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Il "Genova": La quinta indagine del maresciallo Gatti
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E-book159 pagine2 ore

Il "Genova": La quinta indagine del maresciallo Gatti

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Info su questo ebook

Un’altra avvincente indagine del maresciallo Gatti. Un battello affondato con il suo segreto e la storia d’amore con Marta.

Il “Genova”.


Stresa settembre 1944.

Un altro difficile inverno, di guerra, si avvicina. La nascita inattesa della Repubblica dell’Ossola scalda i cuori aprendo, finalmente, la strada alla speranza. Ma la fame attanaglia lo stomaco ed annebbia la mente.

Gli Alleati sono molto lontani. La Repubblica di Salò ancora ben salda. Un inutile omicidio, l’affondamento di un battello e la sparizione di un tesoro maledetto renderanno durissima la vita al maresciallo Gatti, all’amico don Piero e a tutti gli uomini di buona volontà: Liberi e Forti.

Come sempre accade, nella vita, saranno le difficoltà più grandi ad obbligare il maresciallo Gatti a cercare dentro di sé il coraggio per dare una svolta, definitiva, alla storia d’amore con Marta.
LinguaItaliano
Data di uscita23 nov 2017
ISBN9788827522011
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    Anteprima del libro

    Il "Genova" - Alberto Salina

    49

    Alberto Salina

    Il Genova

    In copertina: Piroscafo, 1941.

    Alla memoria del mio amico Lino

    La morte di un amico, come la caduta di un albero gigante, lascia vuoto un pezzo di cielo.

    (Allen R. Foley)

    1

    Domenica 3 settembre 1944 Ore 3.30

    «Pronto? Pronto? Ma dove cazzo sei finito?» La voce potente del comandante del Genova, Lino Veronese, spaccò il silenzio della notte. Dall’altra parte del filo giunse la risposta roca di chi si è appena svegliato: «Lino… e non urlare come tuo solito! Mi sono appisolato, sulla sedia, intanto che aspettavo che tu mi chiamassi!» Il comandante scoppiò in una sonora risata: «Come al solito dormivi. Tutti uguali voi, equipaggi di acqua dolce!» Fece una breve pausa e riprese: «Allora? Te li posso portare i dolcetti?» Il telefono diede una violenta scarica di interferenza che costrinse i due uomini a staccare il ricevitore dall’orecchio ma la risposta arrivò quasi subito: «Sì! Sì! Manda pure, ho la conferma. Ti aspetto per le nove!» Il comandante non salutò nemmeno, appese la cornetta e fece un cenno affermativo a Don Piero che da qualche minuto sostava, fremente in piedi, di fronte alla scrivania. Il vecchio prete uscì a gambe levate dall’ufficio della capitaneria dell’imbarcadero e neanche due minuti dopo varcava la porta della chiesa parrocchiale. Il maresciallo Luca Gatti e il suo attendente Stefano Airoldi aspettavano, con impazienza, seduti nelle ultime file dei banchi della navata centrale, mescolati a quattordici ragazzini, dai tre agli undici anni, che immediatamente si alzarono in piedi. Don Piero, riprendendo fiato, disse: «Tutto a posto! Presto, ragazzi, prendete la vostra roba e seguitemi. Il comandante del Genova sta aspettando, vi imbarcherà tra circa quindici minuti. Voi dovrete restare sotto coperta per tutto il viaggio. Guai a voi se mettete fuori il naso. Sono stato Chiaro?» I bambini, con le facce assonate, stringendosi tra loro, risposero affermativamente. Misero in spalla i logori fagotti ed afferrarono le piccole valigie consunte. In fila per due, si posizionarono diligentemente davanti alla porta. A Luca quella scena straziava il cuore. Come piccoli soldatini, con i pantaloni corti, le giacchette di buona fattura ma ormai stropicciate e lacere, le scarpe sporche, lo sguardo serio e determinato, si aiutavano l’un l’altro con i bagagli. Don Piero continuò: «Quando arriverete a Luino, il comandante vi farà scendere. Sarete caricati su di un camion con il quale passerete il confine. I gendarmi svizzeri controlleranno, ma non abbiate paura, i documenti sono tutti già stati consegnati e sono in regola. Una volta passato il confine sarete portati in una scuola e poi alla vostra destinazione finale, nella Svizzera interna, fino a quando questo delirio non sarà finito. In questo modo sarete al sicuro. Tutto chiaro?» I bambini restarono in silenzio ma dopo alcuni secondi il più grandicello chiese: «E le nostre famiglie? Quando le potremo rivedere?» Luca e Stefano cercarono di resistere ma fu davvero difficile trattenere le lacrime. Don Piero gli carezzò con dolcezza la testa e rispose: «Non so bene quando potrà accadere. Ma i vostri genitori sono molto felici di sapere che sarete al sicuro.» Il bambino abbassò lo sguardo, strinse la mano al fratellino e si avviò verso l’uscita, seguito da tutti gli altri. La piccola colonna camminava guardinga, nel buio, sul lungolago. Stefano era corso avanti per vedere se la strada era libera mentre Luca e Don Piero guidavano la fila. Arrivati all’altezza dell’imbarcadero, il comandante del piroscafo e un marinaio si fecero loro incontro: «Ciao ragazzi. Bene arrivati. Presto, seguite quest’uomo del mio equipaggio. Vi farà salire a bordo e vi aiuterà a trovare una sistemazione comoda». I due carabinieri in cuor loro furono grati al comandante per il tono gentile che aveva utilizzato. Luca si inginocchiò ed abbracciò ad uno ad uno i bambini che, diligentemente ed in fila indiana, si allontanarono obbedendo all’ordine. Alzatosi, strinse la mano al Capitano e disse: «Grazie, Lino. Abbine cura.» L’uomo abbassò il capo e sorrise: «Tranquillo ci penso io! Arriveranno a destinazione sani e salvi!» I due carabinieri e don Piero attesero la partenza del piroscafo. Nel buio videro la grande sagoma scura del battello allontanarsi e restarono qualche secondo in silenzio. Fu quando si voltarono per tornare verso la Parrocchia, che sentirono scarrellare un fucile e una voce urlare: «Fermi tutti! Mani in alto!» Ai tre uomini gelò il sangue nelle vene. Dal buio sbucarono due individui con i fucili spianati: «Dove sono i bambini?» Luca restò pietrificato e rispose: «Marta, ma che cazzo fai?»

