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Ci vediamo presto
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E-book318 pagine4 ore

Ci vediamo presto

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Info su questo ebook

Dall'autrice del bestseller Te lo dico sottovoce

Che cosa è successo a Isabel e Andreas? La loro sembrava una favola: una lei, un lui e Facebook a fare da Cupido. Ma a un certo punto Isabel ha fatto una scelta e ora deve imparare a conviverci, anche se gli occhi azzurri di sua figlia sono lì a ricordarle ogni giorno a cosa ha rinunciato. E lo sa bene anche Andreas che, da quando il suo cuore si è spezzato, ha reagito nell’unico modo che conosce: alzando un muro per non innamorarsi mai più. Finché un giorno vede che il profilo Facebook di Isabel è tornato di nuovo attivo: in un attimo, il passato riemerge a tormentarlo. Andreas è deciso a riprendersela, a qualsiasi costo. Ma non può certo immaginare che la donna che ha tanto desiderato nasconda un segreto. Così grande da mettere tutto in discussione. La distanza tra loro è davvero incolmabile?

Un amore che sembrava una favola
Una scelta che allontana 
Si può tornare indietro ed eliminare la distanza?

«Lucrezia Scali scrive in modo semplice, tenero ed emozionante. Mi sono innamorata di questo libro.»

«Lucrezia Scali si dimostra un’autrice matura, con uno stile di scrittura ricercato, curato e scorrevole.»

Lucrezia Scali
È nata a Moncalieri nel 1986 e qualche anno più tardi si è trasferita a Torino. Il suo amore per gli animali l’ha guidata fino alla facoltà di Medicina Veterinaria. Te lo dico sottovoce, suo romanzo d’esordio, è stato pubblicato dalla Newton Compton con un notevole successo, restando per oltre 20 settimane ai primi posti delle classifiche, ed è stato tradotto in Germania. La Newton Compton ha pubblicato anche La distanza tra me e te, L’amore mi chiede di te, Non chiedermi mai perché, Ci vediamo presto e, in versione ebook, Come ci frega l’amore.
LinguaItaliano
Data di uscita14 ott 2019
ISBN9788822738707
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    Anteprima del libro

    Ci vediamo presto - Lucrezia Scali

    1

    Isabel

    Cosa senti quando mi pensi?

    Ti ho detto una bugia, perché su quel treno ci sono salita.

    Ero così felice che per poco non sbagliavo carrozza, e tutto per assecondare quella testa pelosa e cocciuta di Frida. Dovevi vederla, non sapeva più come contenere la sua energia ed ero io quella che ne pagava le conseguenze. Cercando invano di mantenere l’equilibrio ed evitando di far ritrovare il mio borsone in faccia a qualche passeggero. Dovevo immaginarlo, per lei quel mezzo era una novità. Probabilmente la mia difficoltà era così palese da non passare inosservata, perché i viaggiatori spostavano continuamente l’attenzione su Frida e poi su di me. Come se fossimo una coppia tanto mal assortita da non poter stare insieme. Avrei voluto dirgli che, sì, quello era il mio cane e, sì, era anche una parte fondamentale della mia vita. E hai presente quella storia dell’universo che non ascolta le tue preghiere? Ecco, dimenticala. Sennò come ti spiegheresti l’aiuto di uno sconosciuto che, a suon di coccole e complimenti, ha distratto Frida per darmi la possibilità di riporre in alto il mio bagaglio? Sai, ora che l’ho anche scritto, mi viene da scuotere la testa e alzare gli occhi al cielo. Perché se in questo breve tempo ho imparato un po’ a conoscerti, tu saresti pronto a replicare così: Sei una bella donna, cosa ti aspettavi?. Forse avresti anche ragione, però lasciami pensare che in questo mondo ci sia qualcosa che conta di più di un bel paio di gambe.

    Comunque sto di nuovo parlando troppo, come tutte quelle volte che ho così tante cose da dirti da non riuscire ad arrivare al dunque. E tu puntualmente mi imbarazzi, spostando la mano sotto al mento e spiazzandomi con quella bellissima risata che mi scompiglia gli occhi e mi sposta sempre il cuore.

    E poi il treno è partito, riportandomi alla realtà.

    Mi sono accomodata al mio posto, stringendo tra le mani il telefono come se avessi paura di perderlo. Andreas, ero così emozionata.

