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Interferenze
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E-book327 pagine4 ore

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Info su questo ebook

Cosa succederebbe se all'improvviso comparissero sulla Terra ambasciatori del governatore della Galassia
con un messaggio dal quale dipende la sopravvivenza del genere umano?
Con la regia del Vaticano, scelto come rifugio di questi ambasciatori, la storia si dipana in un crescendo di colpi di scena.
Fantascienza? Spy Story? Tutto questo e qualcosa di più.
Stile veloce, piacevole. Vicenda intrigante, personaggi dipinti come in un grande affresco, e molti messaggi fra le righe.
Una miniera di pietre preziose. In alcune ci inciampi inattese. Altre sono velate. Altre ancora per scoprirle occorre un poco di acume.
Una lettura gustosa e divertente, che suggerisce qualche riflessione.
LinguaItaliano
Data di uscita27 giu 2017
ISBN9788892671928
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    Anteprima del libro

    Interferenze - Afs Zz3

    Zz3

    Capitolo 1

    Chi comanda qui?

    «Chi comanda qui? Dobbiamo parlare subito con chi comanda. Non avete tempo perdere».

    L’impatto iniziale, i primissimi momenti del poco tempo a disposizione, era stato studiato in ogni dettaglio. Lo consideravano molto importante per il successo dell’operazione. Per alcuni, addirittura fondamentale.

    Si erano sviluppate opinioni differenti, venendosi a creare due schieramenti: uno propositivo-collaborativo, che suggeriva l’uso di termini che potessero sollecitare la cooperazione, l’altro perentorio-imperativo, che proponeva espressioni verbali di tipo autoritario e forti. Infine, vista l’urgenza, quello del podio, che co-dirigeva la discussione in quel ciclo, suggerì di usare il modo interrogativo, spiegando a chi non lo conoscesse il significato di quella espressione, tipica di alcune civiltà.

    L’Assemblea decise dunque che il primo e basilare concetto da esprimere sarebbe stato in forma interrogativa. Il resto, cioè i contenuti e quel che ne seguiva, venne poi snobbato da tutti tranne che dagli Osservatori, ecologisti difensori delle specie aliene. Erano stati loro a scongiurare che fosse messa in atto la richiesta di alcuni sistemi della Confederazione. Avevano fatto un gran polverone su tutti i media, e costretto il Governatore a chiedere il parere dei Saggi. Questi avevano dato il responso che gli ecologisti attendevano, da lì la patata bollente era arrivata nel gran pentolone ellittico dell’Assemblea.

    Sicché la prima frase fu:

    «Chi comanda qui?»

    Il resto fu facile da assemblare, giacché si doveva ottenere un duplice obiettivo: far capire che il rapporto doveva essere a livello di vertice, e che il tempo a disposizione era poco. Dunque, i concetti successivi sarebbero stati: Dobbiamo parlare con chi comanda, e fottetevi a far presto.

    Dunque, l’intera frase ufficiale divenne: «Chi comanda qui? Dobbiamo parlare subito con colui che comanda. Non c’è tempo da perdere». Nell’atto pratico ognuno faceva quel che poteva.

    Erano le nove in punto ed il cardinal Nutoni, Segretario di Stato Vaticano, era già passato dallo studio per vedere i dispacci arrivati nella notte. Alle undici doveva essere all’aeroporto di Fiumicino, ma quello era un giorno speciale, l’anniversario del suo ordinamento sacerdotale, e come accadeva ogni anno, andava a pregare in San Pietro, inginocchiato a quel particolare altare. Stava uscendo dalla Basilica quando li scorse. Sembravano due monaci ma non riuscì a ricordare quale ordine avesse quelle strane tuniche. Alcuni minuti prima, mentre era lì raccolto in quell’intimo colloquio col suo spirito, aveva sentito una mano che lo tratteneva, come se gli suggerisse di non andare. Ed ora quella curiosa scena, quei due strani monaci attaccati addosso ad una guardia svizzera e ad un maresciallo dei carabinieri. Che stava accadendo?