    2

    Domenica 3 settembre 1944 Ore 4.00

    La giovane donna fece un passo avanti, portandosi alla luce. Appoggiò la canna del fucile al petto di Luca e disse: «Che cazzo fate voi! Traditori!» I due carabinieri ed il vecchio parroco si guardarono perplessi poi il maresciallo, riguadagnato il sangue freddo, alzando le mani verso il cielo, disse: «Traditori? E per quale motivo? Se posso chiedere?» Marta, dopo un cenno di intesa con l’altro partigiano che la spalleggiava, rispose: «Avete fatto scappare quei ragazzini. È una settimana che li cerchiamo e li avevate voi!» Luca sorrise: «Beh, siete voi che pensate di essere svegli. Li avevate sotto il naso e non li avete visti. Capita!» Le guance di Marta diventarono rosso fuoco e spinse con ancora più forza la canna contro il petto del carabiniere: «Quei bambini ci servivano. Sono figli dei fascisti che stanno scappando come topi dall’Ossola. Se li avessimo noi li potremmo barattare con la consegna dei genitori. Avremmo catturato tutti quei bastardi!» Luca si fece serio, restò in silenzio qualche secondo e alla fine replicò: «Ma che cazzo dici Marta? I bambini sono bambini. Tedeschi, italiani, figli di fascisti o di comunisti. Tutti sono bambini e non sono degli oggetti che possono essere barattati. E poi barattati per cosa?» Fece una breve pausa e proseguì: «Ah… giusto, non ci avevo pensato! Per renderli orfani!» Le ultime parole gli si strozzarono in gola. La donna abbassò l’arma e singhiozzando rispose: «No Luca, non sono tutti uguali i bambini. Ci sono alcuni già orfani senza nemmeno sapere il perché. Ieri ad Ornavasso due uomini stavano tornando a casa, in bicicletta, dal lavoro. Era quasi mezzogiorno. Si chiamavano Emilio Zucchi e Angiolino Golzani. Non erano nemmeno armati. Alcuni fascisti o forse tedeschi, nessuno sa bene chi fossero, erano appostati sul ponte del torrente. Li hanno visti salire lungo la strada che conduce alla passerella e collega il paese a Candoglia. Li hanno falciati con dei colpi di fucile, senza alcun motivo e senza nessuna pietà. Solo per il fatto che stavano passando. Emilio ha lasciato tre bambini piccoli: Claudia, Maria Teresa e Roberto. Angiolino ne ha uno: Gian Vittorio, ma la moglie ne aspetta un altro per la primavera.» Si asciugò le lacrime e continuò: «Cosa racconteremo a questi bambini quando saranno grandi? Che non siamo neanche riusciti a catturare chi ha ammazzato loro i genitori? E, soprattutto, perché lo hanno fatto?» Luca sospirò, abbassò le mani spostando la canna del fucile, abbracciò Marta e la strinse forte. Don Piero, dopo un lungo silenzio, esclamò: «Morte chiama morte. O riusciremo a perdonare oppure la pace non arriverà mai e i morti di Ornavasso saranno solo alcuni di una serie infinita!» Marta spinse lontano il maresciallo, liberandosi dall’abbraccio; con la voce che quasi vibrava dalla rabbia rispose: «No! Caro prete! Questa volta non mi freghi. Sono loro che hanno cominciato e sono loro che moriranno! Tutti! Uno per uno! Li prenderemo e li ammazzeremo! Ti do la mia parola che li prenderemo tutti!» Riprese fiato e terminò: «Ne ho le palle piene del buonismo della vostra chiesa. Siamo tutti fratelli, bisogna porgere l’altra guancia! L’altra guancia un cazzo! Adesso facciamo come diciamo noi! E se vi metterete in mezzo ammazziamo anche voi! L’onda lunga della rivoluzione sta arrivando e sarà una rivoluzione rossa! Rossa per gli ideali comunisti e rossa di sangue! Il sangue dei fascisti!» Detto questo, si allontanò camminando velocemente, seguita dal partigiano che era con lei, nel buio, senza aggiungere una sola parola. Luca, Stefano e don Piero restarono in silenzio, immobili, come statue. Le parole di Marta, pronunciate con un odio profondo, erano entrate nell’anima dei tre uomini gettandoli nello sconforto più assoluto. Il maresciallo, rientrato a casa si sdraiò sul letto senza accendere nemmeno una candela. Non aveva voglia di pensare più a nulla, si sentiva svuotato. Nel silenzio della notte, si tirò il cuscino sopra la faccia e finalmente poté sciogliersi in un pianto silenzioso e liberatorio.

