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Come La Prima Volta
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E-book274 pagine3 ore

Come La Prima Volta

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Info su questo ebook

Vivere e amare in una cittadina americana negli anni '70

Se ricordate ancora il vostro primo amore, il primo appuntamento e il primo bacio, allora Come la Prima Volta vi riporterà indietro a quei momenti. Corre l’anno 1976: Shawn incontra Dawn quando lei si trasferisce nella casa accanto. Ben presto diventano amici per la pelle, poi si innamorano l’uno dell’altra. Shawn è un tipo estroverso, appassionato di libri, Dawn è bella e riservata. La loro storia romantica giunge al termine, quando i genitori di Dawn gli impediscono di rivedersi.

Non lo faranno - per 27 anni, finché un fortuito incontro non li trascina in un vortice di emozioni e di ricordi. Potrà il tenero legame di quel primo amore non soltanto sopravvivere, ma addirittura rafforzarsi?

Come la Prima Volta vi farà vivere la magia dell’amore acerbo nell’America degli anni ’70. Non importa quanto cambi il mondo, alcune cose – la musica senza tempo, i balli scolastici, le tenerezze scambiate sui sedili posteriori di una Chevy Vega e, naturalmente, il vero amore – dureranno per sempre.

LinguaItaliano
Data di uscita12 ott 2015
ISBN9781633396975
Come La Prima Volta

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    Anteprima del libro

    Come La Prima Volta - Shawn Inmon

    Come La Prima Volta

    Una vera storia d’amore

    Di Shawn Inmon

    ©2012 Shawn Inmon

    ––––––––

    Vietata la riproduzione, anche parziale, di questo libro in qualsiasi forma, il suo salvataggio in qualsiasi sistema di archiviazione o la sua trasmissione in qualsiasi forma e con qualsiasi mezzo senza previa autorizzazione scritta da parte dell'autore, fatto salvo quanto previsto dalle leggi vigenti negli Stati Uniti d'America in materia di diritti d'autore.

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    Le opinioni contenute in quest'opera sono esclusivamente quelle espresse dall'autore.

    Progetto di copertina/impaginazione: Linda Boulanger

    www.TellTaleBookCovers.weebly.com

    Pubblicato dalla Pertime Publishing.

    Disponibile anche con copertina in brossura

    Dedica

    Dedicato a Terri Lee, mia sorella e amica al di qua e al di là del sipario della vita

    Questa è una Storia Vera

    Prologo

    10 Febbraio 1979

    Dawn era dall’altra parte della stanza e piangeva sommessamente. Non avrei voluto vedere le sue lacrime, ma non riuscivo a smettere di guardarla. Sapevo che avrei potuto non rivederla mai più.

    Avrei dovuto concentrarmi, ma non riuscivo a mettere a fuoco. Forse dipendeva dal fatto che non dormivo da due giorni, o forse sapevo già come sarebbe andato a finire tutto questo. In entrambi i casi, non riuscivo a seguire ciò che si stava dicendo.

    Dawn guardò la madre con aria interrogativa, che annuì in segno di permesso. Si mosse e si fermò dietro di me, appoggiando la mano dietro alla mia nuca. Quando sentii quel tocco leggero, non riuscii più a trattenere le lacrime.

    Mi resi conto che tutti tacevano e mi guardavano. Presi il mazzetto di ricevute dalla tasca dei miei jeans e l’appoggiai sul tavolo.

    Lo so che mi avete detto che non potrò mai più rivedere Dawn, ma non posso accettarlo. Posso sopportare il fatto di non vederla per tre anni, ma a quel punto lei avrà diciotto anni e potrà vedermi, se lo vorrà.

    Bene, disse Colleen, osservandolo con disprezzo. Era chiaro che non fosse preoccupata che Dawn potesse volermi rivedere in futuro.

