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Io sono Walid
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E-book228 pagine3 ore

Io sono Walid

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Info su questo ebook

Walid si trova a divincolarsi nella complessa trama del destino, durante il viaggio che lo porterà lontano dalla sua usurata e disordinata terra natale, in compagnia dei suoi fantasmi, che non lo hanno mai abbandonato davvero. Si troverà inghiottito nella violenta realtà che ha sempre vissuto da spettatore passivo, tra sofferenza ma anche amicizia e speranza. Il destino di Walid è il mio ed è anche il tuo che, leggendo questo racconto, troverai sicuramente qualcosa che ti appartiene.
LinguaItaliano
Data di uscita21 set 2017
ISBN9788826494197
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    Anteprima del libro

    Io sono Walid - Luca De Feo

    arabo)

    ULTIMA NOTTE

    Il ticchettio del vecchio orologio da parete non era certo un alleato per Walid, non lo aiutava a prendere sonno ed accompagnava all'unisono il battito del suo cuore. Il ghibli, tipico di quel periodo primaverile, aveva da poco iniziato a soffiare, palesandosi attraverso il tremolio delle imposte ed intrufolandosi nella piccola stanza da sotto la porta, come un ospite indesiderato. Le poche ore di sonno a disposizione stavano rapidamente svanendo; Walid era sopraffatto dai pensieri ed aveva dormito molto poco. Non l'avrebbe svegliato la luce del giorno ma la voce tremolante di suo nonno Ahmed, con il quale viveva da anni in quella modesta e piccola casa a Tobruk, cittadina portuale sita nella parte nord orientale della Cirenaica.

    Il padre di Walid, Maghdi, era morto durante la guerra civile del 2011. Faceva parte del Consiglio Nazionale di Transizione ed era un militare dell'esercito libico, nonché uno dei trentuno membri della coalizione anti Gheddafi. Durante gli scontri fu colpito a morte da un militare semplice che, insieme ad altri rimasti fedeli al Rais, non accettava la posizione assunta da Maghdi durante la rivoluzione.

    Walid non aveva mai conosciuto sua madre, era fuggita da Tobruk quando lui era molto piccolo. Non seppe mai il vero motivo, dato che suo padre evitava sempre di parlarne e quando lo faceva, i suoi occhi diventavano lucidi, come ad evocare un ricordo struggente.

    Walid era un ragazzo di ventinove anni, alto, magro e dalla carnagione olivastra. Nel 2010 aveva conseguito una laurea in economia presso l'Università di Bengasi ma in Libia, le opportunità lavorative erano pressoché nulle, soprattutto a causa degli eventi socio-politici degli ultimi anni.

    Ahmed si avvicinò a suo nipote che, seduto sul letto, si stropicciava gli occhi stanchi e doloranti; posò la mano sinistra sulla sua spalla, mentre la destra gli porgeva una vecchia e voluminosa busta ingiallita, contenente ottomila dinari (l'equivalente di circa cinquemila euro). Quei soldi sarebbero serviti a Walid, una volta giunto al porto di Bengasi. Purtroppo non esistevano grandi alternative e nessuno faceva sconti laggiù. Erano buona parte dei risparmi di una vita del vecchio Ahmed, guadagnati negli anni facendo corde ed intrecciando lo sparto e più recentemente grazie al suo piccolo gregge di capre, che aveva dovuto sacrificare quasi completamente per ottenere quel denaro. Walid ultimamente si sentiva in debito nei confronti del nonno, che faceva il possibile e l'impossibile, per dargli la serenità necessaria per affrontare il futuro e lasciare alle spalle quanto accaduto recentemente alla sua famiglia. Quella notte avrebbe dovuto abbracciare Ahmed forse per l'ultima volta; il suo viaggio stava per iniziare e ad accompagnarlo fino al porto di Bengasi, sarebbe stato l'amico d'infanzia Djamal, che per lui era come un fratello. Walid lo aveva conosciuto quando erano entrambi molto piccoli e dopo tanti anni i due erano molto legati. Djamal, a Tobruk, provava a mantenersi facendo lavoretti saltuari ed improvvisandosi tassista. Quella notte, a bordo della sua vecchia Peugeot, sarebbe iniziato il viaggio di suo fratello Walid.

    INIZIA IL VIAGGIO

    Walid non avrebbe mai voluto scappare abbandonando i suoi affetti ed il suo paese natale ma per rincorrere il sogno di una vita migliore, era stato costretto a farlo. La Libia, oltre a non poter offrire un lavoro ed un futuro, era martoriata da violenza e sangue e quella situazione non faceva altro che logorarlo. La seconda guerra civile, iniziata nel 2014, vedeva coinvolti i governi di Tripoli e Tobruk, pertanto la città natale di Walid era particolarmente pericolosa e lasciarla di notte, sarebbe stata la scelta più saggia.