    Ho guardato fuori dal finestrino per un tempo indefinito, perdendomi su quel riflesso che mi restituiva. Sembrava impossibile ma quella donna ero davvero io. Ed era grazie a te. I miei occhi erano diversi, come se solo in quel momento fossero riusciti a brillare di una luce che avevano nascosto per tanto tempo. E poi quel sorriso. Lo stesso in cui si piegavano le mie labbra tutte le volte che ti guardavo e restavo imbambolata, incapace di capire cosa fare. Non mi sono mai vista tanto bella. E sai perché? Perché con te ho imparato che la felicità è davvero in grado di cambiarti. In meglio.

    Frida mi ha abbandonato dopo pochi minuti, facendosi cullare tra le braccia di Morfeo. Chissà se anche lei provava la mia stessa emozione, e preferiva chiudere gli occhi per sognare e intrappolare meglio tutto quanto. Immaginavo già la nostra vita in quattro e per me era quello il numero perfetto. Un tetto sopra la testa e un divano pronto ad accogliere il meglio che avremmo potuto costruire.

    Il treno continuava imperterrito la sua corsa, riducendo sempre di più la distanza tra me e te.

    Credimi, mancava così poco. Solo una fermata ci separava dall’idea di una vita insieme. E poi è semplicemente arrivato. Mi ha investito con tutta la forza di un uragano trascinandomi via da te. Il senso di colpa fa fare cose terribili. Non dimenticarlo.

    Mi è mancato il respiro, una sensazione di vuoto si è presa il meglio di me. Pensavo di morire. Il treno ha iniziato a rallentare e ho visto in quella fermata la mia unica via di fuga. No, Andreas, non lo è mai stata da te. Ma da me.

    Perché con te sono andata fuori tema. Ti ricordi cosa significa? Da un titolo è uscita una tempesta di emozioni da riempire un foglio protocollo, ma sbagliando l’intera traccia. Non ci sono riuscita, ho chiuso gli occhi e in automatico si è chiuso tutto, anche lo stomaco. Ed è colpa mia se ora ho spezzato il tuo cuore. E anche il mio. Ora che la decisione è stata presa, non potrò mai più guardarmi indietro e trovare te.

    Rileggo queste parole scritte di getto, senza filtri e piene di nostalgia perché ti sto per dire addio. Lo sapevi che originariamente aveva il significato di Ti raccomando a Dio? E io sono fermamente convinta che sarai in buone mani, e se un giorno le nostre strade si incontreranno di nuovo, sarà solo grazie a un disegno più grande di noi. Perché dire addio è una forma di speranza ed è quella che ti auguro di avere sempre.

    Ho preferito stare dietro le quinte e non assistere allo spettacolo che potevamo essere io e te. E penso che forse un po’ io e te abbiamo finto, illudendoci per tutto il tempo che quel noi bastasse per restare.

    Ho comprato questo diario lungo la strada di ritorno. Mi sarà d’aiuto per tutte le volte che avrò bisogno di tornare da te. Per tutte quelle volte che mi scoppierai all’improvviso dentro il cuore.

    2

    Isabel

    Ossigeno

    Varcai la soglia di casa e abbracciai con lo sguardo tutto quello che mi era sempre stato familiare. Era la stessa stanza, a eccezione di quella lettera sul tavolo. Eppure ora qualcosa era cambiato. Dentro di me.

    Almeno Frida sembrava contenta di essere tornata in possesso delle sue cose. Mentre a me sembravano tutte estranee e insapori. Lasciai cadere il mio borsone che con un tonfo secco si accasciò sul pavimento. Era lo stesso suono che emetteva il mio cuore mentre si spezzava, ma nessuno l’avrebbe mai percepito. Dovevo tenerlo insonorizzato. Non faceva così male, almeno fisicamente, era qualcosa di simile a uno smottamento nel petto. Con le ultime forze mi spinsi fino al divano e soffocai un grido disperato contro il cuscino. In quell’urlo c’erano tutte le parole non dette, tutto quello che avrei voluto fare ma non potevo.

