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Il manifesto della estetica surrazionale e il modello surrazionale dell'universo
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E-book260 pagine3 ore

Il manifesto della estetica surrazionale e il modello surrazionale dell'universo

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Info su questo ebook

Nasce a Nuoro nel 1954, vive in Francia tutta la sua adolescenza poi Londra, Usa, Giappone dove le sue actions, performances, video, installazioni, site specific e critical-gestures hanno avuto risonanza notevole in quanto esposizione diretta e testimonianza viva del concetto estetico di surrazionale di cui sin dal 1973 Paolo Navale è l'ideatore. Il pensiero che ne deriva, si manifesta, oggi più che mai, nelle avanguardie attuali e in discipline quali la teosofia, la logica e lo studio in arte delle tecniche sperimentali le più avanzate. Questo non solo in relazione al connubio tra arte e scienza, tra essere e non-essere ma, come in questo libro, alla quasi-simmetria, alla geometria non-euclidea, alla n-dimensionalità, al concetto di neutralità inerente al tutto, alla polarizzazione dello zero (ossia alla congiunzione degli opposti), nonché all'estetica concettuale che ne deriva; unica, propria di una realtà sovrasensibile, surrazionale appunto, che superando i sensi supera la ragione senza mai rinnegarla.
LinguaItaliano
Data di uscita13 ott 2016
ISBN9788892625211
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    Anteprima del libro

    Il manifesto della estetica surrazionale e il modello surrazionale dell'universo - Paolo Navale

    Bo

    Premessa dell’autore

    Lo spirito come ragione ultima

    Ampiamente accertato; minore il dettaglio maggiore la sua inerenza sul tutto. Minore la forza, maggiore la sua influenza. Questo soprattutto perché l’origine - che di per sé è isotropa - è anche la forza più duttile e dirompente che esista. Tale forza, che in questo testo viene chiaramente definita surrazionale, altro non è che il valore neutro dell’universo. Valore che determina tutto e che (come riserva) è quella forza staminale che può trasmutarsi in qualunque altra forza che poi, (avendo valore di natura) ha come conseguenza diretta una valenza armonica, dunque estetica. Una forza talmente sottile da influenzare appunto il tutto: è il vuoto... e la sua descrizione ci sorpassa.

    Nato nel 1973 come sovrarazionale, ma mai scritto sin da allora, se non con appunti sparsi nel mio studio, il concetto estetico così come da me formulato si sviluppa compiuto già dal 1979, anno in cui fu definita surrazionale una mia installazione che era esemplificativa del pensiero di cui qui dirò. Questo ben prima che, né io, né nessuno, nell’ambito in cui allora operavo sapesse chi fosse Bachelard.

    Solo nel 1987, negli Stati Uniti, ebbi il testo di Linda Dalrymple Henderson: The Fourth Dimension and Non Euclidean Geometry in Modern Art, in cui si cita Bachelard e il suo articolo intitolato Surrationalisme. Aggiungo però che il termine surrationalisme, così come inteso da Gaston Bachelard: ha ragioni epistemologiche soltanto e non riguarda il piano dell’immaginazione.¹ La mia domanda è dunque la seguente: Bachelard ha mai scritto o pronunciato la frase «Il surrazionale è la congiunzione tra gli opposti?». Questo concetto viene dalle mie prime ricerche concernenti il mio territorio di appartenenza. Però, così come ho fatto con la mia personale ricerca, tutti potrebbero (avendone gli attributi), parlare di opposti e di coincidentia oppositorum e pure associare questo concetto all’alchimia; gli scritti di Arturo Schwarz, che tanto hanno influenzato il mio pensiero, sono, in questo senso, illuminanti, ma associare questo concetto al termine surrazionale, è, come dicevo, farina del mio sacco sin dal 1973. Il sovrarazionale è infatti gnosofia evolutiva contemporanea. Non di meno, il surrazionalismo di Bachelard, divulgato per anni e soprattutto oralmente, è stato influenzato dallo spirito della sua epoca e dalle avanguardie storiche. Vedi il mito di Isidore Ducasse Conte di Lautréamont al quale un Man Ray concettuale attinge appieno e di cui Bachelard scriverà, sia pur molto più tardi.

