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Nemici ma con onore: Da Ruffo di Calabria a Durand de la Penne, quando in guerra prevale l'aspetto umanitario
Nemici ma con onore: Da Ruffo di Calabria a Durand de la Penne, quando in guerra prevale l'aspetto umanitario
Nemici ma con onore: Da Ruffo di Calabria a Durand de la Penne, quando in guerra prevale l'aspetto umanitario
E-book402 pagine2 ore

Nemici ma con onore: Da Ruffo di Calabria a Durand de la Penne, quando in guerra prevale l'aspetto umanitario

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Info su questo ebook

Può esistere l'etica in guerra?
Questo libro è una raccolta di episodi avvenuti nel contesto di conflitti armati in cui soldati di eserciti avversari si sono rispettati, in taluni casi addirittura mettendo a rischio la propria vita per salvare persone indifese o in difficoltà, pur appartenenti a schieramenti avversi.
Il libro dopo una prefazione di Sergio Romano e un’introduzione recante cenni sulla natura della guerra e sulle regole che ne disciplinano la condotta, riporta un certo numero di casi specifici tracciando un profilo dei protagonisti dei fatti narrati.
Un capitolo è infine dedicato a racconti di salvataggio di beni culturali da parte di soldati stranieri: un capitano sudafricano che rischia la corte marziale per aver disubbidito a un ordine di bombardamento che avrebbe sicuramente distrutto opere di Piero della Francesca e un capitano medico tedesco che porta in salvo di sua iniziativa i tesori dell’Abbazia di Montecassino.
Il libro si conclude con una breve storia dell’evoluzione del diritto umanitario che adesso consente di avere regole che salvaguardano i civili e i soggetti più vulnerabili nei conflitti armati.
LinguaItaliano
Data di uscita18 nov 2020
ISBN9788893782166
Nemici ma con onore: Da Ruffo di Calabria a Durand de la Penne, quando in guerra prevale l'aspetto umanitario

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    Anteprima del libro

    Nemici ma con onore - Ferdinando Fedi

    Rousseau

    PREFAZIONE

    Sergio Romano

    La guerra franco-prussiana durò dal luglio 1870 al 10 maggio 1871 e la sua maggiore battaglia (a Sedan tra la fine d’agosto e i primi giorni di settembre) lasciò sul terreno 17.000 uomini, fra morti e feriti. La prima guerra mondiale durò dall’agosto del 1914 al novembre del 1918 e le vittime in uniforme furono fra i 15 e i 17 milioni. La Seconda guerra mondiale cominciò nel settembre del 1939 e terminò nel maggio 1945. Il numero dei morti raggiunse, secondo alcuni calcoli, la somma sbalorditiva di 54.788.000 militari e civili.

    Conosciamo le ragioni di questi stupefacenti divari. A Sedan i francesi e i prussiani combatterono con armi non troppo diverse da quelle con cui gli inglesi e i prussiani avevano sconfitto le forze di Napoleone a Waterloo. Durante la prima guerra mondiale, invece, i contemporanei assistettero all’apparizione di nuove armi sempre più micidiali, dai gas ai carri armati, dagli aerei ai sottomarini. Il campo di battaglia si allargò sino a includere gli Stati Uniti, l’Impero Ottomano, l’Africa e il Giappone. Le popolazioni civili vennero coinvolte sempre più frequentemente nel conflitto. Questi fattori divennero durante la Seconda guerra mondiale ancora più incisivi. Vi erano state alla fine del XIX° secolo molte iniziative internazionali per la formulazione di regole che avrebbero dovuto rendere la guerra meno crudele e incivile. Ma i risultati furono complessivamente modesti.

    La distinzione fra civili e militari fu sempre più frequentemente ignorata. Le città divennero legittimi bersagli militari, molte furono rase al suolo e alla fine della guerra bastarono due bombe atomiche per cancellare dalla carta geografica due città giapponesi. Intere popolazioni furono costrette ad abbandonare il loro Paese e la loro casa per salvare la vita. Un intero gruppo etnico religioso (gli ebrei) fu condannato ai lavori forzati e alla morte.

