese (2-2) del 26 settembre. Inutile dire che in quel campionato 1926-27 (raccontato in dettaglio nel Diario Biancorosso curato da Salvatore Cirmi e Filippo Luti nel fondamentale volume del Museo Fiorentina intitolato Fiorentina 1926-27) Volk fu anche il primo capocannoniere della Fiorentina con 11 reti su 15 gare di campionato, alle quali vanno aggiunte le 4 reti in 6 partite della Coppa Arpinati. È un giocatore molto forte fisicamente, potente centravanti di sfondamento, ma per nulla egoista o statico, visto che dà un contributo al centrocampo e «spesso va a cercarsi palloni utili nelle retrovie», come sottolinea Luti in Lo Stadio Velodromo di via Bellini. La prima casa della Fiorentina (scritto con Paolo Crescioli). Il suo fisico possente fa sì che sia molto bravo a difendere il pallone spalle alla porta (oggi diremmo anche per far salire la squadra) e a girarsi in maniera repentina e imprevedibile prima di scoccare i suoi tiri potenti. Il suo motto è: «Io non penso, io tiro. Finché tiro è più facile che segni». Concetto che può apparire lapalissiano, anche se oggi andrebbe rispolverato in tante partite della nostra Serie A in cui si pensa molto, ma per vedere un tiro in porta bisogna aspettare parecchio.

    La carriera di Volk vivrà il suo apice a Roma dove diventerà l’idolo dei tifosi entrando nella storia del club giallorosso con le sue 103 reti segnate in campionato, superato solo da Roberto Pruzzo e Francesco Totti.

    Facciamo, però, un passo indietro e andiamo a Fiume (allora città italiana, oggi croata con il nome di Rijeka) dove Volk nasce il 14 gennaio 1906 nel rione di Valscurigne. Come ci racconta Cirmi nel volume del Museo Fiorentina, le doti di calciatore del giovane Rodolfo emergono subito, tanto da farlo passare dalla squadra dell’oratorio salesiano alla Seconda Divisione nell’Olimpia Fiume. A portarlo a Firenze è il servizio militare nel genio telegrafisti e qui affrontiamo un piccolo mistero che tale, grazie agli storici, non è più: il caso Bolteni. Nei tabellini di quel primo campionato, infatti, il centravanti goleador dei gigliati è indicato come Bolteni e non Volk. In realtà si tratta della stessa persona: il centravanti fiumano, infatti, gioca sotto falso nome proprio perché sta facendo il militare e non potrebbe svolgere attività diverse da quelle dell’obbligo di leva. A dire il vero, il mistero è relativo. Infatti è assai probabile che i superiori di Volk sappiano benissimo che quell’aitante militare è anche l’idolo dei tifosi gigliati che delizia a suon di gol. Analogo escamotage viene usato dal portiere Sernagiotto che figura come Serravalli.

    L’idillio tra Volk e i tifosi viola, però, dura poco: alla fine del servizio militare Rodolfo ritorna a Fiume e gioca un grande campionato (con una media di un gol a partita) nell’Unione Sportiva Fiumana. Nella stagione successiva, diventa un protagonista del calciomercato e il duello tra Napoli e Roma per ingaggiare il possente goleador viene vinto dai giallorossi.

    Come detto, proprio a Roma Volk trova la sua consacrazione e anche qui si conferma il giocatore delle prime volte. In coppia con Fulvio Bernardini (il futuro allenatore del primo scudetto della Fiorentina) Volk segna all’esordio in Divisione Nazionale (nel 4-1 sul Legnano), poi nella stagione successiva è l’autore del primo gol a Campo Testaccio (al 49’ di Roma-Brescia 2-1 del 3 novembre 1929, il raddoppio è di Bernardini) e segna anche il primo gol nel primo derby contro i biancazzurri (al 79’ di Lazio-Roma 0-1 dell’8 dicembre 1929). Così, un po’ per questi gol storici e, soprattutto, perché comunque segna a valanga, i tifosi romanisti impazziscono per lui e lo soprannominano Sigfrido per il suo aspetto nordico (poi diventato subito Sigghefrido) oppure Sciabbolone per il fisico possente in contrapposizione a re Vittorio Emanuele III detto Sciaboletta per la bassa statura.