    Stupida, continuai a ripetermi come se dirlo una volta non fosse sufficiente. In che diamine di guaio mi ero cacciata? Avevo avuto tutto il tempo per tirarmi indietro. Ora dovevo stare zitta e accettare il casino che avevo provocato. Perché non ero stata in grado di dire basta, perché non avevo pensato alle conseguenze e, per una volta, non avevo camminato in punta di piedi ma avevo preso la rincorsa nella vita. E che cosa avevo risolto? Niente, avevo solo ferito due persone. Io restavo un numero che non potevo conteggiare. Ma mentre Andreas aveva agito consapevole delle conseguenze delle nostre azioni, mio marito era rimasto all’oscuro di tutto.

    In che tipo di persona mi ero trasformata? Piangevo di felicità e di infelicità al tempo stesso. Com’era possibile?

    Frida corse verso di me, impaurita dalla mia reazione. Scivolò con il suo naso bagnato fin sotto il mio braccio e con delicatezza provò a spostarlo. Avrei tanto voluto dirle che l’amore era un gran casino. Ma le parole restarono incastrate in gola, e forse era meglio così.

    Le feci cenno di salire sul divano e lei non perse tempo, si fece spazio al mio fianco, affondando il muso nell’incavo delle mie gambe. Quello era da sempre il suo posto preferito.

    L’accarezzai, sperando di trovare sollievo, ma fu solo momentaneo. Perché sapevo che niente poteva tornare come prima. Perché ero io la prima a essere cambiata. Desideravo solo non aver mai conosciuto Andreas. Era più facile attribuirgli tutte le colpe, solo così potevo respirare e sentirmi dalla parte giusta. Quella parte a cui mi aggrappavo con le unghie per non precipitare. Non doveva succedere, non doveva finire così. Anzi, non sarebbe mai dovuto iniziare.

    Ero felice anche prima di conoscerlo, ancora prima di sapere della sua esistenza. Ero una donna fortunata. Avevo un marito che mi amava, non mi mancava niente. Non mi mancava l’amore. Eppure lui era riuscito a portare disordine nel mio ordine. E io, contro ogni aspettativa, in tutta quella confusione mi ero trovata bene.

    Tirai fuori il cellulare dalla tasca e guardai il display. La verità è che ero una codarda. Lo avevo spento per proteggermi, perché temevo la sua reazione dopo l’invio di quel messaggio. Ed ero certa che non mi sarebbe piaciuta. O forse era meglio guardare in faccia la realtà e ammettere che, se solo in quel momento avessi letto una sua parola, una qualsiasi, non avrei mai avuto il coraggio di scendere da quel treno e tornare a casa. Ed era strano pensare che ora, tra quelle mura, mi sentivo in qualche modo più forte, come se avessi messo così tanta distanza tra noi da far diventare quello che c’era stato solo un gesto lontano.

    Anche con gli occhi aperti mi sembrava di vederlo. Lì fermo a quel binario ad aspettarmi. Chissà cosa stava pensando mentre il treno si svuotava e non vedeva nessuna chioma bionda all’orizzonte. Forse aveva dato la colpa al mio pessimo senso dell’orientamento, ed era già pronto a soccorrermi come tante altre volte aveva fatto. Chissà se aveva letto il mio messaggio, se si trovava in piedi o si era seduto su una panchina, se aveva già intuito che cos’era successo o sperava, come nei film, nel famoso colpo di scena. Io dovevo saperlo. Perché restare in balia dei se era peggio di vedermi sbattere in faccia la cosa che più temevo. Con un gesto deciso accesi il telefono e, contro ogni aspettativa, nessuna notifica rimbalzò tra le pareti della stanza.

    Forse non l’aveva letto e la bomba doveva ancora esplodere. Stavo male all’idea di averlo ferito, ma era peggio non leggere una sua parola. No, doveva esserci dell’altro. Forse il messaggio non era stato inviato, a volte capitava per problemi di linea, ed ero ancora in tempo per cliccare su RIPROVA. Però no, quel simbolo non lasciava dubbi: l’aveva letto e ricevuto. E fu in quel momento che mi assalì la consapevolezza di cosa avevo appena perso.

    Lui l’aveva letto e non aveva fatto niente. Nessuna videochiamata, nessun messaggio inviato e poi cancellato, nessuna parola messa in fila anche distrattamente, anche piena di rabbia. Non era da lui mollare la presa, non era il tipo da arrendersi facilmente, o forse ero io quella ad avere troppe aspettative. A sperare che mi avrebbe rincorsa, nonostante avessi mandato in frantumi il suo cuore.

