Studi sabaudi
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Una palestra di politica posta all’attenzione di autorità non digiune nella prassi di governo. Non secondaria perdurò l’attenzione del casato per le intraprese territoriali e per il campo di prova di una cultura dell’immagine dinastica specchio dello Stato.
Sono riuniti in questa monografia alcuni studi di spettro territoriale-documentale e appunti per una disamina interpretativa. Una lettura che evidenzi in essenzialità ruolo, atteggiamento e azioni dell’esperienza sabauda con il lampo d’occhio della storiografia. Introduce il volume una prefazione risultato delle riflessioni analitiche proposte da (Centro Studi Piemontesi - Ca dë Studi Piemontèis).
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Anteprima del libro
Studi sabaudi - Giorgio Federico Siboni
PREFAZIONE
Per secoli la storia e le vicende dei Savoia sono state materia, sotto vari profili, incandescente. Le opere classificabili come antisabaude
– antiche, moderne e contemporanee – sono numerose e quasi meriterebbero una compilazione bibliografica, non tanto quale mera elencazione di autori e titoli, bensì come strumento interpretativo di antagoniste o animose visioni da più parti espresse, ora in modo plateale, ora non apertamente declinate, spesso in forma strisciante. Tralasciando la fitta produzione pamphlettistica e memorialistica sei-settecentesca, perlopiù scaturita da concorrenze e conflitti giuridico-diplomatici o giurisdizionali, la bibliografia malevola
(pur controbilanciata da una consistente produzione di studi che hanno obiettivamente o oleograficamente posto in luce meriti e valori della dinastia) ha messo a disposizione di nemici irriducibili – per posizione ideologica o per specifici fatti – visioni agevolmente replicabili e amplificabili.
Non capita, perciò, con la frequenza che sarebbe auspicabile, di imbattersi in studiosi capaci di sviluppare, come Giorgio Federico Siboni in questo volume, indagini e sintesi su Casa Savoia a un tempo mosse da equanimi intenti, rivolte a estesi e non scontati orizzonti, nonché fondate su sfaccettati e ampiamente comprensivi sguardi archivistici e bibliografici.
Superfluo dire attraverso quale filtro debba leggersi il malanimo antisabaudo cui si è accennato. La più antica dinastia regnante d’Europa nel corso di una millenaria storia ha non poco infastidito, con la propria caparbia e quasi onnigenerazionale attività e volontà d’espansione, molti avversari. Nei tempi più remoti questi erano rappresentati da numerose case sovrane, anche se con le principali d’esse, imperiali d’Occidente o d’Oriente o rege che fossero, intercorsero da sempre
e senza soluzione di continuità stretti vincoli di sangue. Non per caso possiamo ripetere ciò che afferma dall’osservatorio anglosassone uno storico autorevole come David Carpenter, il quale rileva che già dalla metà del Duecento, traducendo letteralmente le sue parole, i tentacoli dei Savoia si estendevano su tutti i troni d’Europa.
I saggi qui raccolti si concentrano su tempi più recenti: decisamente autonomi tra loro, consentono tuttavia d’individuare e rileggere un’immagine dinastica e nazionale unitaria, specchio in qualche modo, attraverso singoli eventi, personalità, caratteri e ruoli di uno Stato, di un paese, di un popolo.
Siboni si sofferma su temi di differente respiro storico-politico, prendendo le mosse dalla frontiera nella sua progressiva evoluzione da permeabile cerniera di scambi e contaminazioni tra le popolazioni di differenti paesi a effettiva barriera. L’autore segue gli sviluppi territoriali specialmente dall’acquisizione, esito dei trattati di Utrecht del 1713, della corona reale siciliana e poi sarda. Ai capi di Casa Savoia il titolo regio, tassello di rilievo di una gerarchia formale e cerimoniale, già era ufficialmente riconosciuto da lungo tempo sia dalla corte imperiale sia da quella pontificia, tuttavia appoggiare la corona su uno Stato non solo di pretensione, come lo era il regno di Cipro, costituiva comunque un fatto di una certa rilevanza, anche se Vittorio Amedeo II, dopo la rinuncia al trono inglese onde non essere costretto ad abiurare alla fede cattolica, mirava in quella temperie preferibilmente – e con solido fondamento – al trono di Spagna.
