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Benàcun - Le origini del Mito di Beinasco
Benàcun - Le origini del Mito di Beinasco
Benàcun - Le origini del Mito di Beinasco
E-book233 pagine3 ore

Benàcun - Le origini del Mito di Beinasco

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Info su questo ebook

Beinasco, tempi attuali. Un'inaspettata avventura. Davide Argo, benzinaio beinaschese, mai si sarebbe aspettato di scorgere una barca sul torrente Sangone, così come mai avrebbe pensato di scoprire una parte della storia del suo amato paese e di imparare cose fino a quel momento a lui sconosciute. Affronterà la vera storia della vecchia storia, ossia quella reale rispetto a quella a noi tramandata nei secoli. Benàcun - Le origini del mito di Beinasco è la storia di una festa di carnevale che cela, fra le sue maschere, insospettabili distruttori di umanità e tenaci difensori dei diritti della stessa, nella continua ed interminabile lotta fra il bene ed il male, racchiusa in uno spazio della grandezza di un uovo. L'organizzazione dell'evento, un terremoto domestico ed una maratona di speranza. Il protagonista si ritroverà ad affrontare libri, una profezia ed un insospettabile finale.
LinguaItaliano
Data di uscita4 ott 2016
ISBN9788892501188
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    Anteprima del libro

    Benàcun - Le origini del Mito di Beinasco - Luca Caffaratti

    Copyright

    Libro Primo

    dei Racconti di Beinasco

    Luca Caffaratti

    Benàcun - Le origini del mito di Beinasco

    Ogni riferimento a cose o persone realmente esistite e/o esistenti è puramente casuale, in quanto fantasia dell'autore. Gli unici riferimenti reali sono, in parte, i luoghi in cui si svolge la vicenda, l'urbanistica cittadina in alcune sue componenti e, per certi versi, anche le radici storiche relative alla nascita ed allo sviluppo del paese.

    Alla memoria di Giulio Regeni e Vittorio Arrigoni,

    a tutti gli eroi che non arrendendosi alle ingiustizie

    combattono al posto di ognuno di noi, per conto di tutti

    E poi a Te, indimenticabile Lucy

    Prologo

    Il sole stava finalmente spuntando ad Est, illuminando Viale Cavour e le saracinesche di quei negozi che sarebbero stati parte dell'ennesima giornata di una italica cittadina ai piedi di Torino.

    Il paese ne aveva viste molte, prima di raggiungere una sua stabilità.

    Fondata nel secolo I° avanti Cristo dal popolo ligure dei Taurini, dai tratti celtici e romani, Benàcun prese in seguito il nome di Beanascum, poi di Baynascum ed infine, dell’attuale Beinasco.

    Nel corso dei secoli, venne distrutta e ricostruita più volte, dai suoi abitanti. Ed ora, finalmente, poteva godersi la pace che meritava, a parte la cappa di smog e miasmi che spesso, infestava il naso e la gola dei suoi abitanti.

    Aveva piovuto molto negli ultimi tempi ed ora il primo cielo senza nubi stava facendo la sua comparsa, finalmente, dopo un paio di settimane di assenza.

    L'infinita volta celeste aveva scaricato il suo pianto sulla zona. Ininterrottamente, quasi, per quattordici giorni consecutivi.

    La torre del viale stava li, dal XIII secolo dopo Cristo, a non difendere più niente. Eppure, ne aveva viste nel corso dei secoli. Aveva un passato dignitoso e di tutto rispetto: un tempo era infatti la porta d'accesso al castello. Era abbracciata da lunghe ed alte mura, una volta, mentre ora tutto questo era solo un ricordo. E lei, un ricordo di sé stessa.

    I beinaschesi passavano, la guardavano appena, talvolta, per poi riabbassare la testa sul loro smartphone, senza sapere, senza conoscere.

    Ma quel giorno, l'avrebbero ricordato tutti, per sempre.

    Anche la torre, se solo avesse avuto la facoltà di farlo.

    La brezza mattutina fendeva leggera l'aria, trascinando qualche foglia più su, verso Piazza Alfieri, sede del Palazzo Municipale e di alcuni fra i più frequentati negozi ed attività commerciali del paese.

    Una foglia in particolare aveva con sé la voglia di spingersi lontano dall'albero dal quale si era appena distaccata, agognando in questa nuova libertà maggior fortuna, sperando nella stessa ricerca di indipendenza a cui molto spesso anela l'uomo e dentro la quale nemmeno si accorge di essere, una volta raggiuntala.

    Il suo volo la condusse fino alla giovane passerella sul torrente Sangone, uno degli affluenti dell'importante fiume Po, laddove la sua corsa si arrestò.