    Durante la Prima guerra mondiale vi erano stati momenti in cui la durezza del conflitto non impediva ai combattenti dei due campi di festeggiare insieme una ricorrenza religiosa e riconoscere nel nemico un essere umano. Non era difficile immaginare che durante la Seconda guerra mondiale i gesti di amicizia sarebbero stati molto più rari.

    Un carabiniere, il generale Ferdinando Fedi, ha dimostrato che il pessimismo non era giustificato. In questo libro l’autore ha ricordato molti casi in cui uomini in uniforme hanno agito umanamente, episodi di guerra in cui il senso dell’onore ha prevalso su ogni altra considerazione. I casi più frequenti sono quelli in cui la guerra diventa duello e costringe due persone (molto spesso, per le caratteristiche della loro guerra, un aviatore o un marinaio) ad affrontarsi in circostanze in cui la vita dell’uno dipende interamente dalle decisioni dell’altro.

    Una parte del libro è dedicata alla figura di Pietro Verri, un generale dei carabinieri che nel corso della sua vita (1908-1988) studiò il diritto umanitario e la protezione dei beni culturali durante i conflitti: una disciplina che interessa particolarmente l’Italia. Ma Fedi non è soltanto uno scrupoloso studioso della materia. È anche un appassionante narratore che sa conquistare l’attenzione dei suoi lettori. Vorrei che questo libro di Fedi divenisse una delle letture raccomandate ai giovani, uomini e donne, che scelgono la carriera delle armi.

    Sergio Romano

    INTRODUZIONE

    La guerra

    Fra tutti i fenomeni sociali la guerra è quello che più ha spettacolarizzato la storia dell’umanità.

    Nella sua più diffusa definizione per guerra si intende un conflitto tra Stati sovrani o coalizioni per la risoluzione di una controversia internazionale.

    Viene condotta nel nome di una Bandiera, di una fede religiosa, di una rivendicazione territoriale, di un ideale politico.

    Un tempo riconducibile solo al principio della ‘guerra giusta’¹– intrapresa per riparare un torto subito o per respingere un attacco – e soggetta solo a limiti giusnaturalistici è ora vietata espressamente dalla Carta delle Nazioni Unite che ne ha affermato limiti giuridici ben circoscritti.

    La storia è la narrazione di guerre e battaglie che costituiscono i punti di riferimento essenziali per indicare le grandi svolte degli avvenimenti. Il fenomeno che ha determinato il passaggio da un periodo storico all’altro è quasi sempre la guerra. Con essa sono scomparse civiltà ma allo stesso tempo i grandi avvenimenti militari sono quelli che segnano l’ingresso e l’affermazione della maggior parte delle civiltà nuove.

    Non vi è popolo che non l’abbia conosciuta. Non vi sarebbe neppure bisogno di definirla tanto è richiamata negli studi ed è oggetto di giochi già nella prima infanzia dei ragazzi. Proudhon nella sua opera La guerre et la paix² afferma che nessun lettore ha bisogno che gli si dica che cos’è empiricamente la guerra. "Tutti dice ne hanno una certa idea, alcuni per esserne stati testimoni, altri per averne letto molte relazioni, parecchi per averla fatta".

    Anche la Chiesa ha svolto un importante ruolo nello sviluppo del concetto. L’atteggiamento che aveva caratterizzato gli insegnamenti di Tertulliano, Origene e Lattanzio secondo i quali la guerra era l’antitesi del messaggio evangelico³, già intorno al IV secolo lasciò il posto a una dottrina che considerava possibile il ricorso alla guerra da parte dei cristiani. Ambrogio⁴ cominciò a sostenere che la guerra a certe condizioni non fosse un peccato ma una necessità. Agostino superò definitivamente le antiche posizioni ed elaborò il modello della ‘guerra giusta’⁵ destinato ad avere attualità per secoli.