    «Chi comanda qui? Dobbiamo parlare subito con chi comanda. Non avete tempo perdere». Ripetevano in coro, con insistenza, e con quella strana voce e quella ancor più strana pronuncia.

    Nel sentire quella insolita richiesta, il maresciallo Leonida Repetti e l’alabardiere Mark Shoenberg fissarono i due con sguardi diversi.

    Erano piccoli ed originali. Indossavano una tunica lunga che arrivava quasi a terra, e pareva emanare raggi di luce, non bianca, ma color latte. Con un curioso colletto rigido che s’alzava a mezza luna dietro, come volesse sostenere la nuca. L’incarnato dei due era olivastro, i capelli corvini. Uno li aveva corti corti, l’altro un pizzico più lunghi. I volti erano squadrati, senza età, anche se uno sembrava più giovane. Qualcuno aveva smussato un tantino gli spigoli.

    Il maresciallo Repetti, di piccoli e strani, ne aveva visti parecchi. Ma non capiva a quale ordine religioso appartenessero. Erano due rompipalle disgraziati che non meritavano nessuna attenzione. Si erano aggrappati alla sua giacca strillando, è vero. E come strillavano! Ma non avevano fatto nulla di male. Se non fosse arrivato lo svizzero, se ne sarebbe già liberato con uno scrollone. Invece quello, più alto di una spanna, con la sua uniforme a strisce gialle, rosse e blu, si era avvicinato chiedendo cosa stesse accadendo.

    Ed i due si erano divisi, con sincronia perfetta, come si fossero messi d’accordo prima, e avessero previsto l’arrivo in campo della guardia svizzera. Uno tirava per la manica il maresciallo, l’altro l’alabardiere.

    Erano a pochi passi dall’Arco delle Campane, varco strategico e sorvegliato assai bene dalle forze di polizia dei due Stati confinanti.

    Il cardinal Nutoni rimase bloccato e si attardò sui gradini più alti del sagrato. Era diretto proprio verso quel lato del colonnato. Un’auto lo aspettava all’ingresso del Petriano. Ma volle attendere e osservare.

    La scena, a vederla da una certa distanza, era inconsueta se non buffa. Due tipetti alti sì e no un metro e sessanta, con una curiosa tunica chiara, uno che tirava per la giacchetta un maresciallo dei carabinieri, l’altro che strattonava per la blusa una guardia pontificia. Li tiravano per portarli sotto il colonnato. Senza violenza, ma con sicura determinazione.

    I militari erano imbarazzati, non sapendo come fare per svincolarsi, né avevano la minima idea di usare la forza.

    Le tuniche dei due erano leggere, lasciavano intravvedere corpi minuti, braccia e gambicine scheletriche. Impossibile pensare che fossero armati o avessero intenzioni bellicose. E quel colore chiaro! Quello strano colletto! Di che ordine religioso erano? Sì, maresciallo e alabardiere furono costretti, controvoglia, a farsi trainare fino ad un angolo del colonnato, dove, finalmente, la presa alle giacchette fu mollata.

    Ed uno dei due riparlò, rivolto al maresciallo.

    «Chi comanda qui? Devo parlare subito con tuo capo. No tempo perdere. No hai». Disse.

    L’altro si mise davanti l’alabardiere e fece eco al compagno, ripetendo la stessa frase.

    «Chi comanda qui? Necessario parlare subito con chi comanda. Non avete tempo da perdere».

    Repetti e Shoemberg si guardarono indecisi. Il primo manifestò il suo pensiero con un gesto delle mani, per dire Che cacchio vogliono? L’altro, svizzeramente, si limitò ad inarcare le sopracciglia biondicce. Poi l’italiano e lo svizzero rivelarono quanto distanti fossero i loro mondi. Pronunciarono, una sola parola, ma completamente diversa.