    Proprio su questa scia, dettata da un’arte, come diceva Bachelard (e Duchamp), intellective, dunque non emotiva soltanto, io stesso, con tutta la mia ricerca concettuale, mi pongo da sempre. Il mio concetto di surrazionale definisce anche la quinta forza dell’universo essere il valore neutro, assoluto, del vuoto, dal quale tutto promana. Valore, il solo, che per me affronta ogni connubio e che pertanto risolve anche ogni dicotomia. Questo nell’intuizione di per sé sovrarazionale della congiunzione che qui diventa trascendenza degli opposti, concetto sviluppato in tutte le mie mostre e che sin dagli esordi avevo inteso essere la dimensione energetica prima, così come contemplata da tutte le civiltà "animiste", da quella cinese a quella sarda e oggi, dalla filosofia della scienza qui data in relazione all’arte concettuale delle avanguardie più recenti.

    Uno dei problemi epistemologici delle filosofie contemplative di cui si avvale il surrazionale evolutivo, soprattutto nella sua devozione al pensiero orientale a cui ha (e forse non solo indirettamente) attinto anche Bachelard, è il seguente:

    ... la conciliazione (che ha una connotazione anche cristiana cosi come la si evince anche per esempio nel detto: "ama il tuo prossimo come te stesso") non può essere la conciliazione tra estremi opposti ma solo tra opposti così come intesi nel pensiero olistico e non quelli del riduzionismo ottocentesco. Diversamente guerra e pace sarebbero status auspicabile, quando così non è! Così, come intesa in questo testo, la trascendenza, dice infatti ben altro; supera gli opposti - e non per forza li rinnega - e ritrova il valore neutro (matematico zero) che però qui è quello ontologico, dell’essere; che per quanto ci riguarda direttamente, tratta del rapporto tra esterno/interno dunque dell’universo esterno come riflesso di quello interiore verso il quale abbiamo molti obblighi e doveri. Il primo obbligo è contro la mediocrità (altro estremo inconciliabile con l’eccellenza) e sta incastonato in un detto di Gramsci: istruitevi perché ci sarà bisogno di tutta la nostra intelligenza. Ancora uno solo tra mille, l’esempio picassiano che dice: "alcuni artisti trasformano il sole in una macchia gialla io trasformo una macchia gialla nel sole", non è gratuitamente la conciliazione tra gli opposti, anzi! Depreca, denigrandola, proprio la mediocrità imperante! La distinzione di sopra denota un’arte cognitiva; riferimento all’analisi della psiche così come Jung nel processo di identificazione, oppure nella sua introduzione al Libro dei Mutamenti.

    Questo modello di descrizione tratta, per ora, solo di un aspetto della polarizzazione dell’universo, non di meno dicevo, un aspetto che sta all’essere come il valore neutro all’origine. Un’origine super sottile, sovra mentale, che da ateo, in termini provocatori ma non troppo, dico che è spirito (dettato dalla condizione armonica del tutto) sovracoscienziale, sovrasensibile, nonché senziente, infine senza estremismi: questi ultimi dovuti solo alla mediocrità degli uomini e delle donne... condizionati dalla dimensione materiale in cui viviamo.

    Prima parte

    IL SOVRARAZIONALE: 1973

    Il tao che può essere detto tao non è l’eterno tao

    il nome che può essere nomato non è l’eterno nome

    senza nome è l’inizio del cielo e della terra […]

    queste due cose che sono nate insieme si chiamano

    […] mistero più profondo del mistero

    e sono la porta d’ogni meraviglia

    Lao Tsŭ¹

    Sono gli opposti. Nello zero il tutto e nel tutto lo zero. Da cui si deduce che ogni carica equivale al magnetismo che la supporta ma anche che ogni carica ha come fulcro un valore neutro che determina la sua polarità intrinseca negativa/positiva.

    Anástasi - come dicevo in quegli anni - poi sovrasensibile, il termine sovrarazionale esiste in italiano da sempre, ed è stato facile tradurlo con un francesismo con prefisso sur ma poi... per dire cosa? Sopra come in soprannaturale, diventato poi supermente o sovramente come si evince dalla tradizione orientale e da quella animista anche nel senso di Giordano Bruno?