    Questo è tutto. dissi con voce sommessa, quasi a me stesso. Non era rimasto più nulla da dire. Il mio contegno era svanito del tutto. Calde lacrime scorsero sul mio viso, ma non m’importava. Questo era il momento che avevo affannosamente cercato ed evitato al tempo stesso. Forse un giorno avrei potuto rivedere Dawn, ma non avrei potuto rivedere ‘questa’ Dawn. Era così bella che a guardarla mi si spezzò il cuore.

    Andai verso di lei e le misi le mani sulle spalle. La guardai profondamente negli occhi. Non le chiesi di aspettarmi. Stavo tentando di lasciarla libera.

    Quando potremo rivederci, se mi amerai ancora, io sarò lì per te. Prometto che ti amerò allo stesso modo.

    Lei annuì. Le lacrime le inondavano il suo viso, e lei distolse lo sguardo.

    Uscii da casa sua, attraversando il giardino che mi era familiare, incontro al resto della mia vita.

    Dove va a finire il vero amore

    1 dicembre 2006

    Era stata una giornata lunga, ma non avevo fretta di tornare a casa mia, a Enumclaw. Mentre guidavo diretto a nord sulla I-5, alzai il volume del CD che avevo acquistato quel giorno stesso – An Other Cup di Yusuf Islam.

    Ero esausto e infelice, ma per me era normale. A 46 anni, mi stavo lentamente suicidando mangiando troppo, non praticando alcun tipo di esercizio fisico ed estraniandomi da tutto ciò che mi circondava. Non m’interessava granché di vivere o di morire.

    Il mio secondo matrimonio era durato cinque anni, somigliati più a una prigione che a un matrimonio. Il divorzio, che sapevo imminente, avrebbe semplicemente posto fine a una delle ennesime relazioni fallimentari che avevano costellato trent'anni della mia vita.

    Quattro anni prima avevo detto a mia moglie Adinah che non l'amavo.

    Non puoi farlo, rispose. Se credi che questo cambi le cose, ti sbagli.

    E così la vita era andata avanti. Avevo tentato di porre fine al nostro matrimonio da allora, ma senza successo. Non riuscivo a trovare la forza emotiva di dire basta, di pronunciare le parole magiche: voglio il divorzio.

    Ero ancora distante novanta minuti da Enumclaw e mi ero reso conto di star morendo di fame, quando vidi l'ultima uscita per Centralia illuminata dai fari anteriori. Diedi uno strattone allo sterzo e svoltai a destra all'ultimo secondo, tagliando la strada a una berlina color oro. Riuscivo a malapena a sentire il suono del loro clacson che sovrastava la musica, ma vidi chiaramente il dito, che mi augurava una buona giornata.

    Non ero certo di che sorta di cibo avrei potuto trovare imboccando quest’uscita, ma quando lasciai l’autostrada, svoltai istintivamente a sinistra. Più avanti, vidi un’insegna, Da Bill & Bea. Non sapevo neppure che quel posto fosse ancora aperto. Avevo mangiato lì un sacco di volte quand'ero alle superiori negli anni settanta, ma non ero tornato più là da quando mi ero trasferito dalla Contea di Lewis.

    Senza pensarci, mi diressi al parcheggio e mi misi in coda dietro a un vecchio pickup. Yusuf Islam – meglio noto come Cat Stevens – stava cantando del suo viaggio incontro al suo vero amore. Spensi, perché non amavo particolarmente ascoltare roba tanto sentimentale.

    Stavo cominciando a pensare che i tizi del pickup davanti a me non sarebbero mai stati serviti, quando alla fine andarono via, lasciandosi dietro una nuvola azzurrognola di gas di scarico. Avanzai e aspettai di poter ordinare. La ragazza allo sportello del drive-thru sorrise, come fanno le ragazze giovani e carine di fronte a uomini più vecchi e dall'aria rassicurante. Prese il mio ordinativo e sparì.

