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La coccarda di cuoio
La coccarda di cuoio
La coccarda di cuoio
E-book312 pagine4 ore

La coccarda di cuoio

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Info su questo ebook

Middlescot, Nebraska In paese arriva un nuovo abitante, Steve Waller, ma non può minimamente immaginare di ritrovare proprio lì, a centinaia di miglia di distanza, Jilian Rustin, la ragazza con la quale ha avuto una relazione cinque anni prima e che ha dovuto lasciare all’improvviso pur suo malgrado. Ironia della sorte, è proprio Jilian a trovare per caso la coccarda di cuoio persa per strada da Steve. Cosa succederà, adesso che le loro vite hanno preso strade completamente diverse? Ma soprattutto, quale segreto nascondono, entrambi, da tenere celato a ogni costo? Questa è la storia di un uomo e del suo tentativo di cancellare il passato ma è anche la storia di una giovane donna che apparentemente sembra essere riuscita a fare altrettanto ma in realtà non ha mai dimenticato. Cosa sarà più forte, alla fine, l’amore o il destino?
LinguaItaliano
Data di uscita5 feb 2016
ISBN9788893324977
La coccarda di cuoio

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    Anteprima del libro

    La coccarda di cuoio - Kate Bitrix

    cuoio

    www.katebitrix.com

    LA COCCARDA DI CUOIO

    Kate Bitrix

    «C’è solo un modo per conoscere

    l’altra faccia della Luna: andarci.»

    Steve Waller

    Middlescot, Nebraska – 1990

    «E questo resta a lei… Grazie ancora, Mr. Waller, e benvenuto a Middlescot..!»

    Edna Nicholls, una degli agenti della "M & G Estate", congedò l’uomo che aveva di fronte con un sorriso strabiliante, aspettò che uscisse poi si afflosciò contro lo schienale della sedia e sospirò, soddisfatta.

    Venduta, finalmente. Venduta, e a un prezzo più che buono.

    Guardò l’assegno, il primo di una lunga serie che avrebbe continuato ad arrivare ad ogni fine mese per almeno sei o sette anni, e si sentì contenta perché per anni la casa dei Bradley (o quella che tutta Middlescot chiamava così) era stata abbandonata. Ogni anno, dietro incarico di Mr. Hoffmann, il titolare, Edna pubblicava degli annunci sui giornali ed ogni anno non chiamava mai nessuno. Sembrava che il suo destino fosse quello di rimanere abbandonata per l’eternità.

    Invece un giorno aveva telefonato Mr. Waller dall’Ohio e nel giro di pochi mesi era stata venduta.

    Edna ammiccò nel vuoto, maliziosa: bell’uomo, Mr. Waller, per di più, non c’era di che dire. Alto, scuro di capelli, atletico. Aveva un’aria cauta, questo sì, come di una persona diffidente per natura costantemente attento a non farsi rifilare una fregatura da nessuno, nemmeno da una signora dolce e protettiva come lei, ma era cordiale, educatissimo e discreto.

    Non parlava ad alta voce e non le sussurrava nemmeno, le parole, come certa gente con cui aveva a che fare a volte per telefono che la costringevano ad appiccicare l’orecchio alla cornetta; a farlo aderire come un guanto, addirittura, nel tentativo di sentire meglio. E da come si vestiva sembrava anche danaroso; indossava un abito dal taglio classico, più professionale che sportivo. Un agente di commercio, forse, o un impiegato medio-alto.

    Aveva estratto il libretto degli assegni dalla tasca interna della giacca come se avesse preso un banalissimo pacchetto di sigarette e non c’era stato niente di ostentato nel modo in cui aveva tolto il cappuccio dalla penna stilografica (una bella stilografica, laccata, lucida, brillante) e si era chinato a compilare l’assegno. Tutta Middlescot avrebbe finito per volergli bene, senza alcun dubbio, e quella sera lo avrebbe raccontato subito al telefono a Geena Davidson, la sua migliore amica:

    «Quando ha firmato il contratto a momenti mi mettevo a saltare dalla gioia! La casa dei Bradley venduta, e a un così bell’uomo, pure!»

    Geena avrebbe riso.

    «Beh, si scatenerà la caccia, allora… Sempre che non sia già sposato, chiaramente.»

    «La fede al dito non ce l’aveva, e tutte le volte che è passato dall’agenzia non l’ho mai sentito nominare nessuna donna.»

    «Forse è un tipo discreto.»

    «Forse. Però parlava sempre al singolare. Darò una sbirciatina ai documenti.»