    «Documenti!» Ordinò il maresciallo Repetti.

    «Perché?» Chiese l’alabardiere Shoemberg.

    I due piccoletti, che fino a quel momento si erano comportanti come fossero uno solo, misero in difficoltà i loro interlocutori confondendoli ancor più.

    Quello vicino a Repetti aprì la mano sinistra, che aveva solo tre dita oltre al pollice opponibile, e mostrò il palmo dove appariva una specie di striscia metallica sotto la pelle.

    L’altro vicino a Shoemberg rispose: «Ho messaggio importante da dare vostro capo. Decisivo per vostro destino».

    Mentre il cardinal Nutoni scendeva adagio adagio gli scalini del sagrato, proprio in direzione del gruppetto, l’alabardiere Shoemberg stava applicando la regola delle regole: se non sai cosa fare, fai decidere al tuo superiore.

    «Questi vengono con me!» Disse al maresciallo. Poi, rivolgendosi ai due, con ancor più decisione: «Voi, seguitemi!».

    Si incamminò ma non arrivò a quattro passi.

    «Oh! Oh! Fermi! Che state facendo?» Gridò il maresciallo. Non sapeva perché, ma qualcosa non quadrava. Aveva bisogno di riflettere.

    L’attimo di esitazione della guardia fu sufficiente a fargli trovare la soluzione. Se quello li voleva, dovevano essere importanti, ‘‘quindi’’ dovevano essere portati nel suo comando, non altrove.

    «No! Vengono con me!» Esclamò, correndo a mettersi fra i due e la guardia svizzera.

    Mark Shoemberg non poteva tollerare che la sua decisione fosse contestata. Da un maresciallo italiano, poi! Estrasse il fischietto dalla giubba e soffiò con quanto fiato aveva in corpo, e ce n’era tanto.

    Voleva chiamare in suo aiuto le altre guardie dell’Arco delle Campane, e ci riuscì in pieno. Ma quel fischio acuto e quell’accorrere delle uniformi più vistose del pianeta avevano destato l’attenzione anche dei colleghi di Repetti, poco distanti anch’essi.

    Nutoni era ormai ai piedi del sagrato, a pochi metri dalla scena, tanto che un carabiniere proveniente dalle sue spalle per poco non lo spinse a terra nel corrergli vicino.

    Il gruppetto era diventato una piccola folla con le guardie svizzere fronteggiate da un manipolo di carabinieri.

    Nella gran confusione, il cardinale sentì la guardia gridare deciso: «Questo è territorio della Città del Vaticano. Non dimenticatelo!» Ed il maresciallo replicare con vigore: «Piazza San Pietro è di competenza delle forze di polizia italiane!»

    I due soggetti che avevano causato tutto quel caos non facevano nulla. Se ne stavano lì fermi e tranquilli, come se aspettassero esattamente quel che stava per accadere. Non opposero alcuna resistenza quando furono afferrati e portati di peso, senza grandi difficoltà, uno nella guardiola al di là dell’Arco delle Campane, l’altro verso il furgoncino dei Carabinieri all’inizio di Via della Conciliazione.

    Piuttosto che niente, meglio piuttosto. Era stata la tacita, risolutiva e pacifica conclusione dei contendenti.

    Quando il cardinale si trovò sotto l’Arco, sebbene non avesse l’abito talare, fu subito riconosciuto e non ebbe difficoltà ad attraversarlo. Passò proprio davanti l’ingresso dello stanzino usato dalle guardie, dove l’alabardiere Mark Shoemberg aveva appena condotto quello strano ometto. Si fermò qualche istante, incerto se proseguire o entrare.

    Infine decise. O forse Qualcuno decise per lui.

    ‘‘No. Non andare!’’ disse a se stesso, seguendo quella stessa mano che qualche minuto prima lo aveva trattenuto mentre pregava.

