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Guerra e modernità in Guglielmo Ferrero
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E-book226 pagine3 ore

Guerra e modernità in Guglielmo Ferrero

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Guglielmo Ferrero ha analizzato le origini e gli sviluppi della guerra a partire da quella di conquista delle prime orde barbariche. Il legame stretto tra la guerra e il potere illegittimo e dispotico costituisce un altro elemento dell'analisi ferreriana. La guerra giusta rappresenta una conquista moderna. Si parla di continuazione della politica con altri mezzi. Tuttavia, l'esperienza drammatica della prima guerra mondiale, ha convinto Ferrero che il conflitto armato ha ormai assunto aspetti di atrocità tali che l'obiettivo di conquistare nuovi territori ha lasciato il passo a quello più generale di distruzione del nemico e di impossessamento dei suoi averi. Di qui la difficoltà di raggiungere una pace giusta che permetta quantomeno la sopravvivenza del nemico sconfitto.

Il lavoro, sotto la direzione della compianta Lorella Cedroni, prende in esame soprattutto la prima parte della ricerca ferreriana svolta grazie alle indicazioni di Cesare Lombroso sulla necessità di indagare le cause dell'ascesa e del declino delle civiltà. I temi della guerra e della pace saranno poi sviluppati da Ferrero in Potere convintosi che la distruttività della guerra sia direttamente proporzionale al grado di legittimità del potere esercitato dalle classi dominanti. Il potere illegittimo e dispotico si regge esclusivamente sulla paura.
LinguaItaliano
Data di uscita26 giu 2016
ISBN9786050466928
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    Anteprima del libro

    Guerra e modernità in Guglielmo Ferrero - Paolo Bevilacqua

    2016

    Prefazione

    Il presente lavoro sul tema della guerra in Guglielmo Ferrero è stato condotto negli anni 2007-2009 presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università La Sapienza di Roma sotto la direzione della Prof.ssa Lorella Cedroni, scomparsa qualche anno fa, esperta conoscitrice dell’opera ferreriana in tutti i suoi aspetti, in particolare con riguardo agli studi sulla guerra. Con il suo prezioso aiuto è stato possibile enucleare i temi della paura, della legittimità e della guerra regolata cari a Ferrero, quei temi che gli hanno permesso una puntuale analisi sociologica del potere.

    Un merito ulteriore della Prof.ssa Cedroni è stato quello di assicurare alla Facoltà di Scienze Politiche di Roma i volumi della biblioteca ferreriana della villa dell’Ulivello in Strada in Chianti, luogo dove tutta la famiglia Ferrero ha conosciuto, nonostante la sorveglianza della polizia fascista, momenti pieni di felicità e di proficuo lavoro. Ringrazio la Prof.ssa Larissa Bonfante, insigne etruscologa e Bosa Raditsa, artista, - Nina, la figlia di Ferrero sposò il diplomatico jugoslavo Bogdan Raditsa e Larissa è stata sposata con Leo Raditsa - per il costante aiuto nel reperimento dei lavori originali di Ferrero e per le proficue discussioni avute con loro sui temi cari a Ferrero  in Strada in Chianti (Villa l'Ulivello).

    Studiando il declino delle civiltà antiche Ferrero nota che il paradigma della guerra giusta o entro certi limiti legittimi che ha caratterizzato i conflitti fino alla prima guerra mondiale viene ad essere accantonato e sostituito da modalità cruente e distruttive per le civiltà antagoniste.

    Gli stessi obiettivi di guerra che ne costituivano oggettivi limiti si annebbiano e il guerreggiare di tutti contro tutti prevale sia all’interno degli Stati, che diventano macchine da guerra anche a livello economico, sia nei confronti dei nemici, verso i quali si utilizzano e si sperimentano nuovi strumenti di morte e di tortura.

    In tale contesto di distruzione sono principalmente i governi illegittimi che danno sfogo alle proprie mire distruttive e predatorie. La paura è il solo elemento di coesione sociale che si sviluppa all’interno della società governata dal potere illegittimo.