    «Ecco, brava, e caso mai fammelo sapere: potrebbe sempre tornarmi utile..!»

    Geena stava avendo dei problemi non indifferenti con suo marito, da un anno a quella parte. Non passava giorno senza che non pensasse al divorzio e se ancora non si era decisa a chiederlo era stato solo per questioni di denaro: gli avvocati sembrava facessero a gara a chi pretendeva la parcella più salata e come avrebbe fatto a tirare avanti da sola, dopo?

    A dire il vero sua madre si era offerta di ospitarla, per un po’, ma Geena non ne era tanto convinta: era già abbastanza desolante vedere la propria vita andare in frantumi giorno dopo giorno, figurarsi tornare a casa da sua madre con la coda fra le gambe. E poi sua madre viveva nel Wyoming, al confine col Montana: quanto sarebbe costato un viaggio così lungo, con tutti i bagagli sul groppone?

    «Beh, c’è poco da scherzare; credimi, quell’uomo ha un portamento davvero elegante. Fortunata chi se lo piglia..!»

    Ma Mr. Waller (Steve, col nome di battesimo) era lontano mille miglia dal pensare a se e a quanto sarebbe risultato simpatico al paese.

    Era rimasto colpito da Edna Nicholls, questo sì (una donna ben curata, ben truccata, pure affascinante, oltre che gentile) e ad essere sinceri era vagamente consapevole del fatto che l’arrivo di una persona nuova in paese avrebbe suscitato la curiosità di tutti. Magari avrebbero pure cominciato a chiamarlo "quello nuovo e avrebbero continuato a chiamarlo così per i prossimi vent’anni; un po’ come era successo a Stella Nevis. Stella aveva 19 anni quando era arrivata e il paese l’aveva ribattezzata subito la giovane; cinque mesi prima aveva compiuto 85 anni e ancora tutti continuavano a chiamarla la giovane".

    Ma la cosa non lo preoccupava più di tanto; che lo chiamassero pure come volevano, purchè lo lasciassero in pace.

    Era uscito dalla "M & G Estate" con aria baldanzosa, le chiavi della sua nuova casa in mano

    casa sua; era tanto che non chiamava più nessuna abitazione così

    era salito in macchina e aveva guidato fino al suo nuovo indirizzo. Ci era sbucato all’improvviso dopo una curva: un paio di centinaia di metri ancora e un ponte avrebbe separato Middlescot dal resto del Nebraska come una sorta di confine naturale.

    Due o tre case silenziose e poi la sua, in Merlin Lane numero 10. Esatto, dieci, come i cavalieri della Tavola Rotonda; una coincidenza buffa, non era forse vero? Non sarebbe stato strano trovare una cassetta della posta a forma di Sacro Graal.

    Ad ogni modo casa sua era là, e a dirla tutta non sembrava poi un granchè, con tutti i segni di una desolazione vecchia e prolungata addosso. Eppure in quella tarda mattinata di inizio autunno Steve la guardò e gli piacque. La sentì parte di se stesso, la sentì benevola, e nonostante tutto fece un sorriso soddisfatto.

    Gli piacque, nonostante le imposte rovinate inevitabilmente da anni di intemperie, nonostante alcune tegole fossero cadute e nessuno le avesse mai sostituite. Mrs. Nicholls aveva parlato di casa sua come della "casa dei Bradley", con un tono che aveva voluto giustificare in qualche modo il suo stato d’abbandono, ma a guardarla con un occhio attento l’intonaco reggeva ancora bene, nonostante tutto. Aveva delle crepe, è vero, ma niente che non potesse essere aggiustato.

    C’era una veranda bella grande sul davanti con le caratteristiche doppie porte come ingresso e persino un vaso di terracotta con una pianta grassa dentro. Ecco, quello era veramente buffo: un cactus grande almeno una ventina di centimetri di circonferenza. Aveva spine lunghe spesse color ocra; d’inverno si imbiancavano, quando la neve sembrava volesse venire giù in eterno e il vento trascinava fin là in fondo fiocchi farinosi ed impalpabili.

    D’estate fioriva, fiori rosso scuro grandi come margherite; fiori che duravano tantissimo, che si appassivano così indistintamente che un bel giorno si staccavano e cadevano senza rumore.