    Un minuto dopo, un'altra donna venne allo sportello e mi fece una domanda, ma non le risposi. Una scarica elettrica partì dalla sommità della mia testa e corse giù per la mia schiena. Il mio stomaco fece le capriole e le mie mani presero a sudare contro lo sterzo. La guardai a bocca aperta. C'era qualcosa in lei, ma non riuscivo a cogliere appieno cosa fosse. Il solo guardarla faceva andare il mio cuore a mille. Aveva i capelli ondulati, di un castano ramato, lunghi alle spalle, e lineamenti delicati, con occhi scuri che mi colpirono. Il suo volto fluttuava nella mia memoria, ma non riuscivo a metterla a fuoco.

    Ho solo bisogno di sapere se vuoi della cipolla nel tuo sandwich al pollo, ripeté pazientemente la donna.

    Non riuscivo a rispondere. Avevo il cervello 'ovattato'.

    Sì, grazie, mormorai alla fine. Quando la donna andò via, pensai che forse si sentiva un po' strana anche lei, ma lei invece si fermò solo attimo e andò via.

    Perché sentivo i fuochi d'artificio esplodere nella mia testa? Chi era mai quella donna? Era attraente, certo, ma vedo donne attraenti ogni giorno senza per questo comportarmi da idiota. Dalla finestra del drive-thru la potevo vedere lì, in piedi vicino a una piastra, mentre parlava con la ragazza che aveva preso inizialmente il mio ordine. All'improvviso, la donna rise e fu per me come un fulmine a ciel sereno. Non ero mai riuscito a dimenticare quegli occhi scuri e ridenti.

    Dawn.

    Non la vedevo da ventisette anni, ma sapevo che era lei. La osservai scivolare con grazia tra la cassa e la piastra per prendere un ordine. La mia mente vagò attraverso i ricordi persi nel tempo. Credevo non sarebbero mai più tornati a galla.

    Era vissuta per così tanto tempo solo come un ricordo; era una sensazione inebriante sentirsi così vicino a lei un'altra volta. Col passare degli anni e dei decenni, ero giunto a pensare che non l'avrei più rivista. Avevo accettato il fatto, trovando addirittura una sorta di conforto in questo senso di 'chiusura'. Trovarmi così vicino a lei, all'improvviso, mandò la mia testa in orbita.

    Mi portò il sacchetto con il mio cibo. Prese i miei soldi e mi diede il resto con un piccolo sorriso, nessun segno che mi avesse riconosciuto. Mi chiedevo come potesse non avermi riconosciuto. Mi ringraziò e si girò per andarsene, ma io non potevo lasciarla svanire un'altra volta.

    Frequentavi la Mossyrock High School?

    Alzai il piede dal freno e l'auto fece un leggero movimento in avanti.

    Si

    Classe '82?

    No, '81.

    Ovviamente, era vero. Ero scarsissimo in matematica quando ero sotto pressione. I suoi occhi scuri mi misero bene a fuoco.

    Andavamo a scuola insieme.

    I suoi occhi mi fissarono privi di espressione ed io non riuscii a sopportare la tensione. Le elargii il mio sorriso più smagliante.

    Dawn, sono Shawn.

    Rimase in silenzio per un istante.

    Shawn chi? domandò alla fine.

    La sua domanda mandò completamente a terra il mio ego. Mi domandavo se avessi davvero un aspetto così diverso. Mi esaminò e mi resi conto che non riusciva a trovare il nesso.

    Shawn Inmon. Eravamo vicini di casa. Pensai di aggiungere. Sai ... il tuo primo ragazzo?

    Fece un mezzo passo indietro per la sorpresa, riconoscendomi. Le sue mani corsero alla bocca e i suoi occhi scuri si spalancarono. Era un gesto che gli anni non erano riusciti a cancellare dalla mia mente. Vidi il fluire dei ricordi nella sua espressione.

    Oh, mio Dio, disse. Si fermò un attimo, poi lo disse di nuovo. Ogni parola era una frase a sé stante. Oh. Mio. Dio. La ragazzina che aveva preso il mio ordine fece un balzo in avanti con un grande sorriso.

    Ciao! disse. Sono Connie, la figlia di Dawn,

    Elargii a Connie un goffo sorriso. Mi riusciva impossibile distogliere lo sguardo da Dawn. Ridevo nervosamente, ma non riuscivo a parlare. Seguirono dieci secondi d’imbarazzante silenzio, mentre una Buick attendeva paziente dietro di me.