    Non girò a sinistra verso l’auto che lo aspettava ma tornò alla Segreteria di Stato.

    Lo stanzino era piccolo e poco illuminato. Non sapeva perché, ma a Shoemberg veniva continuamente negli occhi l’immagine di quelle dita che quasi si toccavano, nell’affresco della Cappella Sistina. L’indice del Creatore che sfiorava quello di Adamo, ecco ... che c’entravano con quel tipetto? Se lo stava chiedendo, senza distogliere l’attenzione dall’angolo nel quale quello se ne stava tranquillo, quando sentì un rumore di passi, passi d’ufficiale, che s’avvicinavano in fretta. Il capitano di turno, Herr Damien Wilkman.

    Entrò. Qualche secondo per aggiustare la vista a quell’ambiente buio e scorse subito il buon Mark, del quale già conosceva la brillante intelligenza, e più in là, in un angolo, un omino con una stravagante tunica lattea. Pelle olivastra, capelli corvini, volto che a farlo con compasso e squadretta forse veniva meglio, tant’era ruvido. Wilkman stava cercando l’aggettivo giusto per descriverlo e imprimerlo nella sua mente quando la guardia lo distolse.

    «Tu! Fai vedere i tuoi documenti al capitano!» Ordinò, senza voler essere troppo brusco. Non ne aveva bisogno, gli aveva fatto quella domanda appena messo a terra, ed aveva visto la risposta.

    L’ometto alzò un poco il braccio sinistro, e mostrò il palmo della mano. Ma c’era poca luce ed il gesto perse gran parte dell’impatto che l’alabardiere avrebbe voluto.

    «Quindi?» Chiese il capitano.

    Mark fece cenno al tipo di avvicinarsi al suo superiore.

    Quello percorse i due metri e mezzo che lo separavano dall’uomo con calma, molta calma, continuando a tenere il braccio sinistro teso in avanti col palmo rivolto in alto. Quando fu sotto il capitano, che lo sovrastava, disse: «Vedi documenti», alzando il braccino affinché potesse essere visto meglio.

    Herr Wilkman non ebbe difficoltà di messa a fuoco, ma c’erano troppe cose che non quadravano. Quella striscetta di metallo argentato che si intravvedeva sotto la pelle e che sembrava pulsare, e qualcosa che mancava. Sì, il pollice insolitamente lungo, le altre dita anch’esse lunghe e nodose, ma erano tre e non quattro.

    Fece la somma di assurdità che aveva davanti, e liberò un’esclamazione di stupore.

    Mark aveva già superato quello stadio.

    «Di’ al signor Capitano quello che hai detto prima».

    L’ometto parlò ancora.

    «Chi comanda qui? Devo parlare subito con colui che comanda. Porto un messaggio da comunicare a vostro capo. Messaggio molto importante per il vostro destino».

    La voce era strana quanto il suo aspetto. Il capitano non poté dire dove e come fosse la stranezza, ma era decisamente strana. Decise che bisognava ricominciare daccapo, e certamente non lì.

    Aveva appena preso la cornetta del telefono interno per organizzare il trasferimento del soggetto, quando fu interrotto.

    Shoemberg spiegò l’accaduto ed il capitano ascoltò con attenzione.

    Dieci minuti dopo erano nel suo ufficio. L’ometto in piedi, davanti una imponente scrivania intarsiata. In quella stanza dalle pareti altissime, sembrava ancora più piccolo.

    Li aveva seguiti tranquillo, guardandosi attorno con enorme curiosità. Era stato fotografato, aveva poggiato le mani su una lastra di vetro luminoso, e quando una delle guardie gli si era avvicinato con qualcosa in mano, facendogli cenno di alzare le braccia, aveva sentito un leggero pizzicorìo in tutto il corpo, ma non aveva protestato. Nemmeno la striscetta che aveva nel palmo della mano aveva fatto scattare il minimo allarme, come fosse un film plastico.