    Sur-passer, sur-classer, sur-être, sur-moi, sur-object… Con parole mie di allora rispondo oggi a Michèle Pichon dicendo: le temps nouménal présume un être nouménal.

    Questo l’incipit. Bachelard viene per me solo nel 1987.

    Infatti, sin dagli inizi, la congiunzione polare delle quattro forze così come da me intesa, (il valore neutro che trascende la ragione senza mai rinnegarla) trascende anche la logica e, va da se, ragione e logica non sono la stessa cosa.

    La ragione è ciò che poi applichiamo ai dati desunti dalla logica, ma, altresì... avremmo già fatto metà della strada da percorrere se potessimo asserire senza pregiudiziale alcuna che ogni organismo, evento o particella deve il suo essere ad un universo interattivo. Tanto che, l’essenza di quell’universo è già contenuta negli aspetti più reconditi di quell’organismo inteso nella sua polarità effettiva, così come descritta qui, in questo testo.

    In ambito contemporaneo la fisica si occupa in primo luogo di energia, cosa che non viene mai intesa come consapevolezza. Forse perché si confonde consapevolezza con psiche, credendo, a torto, che la consapevolezza sia solo quella dell’animo umano. Così non è! Poiché tutto è vivo, la mente, quella universale, intesa come memoria insita nelle cose, (l’ho ripetuto in ogni mio pubblico dibattito), sta dappertutto. Eppure, ancora oggi si hanno gli stessi impedimenti che aveva la scienza quando l’unica descrizione del mondo (l'unica ipotesi), era proprio quella meccanicistica. Descrizione determinista, riduzionista, atta a spiegare i processi tutti nello stesso modo, secondo causa ed effetto come si evince in più di una disciplina.

    Nella nostra attitudine al pensiero noi, ostentiamo quel po’ di conoscenze che abbiamo, pretendendo però un posto centrale nel creato grazie ad una mente capace di proiettare se stessa e di vedere in sostanza solo il riflesso di se stessa in ogni evento osservato.

    Quando diciamo che, la mente, quella universale, sta dappertutto non intendiamo la nostra di mente, dettata da un io sensuale e per lo più emotivo.

    Il tutto invece impone una forma di memoria; un universo possibilista che in termini relativi, sarebbe caratterizzato da scelta e da discernimento.

    Nella teoria dei quanti gestione e simmetria sono reciproche e di solito sono la stessa cosa. In quanto possibilità di scelta, nell’universo, non esiste stasi ma solo evoluzione o decadimento. In Newton abbiamo che, dopo un inizio da bucaniere, tipico delle descrizioni meccanicistiche (a schemi, e intese alla lettera), l’universo - che sarebbe nato dal big bang - si muove secondo orbite e leggi fisse, intendendo, con questo e a torto, che il tutto è un tutto determinato. L’alternanza infatti... è un concetto perfettamente sovrapponibile a quello di simmetria, non statica ma dinamica, sempre in divenire ma non più auspicabile secondo i canoni dell’ideale classico, ormai superato. Invece in virtù di quella memoria di cui ho detto prima, alla domanda se la casualità da sola possa organizzare ordine, non c’è, in nessuna teoria recente, alcuna risposta definiva ma solo probabilità ed ipotesi. Tanto meno c’è risposta pronta senza considerare l’ultima delle cose ovvie: che la volontà dell’universo possa avere un fine suo. Vale a dire, la sua stessa coscienza, facoltà di recepire e di questa, una certa memoria acquisita nel tempo la quale è più che un riflesso inerente al tutto. Come può l’universo organizzare quell’ordine non già dall’entropia, ma dall’assoluto, origine di ogni cosa, cioè dal vuoto primario? Questa è, oggi, la domanda centrale a qualunque divenire della scienza. Quale sarebbe il fattore che crea ordine nella simmetria tra il sé, proprio di di una particella e l’ambiente stesso, oppure tra passato e futuro? In altre parole, tra due opposti? Tutto è il prodotto dello stesso caos cosmico e dello stesso avvicendamento in atto. Il caos è principio e fine dell’alternanza così come lo è, e per gli stessi motivi, anche l’ordine. L’alternanza è sostentamento di ogni interazione e così è ogni fluttuazione dell’universo. Così ogni entità, o particella, si compie e si scompone in un unico istante e nelle due direzioni di quell’alternanza.