    Dopo cinque stagioni travolgenti a Roma, passa al Pisa, poi alla Triestina. Gli anni si fanno sentire e Rodolfo non è più il ventenne scatenato di Firenze o lo Sciabbolone degli anni in giallorosso. Torna a Fiume nel 1935 e gioca nella Fiumana, contribuendo a riportarla in Serie B nel 1941.

    La tragedia della Seconda guerra mondiale di fatto segna la fine della sua carriera e il dopoguerra vede Volk coinvolto nel dramma dei tanti italiani che lasciano Fiume con il passaggio alla Jugoslavia e l’avvento del regime comunista.

    Ormai quasi in miseria, Volk viene sfollato in un campo profughi in provincia di Arezzo, poi nel 1948 torna in campo (ultraquarantenne) nel Montevarchi nel ruolo di allenatore-giocatore. Volk si trasferisce a Roma e ottiene un posto come usciere alla sede del Totocalcio e poi, malato e povero, finisce i suoi giorni in una casa di cura dove trova ospitalità grazie all’aiuto di alcuni ex compagni, a partire da Bernardini. Una parabola triste per un bomber che ha scritto pagine emozionanti nella storia del calcio italiano, amato per la passione e lo slancio che metteva in ogni partita. Volk, eroe romantico che ha regalato alla Fiorentina il sorriso per la sua prima volta.

    Giuseppe Galluzzi

    Singolare il destino di Giuseppe Galluzzi, fiorentino doc: gioca nel Club Sportivo e appena si verifica la fusione con la Libertas se ne va all’Alba Audace Roma; poi con la maglia della Juventus contribuisce a infliggere ai gigliati la sconfitta più pesante della loro storia. Già, uno strano destino perché in realtà Giuseppe Galluzzi è uno dei cardini della Fiorentina dalla fine degli anni Venti alla metà degli anni Quaranta del secolo scorso: prima come capitano, poi come allenatore.

    Giuseppe Galluzzi nasce a Firenze nel novembre 1903 e appena diciottenne approda al Club Sportivo. Utilizzato inizialmente come centravanti, si trasforma (con successo) in mezzala e diventa un elemento prezioso della squadra. Quando nasce la Fiorentina, con la fusione tra Club Sportivo e Libertas, il tecnico ungherese Károly Csapkay è il primo allenatore della nuova società. Oltre alle partenze di giocatori di minore importanza tra gli ex libertiani e gli ex clubbisti, Csapkay deve fare i conti con una defezione pesante: proprio Galluzzi parte alla volta di Roma per giocare con l’Alba vicecampione d’Italia, come ricorda Filippo Luti nel libro Lo Stadio Velodromo di via Bellini. La prima casa della Fiorentina.

    Così, mentre la Fiorentina muove i primi passi, Galluzzi è un giocatore tanto promettente da finire nel mirino della Juventus che lo ingaggia nella stagione 1927-28. A Torino resta due stagioni e nel campionato 1928-29 segna una tripletta nell’umiliante 11-0 con cui la Juventus travolge la squadra gigliata il 7 ottobre 1928. Galluzzi, però, avrà modo di farsi perdonare.