    Finite quelle operazioni, e condotto davanti il capitano, se ne era rimasto fisso con gambe e busto, muovendo solo il capo a destra e sinistra, in alto e in basso, come se facesse centinaia, migliaia di fotografie mentali di quel posto. Pareva che lo stimolasse ogni cosa, anche la più minuta.

    Intanto l’ufficiale continuava a picchiettare sulla tastiera del computer. Il soggetto era un perfetto sconosciuto in tutti gli archivi accessibili dalla Città del Vaticano. La sua faccia non diceva nulla, le impronte digitali ancor meno, perché non ne aveva. Nulla, nulla di nulla.

    La clessidra del capitano si stava vuotando della pazienza che conteneva mentre la sabbiolina diventava sempre più alta, col passare dei minuti. E quello non manifestava nessun segno di nervosismo.

    Alla fine Damien Wilkman decise per il sistema ‘‘vecchia maniera’’.

    «Come ti chiami?» Chiese.

    Il soggetto rimase ancora qualche secondo su un particolare dell’affresco che copriva la parete di fronte alle finestre. Poi rivolse la sua attenzione al capitano. Ripeté quel che aveva già fatto nella guardiola buia, porse il palmo della mano sinistra e parlò.

    «Ecco documenti».

    Tenne lo sguardo fermo sul viso di Wilkman e decise che poteva essere più preciso. Porse in avanti il braccio sinistro col palmo in alto, dove c’era la striscetta sotto pelle, e lo mosse su e giù un paio di volte.

    «Ecco credenziali di Ambasciatore». Disse, semplicemente

    Don Ugo si meravigliò nel veder tornare il cardinale. Nutoni gli lesse in faccia l’espressione di sorpresa.

    «Ho cambiato programma» disse. «Avverti il ministro che non potrò essere presente a quell’inaugurazione. So che ci teneva, ma ci sono altre priorità».

    «Vuole che glielo passi?» Chiese il segretario.

    «No, fai tutto tu. Vorrei stare un po’ da solo. Chiamami solo se scoppia una guerra o ...» cercò una battuta e la trovò «... se sbarcano i marziani».

    Don Ugo sapeva che quello era un giorno speciale, ed anche se i cambi di programma erano molto rari, pensò di capire il motivo per cui voleva stare da solo. Anzi, in cuor suo ne fu lieto. Sorrise e si allontanò.

    A meno di un chilometro di distanza, nel Comando CC, Repetti era alle prese con l’altro ometto. Il maresciallo avrebbe voluto interrogarlo sul posto, ma nella camionetta di Via della Conciliazione c’erano già due olandesi ubriachi. Prese con sé l’appuntato Lanzillo ed in pochi minuti lo sconosciuto era nel suo ufficio della Compagnia.

    I colleghi li avevano guardati incuriositi, mentre attraversavano i vari corridoi. Ma il più interessato a quel che lo circondava era lui, il tipetto. Non riusciva a star fermo con la testa, volgendola un po’ qui, un po’ là.

    Ora, per la quarta volta il maresciallo chiedeva «Generalità?», e per la quarta volta quello placidamente porgeva il palmo della mano sinistra dicendo: «Questi miei documenti». Senza aggiungere altro.

    Il soggetto e Lanzillo erano seduti di fronte a Repetti, che s’era messo nel suo posto di comando, l’amata scrivania.

    Alla quinta richiesta ed alla quinta risposta, l’appuntato Lanzillo non riuscì a trattenersi.

    «Marescia’, si crede che siete una chiromante e vuole che gli leggete la mano!» Disse, sghignazzando.

    Toccò la mano del soggetto per avvicinarla a Repetti.

    «Su, bello, fagli leggere la mano al maresciallo!»

