Verde Cristallino
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Anteprima del libro
Verde Cristallino - Fiorenzo Di Maio
Fiorenzo Di Maio
Verde Cristallino
UUID: 789d3a68-f17a-11e8-bf10-17532927e555
Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write
http://write.streetlib.com
Un viaggio che volevo raccontare
…un’esperienza che volevo condividere
…un amore che volevo ritrovare
Questo romanzo è dedicato a mio figlio Matteo
Prologo
Napoli oggi
Armando se ne stava in silenzio, seduto sulla panchina in legno dell’atrio di stazione.
Osservava le persone che entravano e che si dirigevano verso i tornelli.
Le fissava, ne studiava le proporzioni e l’andamento. Sembrava voler assumerne visivamente il ritmo del moto e poi, in un attimo, con salto felino, si alzava e si accodava alla persona scelta. In prossimità del varco diventava un tutt’uno con l’individuo ignaro che lo precedeva; ne seguiva perfettamente l’andamento, il passo, il moto dei bracci penzoloni addirittura. La persona col biglietto faceva aprire il tornello ed Armando passava il varco seguendolo molto da vicino.
L’avevo soprannominato il vecchietto senza biglietto
per questo suo comportamento che inesorabilmente si ripeteva ogni giorno alcuni minuti prima dell’arrivo del treno. Mi sedevo appositamente su una panca opposta alla sua e aspettavo ogni giorno con impazienza il suo agire. Lo scrutavo in silenzio e mi soffermavo sul suo sguardo profondo ed attento.
Armando era un vecchietto sulla settantina, magro, magrissimo, perennemente con la sigaretta in bocca, anche se spenta. Era trasandato nell’abbigliamento, indossava sempre lo stesso giubbino di tendenza con scritte e simboli cuciti sul petto e sulla spalla sinistra, un jeans che non conosceva lavanderia
, una polo a strisce giallo-paglierino e bianca. Ai piedi indossava un bel paio di mocassini in pelle beige acquistati da poco o, meno probabilmente, conservati in modo maniacale.
Il viso era scarno, con qualche ruga e senza un filo di barba. I capelli lisci e abbastanza lunghi erano accuratamente pettinati e nella piega che assumevano sulla fronte davano risalto a due grossi occhi azzurri:un viso gentile e pulito consumato dagli anni e da chissà quali sofferenze.
Viaggiavamo insieme sul treno della Circumvesuviana Baiano-Napoli. Ogni giorno, incessantemente da circa 9 anni, con ritmo estenuante salivo sulla prima carrozza e, aprendomi un varco tra la folla, mi posizionavo nel corridoio interno. Qui era sempre meno affollato ed essendo in piedi, avevo la mia vista sempre libera verso l’esterno del finestrino in quanto con lo sguardo andavo oltre la cute delle persone sedute che avevo dinanzi.
Con sguardo assente osservavo passivamente le immagini che si rincorrevano all’esterno del finestrino: si alternavano campagne irregolari e centri altamente urbanizzati dall’architettura economica e priva di alcuna valenza.
La carrozza satura di persone così diverse e, al contempo, simili nel supplizio
del viaggio da pendolare mi opprimeva; sentivo mancarmi l’aria e il respiro mattiniero di chi avevo accanto spesso penetrava nelle mie narici con degli annusi
sgradevoli.
La radio che ascoltavo con le cuffiette era l’unico input esterno che irrompeva in questa desolazione e mi dava la possibilità di distaccarmi e ravvivare questo squallore.
A volte il mio pensiero volava lontano.
Pensavo a mio figlio e a mia moglie. Ero sposato da quasi dieci anni ed apparentemente eravamo una famiglia felice: eppure mi mancava qualcosa. La nascita di Joshua aveva stravolto la mia esistenza.
Joshua era un bambino di dieci anni molto vivace e con la determinazione della madre. Sapeva sempre cosa voleva e mi assillava per ottenerlo. La madre in carriera combatteva ogni giorno per assolvere ai suoi impegni lavorativi e colmare i vuoti che si formavano nella giornata del figlio. Io lavoravo per assicurare il presente e già da tempo avevo lasciato volare via i sogni della mia giovinezza. La settimana scorreva frenetica e non aveva più il tempo di fermarsi e di guardarsi negli occhi.
Tutto scorreva come un fiume in piena ed io mi sentivo affondare senza alcuna possibilità di restare a galla. Non avevo idea di dove mi stesse portando il treno della vita intrapreso e non ero certo di voler compiere questo viaggio…per ora l’unico viaggio certo era quello quotidiano in Circumvesuviana.