    Si era posata, all'incirca, a metà degli ottanta metri di lunghezza della passerella e da lì poteva vedere l'abitato circostante e lo storico campo di calcio, luogo di importanti battaglie sportive contro qualsiasi altra formazione forestiera.

    L'acqua del torrente scorreva lenta, come poche volte era solita fare. Negli anni '50, così si tramandava, il Sangone ospitava sulle sue rive laute merende e gustosi picnic ed i locali solevano tuffarsi in acqua durante il periodo estivo e frotte di pesci lo rendevano pescabile.

    Ma chi si fosse trovato qualche minuto prima sul torrente Sangone, rispetto alla storia che andiamo ora a raccontare, non avrebbe potuto credere a quelle favole. Spesso in secca e quando non in secca, sempre pieno di liquami e tronchi d’albero caduti e rifiuti di ogni genere. C’era persino chi osava occuparne il letto vuoto con l’automobile, simulando un poco intelligente rally fra le sue sponde.

    Quando rigagnoli d’acqua riuscivano ad occupare quello che avrebbe dovuto essere il loro posto naturale, il liquido era quindi contraddistinto da un colore indefinibile, ma comunque diverso da quello di un salutare fiumiciattolo di paese.

    Non era più, non v’è dubbio, un luogo balneabile, né un luogo dal quale pescare del cibo sano.

    Ma ora l’acqua vi scorreva lenta, come il tempo di quella foglia, che di li a poco avrebbe visto cose che i beinaschesi non sono soliti vedere.

    Capitolo I

    Un giorno come un altro

    Davide si svegliò all'improvviso, aprendo gli occhi di colpo, al suonar della sveglia.

    Erano le sei e quarantacinque in punto e, come ogni mattina, il fastidioso oggetto stava eseguendo con la solita efficacia il suo mestiere. Al civico 39/A di Via Principe Amedeo, ancora non si sentiva il classico suono del bongo che spesso proveniva da uno degli appartamenti adiacenti. L'uomo aveva davanti a sé un'altra giornata di lavoro presso il distributore di benzina di cui era titolare, sito qualche centinaia di metri rispetto casa sua, andando verso Orbassano.

    Affacciandosi alla finestra, Davide scorse i primi raggi di sole che illuminavano la via: Finalmente, una bella giornata! Ancora non sapeva cosa la bella giornata avesse in programma per lui.

    Come suo solito, andò in bagno a farsi la doccia, si sfregò i castani capelli corti che soleva lasciare in natural piega, si rase il viso, indossò la tuta e scese puntuale come sempre alle sette e quindici minuti a fare colazione. Si recava tutte le mattine al bar che stava affianco casa sua, al piano terra del palazzo.

    Classica brioche alla marmellata e caffè ristretto.

    Il locale era stranamente vuoto per quell'ora, quando solitamente brulicava di gente tutta indaffarata e rapita dall'idea di inghiottire alla svelta la propria colazione, poiché il lavoro chiama. Dimenticandosi la cosa più importante, ossia il concetto fondamentale di viversi anche la vita, su una sedia del bar. Concetto che ognuno passava poi a ritirare, a fine giornata, concludendo in bellezza, con un buon whisky, l’insieme delle fatiche appena superate.

    Quindi, salutate le bariste, Davide volse i suoi passi verso la quotidiana meta. Ad un certo punto, lungo la discesa che lo avrebbe portato su Strada Torino, iniziò a connettere.

    Iniziò a pensare alla sua serata con Angelica, anche questa volta andata male per la troppa voglia di dimostrare di sapere bere e reggere quel buon vino del ristorante.

    In fondo al Viale infatti, laddove Davide era finalmente giunto, il suo sguardo sfiorò il locale inaugurato all'incirca una decina di anni prima, grande successo beinaschese. Sorridendo, ritornò con la mente ad Angelica ed a quando la sera prima l'aveva riaccompagnata, alla di lei macchina, nel parcheggio antistante, causa sbronza.

    Lui era sempre a piedi. Ed in casi come questi, mi capirete, aggiungerei fortunatamente.

    Possedeva una fiammante Fiat Panda, tuttavia amava camminare, ed anche tanto.

    Lei, invece, abitava a Torino, era una cittadina, come soleva definirsi. Comunque, per quel che l'aveva conosciuta, Angelica le piaceva veramente molto. Sembrava dolce. Era una di quelle donne apparentemente decise, che ti guardano negli occhi e ti ascoltano quando parli, che ti consentono di dire la tua. Ma allo stesso tempo, era una di quelle donne che hanno la loro idea e con argomentazioni valide sanno anche portarle avanti. Da diverso tempo Davide si vedeva con qualcuna, ogni tanto, ma l'ultima vera grande storia era durata tre anni con una ragazza di un paese limitrofo, fatto oramai storiografico, risalente ad una decina di anni prima.