    Le riflessioni ferreriane possono essere utili anche per la comprensione dei conflitti attuali che sono sempre più globalizzati, senza apparenti obiettivi, refrattari a qualsiasi regola. Nessuna guerra ormai viene più combattuta come nell’ottocento.

    E’ scomparso il rispetto del nemico e persino dei morti. Se la guerra veniva intesa come continuazione della politica con altri mezzi, all’attualità è il terrorismo globalizzato a costituire l’espressione belluina di stati e formazioni politiche che fondano il proprio potere sulla paura e l’odio religioso.

    L’analisi dell’orda condotta da Ferrero permette di comprendere appieno l’esplicarsi di tali istinti belluini caratteristici delle prime formazioni sociali. Il guerriero in politica non può che essere un tiranno invadente. L’uomo barbaro si esalta nelle razzie e nella guerra.

    Soltanto la legittimità del potere conquistato in libere elezioni potrà porre le democrazie al riparo da guerre iperboliche e sviamenti autoritari.

    Introduzione

    «Ferrero non è solamente storico, né solamente romanziere, né solamente professore. Ce lo ha detto lui stesso, egli è molto di più di tutto questo: egli è un uomo, un uomo che pensa». (G. Bonfante, Entretiens avec Guglielmo Ferrero, La Terre Wallonne Revu mensuelle, n° 239, XX° Année, Aout-Septembre 1939)

    Il presente lavoro ha preso in considerazione la genesi della teoria ferreriana della guerra a partire dalle prime opere giovanili fino al 1929, anno in cui Guglielmo si trasferisce in volontario esilio in Svizzera, dopo essere stato nominato titolare della cattedra di Storia militare all’Università di Ginevra. La ricerca documentaria è stata effettuata in quattro diversi archivi: il fondo Ferrero depositato presso la Butler Library della Columbia University¹, gli archivi dell’Università e dell’Institut Universitaire de Hautes Etudes Internationales di Ginevra, l’Archivio storico di Roma e l’archivio privato di famiglia. Inoltre si è avvalso delle testimonianze di personaggi che sono venuti in contatto con Guglielmo Ferrero soprattutto in Svizzera².

    Giuliano Bonfante³, accademico dei Lincei e insigne linguista, nel recensire sulla rivista "La Terre Wallone" il volume Colloqui con Guglielmo Ferrero⁴ pubblicato nel 1939 dallo scrittore jugoslavo Bogdan Raditsa, ha tracciato le linee fondamentali del pensiero ferreriano. Sia Ferrero sia Bonfante sono stati costretti all’esilio dopo l’avvento del fascismo ed entrambi non sono riusciti a farsi accettare dal mondo accademico romano⁵.

    Bonfante ci dice che Ferrero, fin dall’inizio della sua attività di ricerca, si è interessato alla storia romana. A tali studi è stato indirizzato dal medico evoluzionista Cesare Lombroso, conosciuto a Torino, il quale, di fronte all’intenzione di Ferrero di ricercare il fondamento della giustizia, gli propose di analizzare l’ascesa e la decadenza della civiltà greco-romana in quanto paradigma reale del progressivo corrompersi della società.

    La civiltà romana ha avuto uno sviluppo millenario, dalle prime tribù di pastori ai fasti dell’impero. Ma la caduta dell’impero non è stata meno dirompente della sua ascesa. Indagare le cause di tale declino poteva costituire un formidabile strumento per comprendere il senso e le leggi sottese alla civiltà europea nata dalle ceneri di quella greco-romana.

    E Ferrero, dedicandosi interamente a questa analisi, scopre che gli antichi chiamavano corruzione quello che per la nostra civiltà è denominato progresso.

    Dell’eccessivo lusso e depravazione dei costumi si lamentavano gli scrittori romani dell’epoca classica, storici, oratori o poeti – Sallustio, Tito Livio, Orazio, Virgilio, Cicerone, Tibullo, Properzio e tanti altri – i quali rimpiangevano le virtù e la probità degli avi.

    Roma ormai è divenuta crocevia di tutti i traffici ed attraverso le strade consolari vi affluiscono ingenti ricchezze. E’ in questa fase che il vizio, la ricerca sfrenata del lusso e del confort, la depravazione si fanno strada nelle classi più elevate della società.

