Fango, nebbia e pedate: La provincia dei campi di calcio
Di Luca Rinaldi
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Anteprima del libro
Fango, nebbia e pedate - Luca Rinaldi
Luca Rinaldi
Fango, nebbia
e pedate
La provincia dei campi di calcio
www.blonk.it
copertina di Gianguido Saveri
(c) Blonk Editore
ISBN: 9788897604235
Il calcio è straordinario proprio perché non è mai fatto di sole pedate. Chi ne delira va compreso
.
Gianni Brera
Prefazione
Questo libro, il libro che vi state apprestando a leggere, è un libro che ha un odore e anche un suono.
Non sono impazzito. Lo so che stiamo parlando di un ebook e quindi, al massimo, il senso più stimolato dovrebbe essere la vista ma, man mano che andrete avanti nella lettura, vi accorgerete che non è così.
Sono altri due i sensi più sollecitati: l’olfatto e l’udito.
Eh sì, perché qui ci si cala nel calcio di base, quello di provincia, di paese. Quello in cui senti ancora l’odore dello spogliatoio (olfatto) perché ci si cambia in posti spartani mica in quegli spogliatoi della serie A, e anche della serie B negli ultimi tempi, molto da fighetti in cui sembra di entrare in una beauty farm. Un luogo, lo spogliatoio del campetto di provincia, che quando entri prima della partita c’è ancora qualcuno che si passa l’olio di canfora sulle gambe e senti quasi bruciare le narici per quell’odore acre, forte, che vuol dire proprio calcio. Mentre quando ci vai dopo la partita sembra di arrivare in un territorio devastato da uno tsunami con calzettoni abbandonati, pezzi di cerotti e bende, bottiglie di plastica lanciate dappertutto e acqua per terra in ogni angolo. Lì domina il penetrante odore di sudore tipico del post partita a cui si aggiunge il vapore acqueo delle docce misto alla polvere, d’estate, e al fango d’inverno.
Poi, dal libro di Luca Rinaldi, usciranno i suoni (udito) anche se lo starete leggendo alle tre di notte sdraiati quasi al buio sul divano di casa. Il più tipico è quello dei tacchetti sul pavimento. Quel tic tic toc toc che, per chi ha giocato almeno una volta a calcio anche una semplice partita fra scapoli ed ammogliati, vuol dire tanto, quasi tutto. Lì, in quel suono, è l’essenza del calcio di provincia. Di quando stai per scendere in campo e sai che dopo pochi minuti potresti diventare un idolo, perché hai segnato il gol decisivo, o la persona più odiata del paese, perché il gol sì l’hai segnato ma nella porta sbagliata. La tua.
Ma soprattutto qui troverete i personaggi. Sono loro che rendono unico, in Italia, lo spettacolo del mondo del calcio di provincia. Personaggi che, guarda un po’, sono simili, per non dire identici, che si stia seguendo una partita in Lomellina o nella Sibaritide. Non mancano mai, sia in campo che, soprattutto, fuori. E fanno sì che, cercando di staccarsi un po’ da quello che sta succedendo fra le due porte, si riesca a godere e apprezzare una partita anche se si sta giocando La Tana FC-Quisquinese (è vera, non me la sono inventata). Il bomber, il macellaio, lo scarpone sono in campo. Quello che è sempre colpa dell’arbitro, il silenzioso e il folle sono in tribuna o appoggiati alle reti di recinzione.
Il quadretto è completo. Lo è per chi questo ambiente lo ha frequentato nel corso della sua vita ma anche, e in particolare, per chi non lo ha mai vissuto. Per chi forse ne rifugge pensando che l’Italia pallonara sia tutta soldi, spettacolo e veline. Quando in realtà l’Italia del calcio è soprattutto questa.
Luca Gattuso
P.S.
