Senza parole
Di Kim Fielding
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Info su questo ebook
Travis Miller ha un lavoro da operaio, un gatto di nome Elwood e una vita sentimentale patetica. L’unico raggio di luce nella sua esistenza è il bellissimo chitarrista davanti al quale passa, talvolta, quando torna a casa dopo il lavoro. Ma quando trova finalmente il coraggio di rivolgergli parola, Travis viene a sapere che quell’ex romanziere, Drew Clifton, soffre di afasia: riesce a capire tutto quello che Travis dice, ma non è capace di parlare o scrivere.
I due uomini soli danno vita a un’amicizia che presto sboccerà in una storia d’amore. Ma la comunicazione è soltanto una delle loro sfide: ci sono anche l’inesperienza di Travis con le relazioni e la sua situazione economica precaria. Se sono le parole a costruire un ponte tra due persone, cosa riuscirà a tenere insieme loro due?
Kim Fielding
Kim Fielding is pleased every time someone calls her eclectic. Her books span a variety of genres, but all include authentic voices and unconventional heroes. She’s a Rainbow Award and SARA Emma Merritt winner, a LAMBDA finalist, and a two-time Foreword INDIE finalist. She has migrated back and forth across the western two-thirds of the United States and currently lives in California, where she long ago ran out of bookshelf space. A university professor who dreams of being able to travel and write full-time, she also dreams of having two daughters who occasionally get off their phones, a husband who isn’t obsessed with football, and a cat who doesn’t wake her up at 4:00 a.m. Some dreams are more easily obtained than others. Blogs: kfieldingwrites.com and www.goodreads.com/author/show/4105707.Kim_Fielding/blog Facebook: www.facebook.com/KFieldingWrites Email: kim@kfieldingwrites.com Twitter: @KFieldingWrites
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Anteprima del libro
Senza parole - Kim Fielding
due?
NON RICORDAVA esattamente quando avesse visto quell’uomo per la prima volta. Terminato il suo turno da tornitore, Travis si trascinava verso casa. Camminava tenendo gli occhi puntati sui piedi stanchi e li osservava percorrere il suo solito tragitto nella zona a sudest di Portland. Sollevava lo sguardo di tanto in tanto, giusto per non urtare gli altri passanti o per evitare di essere investito quando attraversava la strada. Ma un giorno, forse un venerdì che sentiva un po’ più di energia nel passo, sollevò gli occhi quel tanto che gli bastò per vedere un uomo, seduto sugli scalini d’ingresso di una casa, che strimpellava tranquillo una chitarra.
Dopo un po’, Travis si rese conto che l’uomo se ne stava lì quasi tutti i giorni. A volte suonava la chitarra, ma non si accompagnava mai col canto; altri giorni, invece, si limitava a starsene seduto lì, a guardare la gente che passava, con il bellissimo volto che non lasciava trasparire emozioni. Sembrava un po’ più vecchio di Travis, probabilmente aveva sui trentacinque anni, abbastanza da mostrare delle piccole rughe agli angoli degli occhi. Travis lo aveva notato a forza di occhiate rubate, e lo trovava attraente.
Travis iniziò, allora, a interrogarsi su quel tipo. Chi era? Aveva un coinquilino che non apprezzava la sua musica? Attendeva l’arrivo di qualcuno? Magari la sua compagna? Sarebbe bello, pensava Travis, tornare a casa e trovare il tuo compagno seduto lì, ogni giorno, ad aspettarti. Nessuno aspettava Travis, ad eccezione del suo gatto, Elwood, e certi giorni era certo che Elwood non vedesse l’ora che lui tornasse solo per papparsi un po’ di MiaoMix.
Ma l’uomo misterioso stava lì. Non tutti i giorni. Non quando pioveva, per esempio. Ma erano più i giorni in cui c’era, e quasi sempre quando faceva bel tempo. Travis non lo vedeva mai interagire con qualcuno o fare qualcosa di diverso dal suonare la chitarra o guardare i passanti.
Qualcosa di lui lo ossessionava, sebbene non riuscisse a spiegarsi cosa di preciso. Forse era l’inquietudine nei suoi occhi blu, oppure la tensione delle sue spalle. Qualunque cosa fosse, Travis si ritrovava a pensare a lui molto spesso. Al lavoro, quando doveva modellare il metallo sul tornio. A casa, mentre vegetava davanti alla tv con Elwood sulla pancia e una Pabst in mano. E più tardi quando era da solo, a letto.
Un pomeriggio, al lavoro, perso nei suoi pensieri, per poco non si portò via una mano, perciò decise di percorrere un’altra strada per tornare a casa. Deviò di un isolato, che però non gli piacque. Lungo il tragitto incontrò meno pedoni, ma vide numerosi cani che gli abbaiavano dai giardini recintati. Quel tragitto, inoltre, non lo portava al Rick’s Mini-Mart, dove era solito fermarsi per comprare un paio di birre e magari delle patatine, un burrito congelato o una fetta di pizza. Tuttavia, nonostante il cambiamento di rotta, Travis continuò a pensare a quell’uomo.
Decise perciò di affrontare la questione di petto e, un bel venerdì di settembre, si fermò quando gli passò davanti, poi gli sorrise e gli disse: Che bella canzone. Come si intitola?
L’uomo smise allora di suonare e gli lanciò un’occhiata che non fu né amichevole né scortese. Poi infilò una mano nel taschino della camicia e pescò quello che pareva un biglietto da visita. Lo diede a Travis, che lo prese con una certa perplessità. Pensava forse che lui lo volesse ingaggiare per una serata o qualcosa del genere?
Poi lesse le poche righe che vi erano stampate.
Mi chiamo Andrew Drew
Clifton. Ho un’afasia. Significa che non posso parlare o scrivere. Ma ti capisco bene e non sono un fottuto idiota, quindi non trattarmi così.
Travis sollevò lo sguardo e osservò l’uomo – Drew, si corresse – che, con le sopracciglia sollevate, stava aspettando una qualche reazione.
Oh,
disse Travis.
Drew fece un’espressione strana e abbassò lo sguardo sulla chitarra.
Travis non sapeva proprio come reagire. Scusarsi? Sarebbe stato patetico. Continuare a camminare? Da maleducati. Alla fine, decise di dire: Beh, era veramente una bella canzone.
Drew alzò gli occhi sorpreso. Forse si era aspettato che Travis continuasse per la sua strada.
Lo sai,
continuò Travis, passo di qui tutti i giorni, mentre torno da lavoro.
Drew fece un cenno col capo, con cautela.
Abito qui da circa otto mesi e non conosco nessuno. Ho questo lavoro del cazzo e pure una vita un po’ del cazzo, ma passo sempre da queste parti e qualche volta tu suoni la chitarra, è bello. Mi fa sorridere. Volevo solo dirtelo.
Drew sembrava attonito.
All’improvviso, Travis si sentì in imbarazzo, così si affrettò a concludere il discorso in modo tutt’altro che sciolto. Beh, ti lascio da solo adesso. Ciao!
Fece un patetico cenno con la mano, come un imbranato, e si allontanò. Desiderò quasi, per un momento, di avere l’afasia anche lui.
LUNEDÌ DREW non c’era, faceva piuttosto freddo, il tempo era umido, da temporale. Fu così anche martedì e mercoledì, tanto che Travis iniziò a chiedersi se Drew non si sarebbe più seduto su quello scalino fino a primavera – o se invece fuggisse in casa