    L’accumulazione delle ricchezze conduce progressivamente al declino della società. Ferrero spiega l’antinomia progresso/corruzione con la costatazione che le società moderne sono civiltà quantitative mentre, quelle antiche, erano civiltà qualitative.

    I Greci e i Romani avevano attenzione per tutto ciò che rende l’uomo migliore, più felice. Nelle civiltà qualitative vengono prodotti capolavori, opere d’arte per raggiungere la perfezione ed elevare gli animi. La società si muove entro limiti prestabiliti.

    Invece, nelle civiltà quantitative si cerca di accrescere il proprio patrimonio senza limiti cercando, ogni anno, di superare i records produttivi degli anni precedenti. Si costruiscono grattacieli e navi gigantesche che devono appunto rappresentare lo strapotere dell’uomo sulla natura.

    Senonché, la corsa sfrenata e illimitata alla ricchezza e al lusso determina la rottura dell’equilibrio sociale, politico ed economico che, con enormi difficoltà, si era creato in precedenza. In sostanza, le civiltà quantitative sono destinate al declino e alla catastrofe. La prima guerra mondiale è un esempio di questa catastrofe.

    Fino a quel momento le guerre, limitate nel tempo e nello spazio, venivano condotte con mezzi modesti. Si è quasi sempre trattato di scontri entro regole ben precise.

    Invece, la guerra del 1914 è gigantesca, squilibrata e senza limiti. Rispecchia appieno le caratteristiche delle civiltà quantitative di cui esalta le attività di accumulazione e predatorie. La rottura dell’equilibrio sociale e internazionale ha portato ad una guerra indefinita e distruttiva.

    Senza una rifondazione su basi morali e su precisi limiti della civiltà moderna saremo destinati ad altre sciagurate avventure – ammonivano Bonfante e Ferrero. Inutile dire che la storia mondiale, non facendo tesoro dell’esperienza della grande guerra, ha proseguito nel suo progresso quantitativo fino a che i cosiddetti uomini della provvidenza non hanno condotto, prima l’Europa, e poi il mondo ad una seconda e assai più disastrosa guerra.

    Gli studi della civiltà greco-romana hanno permesso a Ferrero di comprendere il senso delle civiltà quantitative moderne.

    La pace è possibile soltanto in presenza di Stati governati da poteri legittimi ottenuti mediante il suffragio universale liberamente espresso. La Rivoluzione francese e le guerre napoleoniche costituiscono ulteriore materia di studio per Ferrero al fine di gettare luce sui cataclismi del novecento.

    L’ordine e l’autorità non possono essere imposte ma devono basarsi sul consenso. In caso contrario vengono generate società violente e predatorie che fanno leva sugli istinti più belluini dell’uomo⁶.

    E’ opportuno menzionare la testimonianza di un altro dei discendenti di Guglielmo, Leo Ferrero Raditsa⁷, che nel 1992 prendendo parte a un convegno Internazionale di studi che si svolse a Roma in occasione del 50° anniversario della scomparsa dell’esimio studioso, si era rivolto ai partecipanti invitandoli a percorrere l’itinerario tracciato da Ferrero come ideologo della pace, sottolineando che pace e guerra – per Ferrero – sono questioni vitali della civiltà contemporanea a cui si riconnettono tutti gli altri problemi: la questione sociale, il capitalismo, il socialismo e la legittimità⁸.

    Il presente lavoro va in questa direzione incentrandosi sui lavori ferreriani riguardanti la guerra, inediti o non ancora tradotti in italiano come la Fin des aventures, ovvero scarsamente conosciuti come Il militarismo e La guerra europea, che mettono bene in luce la genesi della teoria della legittimità a partire dal fenomeno sociale della guerra.