    Steve non poteva saperlo, chiaramente, ma tutta Middlescot sì, e proprio a causa di quel cactus la casa non era mai sembrata abbandonata veramente ma solo chiusa in attesa di essere riaperta. Solo che quel momento non ci sarebbe stato mai: i Bradley l’avevano lasciata quattro e quattr’otto, dopo la disgrazia, se n’erano andati via in silenzio esattamente come i fiori del cactus che si erano dimenticati di portarsi dietro cadevano a fine stagione.

    Ogni volta che in paese se ne parlava tutti scuotevano la testa gravemente commentando che tutto sommato era stato meglio che se ne fossero andati perché a nessuno piace vivere nel dolore del ricordo, e Middlescot era diventata troppo piena di ricordi dolorosi per i Bradley.

    Steve guardò il cactus, ignaro di tutto questo come di mille altre cose ancora (il fatto che era nuovo, per esempio, e che tutta la popolazione femminile di Middlescot avrebbe sperato di conoscerlo più da vicino il momento esatto in cui avesse scoperto che a) viveva solo e b) era pure single, come già aveva cominciato a serpeggiare fra Edna Nicholls e Geena Davidson).

    Aprì il cancelletto; lo avrebbe scarteggiato tutto e riverniciato di un bel marrone scuro, e una delle prime cose che avrebbe fatto sarebbe stata rimpiazzare quell’orribile cassetta della posta malridotta con una nuova rosso lacca, fiammeggiante.

    Buttò un’occhiata a terra, se per caso non fosse lì la sua coccarda. L’aveva persa l’altro giorno nel venire a vedere la casa un’ultima volta con Mrs. Nicholls. Era di ornamento al suo cappello alla texana, e ci teneva tanto.

    Adorava quel cappello: lo indossava ogni volta che poteva ignorando gli sguardi divertiti e un po’ curiosi della gente. Invece non vide niente di diverso dalle foglie secche e qualche ciuffo d’erba.

    Peccato. Ma d’altro canto aveva potuto perderla dappertutto: per la strada mentre ritornava in agenzia, perfino al bar dove si era fermato a prendere un caffè prima di tornare indietro.

    Ma si dimenticò presto anche di quello: era a casa sua adesso, e per la prima volta in cinque anni si sentì davvero in pace.

    o б o б o б o б o б o б

    «Hey, Waller: hai cominciato a sistemarla, la casa, o stai ancora aspettando l’ispirazione?»

    Ron Doyle, il suo collega di lavoro nonché dirimpettaio di scrivania, lo chiamò un paio di sere più tardi. Steve dovette seguirli gli squilli del telefono prima di riuscire a scovare l’apparecchio incastrato fra due scatole.

    Al momento casa sua somigliava più a un cantiere di lavoro che a un appartamento vero e proprio. In un angolo della sala c’era la cassetta degli attrezzi stracarica di roba e in giro era sparsa un’inesauribile teoria di cose: pennelli grandi, pennelli piccoli, un trapano con tutta la fornitura di punte di ricambio, ex lattine di tonno in scatola colme di chiodi, viti, ganci, uncini, un paio di martelli, cacciaviti a stella, cacciaviti piatti, fili elettrici, relè. Erano sparsi in giro dappertutto come un bazar.

    Tutto il lato destro della stanza più il disimpegno che avrebbe trasformato in atrio era invaso da una marea di scatoloni da trasloco. Ogni mobile era coperto da lenzuoli vecchi; due cavalletti di legno con un pezzo di compensato sopra fungevano da tavolo giusto in mezzo.

    Steve prese l’apparecchio dal telefono e lo appoggiò là sopra.

    «Ciao, Ron. No, non ho ancora iniziato. Sto preparando un po’ di roba…»

    «Quindi..? Era ammobiliata, la casa, o vuota?»

    «Ammobiliata. Bah..! Secondo i loro gusti, almeno.»

    «Il che vuol dire che fa schifo…»

    «No… Schifo no…» – Steve fece un’espressione incerta con le labbra, guardandosi velocemente in giro. – «E’ strana. Ti giuro, Ron, in 40 anni che sto al mondo non ho mai visto una roba simile. Qui in sala ci sono due stili diversi: uno classico per il mobile ed il tavolo e uno moderno per l’angoliera e le mensole. C’è un tappeto che si sposa con il resto dell’arredamento come un pugno in un occhio in una manifestazione di pacifisti: di lana grezza, fucsia, con bordi gialli e disegnini astratti viola in mezzo.» - Ron rise, divertito. – «In cucina non ci sono tavoli: c’è solo una consolle di circa mezzo metro con tre sgabelli tipo trampoli da bar. Niente sedie. Mensole dovunque. In bagno ci sono, in ordine: uno specchio tondo con cornice verde, altre mensole gialline e sanitari rosa. Pensavo che i sanitari rosa esistessero solo nella villa di campagna della Barbie…»

    Ron scoppiò a ridere di gusto.