    3

    Lunedì 4 settembre 1944 Ore 10.00

    Luca arrivò in ufficio molto tardi. Malgrado la stanchezza non era riuscito a prendere sonno. Le dure parole e lo sguardo di odio negli occhi di Marta non lo avevano abbandonato un solo minuto. Verso l’alba era riuscito ad appisolarsi. Ma di un sonno agitato e doloroso. Stefano Airoldi, seduto alla scrivania, non stava meglio. I visi tirati, la barba di qualche giorno e le divise sgualcite davano l’idea, precisa, dello stato d’animo dei due uomini. Luca si avvicinò alla finestra. Sembrava che anche la giornata si fosse adeguata. Malgrado la stagione ancora calda, di fine estate, le basse nuvole creavano una cappa grigia sul cielo del lago immobile e grigio pure lui. Luca aprì la finestra e prese un lungo respiro. Quando la richiuse, chiese a Stefano: «Hai interrogato tutti per la morte del Ginetto?» Il maresciallo si riferiva ad un episodio davvero strano. Qualche giorno prima era stato trovato morto il Ginetto, un ladruncolo di Stresa, famoso perché si faceva chiamare il Conte millantando discendenze di sangue blu. A sentire i testimoni pare fosse stato ucciso da due uomini armati, a scopo di rapina. Gli avevano infatti portato via una borsa che il ragazzo portava con sé. A tutti era parso strano in quanto del ragazzo si poteva dire tutto, ma che avesse qualcosa per cui valesse la pena essere rapinato certo no. I testimoni però concordavano che l’obiettivo degli assassini era quella borsa e su come il Ginetto avesse tentato di resistere, fino alla morte, per tenersela stretta. L’attendente rispose: «Sì, maresciallo, tutti. Ma non ne ho ricavato un ragno dal buco.» Prese alcuni fogli da un cassetto della scrivania e lesse ad alta voce i dettagli delle deposizioni. Luca restò colpito dalla descrizione dell’auto da cui erano scesi i killer. Per tutti i testimoni: «Semidistrutta… un miracolo che ancora camminasse!» Oltre ad una più che dettagliata descrizione dei pezzi mancanti. Luca rifletté come le persone fossero state più attente alle ammaccature dell’auto che non agli assassini. Pensò che forse la mente umana, in un meccanismo di autodifesa, cerca di dirigere l’attenzione su cose meno importanti per distogliersi e salvarsi dall’orrore. Bussarono alla porta. Il maresciallo si voltò verso Stefano con uno sguardo interrogativo. L’attendente allargò le braccia come a dire " non ho idea di chi possa essere

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