    Si sarebbe detto che Davide fosse spaventato da lei.

    O meglio, dalla possibilità di aver forse trovato qualcuna che le facesse battere il cuore. E quindi, molto probabilmente, stava riuscendo nel tentativo di auto rovinarsi la scelta, reputandosi non all'altezza della situazione.

    Ahi noi, chissà quante occasioni ci lasciamo sfuggire per la presunzione di credere di sapere esattamente se potremmo riuscire o non riuscire a fare qualcosa, senza nemmeno provarci. Gli occhi di lei erano come le luci dell'alba dopo una nottata di pioggia. E Davide trasudava umidità di sentimenti, che probabilmente quegli occhi avrebbero potuto asciugare.

    Ad ogni modo, il nostro, fece questa becera figura.

    Era la terza volta che uscivano assieme, amica di una amica, e probabilmente sarebbe stata l'ultima. Angelica era una donna molto intelligente, scriveva per un quotidiano nazionale notizie politiche e di cronaca locali e quindi era, volente o nolente, sempre informata sui fatti più recenti.

    In cuor suo, il nostro, sapeva che una donna così, a meno che non sopraggiungesse Cupido a salvare la situazione, non si sarebbe accontentata di ritornare da sola a casa, ogni volta, delusa da uno che alzava sempre un po’ troppo il gomito.

    In realtà, Davide non aveva mai bevuto tanto, ma non riusciva a dire di no a questa angelica mora dagli occhi azzurri.

    La quale invece beveva, eccome, solo vino rosso di sublime qualità e vitigno, per l'esattezza. Tuttavia, oltre a berlo, riusciva anche a reggerlo. Lui invece, no. Non aveva mai amato il vino, anche se stava iniziando ad apprezzarne l'essenza; non sapeva dare la responsabilità di questo misero risultato al fatto che gli piacesse veramente il vino o gli piacesse veramente la donna con la quale stava bevendo il vino.

    E dunque, il confuso esito, non poteva essere che questo fallimento. Davide sentiva di aver giocato male le proprie carte, su un tavolo dal piatto così tanto ricco.

    Si ripromise di provare a salvare il salvabile, in serata.

    Ora, giunto a metà del ponte sul torrente Sangone, il nostro si imbatté in due scoperte, nello stesso istante. Albert Einstein sarebbe stato invidioso di lui se solo lo avesse visto manovrare così velocemente con le meningi.

    La prima scoperta, era che stava andando a lavorare, ma quel giorno era Domenica e lui la Domenica non lavorava.

    Uhm, ecco perché non c'è nessuno in giro...bravo!

    A tutti gli effetti, per strada non c'era veramente anima viva e poco prima, al bar, era praticamente solo con le bariste. Avrebbe voluto o potuto fare qualcosa, in quel momento. Ma non ebbe nemmeno il tempo di voltarsi per tornare indietro perché, come dicevamo, fece due scoperte nello stesso istante.

    La seconda scoperta infatti, era che il livello delle acque del Sangone si era incredibilmente alzato, rispetto alla media.

    Quel torrente aveva significato, dalla nascita del paese fino all'anno 1770 circa, che Beinasco sarebbe stato un avamposto in difesa di Augusta Taurinorum, l'attuale Torino.

    Infatti, fino alla seconda metà del XVIII secolo, la cittadina ebbe questa importante funzione, in virtù del fatto che il torrente Sangone creava una barriera difficile da superare, una naturale linea difensiva. Un po’ come i fossati scavati davanti ai castelli per proteggere gli stessi dall'attacco dei nemici.

    In seguito, dopo quel lungo periodo, Beinasco divenne pressoché un borgo agricolo, qualche chilometro a Sud della prima Capitale d'Italia.

    Ma non era questo il problema, giacché il pericoloso innalzamento del livello delle acque succedeva da sempre dato che, per il letto del fiume, non avveniva quasi nessuna manutenzione, anzi.

    Quello che più incuriosiva il nostro, era la barca.

    Si sarebbe detta una barca da pesca, lunga all'incirca cinque metri e larga due e mezzo. La suddetta barca era ormeggiata senza apparente attracco, né appiglio, affianco ad un albero caduto.

    A prima vista, e Davide distava circa quaranta metri dall'obiettivo ed aveva sempre avuto una buona capacità di visione, sembrava una barca in un non meglio precisato legno di colore simile al noce.

    Sulla prua dell'imbarcazione c'era il ponte di comando, un triangolo anch'esso di legno, riparato sulla sommità da un vetro o chi per lui, per difendere sé stesso e l’eventuale barcarolo da chissà quale vento e da chissà quali onde. Dietro al ponte di comando, era visibile una sorta di casetta degli attrezzi, quella che si utilizza in giardino per riporre appunto gli strumenti di lavoro. Pareva chiusa. E sembrava fatta del materiale stesso del resto dell'imbarcazione.