I tasselli che formano il volume di Siboni gli conferiscono un’identità attraente e originale. Salvo quello finale, che trasversalmente riguarda l’intera storia della dinastia, descrivendone i mausolei e i sepolcri di straordinario pregio e prestigio, si concentrano su tempi più recenti. È interessante in particolare uno dei filtri scelti per parlare della regina Margherita, donna di proverbiale cultura e sensibilità amatissima dagli italiani: vale a dire la biblioteca della sovrana, ricca di opere rare e preziose che ne rivelano la poliedricità e scandiscono gli interessi, oggi conservate anche a Torino presso la Biblioteca Nazionale e quella Reale. Un capitolo riguarda re Umberto I: l’autore riferisce, dalla storiografia e dalla cronaca, giudizi favorevoli e negativi, inclusi quelli livorosi del socialista nazionale prima e socialista poi Ugoberto Alfassio Grimaldi di Bellino. Riferendosi ai fatti di Milano del 1898, ai morti tra i manifestanti e all’operato di Bava Beccaris, Siboni lucidamente sottolinea che quest’ultimo fu decorato, per il modo di portarsi in quei momenti, dell’Ordine Militare di Savoia, distinzione inusitata per fatti di ordine pubblico. L’autore non avanza né azzarda conclusioni al riguardo, ma quella decorazione, mi permetto di rilevare, è fortemente simbolica e la dice lunga circa l’interpretazione che in area governativa (ma anche in seno ad ampie porzioni della cittadinanza) si diede ai disordini: non certo tumulti per l’aumento del prezzo del pane, come frequentemente si pretende, bensì prove, e non troppo stupefacenti dopo la Comune di Parigi
del 1871 e altri eventi insurrezionali, per una rivoluzione dai connotati bolscevichi. Ove riletti in tal senso i dolorosi e sanguinosi avvenimenti di Milano e le vite spezzate durante il clima di tensioni, violenze e illegalità, privano l’assassino di Umberto I di quelle giustificazioni (quando non addirittura glorificazioni, ovviamente in forza di connivenze e assonanze ideologiche) che alcune correnti storiografiche, a cui qui si accenna, pretendono di offrirgli.
Alquanto più giovane di Umberto e Margherita è un altro protagonista del volume: il conte di Torino, Vittorio Emanuele di Savoia Aosta, che col proprio operato rese orgogliosa l’Italia del suo tempo, difendendone l’onore, ancora una volta offeso da un rappresentante di una potenza straniera che, almeno in questo caso fu costretto, suo malgrado, ad affrontare conseguenze umilianti. Profondamente toccanti e finalmente di attualità dopo colpevoli silenzi da parte delle autorità e dei media dell’Italia repubblicana sono le vicende, tra Risorgimento e fine della Seconda Guerra Mondiale, delineate nel saggio Casa Reale, l’Adriatico e i Balcani, un campo d’indagine nel quale la voce di Siboni gode di autorevolezza a livello internazionale.
La raccolta di saggi, in conclusione, dà forma a un libro che snodandosi lungo percorsi non scontati, non si dimostra solo rigoroso ma anche di gradevole lettura e a tratti decisamente appassionante, destinato a rispondere alle curiosità e a incontrare il favore di un pubblico ampio.