    Aveva preferito terminare la partita con il silenzio, perché non c’erano parole che potessero cambiare la realtà dei fatti. Lo amavo anche per quello, per non aver messo fine alla nostra chat in modo rabbioso. Lasciando tutto così, come un libro dal finale aperto.

    Non mi restava che prendere in mano la situazione ed escogitare la mia via di fuga. Guardai per un’ultima volta la sua foto del profilo Facebook. Era così bello che mi sentii immensamente fortunata all’idea che per un attimo fosse stato solo mio. Ma era una follia anche solo ringraziare il destino, perché era un regalo fuori dalla mia portata. E non c’era abbastanza posto nella mia vita per lui. Allora mi concessi di tornare indietro nel tempo per assaporare un’ultima volta la sensazione delle sue mani addosso, il profumo di bucato in quella stanza d’albergo, le canzoni che riempivano la macchina.

    Con un gesto rapido, come se dovessi strappare in fretta un cerotto, gli tolsi l’amicizia e poi lo bloccai.

    L’avevo fatto per davvero. E l’attimo dopo una parte di me desiderava tornare indietro e trovare una soluzione meno drastica, ma l’altra parte era pronta a ricordarmi che quella era l’unica possibile.

    Mi aggrappai a quella piccola parte e improvvisamente tutto mi sembrò più semplice. Non facile, ma semplice.

    E ora chissà che ricordo conserverai di me. Quello di una donna che migliorava la tua giornata o di una che vorresti non aver mai incontrato?

    Rimasi immobile sul divano per un tempo che mi parve infinito. Il cellulare non aveva dato altri segni di attività, era come se da quel momento in poi avesse esaurito il suo compito.

    La mia vita poteva tornare alla tranquillità, a quello stato di perfetto equilibrio precedente a quei messaggi che avevano dato il via alla nostra storia. Non era stata un’avventura, un capriccio, ma una storia d’amore a tutti gli effetti. Una di quelle che nessuno si aspetta, ma che spera. Era assurdo pensare che potessi provare amore per due uomini, ma era quello che mi era successo. Non l’avevo cercato, ma era arrivato. Ero certa che nessuno avrebbe mai capito. Perché era qualcosa di inspiegabile. Eppure si trattava di amore.

    Grazie a lui avevo scoperto la leggerezza e la spensieratezza che ti portano a ignorare regole e abitudini. E non volevo certo dimenticare quello che mi aveva insegnato.

    Il salone piombò nell’ombra per ricordarmi che era già tardi. Il cellulare aveva mantenuto il silenzio stampa e nessuno mi aveva cercato. Andreas ormai era fuori dai giochi, anche se ingenuamente continuavo ad aspettare il suono di una notifica. Rispettava la mia scelta? O era il suo modo per vendicarsi?

    Di lì a qualche minuto sarebbe arrivato Mattia. Portai una mano al petto nel tentativo di trovare sollievo, mentre nella mia testa immaginavo già tutto. La porta che si apriva e poi il suo sorriso, le sue labbra pronte a pronunciare una scusa per il ritardo. E io che lo perdonavo, come facevo ogni volta. Solo che lui non poteva sapere che ero io, quella da perdonare. Se solo avesse saputo la verità, Dio solo sa che cosa avrebbe fatto. Mi sentivo come un animale braccato. Da quel momento in poi mi sarei trasformata in una brava attrice.

    Mattia era un uomo intelligente, ero certa che qualcosa avesse iniziato a intuire. Lo leggevo nei suoi occhi, spesso troppo attenti a cercare i miei, sfuggenti. Mi aveva dato tanta libertà perché si fidava di me e io l’avevo ricambiato nel peggiore dei modi, tradendolo. Se me lo avessero raccontato, non ci avrei mai creduto. Proprio io, quella che si batteva per l’amore vero, per la fedeltà e la famiglia. Ora stentavo a riconoscermi.

    Mi tirai su con movimenti legnosi che ricordavano quelli di una marionetta, e una foto mi colpì in tutta la sua potenza. Mi avvicinai per guardarla meglio, mi venne da sorridere ricordando il giorno in cui era stata scattata. Come avevo potuto, anche solo per un attimo, dimenticare quel momento? Con che coraggio stavo buttando all’aria una promessa fatta davanti a Dio e voltando le spalle a un uomo che continuavo ad amare? Anche se in modo diverso. Per Mattia provavo un sentimento razionale, per Andreas viscerale. Cosa preferissi non lo sapevo, perché erano semplicemente due modi diversi di amare. E anche se nella mia testa provavo a mettere da parte quello che era successo con Andreas, il pensiero tornava sempre lì. A quel giorno in cui lui era inciampato nella mia vita.