    Sono Shawn, dissi debolmente a Connie. I miei occhi erano puntati su Dawn. Tua madre ed io eravamo amici molto tempo fa. Il sorriso di Connie mi disse che la ragazza sapeva che tipo di amici eravamo stati. Dawn continuava a mormorare Oh, mio, Dio, ripetutamente, scuotendo il capo. Ripeteva la sua strana cantilena, come una puntina bloccata nel solco di un disco.

    Provai a dire qualcosa per far breccia, ma starle così vicino mi aveva lasciato talmente attonito, che non riuscii a pensare a nulla che valesse la pena di dire.

    È stato bello vederti, mormorai Stavo giusto tornando a casa a Enumclaw. Dawn non sembrò ascoltarmi. Era persa nel suo mondo.

    In me crebbe un senso di frustrazione di fronte alla mia incapacità di coordinare il mio cervello e la mia lingua. Mi voltai verso Connie.

    Dì a tua madre che è stato bello rivederla, OK? Feci un timido tentativo di farle l'occhiolino, ma fallì. Lanciai un ultimo, lungo sguardo a Dawn e andai via, stordito dal pensiero di lei.

    Avrei voluto così tanto invertire la marcia e tornare di corsa al piccolo ristorante, gridando Dawn. Bimba, sono io. Avrei voluto tenerla stretta a me e lasciare che gli anni trascorsi svanissero. Prevalse invece il pudore e l'anello che portavo al dito, così lasciai che le ruote proseguissero la loro strada, portandomi ogni secondo più lontano da lei.

    Avevo soffocato tutti i pensieri per lei per tre decenni. Ora era tornata a essere vera ed io non riuscivo a trattenere l'ondata di emozioni.

    Ricordi, sensazioni ed emozioni mi travolsero come onde inarrestabili, inghiottendomi, mentre imboccavo la I-5.

    Gli anni non avevano cambiato nulla. L'amavo ancora, infinitamente, dopo tutto questo tempo. La amavo ancora come quando le avevo detto addio, baciando il suo viso bagnato di lacrime, il giorno di San Valentino 1979.

    Alzai il volume della musica e lasciai scorrere le miglia sotto le mie ruote. Il mio corpo era nel 2006, ma la mia mente, il mio spirito, il mio cuore erano ancorati saldamente agli anni settanta.

    Tanto tempo fa

    Avevo quindici anni nell'estate del 1975, tutto preso nel tentativo di compiere la fatidica transizione dall'infanzia a qualsiasi altra cosa fosse seguita. A livello intellettuale, ero più maturo della mia età. Emotivamente, però, ero di gran lunga in ritardo.

    L'embargo dell'OPEC e la crisi energetica erano ancora vive nella mente di tutti. Per la prima volta si parlava di risparmiare energia. L'ora legale durò tutto l'anno e il limite di velocità fu ridotto a 55 miglia orarie in tutta la nazione per risparmiare benzina. Alla Casa Bianca c'era Gerald Ford.

    Vivevo in una casa mobile a doppio modulo del 1965, parcheggiata su un lotto di mezzo acro alla periferia di Mossyrock, una cittadina grande quanto un escremento di insetto nell'area rurale ovest dello Stato di Washington. Le città gemelle di Centralia e Chehalis distavano quaranta miglia, tra di loro meno di 30.000 abitanti. Quando la gente diceva che stava andando fuori città intendeva esattamente quello.

    In quindici anni avevo già vissuto un sacco di alti e bassi. Avevo trascorso i miei primi cinque anni vivendo felicemente in un ranch di un centinaio di acri con mia madre, mio padre mio fratello e tre sorelle. Verso la metà degli anni sessanta, la città di Tacoma arginò il fiume che scorreva attraverso la Riffe Valley. La diga avrebbe mandato i nostri cento acri sott'acqua, sicché ci trascinarono in tribunale e ci costrinsero a vendere il ranch.