ah, La Tana FC-Quisquinese è finita 0-0…
Il principio
Ci sono partite a cui si può essere presenti in due modi: stando sul campo, oppure in tribuna. Quando c’è. Lì non ci sono telecamere, anche se ogni tanto qualcuno, tempo fa, si portava quelle telecamere che registravano su nastro. Poi sono arrivati i cellulari e qualche ripresa si può fare anche con quello, sai mai che si azzecca il momento giusto per vedere la prodezza di quel numero dieci «bravo eh», ma troppo basso quando a sedici anni «ha fatto il provino nel Milan e allora non l’hanno preso». Una frase che capita spesso di sentire sugli spalti dei piccoli campi di provincia, dove proprio quello là con la maglia numero dieci quando era nelle squadre giovanili ha provato per il Milan. Fortissimo, ma non aveva il fisico adatto, così è rimasto qui a giocare in provincia. Per tutto il resto dei giocatori di categoria è una specie di totem da adorare: compagni e avversari nutrono per lui ammirazione sconfinata e la domenica sul campo fa un po' quello che vuole perché qualcuno riesce difficilmente a fermarlo. Potrebbe dare spettacolo con gli 80mila di San Siro a tifare per lui, e invece è uno show privato per gli umarell che vanno al campo la domenica e guardano la partita da in piedi, dietro la rete che divide il perimetro di gioco dall'esterno con le mani dietro la schiena e la coppola ben calcata in testa. Aveva sedici anni quando è andato a fare il primo provino
per i rossoneri. Con i suoi coetanei nelle giovanili delle squadre dilettanti era uno da almeno un gol a partita, piedi buoni, fantasia da vendere, corsa, dribbling. Statura al di sotto della media, ma in grado di lasciare sul posto tutti gli avversari che tentavano di portargli via il pallone dai piedi. Baricentro basso e controllo di palla strepitoso, e quelli così non li butti giù nemmeno con le cattive, stanno sempre in piedi, lì, con i calzettoni che faticano a stare su e i pantaloncini che vanno sotto al ginocchio. Nel campionato in cui uno degli osservatori del Milan lo ha notato ha segnato 30 gol in 26 partite, tanto che nell'ottobre successivo arriva la convocazione in un anonimo centro sportivo del milanese dove giocano le giovanili del club più titolato al mondo
, come amano definirlo i suoi tifosi. E anche lì, in mezzo ad altre 21 bestie alte non meno di un metro e ottanta ha dato lezioni di calcio, tanto da essere richiamato al provino successivo e poi ingaggiato dai rossoneri per il campionato giovanile. Una annata dura e un fisico troppo fragile però si mettono di traverso e le botte rimediate in campo si fanno sentire. Le partite giocate sono poche, quattro gol in una ventina di partite, ma l'esame di maturità non è passato. Troppo fisico il calcio di oggi, e a parte qualche piccola (in tutti i sensi) eccezione, vedere alla voce Leo Messi, ma lì siamo in una dimensione che non è umana, e quel numero dieci che adesso sta lì e fa viaggiare la palla in mezzo al fango deve tornare all'ovile. Ci sono quelli invece che in Serie A ci sono arrivati, grazie proprio a quel calcio a tratti sgraziato che si gioca oggi, fatto in gran parte di muscoli, velocità, potenza e resistenza. Quelli che si sono presentati all'anonimo centro sportivo milanese con tanti centimetri, tanta corsa e poca tecnica. Insomma, molti di questi oggi si vedono in televisione, dove la tribuna c’è sicuramente, e le telecamere pure. Il centro dell’attenzione lì, in Serie A, sono i ventidue in campo che corrono dietro al pallone giocando il gioco più bello del mondo, e l’arbitro. Su quell’altro campo invece, quello di provincia, dove le telecamere non ci sono e dove corre in mezzo al campo un numero dieci che ha sfiorato il professionismo ed è rimasto in mezzo al fango dei dilettanti, il pubblico diventa allo stesso modo protagonista e si mischia con i giocatori: a San Siro non puoi distinguere le singoli voci di 80mila persone. Al campo dell’Atletico Gunners, terza categoria, in via Cilea a Milano invece si, così come su mille altri campetti senza tribuna o con qualche gradone di cemento: c’è il Mario che forse si è fermato troppo al bar dopo pranzo e adesso sta vedendo un’altra partita, anche se è lì in piedi proprio di fianco a te. Poi c’è il Sergio, che sarebbe l’anestesista della clinica dietro casa, ma che dopo averlo visto all’opera sui gradoni delle tribune non ti faresti fare nemmeno una camomilla, per non parlare del Giovanni sempre lì a ricordare all’arbitro che avrebbe potuto impiegare la sua domenica pomeriggio in un altro modo, pena la moglie a casa intenta ad accontentare almeno un paio di altri uomini ben dotati.
La cornice della domenica non si esaurisce di certo qui: c’è il custode del campo sportivo, il magazziniere , gli accompagnatori delle squadre e gli allenatori delle squadre, a volte veri e propri geni rimasti nei bassifondi del calcio per scelta, a volte personaggi senza una idea di come schierare una squadra in campo che nemmeno Oronzo Canà nel film l’allenatore nel pallone
. Al campo arriva sempre il momento in cui entra in gioco il magazziniere, ovvero quel personaggio tendenzialmente anziano, capello bianco, pantaloncino corto che non se