    La vecchia Peugeot 406 procedeva spedita, come rapido era il susseguirsi dei pensieri nella testa di Walid, che si stava lasciando tutto alle spalle, senza sapere cosa avrebbe trovato e se mai sarebbe tornato a casa. Nella mente era già indelebile il ricordo delle parole di incoraggiamento di suo nonno Ahmed ed il loro lungo abbraccio dal sapore di addio; davanti agli occhi scorrevano quelle case, quei lampioni accesi, quegli scorci che aveva visto decine di volte, percorrendo la strada per Bengasi. Si udiva in lontananza qualche sirena, come a ricordare che il silenzio della notte, era solo un isolato attimo di tranquillità, in quel paese in preda al disordine e senza più una sua identità. Gli ultimi avvenimenti, tra i quali l'uccisione dell'ambasciatore americano Stevens a Bengasi, avevano portato ulteriore caos e violenza e questo non faceva altro che accrescere le preoccupazioni e le difficoltà.

    Djamal era di poche parole. Walid di tanto in tanto lo osservava e lo conosceva talmente bene, da capire che quel silenzio non fosse una cosa normale. L'abitacolo dell'auto era pervaso da scricchiolii e la radio era stranamente spenta; cosa del tutto inusuale, dato che il tassista libico adorava ascoltare musica, soprattutto durante i lunghi viaggi. Senza accorgersene, Walid si assopì. Le ore trascorsero silenti ed il giovane libico, svegliato da una brusca sterzata, aprì gli occhi a fatica, rendendosi conto di essere al porto di Bengasi. La banchina deserta era illuminata solo dalla fioca e debole luce rossastra dell'alba ed una leggera brezza, portava un gradevole odore di salsedine.

    Nel frattempo era arrivato Fuad, amico di Djamal, che li avrebbe condotti al motoscafo in partenza per la Sicilia. Fuad era un ragazzo silenzioso, Walid lo aveva incontrato decine di volte negli ultimi anni e nonostante sapesse poco di lui, lo stimava e rispettava. Il proprietario dell'imbarcazione si chiamava Cosimo, un italiano che aveva ormai fatto di questa attività clandestina, un vero e proprio lavoro. Non si trattava quindi di un viaggio a bordo di una chiatta ma di una traversata su di una piccola ma potente imbarcazione, in compagnia di altri pochi passeggeri che, come Walid, avrebbero dovuto pagare allo scafista quattromila dinari (circa duemilacinquecento euro).

    Questo tipo di business era molto diffuso anche in Turchia ed in Grecia; gli attracchi avvenivano sulle coste italiane, soprattutto nel porto di Otranto, con accortezza ed evitando le forze dell'ordine. A bordo delle imbarcazioni decine di siriani, egiziani, iracheni, libici, proseguivano poi il loro viaggio percorrendo centinaia di chilometri via terra. Cosimo era tra i pochi italiani che si erano avventurati sulle sanguinose coste libiche ma si diceva avesse i contatti giusti e fosse immune ai controlli della Polizia e della Guardia Costiera.

    Walid si sentiva in colpa, pensando a tutti quei disperati, bambini compresi, che erano costretti a viaggiare in condizioni disumane, stipati, senza viveri, pagando agli scafisti cifre folli, senza neppure avere la certezza di arrivare vivi alla fine di quella traversata disperata.

    Djamal prese dal baule dell'auto lo zaino di Walid ed infilò una busta nella tasca esterna, accertandosi che l'amico non lo vedesse. Il breve tragitto verso il punto di attracco sembrò durare un'eternità, dato che Walid era consapevole fosse imminente il momento dei saluti; i due amici erano ben coscienti che sarebbe potuto essere un addio ma non volevano palesare questo pensiero. Una stretta di mano prima ed un abbraccio poi, racchiudevano tutta la malinconia possibile ma anche la sincera gioia provata da un vero amico che, nel suo piccolo, contribuisce alla realizzazione di un sogno.

    Il viaggio di Walid diveniva finalmente realtà.

    PENSIERI E PAROLE

    Il motore, con il suo crescente borbottio, spingeva il motoscafo verso il mare aperto. Djamal e Fuad erano sempre più lontani e sembravano due anonimi puntini all'orizzonte. Lo sguardo malinconico di Walid si era spostato sulla candida striscia di schiuma lasciata dalla barca; i pensieri erano intensi come il fruscio dell'acqua ed il vento non riusciva a seccare i suoi occhi intrisi di lacrime. Continuava a ripetersi che quella fosse la cosa più giusta da fare ma le immagini della sua vita lo pervadevano insistenti e non lo abbandonavano.