    «E che cavolo! Maniaci delle mensole, i vecchi proprietari, eh?»

    «Chissà, forse Mr. Bradley era un falegname… No, beh, tutto sommato sono abbastanza soddisfatto. Voglio dire, avrei potuto trovare peggio.»

    «Certo, come no? Moquette sotto il soffitto in bagno, per esempio…»

    «Dai, dico sul serio… Ci vorrà un po’ di tempo ma verrà fuori un bel lavoro.»

    «Tornerà a brillare nel suo splendore originale, giusto?»

    «Tornerà a brillare nello splendore che vorrò io, almeno...»

    Ron sorrise.

    «Buon lavoro, allora. A proposito di lavoro… Hai saputo di Mel e Trisha?»

    «Mel e Trisha? No, cos’è successo?»

    «Sai quel piccolo montacarichi nel magazzino dietro gli uffici?»

    «Sì, quello che usano gli operai per spostarsi dal primo al secondo piano con tutto il muletto.»

    «Esatto. Beh, ieri sera l’operaio dell’ultimo turno si è dimenticato di chiuderlo, così quando è arrivata la guardia notturna e ha cominciato a fare il giro di controllo si è accorto che non era stato chiuso il cancelletto. Allora va a dare un’occhiata con la sua bella torcia in mano, e all’improvviso sente dei rumori provenire dall’interno del montacarichi.»

    «Ladri?»

    Ron rise.

    «Macchè! C’erano dentro Mel e Trisha!» – sogghignò, esaltato. – «Te lo giuro, Waller: Mel Danston e Trisha Connerby della divisione marketing erano nel montacarichi aperto alle due di notte e lo stavano facendo alla grande! Cristo, non posso crederci: pare che Trisha fosse completamente nuda e che Danston…» – ma Steve lo interruppe, scettico.

    «Ron…: come fai a sapere tutti questi particolari interessanti?»

    «Me li ha raccontati oggi Ken a pranzo.»

    «Appunto. E Ken era lì anche lui, stanotte?»

    «No, ma Ken e la guardia notturna sono amici di vecchia data e…»

    «…E la gente è sempre pronta a credere a un sacco di boiate, specie se piccanti.»

    Ron smise di ridere; sembrava perplesso, adesso.

    «Beh, insomma… Perché mai la guardia dovrebbe inventarsi delle cose di sana pianta?»

    «E chi ti dice che è stata la guardia? Lo sanno anche i sassi che Ken Viedersen ha messo gli occhi addosso a Trisha da quando è arrivata in ditta e che Trisha non lo degna di uno sguardo.»

    A parole. Se per questo, Steve sapeva anche che Ken e Trisha se l’erano spassata per diverso tempo insieme fingendo agli occhi di tutti l’esatto contrario, prima che Trisha decidesse di spostare nuovamente il suo interesse sul suo fidanzato.

    Li aveva visti (e sentiti) lui stesso un pomeriggio tardi in cui era andato in magazzino a recuperare dei pezzi di ricambio per il suo pc e aveva beccato i due così focosamente intenti che nemmeno lo avevano sentito entrare. Ma naturalmente questo non lo aggiunse.

    «Dici?» – Ron sembrava ancora meravigliato. – «Vuoi dire?»

    «Voglio dire. Mai fidarsi della gente, specialmente quando è troppo ricca di particolari.»

    «Beh, non so… Voglio dire… Non l’avrei mai detto…»

    «E in ogni caso non vedo poi cosa ci sia di così divertente.»

    «Uno scandalo colora sempre un po’ la monotonia di tutti i giorni; no?»

    «Già, può darsi… Ti saluto, vado a mangiare un boccone.»

    «Hey, Waller: fatti vivo, se hai bisogno di una mano coi lavori. Mica penserai di fare tutto da solo? Una volta mio cognato ha fatto uno sforzo così grande che poi gli è venuta la febbre per sei giorni.»

    «Va bene, mi farò vivo…»

    «Dico sul serio. Nessuno di noi è Superman.»

    «Sì, va bene. Ti chiamo, casomai… Adesso vado, però. Stammi bene. Ci vediamo domani in ufficio.»

    «Ciao, Wal. Stammi bene pure tu.»