    Tomaso d’Acquino concorda sostanzialmente con Agostino, definendo come guerra giusta quella dichiarata da un’autorità legittimamente costituitasi, per una giusta causa e giusti fini.

    Se ci si limita a un’analisi oggettiva della guerra il sentimento cui dare la preminenza può essere quello di ostilità tra avversari o quello di solidarietà che unisce i combattenti per una stessa causa.

    Così, mentre da un lato si parla di eroi, di culto dei soldati caduti, del valore del combattere e del sacrificarsi, da un altro si parla dell’orrore della guerra, e della tragedia dei suoi morti.

    Non dovrebbe essere violenza cieca ma, in quanto sembra difficile immaginare una guerra senza violenza, questa sia perlomeno regolata e organizzata. La guerra classicamente intesa ha inizio con una ʽdichiarazione di guerra’ e si conclude con un trattato di pace anche nella forma di armistizio. Durante il periodo bellico è ora regolata da norme che in qualche modo ne limitano gli eccessi⁶. I soldati di entrambi gli schieramenti devono essere inquadrati in eserciti regolari, obbedire a precise gerarchie, indossare uniformi o altri segni di riconoscimento, seguire modalità di combattimento che prevedono il rispetto di feriti, prigionieri e soggetti deboli⁷.

    Queste regole consuetudinarie non sempre sono state rispettate e il diritto umanitario nel tempo venutosi a creare ha trasformato la consuetudine in norma cogente.

    Regole d’onore e regole di diritto

    L’umanità ancora non sa come sottrarsi alla guerra, ma grazie agli studi e alle conseguenti convenzioni che hanno avuto veloce impulso soprattutto dopo i disastri della Seconda guerra mondiale ora sa come doversi comportare prima, durante e dopo di essa, per tentare di scongiurarla, ovvero per condurla e concluderla onorevolmente, entro principi e regole di umanità e, soprattutto, sa come comportarsi nei confronti di chi, Stato o singoli combattenti, a questi principi e a queste regole non si attiene.

    Pur in assenza di regole certe, in ogni conflitto vi sono state figure appartenenti a eserciti di ogni Paese che hanno combattuto il nemico mettendo al primo posto il rispetto della dignità e della vita umana.

    In questo libro, che brevemente illustra cos’è e che cosa significa il diritto umanitario, attualmente specifica disciplina degli studi giuridici, sono riportati numerosi esempi di comportamento onorevole nei confronti del nemico tratti da conflitti avvenuti in epoche diverse.

    L’onore delle armi al nemico sconfitto è l’esempio per eccellenza di rispetto dell’avversario. Risale ai tempi dei Romani che lo concessero a unità di Iberi sconfitti e da allora fu adottato come regola d’onore da molti eserciti. A noi è maggiormente noto per episodi gloriosi legati ai paracadutisti di El Alamein, ai carabinieri di Culquaber e al Duca d’Aosta all’Amba Alagi. Anche comandanti ricordati non certo per impeccabile ʽgentilhommerie’ è risaputo che lo abbiano concesso: Napoleone alla Guardia di Finanza a Mondovì, Solimano II ai Cavalieri di Malta a Rodi e il Comando supremo sovietico agli alpini in Russia.

    La guerra è all’origine di tante opere epiche e letterarie: l’Iliade, la Chanson de Roland, il Romancero del Cid, e in ognuna di esse può individuarsi un eroe romantico, rispettoso delle regole e del nemico.

    Nei testi fondanti la grecità, si trovano poche scene di compassione. Nei poemi omerici costituisce un rimprovero per un eroe essere neleés, impietoso, mentre è lodato chi è méilichos, aganos, mite, ma poche sono le scene che si rammentano per questa caratteristica. La più famosa di esse ci raffigura Achille che stempera la sua ira e, mosso da compassione nei confronti di Priamo, gli restituisce il corpo del figlio Ettore dopo aver ordinato di lavarlo e vestirlo.