    Sulla barca con lui viaggiavano altri sette passeggeri, una famiglia di quattro persone, una giovane coppia ed un anziano uomo. La famiglia era composta da padre, madre, un bambino sui dieci anni ed una giovane e graziosa ragazza. Il loro volto era provato e stanco. Il bimbo tentava di dormire fra le braccia della madre, che premurosamente gli accarezzava i capelli neri. Il padre, con sguardo assente, fissava il pavimento con la testa tra le mani. La figlia sarebbe potuta essere coetanea di Walid, lui rimase subito colpito da quegli occhi scuri e quel viso angelico, che sbucava dallo hijab color porpora.

    La ragazza aveva sulle labbra un sorriso appena accennato e non smetteva di fissare l'orizzonte, immersa a sua volta in mille pensieri.

    La giovane coppia si teneva per mano, stretta in un abbraccio affettuoso, mentre l'anziano, seduto in disparte, poggiava il mento sul dorso delle mani, che stringevano un bastone di legno. Il suo viso era scalfito dai segni del tempo, rughe profonde marcavano la fronte ed una folta barba bianca, nascondeva la bocca ed il collo.

    Il silenzio era ciò che accomunava l'intero equipaggio. Walid, da persona estroversa quale era, aveva voglia di approfondire la conoscenza dei suoi compagni di viaggio ma era sicuro che il momento fosse inopportuno. Parlare l'avrebbe alleggerito ed aiutato ad abituarsi a quel cambiamento perciò ne sentiva l'assoluta necessità.

    Quella traversata sarebbe durata diverse ore, il motoscafo era potente ma il mare non era propriamente calmo e ciò ne rallentava la marcia. Cosimo percorreva ormai da anni quella tratta tra l'Italia ed il continente africano e raccontò a Walid che si sarebbero potute vedere cose spiacevoli. Il racconto dello scafista era inconcludente e confuso ma il giovane libico capì che quelle acque erano molto pericolose e crudeli.

    Mentre Walid stava raccontando della sua Tobruk, l'attenzione della giovane ragazza fu attratta dalle sue parole, tanto da invogliarla ad interromperlo. Si presentò, si chiamava Farida, nome arabo che significa perla rara, aveva venticinque anni ed anche lei si era appena laureata in filosofia, presso l'università di Beida. Mentre raccontava della passione per lo studio, il suo viso si illuminò. Aveva un sorriso magnetico e Walid ne rimase attratto da subito. Disse di essere stata spesso a Tobruk, dove viveva il nonno materno e di essere molto triste, perché costretta ad abbandonare tutti i suoi amici e ricordi, nonché l'amata Beida, sua città natale. Walid e Farida oltre a condividere i luoghi di infanzia, avevano in comune quel lato caratteriale tanto estroverso da farli sentire in sintonia da subito, quasi si conoscessero da sempre. Parlarono della loro vita, dei loro gusti personali, del loro percorso di studi e soprattutto dei loro sogni. Era proprio il sogno di una vita migliore ad accomunarli maggiormente e la curiosità mista a timore, per quello che avrebbe potuto riservare loro il futuro.

    Farida e la sua famiglia non sarebbero stati soli in Europa, la meta del loro viaggio era il nord Italia, Milano nella fattispecie. In quella città viveva da anni Faisal, fratello maggiore della giovane, che era sposato con una ragazza italiana ed era da poco diventato padre; aveva un lavoro fisso come dipendente di una piccola azienda e si era stabilito dieci anni prima nel capoluogo lombardo. Al tempo, in Libia, era in piena attività la dittatura di Gheddafi ed il paese era molto diverso e non abbastanza valido per un giovane come lui, che voleva dare un indirizzo concreto al proprio futuro, sentendosi davvero libero.

    Anche Walid era attratto dall'Italia, l'aveva sempre vista in televisione ed i racconti che aveva sentito erano tantissimi. L'Italia era il Belpaese, luogo di cultura, ottimo cibo, stupendi paesaggi, ed eccelleva da sempre in ogni ambito. Milano, poi, era la più europea delle città dello stivale e se la ricordava per le sfilate di moda e per il calcio, sport che lo aveva sempre appassionato.