    Fu un lampo. Appena la toccò, dal palmo uscì un grande ventaglio di luce nel quale si materializzò una scena vivida e reale sulla scrivania. Era lo stesso soggetto che mostrava un foglio.

    Chiara, nitida, a tre dimensioni, col tipo nella sua tunica chiara in grandezza reale. Durò alcuni secondi, sospesa nell’aria, poi scomparve, rientrando in quel palmo di mano.

    Lanzillo dallo spavento fece un salto e si trascinò la sedia con gran fragore. Il maresciallo, per allontanarsi da quell’immagine improvvisa, che lo sovrastava, si fece indietro e sbatté la testa contro il muro, lanciando un urlo, mentre la fotografia del presidente della Repubblica dondolava minacciosamente.

    Il capitano Anselmi era nel corridoio con un amico. Sorpreso da quel trambusto, fece pochi passi e spalancò la porta dell’ufficio. Vide Lanzillo sul pavimento con le gambe all’aria, un tipetto dall’aria innocua, seduto che arrivava sì e no a toccare il pavimento con la punta delle scarpe, ed il maresciallo ancora in bilico sulla sedia che si massaggiava la nuca lamentandosi.

    «Min ... che botta!»

    «Che state combinando?» Chiese, cercando di capire qualcosa. Quel che vedeva non aveva senso.

    «Capità, Capità, venite venite». Farfugliò Repetti.

    Il capitano entrò, seguito dall’amico, e si avvicinò al maresciallo.

    «Hai pigliato una bella botta. Ti verrà un grosso bernoccolo». Disse, dopo avergli tastato il capo. Poi si rivolse all’appuntato che s’era appena alzato: «Vedi di procurarti un po’ d’acqua fresca, e del ghiaccio. E fai venire quei due medici che sono in giro, così gli danno un’occhiata».

    Mentre toccava la testa del maresciallo, osservò il tipetto seduto.

    «Stai meglio? Ti gira la testa? Chiamo un’ambulanza?» Chiese.

    Fece cenno all’amico che era rimasto vicino alla porta, indicandogli quell’ometto strano. L’uomo rispose con un’alzata di spalle per dire che la cosa non lo interessava.

    «No, signor Capitano, state tranquillo, una botterella. Con un po’ di ghiaccio passa subito». Fece Repetti.

    L’ometto non si era per nulla scomposto. Continuava a starsene seduto come se nulla fosse successo, e guardava tutti con curiosità.

    «E tu cosa c’hai da guardare?» Gli fece il capitano.

    Quello non rispose e non distolse lo sguardo neppure per una milionesima frazione di secondo.

    Fu il maresciallo ad intervenire.

    «Capità, forse è meglio se gli chiedete i documenti, e guardate cosa fa la sua mano».

    Anselmi non capì, ed il maresciallo raccontò per filo e per segno quel che era accaduto, dal battibecco con la guardia svizzera fino alla scena di poco prima. Il capitano ascoltò con attenzione ed infine si mise davanti al tipetto, che non s’era scomposto di una virgola.

    «Mi fai vedere le tue mani?»

    Quello, con calma, lentamente, senza cambiare espressione del viso, porse la mano sinistra tenendo il palmo rivolto in alto.

    «Questi miei documenti». Disse.

    La voce era strana. Il capitano era incerto se fosse più strana la voce o l’aspetto del tipo. L’amico si avvicinò, incuriosito anche lui.

    «Potrei sapere come ti chiami e da dove vieni?» Chiese ancora Anselmi.

    L’ometto spostò in alto il palmo.

    «Guarda credenziali». Disse, alzandosi e continuando a tenere il palmo rivolto in alto. Lo mosse un paio di volte in su, dando l’idea di voler far prendere il volo ad un invisibile uccello che vi fosse adagiato.