    Nella stagione successiva, infatti, lascia i bianconeri e arriva finalmente alla Fiorentina impegnata in Serie B dopo la disastrosa stagione nella Divisione Nazionale. Galluzzi, dunque, indossa la maglia viola: già, perché è proprio nel 1929-30 che la Fiorentina abbandona la casacca biancorossa e adotta la nuova divisa, a partire da un’amichevole contro la Roma giocata il 22 settembre 1929. Una scelta cromatica coraggiosa, voluta dal marchese Ridolfi e sulla cui origine permane un certo mistero. A lungo si è parlato di un bucato venuto male, oppure di una decisione dovuta all’origine della città di Firenze, la Florentia dei romani, chiamata così per la distesa di fiori di giaggiolo di colore viola sulle rive dell’Arno. Andrea Claudio Galluzzo nel libro Il Fiorentino. Vita e opere del Marchese Luigi Ridolfi avanza altre ipotesi: una colorazione dei tessuti ottenuta grazie a un segreto industriale della produzione di stoffe fiorentine oppure un omaggio alla passione botanica di Cosimo Ridolfi (nonno di Luigi) e alla sua creazione di una camelia viola. Comunque sia, dal 22 settembre 1929 dagli spalti sale l’urlo «Forza Viola».

    Galluzzi si impone subito con il suo talento ed è protagonista di stagioni esaltanti come quella della promozione nella massima serie (1930-31) e le due con Petrone trascinatore a suon di gol nelle quali i viola arrivano quarti e poi sesti in A. Mezzala di qualità, Galluzzi è un giocatore di forte personalità, con i suoi modi bruschi e diretti da fiorentino vero. «Quando giocava con Petrone, che gli stava antipatico», scrive Sandro Picchi in Fiorentina: 80 anni di storia, «gli annunciava il passaggio allungandogli anche qualche parola: Ecco la palla figlio di puttana». Sempre nello stesso volume, Carlino Mantovani lo definisce come un fiorentino «senza peli sulla lingua, che a volte poteva sembrare arrogante e indisponente, ma che trasmetteva fiducia e serenità».

    Galluzzi resta in viola fino al 1933 poi va a Lucca e a Pisa prima di chiudere la carriera di giocatore e cominciare quella di allenatore a Pontedera. Nel 1939-40 torna alla Fiorentina in veste di tecnico, subentrando alla diciassettesima giornata al posto dell’austriaco Rudolf Soutschek che ha il merito di aver riportato in A i viola. Il cammino in campionato è molto sofferto e i viola sfiorano una nuova retrocessione salvandosi per differenza reti. In Coppa Italia, invece, la squadra è travolgente fino alla vittoriosa finale del 16 giugno 1940 contro il Genova (che poi è il Genoa: sotto il fascismo i nomi stranieri vengono italianizzati). Galluzzi, così, è l’allenatore del primo storico trionfo viola. Nel campionato successivo anche la Fiorentina, come già il Genova, adotta la rivoluzione del Sistema, il modulo di gioco introdotto nel 1925 da Herbert Chapman, leggendario manager dell’Arsenal, per sostituire lo schieramento a piramide del Metodo. Una svolta determinata dal cambiamento della regola del fuorigioco che favorisce gli attaccanti: per essere considerati in gioco bisogna che tra sé e la linea di porta ci siano due avversari, non più tre. Il nuovo modulo era stato provato già in Serie B, caldeggiato dal presidente Ridolfi e dal suo braccio destro Ottavio Baccani.

    Galluzzi, dunque, adotta lo schieramento del Sistema (detto WM perché forma proprio queste due lettere) che prevede l’arretramento del centromediano (in questo caso Bigogno) dal centrocampo alla difesa con il compito di marcare il centravanti avversario, mentre i terzini (Furiassi e Piccardi) marcano le ali e a centrocampo si forma un quadrilatero.

    Il tecnico gigliato schiera in questo quadrilatero Ellena e Poggi in mediana e Valcareggi e Baldini come mezzali. La Fiorentina, trascinata dall’ala destra Romeo Menti (servito sempre con grande precisione da Valcareggi), gioca un grande campionato, batte la Juventus per la prima volta a Torino e la travolge a Firenze, espugna il campo dell’Ambrosiana Inter (sconfitta anche in casa) e soprattutto propone un calcio spumeggiante grazie alla qualità dei suoi uomini, ma anche all’impostazione tattica di Galluzzi. I viola chiudono a pari punti con il Milano superati solo dal Bologna e dall’Ambrosiana Inter. Seguono due campionati un po’ più opachi, il secondo dei quali è l’ultimo prima della pausa bellica (almeno a livello di competizioni su tutto il territorio nazionale). Ridolfi lascia la presidenza per assumere quella della Federcalcio e alla guida della società viola arriva Scipione Picchi, vicepresidente dal 1926.