    Bonfante ci ricorda come il pensiero e l’opera di Ferrero "formino una unità logica ed organica di una rara bellezza, dove tutto si tiene, dove tutto si completa. E poi, quello che io ammiro principalmente in questo scrittore che è una gloria pura dell’Italia, è che, nel caos della civiltà e della scienza moderna, dove tutto è analisi, specializzazione e dettaglio, non ha perduto le grandi qualità del pensiero greco-romano, che egli ammira e che io stesso ammiro: la chiarezza della concezione, la grandezza delle vedute, lo spirito di sintesi"⁹.

    Elementi per una sociologia della guerra

    «Questi statisti-guerrieri sono perciò i fondatori di Stati e arrivano all’ora opportuna, come esseri provvidenziali, quando una società è ancora in uno stato di sviluppo embrionale o quando tende a dissolversi nella decadenza: allora essi con la energia attiva sino alla violenza, con l’audacia, con la grandezza dell’immaginazione, con la potenza organizzatrice, con l’istituto dispotico, possono utilmente far violenza alla natura e affrettare l’organizzazione d’una società che si forma o sospendere per un momento la disgregazione d’una società che decade. In un caso e nell’altro il genio di questi uomini è un’energia benefica. Così il genio militare e politico di Alessandro Magno affrettò di parecchi secoli la formazione di quella grande società greca che occupò tutta l’Asia Minore fino all’Egitto».

    (G. Ferrero, L’Europa giovane, Milano Treves, 1897, p. 32-33)

    1.1. Dall’orda agli statisti-guerrieri

    Guglielmo Ferrero, come ha evidenziato Lorella Cedroni, ha dedicato "gran parte della sua vita alla riflessione sulla guerra lasciando numerosi studi che affrontano il problema, sia da un punto di vista strategico-militare, sia (e soprattutto) politico"¹⁰. Il suo specifico interesse per la guerra come fenomeno sociale e antropologico è presente fin dai suoi primi scritti. Anche se non incentrata sul tema della guerra la tesi di laurea sui "Simboli", discussa da Ferrero nel 1891 a Torino, presso la facoltà di giurisprudenza, costituisce un illuminante punto di partenza per comprendere la nascita e lo sviluppo dei conflitti delle prime forme sociali e della loro rappresentazione simbolica¹¹.

    L’acquisizione originaria dei beni è avvenuta per conquista, nella maggior parte dei casi violenta, e le prime forme di conflitto nascono proprio in relazione al diritto di ritenere come propri quei beni. Il diritto, con il suo simbolismo, non è altro che il tentativo di dare certezza, nel tempo, agli assetti proprietari¹². La guerra è una delle principali fonti di acquisizione originaria dei beni. La fortuna e la rovina dell’impero romano sono fondate, come si vedrà più avanti, entrambe sulla guerra, sulla forza militare delle legioni e sulle capacità individuali dei loro condottieri.

    Del lavoro giovanile di Ferrero è apparsa una nuova edizione curata da Bruno Lauretano¹³ il quale, nella prefazione, sottolinea l’aspetto multidisciplinare del lavoro ferreriano: una sorta di rapida scorreria nell’area del simbolismo dove però è possibile rinvenire la genesi e lo sviluppo di molti simboli tuttora dotati di senso nella società moderna.

    L’idea di Ferrero, di origine lombrosiana, è che studiando le radici storiche di un popolo attraverso l’analisi dei suoi momenti di crisi e di decadenza si riesce a comprendere l’essenza dell’età presente¹⁴. L’attenzione di Ferrero è rivolta a individuare la relazione tra le condizioni psicologiche e le situazioni della vita collettiva¹⁵. Il periodo giovanile è caratterizzato dallo studio psicologico dei personaggi che hanno fatto la storia in rapporto alle condizioni socio-politiche in cui si sono trovati ad agire; le risultanze dell’analisi psicologica e sociologica del passato portano Ferrero ad analizzare la realtà moderna.

    Nel saggio I simboli è possibile individuare il percorso che condurrà Ferrero ad esplicitare ne "Il militarismo"¹⁶ l’idea che la guerra, almeno nelle forme in cui si è sviluppata fino a quel momento, è ormai un fenomeno sorpassato legato ai primordi della civiltà e all’accumulazione originaria del potere e della proprietà. Un’idea che Ferrero più tardi riterrà una mera illusione¹⁷.