    Dalla striscetta comparve una scena grande e luminosa, proiettata nell’aria. Rappresentava lo stesso soggetto che teneva in mano qualcosa, una specie di foglio sul quale erano disegnati dei simboli. Dal foglio si materializzò a sua volta il busto di un uomo che doveva essere un pezzo grosso, molto grosso, con una corona che gli cingeva la fronte. Il solo aspetto incuteva timore.

    Quel busto parlò con voce tonante e disse: «Questi è mio ambasciatore. Porta un messaggio della massima importanza. Ascoltatelo ed abbiatene cura. Ogni minaccia od offesa a lui, è come fatta a me».

    La scena restò qualche secondo sospesa in aria, finché si ritirò da dove era venuta, e quello chiuse il pugno.

    Mentre i presenti erano ancora a bocca aperta, l’ometto tranquillamente aggiunse: «Ora sapete chi sono. Devo parlare subito con chi comanda».

    «E quello lì chi era?» Chiese il maresciallo Repetti, che era rimasto un poco meno sbigottito degli altri. La botta in testa l’aveva già presa.

    Quello voltò il capo verso di lui senza alcuna espressione.

    «Governatore Galassia». Rispose.

    Il silenzio che seguì durò parecchi secondi, e fu rotto da quello che stava con Anselmi. Era dei Servizi.

    «È il caso che faccio qualche telefonata». Disse, allontanandosi.

    Quando don Ugo si affacciò nello studio del cardinale aveva uno strano sorriso dipinto sul volto.

    «Cos’hai da fare quella faccia?» Chiese Nutoni. Voleva bene al suo segretario come ad un figlio.

    «Non ci crederete, eminenza, ma avete avuto una premonizione».

    Il Segretario di Stato lo fissò chiedendosi che volesse dire.

    «Sarebbe?»

    «Sono sbarcati i marziani, ed è richiesta la sua presenza».

    Due minuti dopo era nella sala di riunione delle guardie. Trovò il colonnello Swartz, comandante della Guardia Svizzera. Apprese che stavano arrivando il cardinale Renard, segretario del Sinodo dei Vescovi, e monsignor Saccabrini, segretario particolare del Papa. Era stato Swartz a suggerire a Wilkman di informare immediatamente le personalità più alte che fosse riuscito a trovare. La cosa andava affrontata subito, ed ai livelli più qualificati.

    Qualche antico muro più in là, Wilkman era alle prese col suo ospite.

    «Dove ha imparato l’italiano?» Gli stava chiedendo, mentre aspettava che lo chiamassero dalla sala, quando tutti fossero arrivati. Lui conosceva cinque lingue oltre alla sua, la domanda gli veniva dal cuore.

    «Vuoi comunico con tua lingua, tedesco?» Rispose l’ometto.

    Dissolse lo sguardo dalla scrivania intarsiata che stava osservando e fissò il capitano.

    «Vedo tu impaziente. Conducimi da chi comanda. Non avete tempo da perdere».

    Dette l’impressione di star lì a riflettere qualche secondo, come se volesse scegliere bene le parole successive, e continuò.

    «Messaggio è di smisurata importanza per vostro destino».

    Wilkman comprese che quello doveva conoscere assai bene il dizionario italiano, e voleva far credere di avere qualche problema con la sintassi. Ma perché fingeva di non sapere chi fosse a comandare, lì?

    «Non sa chi comanda qui, nella Città del Vaticano?» Chiese.

    «Habemus Papam. Magno cum gaudio, nunzio vobis. Correctum est? Vero?» Disse l’ometto con una certa enfasi.

    «Conosce anche il latino?»

    «Lingua questo luogo. Certo conosco. Cosa attendi ancora? Conduci me da chi comanda».

    «Stiamo organizzando un incontro ai massimi livelli, e vorrei garantirle che teniamo moltissimo alla sua sicurezza. Per questo preferiamo che resti qui. Fra poco parlerà con chi voleva incontrare. Non vuole anticiparmi nulla? Se non abbiamo tempo da perdere, forse se mi dicesse qualcosa

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