Gustavo Mola di Nomaglio
PREMESSA
La dinastia sabauda ha avuto una vicenda sostanzialmente millenaria. Perseguendo strategie e ambizioni, si pose tenacemente nei percorsi politici e diplomatici europei. Fra i secoli XVI e XIX il casato operò una lunga stagione dinamica. Suoi rappresentanti si affacciarono spesso autorevolmente alla finestra del continente, agendo da soggetti che seppero di frequente dotarsi di un impianto istituzionale e diplomatico, militare e culturale-artistico di reale respiro sovranazionale¹. La Corte dei Savoia, fu in quei secoli «una palestra di politica e diplomazia riconosciuta» da autorità tutt’altro che digiune «nelle arti di governo». Fra i diversi specchi, piace rilevare la finezza degli auspici che a metà del Settecento il raffinato statista Philip Stanhope conte di Chesterfield indirizzava al figlio diciassettenne, invitandolo ad appropriarsi nell’ambiente sabaudo delle regole di una sociabilità intellettuale e formale perfettamente in linea con gli obiettivi politici della propria epoca².
Duecento anni fa, nel marzo 1820, venne alla luce il futuro primo sovrano dell’Italia unita, Vittorio Emanuele di Savoia-Carignano³. Ormai spento il folgorante solio napoleonico, il successivo fallimento dei sommovimenti libertari, avvilì un lembo significativo delle intese democratiche⁴. Il Paese uscito dal Risorgimento fu pertanto quello della soluzione monarchica e liberale. Un’Italia diversa rispetto agli obiettivi mazziniani sulla missione universale spettante alla cosiddetta Terza Roma⁵. Ma una nazione capace di imboccare le strade della modernizzazione economica, politica e istituzionale⁶. Lo Statuto Albertino divenne garanzia di beneficio comune. Libertà di culto, di stampa e di associazione distinguevano una società che guardava al proprio domani, pure fra sintomi circospetti e tradizionalisti⁷. Crebbe la virtù di un principio di educazione pubblica, aperta a tutti. Dove alla distinta cultura umanistica, si univano quelle del diritto, della medicina e non da ultime le formazioni tecniche e professionali. All’agricoltura si affiancava un’industria manifatturiera di vive capacità concorrenziali⁸.
L’Unità si poté compiere realisticamente perché c’era una monarchia che «possedeva la cospicua forza di armi che aveva condotto alla liberazione». Poiché tale istituto «aveva il credito internazionale e la capacità diplomatica per rendere accettabile una rivoluzione nell’Europa conservatrice». Mezzi e obiettivi allora chiari alla «stragrande maggioranza degli Italiani»⁹. Gioiello del diadema statuale sabaudo rimase lo stretto vincolo fra le tecniche amministrative e l’incubazione gestionale del sistema burocratico, con l’efficienza e il rigore degli investimenti a favore delle comunità. Non secondaria perdurò l’attenzione di Casa Savoia per un mestiere delle armi specificamente organizzato che ebbe da un lato il richiamo a volte enfatico a sostanziarsi in pretese territoriali, ma d’altro canto costituì il campo di prova di una necessaria cultura al servizio dello Stato. Un riflesso, attraverso la ruvida uniforme militare, del trasparente concetto di comune appartenenza nazionale¹⁰.
Rimasta appannaggio per decenni per lo più della penna dei giornalisti, la vicenda storico-contemporanea che ha incluso la Casa Reale italiana, è divenuta frequente oggetto di indagini che si sono assommate al rigore delle importanti analisi sui periodi specificamente medievale e moderno, d’altro canto vettori di prospettive di interesse per la temporaneità Otto-novecentesca. Si è giunti a significativi approfondimenti scaturiti dagli scritti di Walter Barberis, Paola Bianchi, Carlo M. Fiorentino, Andrea Merlotti, Gustavo Mola di Nomaglio e Blythe Alice Raviola – citando solo alcuni nomi in questi fogli incidentali¹¹. Esaurito pertanto il secolo e mezzo di convergenza unitaria si deve legittimamente leggere l’esperienza monarchica senza adontarla soltanto come ostacolo al progredire dello spirito repubblicano e dei suoi colori. Spogliandola dell’èpos idealizzato, possiamo dunque riconoscere la successione che lega la Corona sabauda ad alcuni lasciti che costituiscono rilevanti retaggi degli italiani¹². Nelle pagine che seguono sono riuniti alcuni studi apparsi in massima parte in occasione di quegli anniversari che hanno promosso raccolte di osservazioni storiche. Ho ritenuto essenziale leggere nuovamente, integrare e arricchire – spesso sia in senso archivistico che bibliografico – i saggi qui editi. L’oggetto spazia da temi di spettro territoriale e documentale ad appunti per disamine storiografiche anche in corso di più ampia pubblicazione¹³.