    Dovevo sbarazzarmi di quel pensiero inopportuno. Avevo una vita da mandare avanti e aggrapparmi ai ricordi avrebbe solo ostacolato il compito.

    «Io sono felice», dissi ad alta voce. Perché in fondo era come se niente fosse cambiato, ero tornata a casa mia e presto sarei stata tra le braccia di mio marito. Potevo farcela, potevo nascondergli la verità. Dovevo farlo per il nostro bene, per salvare quello che c’era tra di noi. Perché lui era mio marito. Era l’uomo che avevo scelto e avrei fatto di tutto pur di non perderlo.

    Mi accorsi che non avevo preparato niente per cena e quello, ai suoi occhi, poteva essere un chiaro segnale che qualcosa non andava. Ma non c’era molto tempo per pensare, dovevo assolutamente improvvisare qualcosa. Magari un mal di testa scoppiato all’improvviso o semplicemente la voglia di ordinare cibo d’asporto. In fondo una via di fuga si trovava sempre.

    Tornai a guardare la nostra foto e accarezzai il volto di mio marito. Era disarmante vederlo così felice, inconsapevole di quello che sarebbe successo a sua moglie qualche anno dopo. E lo stesso valeva per me, stretta nel suo abbraccio. Avrei scoperto, qualche tempo più tardi, che casa era anche un altro paio di braccia. La fotografia aveva un pregio e un difetto. Non immortalava solo un momento, ma anche il rischio di non riconoscersi più. Mattia era rimasto lo stesso. L’uomo a cui avevo detto tutti i miei migliori ti amo e giurato quel famoso per sempre, emozionata all’altare. Sì, io lo amavo ma non mi restava che riporre in fretta le mie cose, strappare quella lettera sul tavolo e pregare il cielo che tutto tornasse in fretta come in quella foto.

    3

    Andreas

    Quanto vorrei farne parte, ma non ci riesco mai

    Ero così incazzato che avrei preso a calci qualsiasi cosa mi fosse capitata a tiro. Ma non le avrei dato quella soddisfazione, non la meritava. Non ero mai stato così deluso da una persona in vita mia. E mai mi sarei aspettato che fosse proprio lei la mia delusione più grande. La stessa persona che mi aveva insegnato ad amare mi stava portando adesso a odiare. Mi aveva ferito, aveva giocato con i miei sentimenti e ora avrei imparato a non fidarmi più di una donna che ti faceva dimenticare perfino chi eri. Ora non volevo sentire più niente.

    L’avevo aspettata a lungo su quel binario, in piedi, fermo all’altezza del primo vagone per non perdermi il suo arrivo. Già me la immaginavo, mentre sventolava una mano in aria e i suoi capelli biondi ondeggiavano, assecondando ogni suo movimento. E io non avrei perso tempo, raggiungendola di corsa con il mio inseparabile amico a quattro zampe. Poi lei mi avrebbe spiazzato, sorridendomi, di fronte al mio enorme mazzo di fiori e a un cane con il papillon. I passanti si sarebbero voltati incuriositi per non perdersi il momento. Perché era inutile nasconderlo, insieme eravamo davvero una gran bella coppia.

    Non vedendola, pregavo Dio che si trattasse di un semplice malinteso. Ero addirittura arrivato a dare colpa alla sua sbadataggine, a pensare che fosse salita sul treno sbagliato. Continuavo a giustificare il suo ritardo. Ma Isabel non aveva giustificazioni. Non volevo crederci, anche se una parte di me ormai non aveva più dubbi. Continuavo a scuotere la testa e a ripetermi di stare calmo.

    Il tempo sembrava essersi fermato, come se volesse immortalare la pazzesca delusione che avevo appena ricevuto.

    Isabel 1 – Andreas 0. Fine della partita.