    L’orda è la prima forma di società ed è a questo livello che si è formata l’originaria, più o meno violenta, conquista ed acquisizione dei beni. L’uso dei simboli è successivo a quell’accumulazione originaria ed è finalizzato ad ottenere il riconoscimento, da parte degli altri membri del gruppo, del diritto del possessore a tenere come propri quei beni¹⁸.

    Ferrero individua nell’azione di alcune figure dell’età moderna, gli statisti-guerrieri, i tratti significativi dell’acquisizione originaria propria dell’orda.

    Nel lavoro sui Simboli Ferrero sviluppa il concetto di inerzia introdotto in psicologia da Lombroso. Dall’orrore per il lavoro muscolare e per quello mentale può ricavarsi la legge del minimo sforzo di derivazione positivistica. A questa legge Ferrero ne affianca un’altra, quella delle associazioni mentali. Idee e immagini vengono evocate da un’eccitazione sensoriale. Di qui l’importanza dell’uso del simbolo per evocare idee e sentimenti scolorati dal tempo. Di qui anche il conservatorismo di fondo della natura umana:

    Le idee non si formano che lentamente nel cervello umano sotto la lenta suggestione dei fatti, e come il pensiero dell’uomo segua tardo il più rapido trasformarsi delle cose dintorno a lui. Rompere le serie di associazioni di idee e sentimenti già formate e costituite saldamente, per sostituirvi alle antiche nuove idee e sentimenti, ripugna all’uomo; onde anche quando egli può giungere a compiere la sostituzione, non vi giunge di un salto, ma a poco a poco. Così accade che egli spesso a furia di piccole e successive modificazioni trasforma radicalmente una istituzione, ma l’idea che egli aveva dell’antica istituzione permane, onde sorge quella strana contraddizione, che notammo nel caso delle associazioni familiari e dei poteri reali a Roma, e per cui il pensiero dell’uomo rimane indietro e non capisce nel suo complesso ciò che esso stesso ha a poco a poco creato.¹⁹

    Comprendere il fenomeno del simbolismo significa avvicinarsi alle miserie intellettuali dell’uomo, ai suoi errori causati da vizi organici della sua intelligenza. Scambi di nomi hanno dato vita a riti ferocissimi. Per una questione di quadri e statue è scorso molto sangue nell’impero bizantino.

    L’Europa potrebbe ardere tutta nelle fiamme di una guerra provocata da qualche metafora infelice o da qualche frase barocca scambiata per un assioma di alta politica.²⁰

    Negli uomini primitivi afferma Ferrero, in linea con il positivismo di Spencer, lo scambio non esisteva. L’uomo, prima di poter scambiare qualcosa, ha dovuto procurarsi per sé i beni necessari attraverso la caccia, la pesca, la rapina ecc. Così si spiega il gesto simbolico, di affermazione del diritto di proprietà sopra una cosa, del tendere il braccio destro come per afferrarla. Ai primordi della civiltà l’occupazione e la conquista costituivano il modo generale di acquisto della proprietà, una fase in cui erano presenti res nullius in abbondanza. Pascoli e foreste non erano ancora caduti in mano a privati e, in alcuni casi, non si era costituita la proprietà fondiaria.

    Nei popoli militari c’è il rispetto per la proprietà della casa, gli attrezzi del lavoro, i prodotti del raccolto, un rispetto che resta delimitato all’interno della propria tribù. Le cose che appartengono al nemico, le sue armi, la sua casa, le sue donne sono res nullius. Anche all’interno della tribù possono insorgere lotte per la rivendicazione della proprietà; quelle lotte che secondo Ferrero sono alla radice dell’uso di scambiarsi doni. L’offerta di doni permetteva a qualcuno di tenere per sé un determinato bene a fronte della rivendicazione da parte di altri e ristabiliva l’equilibrio nella tribù.

    In un popolo selvaggio il guerriero che abbatte un gran numero di nemici eccita l’ammirazione di tutti, ma, non appena il ricordo dell’impresa, in poco tempo considerato il minore sviluppo mentale di quei popoli, si sarà attenuato,

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