Desidero esprimere riconoscenza al generoso patrocinio del Centro Studi Piemontesi e agli istituti, archivi e biblioteche che hanno messo a mia disposizione materiali, documenti, volumi e raccolte. Sono obbligato per tempo, sollecitudine e cortesia verso Sebastiano Amman, Bartolomeo Bessone, Antonietta De Felice, Leda Fontana, Alessandra Giovannini Luca, Marco Grandi, Steven C. Hughes, Albina Malerba, Elisabetta Reale, Marina Rosa, Marta Morgana Rudoni, Giovanni Saccani e Roberto Tomao. Un debito per la sensibile attenzione di Gustavo Mola di Nomaglio al mio lavoro. Gli amici Piero Cordignano, Francesco Palazzo e Giuseppe Sannazzaro-Natta, hanno condiviso numerose e cospicue annotazioni. Per l’impegno editoriale e di revisione sono grato a Gammarò edizioni con Paolo Paganetto. A Chiara Fabiola Prina si deve l’indice dei nomi. Non davvero ultima, Francesca mi ha offerto molte stimolanti riflessioni nella elaborazione di gran parte dei saggi che seguono. Questo volume è dedicato alla memoria dell’avo materno Pietro Padovani (1836-1891), volontario durante due guerre di indipendenza, presente il 31 maggio 1859 a Palestro.
Giorgio Federico Siboni
1
Walter Barberis
, I Savoia. Quattro storie per una dinastia, in I Savoia. I secoli d’oro di una dinastia europea, a cura di Walter Barberis, Torino, Einaudi, 2007, pp. XV-LI, in particolare pp. XV-XVI.
2 Lord Chesterfield’s Letters, Oxford, Oxford University Press, 1998, in particolare pp. 69, 116. Per quanto citato,
Paola Bianchi
, La corte dei Savoia: disciplinamento del servizio e delle fedeltà, in I Savoia. I secoli d’oro di una dinastia europea, pp. 135-174, in particolare p. 137.
3
Francesco Perfetti
, Re galantuomo o Re caporale? Di certo Savoia sino al midollo, in «Il Giornale», 11/03/2020.
4 Cfr.
Ettore Passerin d’Entrèves,
Ideologie del Risorgimento. I democratici, Torino, Giappichelli, 1966, pp. 15-20 e
Franco Della Peruta
, Conservatori, liberali e democratici nel Risorgimento, Milano, Franco Angeli, 1989, pp. 340-345.
5
Gaetano Quagliariello,
Il centrodestra e l’Unità d’Italia. Riflessioni sui nostri primi 150 anni, Roma, Fondazione Magna Carta, 2011, pp. 9-10.
6
Gilles Pécout,
Il lungo Risorgimento. La nascita dell’Italia contemporanea (1770-1992), a cura di Roberto Balzani, Milano, Bruno Mondadori, 1997, pp. 214-225, 236-246.
7
Debora Migliucci,
Storia e Costituzione. Le basi giuridiche e istituzionali dei 150 anni d’Italia, Milano, Franco Angeli, 2011, pp. 37-40.
8 Cfr.
Guido Melis,
Storia dell’amministrazione italiana, 1861-1993, Bologna, Il Mulino, 1996, pp. 29-30;
Giovanni Genovesi
, Storia della scuola dal Settecento a oggi, Roma, Laterza, 2008, pp. 63-64, 80-81 e
Guido Pescosolido
, Agricoltura e industria nell’Italia unita, Roma, Edizioni Nuova Cultura, 2009, pp. XV-XVI.