    Ogni entità esprime una polarità propria (la cui duplicità diventa quadrupla), e questo mentre i suoi estremi si annullano a vicenda. Ogni cosa viva si comporta così. Un momento è in essere come carica positiva e fede nel suo escogitarsi nel mondo, e nello stesso istante come carica negativa, a tout della prossima azione/retroazione, stesso tensore: tetraedrico, dunque, molto più che polare. Il caos però resiste all’ordine differenziandosi dallo stesso di cui è negazione e di cui è anche emanazione vitale. Come ogni particella la realtà si esprime in due diversi stati energetici; ruota in due direzioni opposte secondo valori non dimensionali ma simmetrici: (-) 0 (+).

    Pur essendo simmetrica, tale sequenza è un’autentica dissimmetria e, proprio perché tale, non potrebbe essere polarità compiuta. Dunque vibra, cerca insito in sé il proprio bilanciamento che sta nel valore assoluto, la sua origine, lo zero. Così si trasmuta nel suo opposto, e (+) diventa (-) passando per la neutralità del tutto. Secondo questo modello, il caos crea l’ordine esattamente dove l’ordine crea il caos e questo nello stesso istante e per le stesse ragioni.

    Cosi i poli, antitetici, opposti, di fatto inscindibili: ogni dicotomia crea il proprio contrario e lo crea per essere, sussistere, desistere, etc. Anche nella vita ogni cosa si trasmuta in un’altra e ridiventa ancora se stessa ma mai secondo un dato statico, mai per lo status quo ma per la propria assertività.

    Questo secondo una legge relativa alla necessità, non al caos non all’ordine! Pertanto ogni opposto è partecipe della simmetria polare della scissione primaria, emanazione continua di quello stato: magnetismo del vuoto e indice del tutto. Simmetria che per giunta indica chiaro il fatto che, senza il proprio contrario qualunque sistema o entità decadrebbe fin troppo in fretta. Non di meno, troppo spesso, l’uomo scivola sulle sue stesse idealizzazioni, e lì, si ostina a reiterare il proprio pantano. Non di meno, l’universo non è un fatto fisico. Sua perequazione e principio, sono le onde,² che ad osservarle suggeriscono una qualche teoria che deriva dal tutto; una deriva che il tutto ci sta consegnando e che il tutto sta escogitando per sé. Quel tutto che sta alla sua stessa coscienza e sensibilità che, ovvio... include e certo sorpassa anche la nostra. Noi, retaggio insignificante di quel tutto che non è, né codice, né verbo, ma che così è; come espresso per esempio nella vibrazione di un cristallo. Un tutto che sembra irrisolto o quasi... ma solo perché non ha nessuna attinenza col nostro linguaggio. Quel tutto che, eloquente ed espressivo, certo è anche logos, modus, energia intellettiva e, come già detto, memoria di un equilibrio che tale era all’origine. Infatti, per esempio, la vibrazione di un cristallo, emette una carica voltaica infinitesimale prossima allo zero: numero in virtù del quale ogni e qualsiasi evento vibra. Oscilla, da (e per) quella carica voltaica che quel numero emana e riassorbe in sé, tanto che, più sembra statica e più quella vibrazione è veloce dunque più è vicina allo zero: memoria del valore neutro dell’universo. Tale è la consapevolezza del tutto; una dimensione ultra-sottile, deduttiva, selettiva, che è alterità a noi speculare.