    Steve riagganciò; avrebbe chiamato Ron com’era vero che era la regina d’Inghilterra.

    Si guardò in giro: certo, il casino era proprio grande e ci avrebbe messo parecchio tempo, ma che importanza aveva, dopotutto?

    Un’ombra scura gli passò davanti al volto, lieve e malinconica, ma fu un istante: aveva una casa da tirare in piedi, un sacco di lavoro da fare. Sarebbe andato tutto bene. E magari alla fine avrebbe trovato pure un negozio che vendeva cappelli alla texana e se ne sarebbe comprato uno nuovo, con una bella coccarda di cuoio giusto in mezzo.

    Sorrise, a quell’idea: sarebbe stato il tocco magico finale, la ciliegina sulla torta.

    Non poteva credere di aver trovato finalmente la serenità dopo così tanto tempo.

    E non l’aveva trovata, infatti; anzi, era andato ad infilare di sua spontanea volontà una mano nel vespaio, ma questo non poteva ancora saperlo.

    1

    Il bambino dei MacRoden stava suonando il flauto, o perlomeno stava tentando di dare un senso armonico a delle note musicali, e Jilian se ne sarebbe ricordata a lungo (che cos’era, "Braccio di ferro?") perché era l’unico suono nella strada silenziosa.

    Era sabato mattina e non c’era in giro un’anima. Per tutta la notte aveva tirato un vento così forte che aveva ammassato una quantità di nuvoloni scuri, e adesso il cielo era color piombo e carico di pioggia.

    Jilian si era alzata presto, si era vestita ed era andata a fare la spesa. Era andata al nuovo centro commerciale; lo avevano aperto da un paio di mesi a quella parte e tutta Middlescot ne parlava splendidamente.

    Beh, in effetti splendido lo era: si chiamava "I due gemelli" e da lontano non si vedevano che due torri uguali di cemento tappezzate di vetri a specchio. Sembravano due grattacieli; d’estate dovevano essere ancora un po’ più belle, scintillanti sotto il sole e barbiglianti di riflessi.

    Fra una torre e l’altra c’era un parcheggio, un parcheggio così grande che ci sarebbero state tranquillamente tutte le macchine di Middlescot.

    Una torre era adibita a supermarket, l’altra ospitava una quantità di negozietti e bar. Erano collegate da un passaggio di modo che la gente non si bagnasse quando pioveva nello spostarsi da una torre all’altra, ed anche il passaggio era ricoperto di vetri a specchio.

    In alto, per tutta la lunghezza, c’era un cartello luminoso:

    I due gemelli

    recitava, in rosso fiammeggiante. Il neon era stato lavorato in modo che sembrasse una scritta a mano, una calligrafia particolare ma senza dubbio armonica. Jilian era rimasta impressionata, senza immaginare che anche tutti quanti gli altri prima di lei avevano provato la stessa sensazione perché Middlescot non era piccolo, d’accordo, e neppure Rosentown lì accanto, ma l’unica cosa con cui avevano avuto modo di confrontarsi fino allora era stato il "Big Em di Rosentown, un supermercato che, da solo, avrebbe potuto rifornire tutto il paese se non fosse stato specializzato prettamente in surgelati e cibi in scatola, e I due gemelli era almeno dieci volte più completo e più accogliente del Big Em".

    A quell’ora il parcheggio era deserto.

    Jilian era scesa dalla macchina, tutta contenta. Come al solito lo sportello aveva fatto fatica a chiudersi e come a solito si era ripromessa mentalmente di farlo sistemare. Ma poi era entrata nella torre supermarket e di nuovo era rimasta impressionata e affascinata. File e file di corridoi pieni di roba, una sfilza innumerevole di casse, ciascuna con una ragazza dietro, uguali come fotocopie con una divisa verde acceso e il tesserino di riconoscimento sul taschino.

    Ci aveva messo un bel po’ di tempo a fare la spesa (aveva perso una trentina di minuti buoni solo ad ammirare e a raccapezzarsi) ma alla fine era uscita con la spesa nei suoi bravi sacchetti di carta e una quantità incredibile di cianfrusaglie colorate e a poco prezzo che aveva scovato giracchiando fra i negozietti della torre accanto.

    Tutta roba inutile, lo sapeva, ma anche assolutamente irresistibile.