9 Gioacchino Volpe, Scritti su Casa Savoia, a cura di Francesco Perfetti, Milano, Luni, 2000, pp. 231-232.
10 Cfr.
Giorgio Rochat – Giulio Massobrio,
Breve storia dell’esercito italiano dal 1861 al 1943, Torino, Einaudi, 1978, pp. 199-204;
Roberto Martucci,
L’invenzione dell’Italia unita 1855-1864, Firenze, Sansoni, 1999, pp. 67-69 e
Giuseppe Astuto,
L’amministrazione italiana. Dal centralismo napoleonico al federalismo amministrativo, Roma, Carocci, 2009, pp. 75-77.
11 Si leggano gli opportuni riferimenti bibliografici all’interno delle note testuali e nella letteratura storica ragionata in conclusione al volume.
12
Walter Barberis,
I Savoia da Torino all’Italia, in Dalle regge d’Italia. Tesori e simboli della regalità sabauda, a cura di Silvia Ghisotti – Andrea Merlotti, catalogo della Mostra (Reggia di Venaria, 25 marzo – 2 luglio 2017), Savignone, SAGEP-La Venaria Reale, 2017, pp. 15-19, in particolare p. 19.
13 Cfr.
Giorgio Federico Siboni,
Il Piemonte e la situazione confinaria della Lombardia austriaca attraverso il fondo Atti di Governo, Confini dell’Archivio di Stato di Milano, in Utrecht 1713. I Trattati che aprirono le porte d’Italia ai Savoia. Studi per il terzo centenario, a cura di Gustavo Mola di Nomaglio e Giancarlo Melano, Torino, Centro Studi Piemontesi, 2014, pp. 553-563;
Id.
, Il «riposato albergo». Per una geografia storica delle sepolture sabaude, in «Studi Piemontesi», 47, 1, 2018, pp. 121-131;
Id.
, Le due spade di Vaucresson. Il duello fra il conte di Torino e Henri d’Orléans, in «Studi Piemontesi», 48, 1, 2019, pp. 147-158;
Id.
, I Savoia e il confine orientale italiano (in corso di pubblicazione);
Id.
, La quiete della villeggiatura. Monza e le parentesi letterarie sovrane (in corso di pubblicazione);
Id.
, «In mezzo alla grigia bufera». Il 29 luglio 1900 (in corso di pubblicazione).
LA FRONTIERA ORIENTALE SABAUDA (1707-1800)
Al debutto dell’era moderna la frontiera rivestiva un’immagine che si può considerare ambivalente. Fattore di separazione fra mondi distinti, ma al tempo stesso luogo e condizione di transito e contaminazione. Fu soprattutto nel xviii secolo che la fissazione delle frontiere venne di massima concepita per seguire le caratteristiche geografiche dei luoghi da delimitare. Si assistette così a una radicale trasformazione della realtà della frontiera nel profilo di una linea stabile di divisione. Un punto decretato di riferimento. In altre parole un vero e proprio confine. Un limine che presuppose delimitazioni risultanti da un atto ufficialmente concertato fra attori interessati. La costruzione e la definizione dei perimetri territoriali non costituì solamente una prassi connotata da una serie di processi politici e operazioni materiali, ma attraversò pure la realizzazione di un complesso di immagini poste oltre la sfera geofisica. I confini divennero un apparato destinato a dare maggiore consistenza alla forma di potere in essere¹⁴.
È del resto incontestabile che la stessa durevole fama di Vittorio Amedeo ii e del successore Carlo Emanuele iii, agli occhi di quei sudditi che amavano celebrarli quali principi guerrieri, derivasse anche dagli accresciuti termini di ampiezza territoriale acquisiti dai due sovrani nel corso delle settecentesche guerre di successione europee.
Hannibal ante portas
Il 24 dicembre 1714 Vittorio Amedeo II, a coronamento delle ambizioni