    In tale dimensione ci sono sottigliezze di ogni genere: come le simmetrie del tempo ed altre (palesemente nascoste) che in ambito di non-equilibrio, se viste nel verso giusto, fanno la differenza tra l’essere e il non-essere, tra causa ed effetto, tra ipotesi e congiura, tra dogma e finzione. Tali simmetrie esprimono quell’eleganza di cui è depositaria la modulazione in atto e base di questo testo: la natura doppia e paradossale della realtà³ la quale è prerogativa di ogni evento anche esistenziale. Per secoli la simmetria non fu messa in discussione, era però ossimoro; conteneva in sé sia pur sfasati i due doni di Dio, i due interposti, le due facce, le due estremità. Prima solo centrale, diventa strumento di osservazione di un dato oggetto (concetto), anche al di fuori dalla centralità dell’osservatore. La cosa aumentò dubbi e paure. Infatti, certo, con l’avvento della prospettiva diventavano plausibili altri punti di vista, tutti legittimi, che mettevano in discussione della centralità accademica e fissa, il modus operandi da libretto, il manuale classico, il modello ufficiale, l’unica verità. La simmetria non aveva per niente bisogno di verità complesse, era essa stessa verità unica, sufficiente a se stessa, proprio così come vista in natura, in una foglia... in un’eco. Ridondante e auto-celebrativa, la simmetria era classicista, frutto di dogma e non di consapevolezza vissuta in relazione al sé più vasto.

    Non era, infatti, l’uomo a guardare Dio (cosa che oggi potrebbe persino accadere!), cosa che per il timore dovutogli, l’uomo di allora non poteva tentare di fare. Centrale, inamovibile ed eterna, la simmetria era infatti esemplificazione dello sguardo di Dio (che l’uomo subiva), immanenza considerata perfettamente centrale. Così, qualsiasi a-simmetria era considerata inutile e, là dove l’ambire ad un parnaso eletto altra perfezione non poteva restituire, qualsiasi contrapposizione polare era da eludere. Newton vide solo uno dei due aspetti della simmetria gravitazionale. Mancò, per un’ineffabile inezia, l’interezza della repulsione/attrazione dei corpi atta a sostenere il tutto, facendo sì che questo non collassasse su se stesso. L’assunzione che l’universo non collassa su se stesso grazie solo all’intervento commiserevole di Dio, trovò però tutti (e fra tutti anche l’ufficialità accademica ed ecclesiastica) subito d’accordo: tutti consenzienti e senza riserve. Tanto da suggerire subito per questo fatto, il segreto apostolico. Questo avvenne anche in ambiti in cui l’autorevolezza era ostentata da tacchi alti, toghe scure (declinar da vate) e parrucca e fondo tinta e stiletto. Miste queste cose a sottile tracotanza, e stinking scent di profumi indecenti e parlar ridondante ad imboccare persino aulica la rima e la pretesa continuità storica mai interrotta. Per la stessa inadeguatezza troviamo oggi molto difficile concludere che, senza nessun’altra qualità intrinseca atta a sviluppare la coscienza, non può essere solo la materia a determinare e a dettare ogni evento e divenire. L’universo non è un unicum a priori, né è un’entità fissa, data così sin dall’origine. Invece è polare, ibrido... lenisce, interloquisce.

    La simmetria era un fatto assodato, classico e inconfutabile. Newton era il riflesso del suo tempo, troppo intento, quel tempo, ad allevare le prime metafore meccaniche,⁴ di cui la scienza aveva da sempre avuto bisogno per sostenere sia le sue icone, sia la mancanza di sintesi, sia l’insensibilità (a compartimenti stagni) che da tutto questo poi deriva. Molte interfacce tra il lavoro di Newton e il pensiero del suo tempo indicano che tutto all’epoca era obbligato da fatti tangibili (e non) ad avere comunque peso. Anche l’unità di tempo più piccola che allora si potesse immaginare; il ticchettio di un carillon poi divenuto il primo orologio, sarebbe dovuto rimanere tale!¿ Infatti, da un aneddoto che dirò, relativo a quel tutto newtoniano che non collassa su se stesso, deduco che tutti, avendo tra le mani un modello descrittivo anche soltanto singolare o plausibile, avvertono presto il complesso dell’albero della conoscenza che si affrettano però a mediare, prima che con Dio, con se stessi ma in una specie di introversione emotiva. Non di meno un travaglio sofferto, che induce prudenza più che zelo e forse... anche rinuncia.

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