    Nel frattempo il cielo era diventato ancora più minaccioso. Jilian aveva notato che era come se si fosse abbassato durante le tre ore buone che aveva speso all’interno del centro commerciale; le nuvole erano calate sul paese pronte a spalancarsi e a rovesciare pioggia a cateratte. Per questo si era affrettata a tornare a casa (di nuovo noie con lo sportello, di nuovo appunto mentale di portarlo ad aggiustare), aveva parcheggiato lungo il marciapiede, aveva scaricato la spesa e aveva fatto il giro della macchina sistemandosi meglio che poteva i sacchetti fra le braccia.

    L’unico suono che si sentiva era il flauto del bambino dei MacRoden, non c’era nemmeno il padre che innaffiava il prato del giardino come sempre. Solo il suono di quel flauto: un motivetto strimpellato così male da essere a malapena distinguibile. Jilian ebbe anche modo di pensare che il piccolo Bruce non era poi così portato per la musica come sua madre si vantava sempre di raccontarle quando la incontrava.

    Poi guardò per terra in un moto istintivo che aveva avuto almeno altre diecimila volte fino allora, come tutte le altre almeno diecimila volte in cui aveva fatto attenzione ad evitare le foglie secche. E fu allora che la vide. Una coccarda. Una coccarda di cuoio di decorazione ad un cappello alla texana, ed era lì, in mezzo al marciapiede, vicino ad una foglia rinsecchita.

    Jilian si fermò, i sacchetti che le oscillavano pericolosamente tra le braccia senza tuttavia cadere, e corrugò la fronte, incredula, colpita: quella coccarda… Istintivamente si chinò a raccoglierla e dovette piegare le ginocchia in modo strano per non far cadere i sacchetti a terra.

    Quando si rialzò era bianca come un lenzuolo. Il figlio dei MacRoden smise di suonare, ma lei nemmeno se ne accorse.

    Una coccarda di cuoio di decorazione ad un cappello alla texana con una bruciatura piccola ma evidente tutta a sinistra.

    Possibile..? Come poteva essere? Quella bruciatura laterale… Ma no, impossibile, Middlescot era a diverse centinaia di miglia di distanza… Eppure… Chi altri poteva avere una coccarda come quella, con la stessa bruciatura, la stessa tonalità di cuoio, la stessa forma?

    Il figlio dei MacRoden tornò a suonare, ed anche Jill tornò ad esistere. Si guardò le braccia cariche di spesa, guardò il marciapiede ricoperto di foglie gialle e rosse rinsecchite, guardò il cielo ancora un po’ più scuro, un po’ più basso, e si riscosse.

    Tornò frettolosamente in casa ed altrettanto frettolosamente sistemò la spesa: Doug sarebbe tornato di lì a mezzora, doveva fare ancora da mangiare. Ma per prima cosa andò in camera da letto, aprì il cassetto del comodino, tirò fuori una vecchia scatola di latta e vi nascose la coccarda dentro. La guardò un’altra volta prima di nasconderla del tutto ed i suoi occhi si velarono di nuovo, increduli, perplessi.

    Dio, e se davvero..?

    Ma richiuse la scatola e il cassetto in fretta, come se scottassero.

    Forse era solo un caso, una coincidenza buffa.

    Certo, come no. E lei era la regina d’Inghilterra.

    Andò di là, turbata.

    o б o б o б o б o б o б

    «Milord Brown a Vostro servizio, milady. Tutto a posto in questo splendido maniero?»

    Doug arrivò 35 minuti dopo, allegro e baldanzoso come sempre. Salutò Jilian con un inchino che avrebbe fatto invidia ad un milord vero, il braccio destro che sfiorava il pavimento e si spostava indietro plateale come se davvero avesse avuto un cappello fra le mani, e fece uno svolazzo in aria, complicato ed elegante.

    «C’è stato forse qualcuno che ha avuto l’ardire di essere insolente con la Vostra augusta persona, oggi?»

    Jilian rise, divertita.

    «No, nessuno, grazie.»

    «Nemmeno i felloni che Vi circondano nell’espletamento dei Vostri lavori quotidiani?»

    «Nemmeno loro.»

    «Forse che la Vostra augusta persona andava a un’andatura un po’ troppo spedita con il Vostro mezzo di trasporto a ruote e una guardia Vi ha multata con un’ammenda da pagare entro il sorgere del sole?»

    Jill scosse la testa.

    «Assolutamente no. Mi dispiace deluderla, messere, ma qui al castello va tutto a gonfie vele come al solito.» – replicò, allegra, e se Doug ci avesse fatto caso veramente avrebbe notato che la sua allegria era un pochino troppo intensa per essere sincera fino in fondo. Ma Doug non

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