    Non meno famosi sono i versi che descrivono l’incontro sul campo di battaglia tra Glauco, valoroso eroe greco, e Diomede, guerriero licio alleato dei troiani. Sono pronti a combattere ma si rendono conto che le loro famiglie sono legate da un vincolo di ospitalità, pertanto per rinnovare il vincolo di amicizia si scambiano le armi⁸. La descrizione di questo momento può considerarsi un fondamento ai principi che in seguito avrebbero ispirato le regole della cavalleria, nella realtà e nella letteratura.

    I poemi cavallereschi, infatti, costituiscono l’esempio per eccellenza del comportamento etico nei confronti del nemico.

    Nella Chanson de geste di Orlando si apprende che era considerato di cattivo gusto assalire un cavaliere disarmato, combattere in due contro uno o trattare i prigionieri in maniera non consona.

    La cavalleria restò l’ideale supremo di condotta nei conflitti per centinaia di anni. Insegnò l’idea del servizio disinteressato, e siccome il primo dovere di un cavaliere era difendere la Chiesa, da questo imperativo supremo derivavano obblighi correlati come la protezione delle donne e dei bimbi e il rispetto degli indifesi, anche se appartenenti a parti opposte.

    Nell’Orlando Furioso, Zerbino, comandante del campo cristiano, quando incrocia lo sguardo dei cavalieri mussulmani Medoro e Cloridano catturati dopo che avevano appena ucciso due suoi soldati nel tentativo di cercare la salma del loro signore Dardinel, prova profonda compassione. Non riesce a ucciderli perché si commuove nel sentire che i nemici avevano corso il rischio di introdursi nel campo per non lasciare insepolto il corpo del proprio capo sul campo di battaglia.

    Il Galateo del Carabiniere, scritto nel 1879 dal ten. col. Grossardi, oltre a fornire ai militari suggerimenti di comportamento educato e civile, costituisce un vero e proprio manuale di diritti umani finalizzato a disciplinare il trattamento dei prigionieri o dei detenuti, l’atteggiamento verso i soggetti deboli o in stato di soggezione nei confronti dell’Autorità, pur fossero pericolosi delinquenti catturati⁹.

    Passando a tempi più recenti, Ungaretti, pur sottoposto ai grandi disagi della guerra, è cosciente della fraternità umana nella sofferenza e della precarietà della condizione dell’uomo. Nella sua poesia non c’è traccia di odio per il nemico. In Fratelli il poeta immagina di incontrare nella notte un gruppo di soldati che l’oscurità impedisce di individuare a che esercito appartengano. ʽDi che reggimento siete fratelli?’ versi che sottendono la sostanziale fratellanza di tutti gli esseri umani al di là di ogni distinzione di popolo o schieramento.

    Il senso dell’umanità che accomuna soldati nemici si ritrova anche nelle pagine di Emilio Lussu in Un anno sull’altipiano. L’altipiano è quello di Asiago e l’autore, tenente di fanteria, appostato in trincea scorge nel mirino un ufficiale austriaco ‘giovanissimo e biondo’, un uomo come lui, in uniforme come lui, ma appartenente all’altro esercito. "Avevo di fronte un ufficiale, inconscio del pericolo che gli sovrastava... bastava che premessi il grilletto ed egli sarebbe stramazzato al suolo. Quella certezza che la sua vita dipendesse dalla mia volontà mi rese esitante, avevo di fronte un uomo. Un uomo, ne distinguevo gli occhi e i tratti del viso. Tirare così, a pochi passi su un uomo... come su un cinghiale! Cominciai a pensare che forse non avrei tirato. Pensavo. Condurre all’assalto cento uomini o mille è una cosa. Prendere un uomo, staccarlo dal resto degli uomini e poi dire... ti sparo, ti uccido... è un’altra. È assolutamente un’altra cosa. Fare la guerra è una cosa, ma uccidere un uomo è un’altra cosa, è assassinare un uomo".

    In una ideale sovrapposizione di letteratura e realtà si

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