    Papà non riusciva ad accettare che il governo potesse portargli via la terra che egli aveva comprato e coltivato col sudore della fronte per circa vent'anni. Questa cosa, alla fine, gli costò la salute. Ad Halloween del 1965, ebbe un attacco cardiaco e morì. Le mie sorelle maggiori erano già andate via e si erano sposate, così rimanemmo solo noi, mia madre, mio fratello maggiore Mick ed io nella nostra casa, diventata improvvisamente silenziosa.

    Nel giro di un anno, mia madre incontrò un uomo di nome Robert, uno degli operai giunti in città per costruire la diga, e lui era rimasto nei paraggi. Si unirono in matrimonio nel 1967 e fu così che ebbi un patrigno. A quel tempo mio fratello maggiore era andato via, trasferendosi in una casa mobile a Mossyrock. Nell'arco di due anni, ero passato dal vivere in una casa abitata da tutta la mia famiglia, adagiata su un centinaio di acri di una valle idilliaca, a una casa mobile a due sezioni su di un angusto lotto insieme a mia madre e a un uomo che sentivo un estraneo.

    Mia madre cominciò a bere dopo la morte di mio padre. Non sapevo molto dell'alcolismo, ma capii che avesse un problema quando cominciai a trovare barattoli di vodka nascosti dietro alla casa, compresi i miei cassetti del comò.

    Imparare ad avere a che fare con il suo vizio era già abbastanza difficile, ma la violenza che lo accompagnò rese la mia vita spaventosa e imprevedibile. Non accadeva tutti i giorni, ma arrivai a comprendere che una volta ogni tanti mesi ci sarebbe stata un'esplosione di rabbia tra lei e Robert. Poi ci sarebbero state le grida, i cazzotti e occasionalmente un salto al pronto soccorso. La prima volta che era successo, ero sicuro che sarebbe finito tutto tra loro e che saremmo tornati a stare da soli, mia madre ed io. Rimasi sbigottito dalla velocità con cui tutto fu dimenticato. Nel corso degli anni, questi scoppi di violenza ebbero luogo meno frequentemente, ma il loro impatto su di me non si affievolì mai. Mi cambiò per sempre.

    Non mi adattai bene a tutti questi cambiamenti, mi richiusi in sorta di guscio che mi ero costruito intorno. Il bambino estroverso, allegro che ero a cinque anni si trasformò, crescendo, in un adolescente silenzioso e riservato. Ero allampanato e goffo. Ero cresciuto più di trenta centimetri in un solo anno e non mi ero ancora abituato al mio nuovo corpo. Portavo i capelli in qualsiasi modo in cui mia madre mi dicesse di tagliarli. Il mio armadio era pieno di T-shirt e pantaloni a zampa d'elefante e indossavo spessi occhiali neri che non andavano più di moda dai tempi in cui l'aereo di Buddy Holly era precipitato nel 1959. Questo chiarisce abbastanza bene il motivo per cui io non avessi mai avuto un appuntamento.

    Molti ragazzini attraversano una fase goffa ed io non facevo eccezione. La mia durò soltanto un po' più delle altre. Mi lasciai dietro la graziosità adorabile di bambino all'età di nove anni e non ne rientrai in possesso prima dei diciott'anni. Gli anni di mezzo non furono altro che un interminabile periodo di imbarazzante goffaggine.

    Tanto per peggiorare le cose, uno dei miei migliori amici, nonché vicino di casa, Mark Panter, si trasferì a Seattle. Mark ed io avevamo sempre trovato i modi più strani per impiegare il tempo. Molti anni prima, il mio patrigno aveva portato a casa un fusto da 100 galloni. Per un lungo periodo era stato appoggiato al capanno in giardino, pieno d'acqua, e col tempo si era formata la ruggine. Un giorno lo rovesciammo per pura noia, e questo fece un suono freddo tipo shhh-shhh, come un gigantesco bastone per la pioggia indiano.