    In mezzo a difficoltà facilmente intuibili, Galluzzi guida la squadra viola durante la guerra, poi chiude la sua esperienza gigliata, ma continua ad allenare. Diventa, nel 1946-47, il primo allenatore nella storia della Sampdoria. Dopo varie esperienze viene chiamato dalla Federazione a insegnare calcio ai più giovani e anche qui, oltre a dispensare lezioni, ottiene successi importanti con le squadre del vivaio azzurro. Fra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio degli anni Sessanta collabora con la società viola come consulente tecnico e gli vengono affidate anche delle missioni per cercare giocatori in Sudamerica.

    Resta, comunque, nella storia della Fiorentina per le sue qualità in campo e in panchina e per la sua personalità. E possiamo dire che quella tripletta inflitta ai viola con la maglia della Juve possa essergli ampiamente perdonata.

    Mario Pizziolo

    Per due bandiere viola, la festa dell’11 luglio 1982 dell’Italia campione del mondo è un po’ velata di malinconia: pienamente protagonisti della splendida cavalcata degli azzurri di Enzo Bearzot nei Mondiali di Spagna, Francesco Graziani e Giancarlo Antognoni (uno dei simboli della Fiorentina di tutti i tempi) non si godono in campo la finale contro la Germania, la partita più importante nella carriera di un calciatore. Graziani esce in lacrime al 7’ del primo tempo per un infortunio alla spalla; Antognoni, invece, vede tutta la partita da fuori, messo KO da un colpo al piede destro nel corso della semifinale contro la Polonia. Detto questo, per il loro contributo fondamentale Antognoni e Graziani sono in tutto e per tutto campioni del mondo.

    Decisamente peggio, invece, va a Mario Pizziolo nei Mondiali del 1934: gioca ottimamente la prima partita, ma si infortuna seriamente nella seconda gara. Pizziolo è il secondo giocatore viola a vestire la maglia della Nazionale italiana (il primo è Pitto, che però era già azzurro prima di arrivare alla Fiorentina) e il primo a diventare campione del mondo, anche se questo titolo gli porterà amarezza per un’ingiustizia riparata con grave ritardo. È certamente una delle bandiere della storia viola, che attraversa a lungo prima da giocatore e poi da dirigente, mettendo lo zampino nei due scudetti della Fiorentina.

    Ma andiamo con ordine. Pizziolo, pescarese classe 1909, cresce nelle giovanili del Livorno e della Ternana, poi passa alla Pistoiese. Da Pistoia approda alla Fiorentina nel 1929 dove si impone a centrocampo come mediano di qualità e quantità. È uno dei protagonisti del rilancio della squadra voluto dal presidente Ridolfi dopo l’inglorioso ultimo posto del campionato 1928-29 nel girone B della Divisione Nazionale che l’anno dopo lascerà il posto alla Serie A a girone unico.

    Per rinforzare i viola arrivano il terzino Renzo Magli, a centrocampo Pizziolo e Neri, le mezzali Galluzzi e Staffetta, l’ala Rivolo, il centravanti Baldinotti. Quest’ultimo passa alla storia per essere l’unico fiorentino ad aver segnato una tripletta nella squadra gigliata: accade in Fiorentina-Novara 3-0 del 27 aprile 1930. È la Fiorentina che indossa per la prima volta la maglia viola e che arriva quarta nel 1929-30 per poi conquistare la Serie A vincendo il campionato successivo, prima di sognare in grande con le reti di Petrone. In

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