    Ebbene Davide nell'arco dei suoi trentacinque anni aveva imparato tante cose, esperienze sulla propria pelle e pensieri avviluppati in trame tanto apparentemente nitide da rivelarsi poi del tutto sbagliate.

    Il suo raziocinio lo portò a considerare tre possibili soluzioni: avvicinarsi alla barca ed ispezionare la situazione, chiamare i Carabinieri con il suo super saturo di cose semi inutili smartphone per denunciare l'avvenimento oppure tornare a casa per togliersi la tuta e regalare ancora, alle sue infaticabili membra, quel paio d'ore di sonno in più.

    Vagliò rapidamente le tre ipotesi, e decise che la terza era fuori discussione, essendo oramai sveglio, mentre la seconda non gli aveva mai dato grandi soddisfazioni, in termini di risultati immediati.

    Dunque, quasi obbligato, optò per la prima.

    Qualche macchina passò nel frattempo sul ponte, ma il numero era effettivamente coerente con le statistiche non scientificamente supportate che la Domenica mattina si deve dormire. O almeno, ci si prova.

    Ora, voi capite bene quanto sia importante questo tipo di avvenimento per un paese di circa 18 mila e 237 anime che non vivono grandi emozioni diverse dalla quotidianità?

    Una barca sul torrente Sangone, questo no, non si era mai sentito, o per lo meno non nell’ultimo mezzo secolo.

    L'ultima grande cosa successa a Beinasco era che qualcuno aveva vinto qualcosa, una quindicina di anni prima, per l'allora mirabolante cifra di dieci miliardi di lire o di euro.

    Insomma, un sostanzioso importo, per il conio di quei tempi.

    Ebbene, Davide stava optando per fare proprio quello che sua nonna aveva sempre sconsigliato a chiunque avesse avuto la fortuna di capitarle sotto tiro.

    Gli venne in mente, mentre finiva l'ultimo tratto di ponte per svoltare a destra, in Via Spinelli, raggiungendo finalmente l'imbarcazione, quel consiglio eterno e volse al cielo lo sguardo, con un barlume di commozione negli occhi: Fatti i fatti tuoi che campi cent'anni!

    Il detto, beninteso, non si esauriva con il secondo termine fatti, ma con una parola che non è bene, in questo contesto, riproporre.

    Ad ogni modo, avrete sicuramente capito l'allusione.

    Ora, il nostro, era finalmente in stazione eretta e statica, a due metri dalla barca. Davide aveva paura. Non voleva far rumore, rischiando, altrimenti, di svegliare gli eventuali abitanti della strana imbarcazione.

    Potevano essere chiunque.

    La paura di ciò che non si conosce è la paura più grande, per questo lui aveva sempre affrontato le cose, anche dolorose, che gli erano capitate.

    Si era sempre informato.

    Si teneva informato.

    Perché non voleva avere paura.

    Ma questa volta era inevitabile averla, mentre con le sue scarpe antinfortunistica continuava a spezzettare i sottili rami caduti dagli alberi tutto intorno a lui. Solo l’umidità per la recente pioggia ne attutiva leggermente il rumore.

    Gli uccellini cantavano allegramente, svegli da chissà quanto tempo, coerentemente con il fatto che nessuno gli avrebbe altrimenti portato la colazione a letto, o meglio, a nido.

    Un gatto passò quasi sfiorando la gamba sinistra di Davide, ma lui non si accorse di nulla.

    Il felino infatti sapeva essere silente e non farsi notare, per necessità venatorie, se non per scelta, per reclamare cibo dagli esseri che noi chiamiamo umani.

    Il nostro, tuttavia, era concentrato solo su una cosa.

    Un po’ come quando selezioniamo la nostra attenzione e decidiamo di osservare un obiettivo, concentrandoci completamente su quello e trascurando tutto il contorno.

    Era focalizzato, infatti, in quel momento, su un particolare abbastanza strano, in un simile contesto, già di per sé, fuori dalla normalità.

    Notò sulla prua della barca, dalla parte destra che aveva ora davanti agli occhi, una scritta o qualcosa di simile, raffigurante testualmente questi segni: ὀμφαλός

    Grattandosi l'apice della testa con la mano destra, Davide provò a leggere quella scritta, mai dimentico che la sua priorità fosse quella di non far rumore.

    Tentando di far tacere lo scricchiolio che il suo avvicinarsi alla barca produceva, per mezzo dei rametti che stava calpestando, posò una mano sul bordo dell'imbarcazione e chiuse gli occhi, tremando quel tanto che basta.

    Si sarebbe aspettato chissà che, un Buh!, un Ciao

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