    Guidai fino a casa senza smettere di pensare a lei. Era come un tarlo che si era conficcato nella mia testa. In ogni cosa rivedevo lei. Anche in quella stupida canzone che trasmettevano alla radio. Quella che avevamo ballato quella notte in spiaggia. Quando stretta a me, avrei voluto toglierle di dosso i vestiti ancora prima che si trasformasse in qualcosa di serio. La sentivo dappertutto, anche sotto le dita che avevano sfiorato la sua pelle calda e sulle labbra che avevano ancora impresso il sapore delle sue. Potevo farmi un applauso, avrei anche potuto vincere il premio del coglione dell’anno. Ero stato appena messo KO da una donna, proprio io che mi ero sempre tenuto alla larga da possibili delusioni. Forse anche per proteggermi da momenti come questo.

    Ogni volta che sollevavo gli occhi, incrociavo quelli di Ulisse nello specchietto retrovisore. Mi guardava e non capiva. Sapeva solo che ero triste e cercava in tutti i modi di farmi tornare il sorriso. Quando si accorse che mi aveva in pugno, abbaiò soddisfatto a gran voce. Come a dire: Ehi, amico, tranquillo che ci sono io.

    Scoppiai a ridere, perché in tutto quel casino che lei aveva lasciato, lui era il mio unico punto fermo. Poteva suonare strano alle orecchie di molti, ma era la verità. Lui non mi avrebbe mai deluso.

    Arrivai sotto casa prima del previsto. L’universo si era accorto di essere stato troppo generoso, così compensò facendomi trovare il tutto esaurito.

    Girai a vuoto attorno al mio palazzo, di quel passo qualcuno avrebbe di sicuro segnalato la presenza di una macchina sospetta. Ma se solo avessero guardato più in profondità, si sarebbero accorti di un uomo distrutto, che imprecava e sfogava la sua rabbia di fronte a tanta sfiga.

    Peggio di così non poteva andare.

    Ero così disperato che l’idea di abbandonarla da qualche parte sopra le strisce non era poi tanto male. Sempre meglio una multa, o farmela portare via, che rimanere imbottigliato lì dentro. Ma in quel preciso istante, si liberò un parcheggio proprio sotto casa. E mi ci fiondai con una velocità tale che il regista di Fast and Furious mi avrebbe assunto saltando direttamente il provino.

    Aprii la portiera e invitai Ulisse a scendere, senza mai smettere di borbottare tra me e me. Tutto potevo immaginare, tranne che quella giornata avrebbe preso una simile piega.

    Varcai la porta di casa ed entrai con fare aggressivo. Quell’appartamento ora mi sembrava vuoto, perché per intere settimane avevo immaginato di dividerlo con una tipetta bionda e il suo cane. E ora, più lo guardavo e più mi sembrava di aver lottato invano per qualcosa di irraggiungibile. Eppure Isabel non era un sogno, lei era reale.

    Posai le chiavi sopra il tavolo e andai dritto al frigorifero. Avevo bisogno di bere.

    Afferrai l’unica birra che era rimasta e l’aprii facendo leva sul mobile. Ulisse corse nella mia direzione e indicò, spostandola con il muso, la ciotola vuota.

    «Sì, amico, ti capisco. Anche tu vuoi qualcosa per dimenticare?», gli domandai, aprendo nuovamente il frigorifero. «Ti dovrai far bastare questo avanzo di pollo».

    Ulisse non se lo fece ripetere due volte e mi ringraziò, iniziando a girare su sé stesso e muovendo a ritmo la coda.

    Non era così che doveva andare, non era così che doveva finire.

    Un uomo cercherebbe di riconquistare la donna che ama. Ma in quel caso non c’era alcuna donna da conquistare: c’era una donna che aveva preferito la testa al cuore. E di fronte a quella scelta io alzavo le mani e mi arrendevo. Perché lei aveva scelto la sicurezza, quella che io non avrei mai potuto offrirle neanche in mille altre vite. Se a lei non bastava il mio amore, non avrei potuto trattenerla.

    Ero stato uno stupido. A cosa pensavo quando le avevo proposto di mollare tutto e venire qui da me? La mia casa era un buco, niente di speciale. Avevo un lavoro che mi faceva arrivare a malapena a fine mese e con quei pochi soldi sul conto non avrei mai potuto competere con suo marito. All’improvviso mi sentii un fallito.

    Volevo solo sentire la sua voce. Volevo solo che fosse abbastanza matura da assumersi la responsabilità e dirmelo in faccia, senza nascondersi dietro a uno

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