    Le chiacchiere tra i due ragazzi divennero copiose, come incontrollabile era ormai il tono delle loro voci, tanto alto da sovrastare il rumore del motore. Il vecchio uomo, con due colpi di bastone sul pavimento, li ammonì, pregandoli di fare meno rumore e facendo loro capire di essere felice per l'imminente attracco. Walid e Farida, un po’ stupiti, si scambiarono un sorriso complice ed iniziarono in silenzio a scrutare l'orizzonte.

    TRA TERRA E MARE

    Walid era molto stanco e senza accorgersene si era appisolato. Farida lo svegliò improvvisamente, chiamandolo con voce preoccupata, essendosi accorta della presenza di un enorme barcone non molto distante dalla loro rotta. Procedendo, la chiatta si avvicinava sempre più ed a bordo erano visibili decine di persone di tutte le età, donne, bambini, uomini giovani ed anziani, stremati e sofferenti, stipati in quello che era evidente fosse uno spazio insufficiente per tutti. Si udiva in lontananza il pianto insistente di un bambino, al quale si unirono delle urla, a tratti incomprensibili a causa del rumore del motore. L'immagine era sempre più nitida, come angosciante era la sensazione che trasmetteva a Walid, Farida ed al resto dei passeggeri. Cosimo dava l'impressione di non volersi curare di quel barcone e delle sue grida, come se ne fosse intimorito ed eccessivamente infastidito. Il motore saliva di giri e la velocità raggiunta era inusuale, tanto da preoccupare i due giovani libici, che si strinsero in un abbraccio per farsi coraggio.

    A tutti era ben nota quella realtà e nessuno era particolarmente meravigliato da quello che aveva appena visto ma le sensazioni provate, trovandosi faccia a faccia con quella disperazione, non erano facilmente descrivibili. L'anziano uomo scuoteva continuamente la testa, tenendola chinata in modo innaturale, per nasconderla tra le ginocchia.

    Anche il padre di Farida, Khaled, aveva gli occhi lucidi, mentre sua moglie Afef stringeva al petto Hakeem, il secondogenito, tenendogli una mano sugli occhi, per far sì che non vedesse oltre. Cosimo era concentrato sulla guida e manteneva un atteggiamento freddo e distaccato. Dalla sua bocca uscirono solo imprecazioni e poche notizie in merito all'imminente attracco.

    Il motore cominciava a divenire meno rumoroso e si udiva il fruscio dell'acqua lambita dallo scafo, che procedeva a velocità ormai ridotta. Era evidente che la traversata volgesse al termine. Cominciavano ad intravedersi il porto, le luci che ne delineavano la banchina ed alcuni mercantili color rosso fuoco. Sullo sfondo, celata da qualche nuvola, la cima del vulcano Etna dava a quella cornice un aspetto meno aspro. Il porto di Augusta non era paesaggisticamente piacevole ma per Walid, in quel momento, era il posto più bello del mondo. L'immagine triste di quel barcone si era fatta meno insistente, e la grande malinconia stava cedendo il passo alla voglia di rivincita.

    LONTANO DAL CUORE

    Mentre tutti si preparavano a scendere dall'imbarcazione, lo sguardo di Walid incontrò quello di Farida. Era uno sguardo malinconico, di chi sta provando una strana sensazione di prematura nostalgia. I due ragazzi con molta probabilità non si sarebbero più rivisti e questo pensiero li turbava.

    I genitori di Farida si allontanarono in modo discreto, per lasciare spazio alla figlia ed ai suoi saluti.

    Gli occhi della giovane libica si riempirono di lacrime. Si avvicinò lentamente a Walid, facendo il possibile per nascondere la commozione e lo coinvolse in un abbraccio profondo, noncurante dello sguardo severo di suo padre Khaled.

    Quel gesto d'affetto prese alla sprovvista il giovane migrante, che aveva sperato in un epilogo simile. Farida gli confessò che sentiva si sarebbero rivisti presto, avvertiva quella sensazione ed aveva la necessità di assecondarla, per rendere meno difficile la loro separazione. Si guardarono per l'ultima volta e si salutarono, prima di allontanarsi.

    A Walid mancavano già quegli occhi profondi e quello splendido sorriso, tanto da farlo sentire ancora più smarrito. Una volta perso il contatto visivo con Farida e la sua famiglia, l'attenzione del ragazzo si spostò sull'anziano e scorbutico uomo, che aveva assistito in silenzio ed era ancora lì, poco distante, appoggiato al suo bastone e con lo sguardo perso nel vuoto.

    Walid era un clandestino ed il primo problema per lui era trovare del cibo ed un posto dove passare la prima notte in Sicilia, prima di riordinare le idee e proseguire il viaggio. Mentre il ragazzo era

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