    Nell'estate del 1974, trascorremmo centinaia di ore correndo in cima al fusto, facendolo muovere come nelle gare di logrolling[1] e inventandoci giochi che comportavano normalmente il lanciarci a vicenda nell'erba a testa in avanti. Le nostre mamme erano sicure che prima o poi ci saremmo ammazzati a vicenda, ma la cosa ci teneva fuori di casa e, cosa più importante, fuori dai guai.

    Se fossimo riusciti a radunare un gruppo di ragazzini del vicinato, avremmo girato il gigantesco barile sul fondo e lo avremmo usato come base per giocare a Lupi e Contadini[2]. Era un gioco tipo nascondino, ma più figo – almeno per noi. Al giorno d'oggi, gli adolescenti non si farebbero ‘ammazzare’ in un gioco per bambini, ma allora le cose erano diverse. Non avevamo iPod, cellulari, né tantomeno trecento canali TV.

    La sera, Mark ed io sedevamo sotto il vecchio ciliegio cresciuto in un angolo del nostro cortile e ci raccontavamo storie e bugie. Parlavamo di ragazze che ci piacevano e osservavamo i pipistrelli mangiare le falene che svolazzavano intorno ai lampioni.

    Avevamo sentito dire che, se lanciavi un sasso nel raggio d’azione del sonar di un pipistrello, quest'ultimo lo avrebbe seguito fino a terra, picchiando la testa e diventando scemo. Per settimane avevamo tentato senza successo, ma il divertimento stava tutto nel provarci.

    Un giorno di quella stessa estate, il padre di Mark perse il lavoro e la sua famiglia traslocò quasi immediatamente. Stare a guardare i pipistrelli che mangiavano falene era molto meno interessanti da soli, e persino se fossi riuscito a fregarne uno e a farlo schiantare a terra, non credevo che qualcuno mi avrebbe mai creduto.

    Dopo alcune settimane, sentii dire che un'altra famiglia era in procinto di trasferirsi al posto di Mark, ma non ci speravo. Il loro arrivo avrebbe rafforzato l'idea che il mio amico non sarebbe più tornato. In più, venivano dalla California. Alla metà degli anni settanta, poche cose erano più impopolari nell'area rurale di Washington di un californiano trapiantato. C'era una credenza ampiamente diffusa, secondo cui i californiani avevano già distrutto tutto ciò che di buono c'era nella loro terra e che adesso avrebbero invaso la nostra bucolica cittadina per fare qui la stessa cosa.

    Il giorno in cui giunse il furgone dei traslochi, mia madre e il mio patrigno stettero ad osservare tutto ciò che veniva scaricato e portato all'interno. Anch'io ero interessato, finché non vidi che non avevano figli della mia età. A quel punto, non me ne sarebbe potuto infischiare di meno. Più tardi nel pomeriggio, i nostri nuovi vicini emersero e passeggiarono nel giardino antistante alla loro nuova casa, strizzando gli occhi alla luce del sole. Il mio patrigno era un tipo socievole e attraversò il giardino per salutarli. Mi tenni in disparte nel vialetto, in osservazione, facendo finta di lavorare alla mia bici a dieci marce. Una donna imponente, Colleen, indossava una lunga e fluente mu-mu[3]. L'uomo, Walt, era più piccolo e fondamentalmente sulle sue. Colleen sembrava avere il controllo della conversazione, al punto che Walt parve non avere alcuna possibilità di aprire bocca.

    Ricordo Colleen che diceva quanto fosse contenta di essere lontana dallo sviluppo urbano incontrollato della California.

    L'avevo sentita dire al mio patrigno che era uscita fuori in precedenza e che, alla vista di un aereo che volava in cielo, aveva agitato un pugno nella sua direzione, dicendo Come osi seguirci fin qui, tu, vestigio di civiltà, in questa landa di isolamento culturale?

    E fu in quel momento che vidi per la prima volta Dawn Adele Welch. Uscì dalla casa in silenzio. Quando sentì parlare la madre, girò gli occhi, mi guardò, girò i tacchi

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