In treno ero diventato un silente paziente osservatore del genere umano. Siamo così diversi…e non parlo esclusivamente dell’aspetto fisico: ciò è evidente!
Ciò che notavo ogni giorno era la forte caratterizzazione interiore che percepivo dai lineamenti ed espressioni del viso dei viaggiatori: c’era il quarantenne sempliciotto, l’angosciato tatuato, lo studente spensierato, la donna preparata in cerca di una femminilità forzata, la pudica compita con sguardo abbassato, il palestrato con la maglietta attillata e lo sguardo da macho … ed io! Ogni giorno osservavo un tipo, ne scrutavo lo sguardo, ne esaminavo il vestiario: quanti colori, quanti stili, quanti gusti.
E in questa sinfonia umana, mentre ascoltavo compiaciuto Solitary Man
lo sguardo si bloccò, attratto da una donna seduta lato finestrino. Guardava fuori, lontano, ma stava fissando solo i suoi pensieri più reconditi. Aveva uno stile distintivo, ricercato e non banale. Un trucco sobrio, leggero, solo fondotinta e colata rosa carne sulle unghie. Capelli castani lisci lunghi. Indossava una fantastica mise sobria nei colori e negli accostamenti: camicetta rosa quarzo sbottonata con grazia che si allungava su un pantalone nero tipo seta e stivali il cui tacco presentava un’incisione dorata nella parte più esterna. Come accessorio una collana di perle che si intravvedeva tra i risvolti della camicia, tre braccialetti d’acciaio sul braccio destro ed un orologio a bracciale nero con strass su quello sinistro, borsa di pelle beige.
Scendeva sempre alla fermata Centro Direzionale
e riuscivo sempre a distinguerla tra la massa. A volte il mio sguardo si sovrapponeva al suo, ma ad essere sinceri mai le ho riscontrato un pur lieve interesse per me.
Ogni giorno, salendo in treno, la cercavo tra la gente e, puntualmente, la trovavo che guardava fuori; gli occhi verdi riflettevano la luce e stavano abbagliando il mio cuore. Era possibile?
Non so, ma sicuramente i suoi modi mi ricordavano tanto mia moglie, la donna che avevo intensamente amato e con la quale avevo combattuto la resistenza dei miei suoceri.
Il nostro era stato un matrimonio felice ma, al contempo, difficile da portare avanti. Solo la nascita di Joshua aveva placato un po’ i contrasti e da allora mia moglie era diventata più serena. Ed io, nonostante tutto e nonostante le umiliazioni subite, ero contento perché rivedevo il sorriso di mia moglie. Lontana dalla sua famiglia, era riuscita a laurearsi e si avviava a diventare un grande avvocato penalista…ed in più era la madre di mio figlio! Io mi ero completamente annullato, vivevo per loro ed avevo calpestato ogni mio individualismo…ma ero felice.
In questa corsa ora mi stavo perdendo, non avvertivo più quelle attenzioni di mia moglie e la mia vita era diventata una routine. Non sentivo più l’affetto della donna al mio fianco e rimpiangevo ogni giorno gli anni passati felicemente insieme quando non c’era ancora tutto questo, quando eravamo solo due adolescenti e ci cibavamo solo del nostro amore. Avevamo il portafogli sempre vuoto, un sacco di sogni ed un unico cuore. Gli anni cambiano le persone? Non ho mai pensato che avesse un altro, ma che non avesse più bisogno di me spesso!!!
Ora desideravo piacere ancora, sentirmi osservato, amato, voluto.
Volevo a tutti i costi attirare l’attenzione della donna e così cominciai ad interessarmi alle sue abitudini. Avrei semplicemente potuto attaccar bottone e trattenerla con una conversazione lunga e forse noiosa, ma sono un introverso e mi viene difficile
argomentare. Volevo seguirla, ma mi sarei sentito sporco
nei confronti di mia moglie: ero sposato.
Ma che bella voce calda e profonda aveva quando discorreva al telefonino di cose più o meni futili! I giorni passavano e i nostri volti erano sempre più familiari. Ci cercavamo con gli sguardi nel treno. Qualche volta le sono stato seduto accanto o di fronte.
I nostri sguardi penetravano il silenzio più assoluto della mente ed affondavano in quell’abisso smisurato del nostro cuore. Con perfetto sincronismo accavallavamo contemporaneamente le gambe e ci voltavamo a guardare fuori dal finestrino. Percepivo tra noi come un campo energetico di polarità opposte che si equilibrano perfettamente e ne esaltano i sensi. Sentivo che la