Schegge: Storie di vita vittoriana
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Un insieme di contraddizioni che il libro ci fa guardare come da uno spiraglio della porta.
Schegge… frammenti che, come tessere di un mosaico, vanno a comporre un quadro e, nel contempo, l’atmosfera di un'epoca.
Una strana seduta di spiritismo, molto in voga a quei tempi. La morte, in un certo senso, ci accompagnerà, con fare indolente, alla ferrovia “London Necropolis” dove i vivi viaggiano insieme ai morti; o assisteremo all’ultima foto di famiglia o, ancora, ascolteremo una strana lettura di giornale. Giovani donne si piegheranno apparentemente ai dettami della società, che, però, alla fine riusciranno a ingannare. I corvi che stanno a guardia della corona e della Torre, il Piccolo Popolo, le fairies, faranno la loro comparsa come nelle storie che le bambinaie raccontavano ai bambini e altre storie dimenticate prenderanno vita.
Sono schegge del tempo. Di cui ci restano gli echi che a noi possono sembrare strani, romantici, gotici, ma che hanno il profumo delle cose perdute come un fiore reciso che troviamo imprigionato fra le pagine di un libro e che al contatto delle mani si disfa in polvere.
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Anteprima del libro
Schegge - Floreana Nativo
Schegge
Storie di vita vittoriana
di Floreana Nativo
Panda Edizioni
ISBN 9788893782548
© 2021 Panda Edizioni
www.pandaedizioni.it
info@pandaedizioni.it
Illustrazione di copertina: Corrado Roi
Proprietà riservata. Nessuna parte del presente libro può essere riprodotta, memorizzata, fotocopiata o riprodotta altrimenti senza il consenso scritto dell'editore. Nomi e marchi citati nel testo sono generalmente depositati o registrati dalle rispettive ditte produttrici o detentrici.
I fatti e i personaggi rappresentati nella seguente opera, nonché i nomi e i dialoghi ivi contenuti, sono unicamente frutto dell'immaginazione e della libera espressione artistica dell'Autore.
Ogni similitudine, riferimento o identificazione con fatti, persone, nomi o luoghi reali è puramente casuale e non intenzionale.
LONDRA
Eppure ti amo.
Anche se nel tempo sei dispersa
Un’immagine antica che più non corrisponde.
Il fiume e le sue coltri di nebbia
che, a banchi, occupavano i vicoli
giallastri, umidi.
Bambini venduti per un soldo,
la fatica nelle miniere di chi trascina i carrelli,
vecchie ragazze che si prostituiscono,
marinai, soldati, assassini,
l’umanità che vive.
Passanti frettolosi nelle strade,
carrozze al passo nei parchi.
Signore e fanciulle in mostra nel verde,
con l’ombrellino aperto a riparo
della carnagione chiara e luminosa.
I tè nelle case, i sussurri celati da un ventaglio
e il fazzoletto ricamato che cade per un approccio.
Eri il centro del mondo con il tuo impero
e Vittoria, come una vecchia nonna,
censurava il libero pensiero e il diverso
.
Adesso sei cambiata, anche se, nei vecchi ricordi
rispunti in una fotografia ormai ingiallita.
PREFAZIONE
Per epoca vittoriana si intende il periodo compreso fra la salita al trono della regina Vittoria (1837) e la sua morte (1901).
Vittoria divenne regina giovanissima, a diciotto anni. Nei primi anni si lasciò influenzare dal Primo Ministro Lord Melbourne fino al matrimonio nel 1840 con suo cugino Alberto, principe di Sassonia.
Il periodo vittoriano fu caratterizzato da una stabilità economica del Paese che non corrispondeva, all'interno, con il divario fra le classi ricche e povere. L’impiego di minori nelle fabbriche, nelle miniere rispecchiava la mentalità per cui, nelle famiglie disagiate, i figli erano di proprietà dei genitori e potevano essere venduti ai datori di lavoro. Altro segno del tempo era dato dalla prigione per debiti, per chi non riusciva a saldare i propri creditori.
Ricordiamo che anche il padre dello scrittore Charles Dickens fu messo in prigione per tale motivo e lo scrittore, a dodici anni, fu costretto a lavorare in una fabbrica di lucido per scarpe.
I poveri potevano finire anche nelle Workhouse, dette anche Abbazie dei poveri, dove, in cambio di vitto e alloggio, erano costretti a un duro lavoro senza poter uscire.
Altri elementi negativi erano dati dalle frequenti epidemie di colera dovute alla vicinanza delle fogne con il percorso dell’acqua potabile e con le fontanelle da cui i cittadini si rifornivano. Epidemie che causavano un numero infinito di decessi, con il relativo problema delle inumazioni nei cimiteri ormai saturi. Stiamo parlando di un’epoca in cui la divulgazione scientifica di oggi era ancora un miraggio e si supponeva che le malattie si diffondessero per i cattivi odori (miasmi) e non per germi o batteri.
Forse per questa continua vicinanza con la morte, lo spiritismo era molto diffuso nei salotti bene della città, ma anche nei quartieri più poveri. D'altronde i fantasmi sono sempre stati abituali frequentatori dei castelli inglesi e le persone non hanno mai dimenticato il piccolo popolo
, cioè gli abitanti fatati che prima risiedevano in Gran Bretagna.
È stata un’epoca fertile d’invenzioni, un esempio è dato dalla rivoluzione industriale che ne derivò.
Il principe Alberto, malvisto perché straniero
, si riscattò nell’opinione dei suoi sudditi con la Grande esposizione universale di Londra del 1851 che ebbe una risonanza mondiale.
Dal punto di vista culturale il neo gotico fu adottato nell’architettura dei palazzi, la corrente dei preraffaelliti iniziò a farsi conoscere e la fotografia divenne artistica con autori come Lewis Carol (pseudonimo di Charles Dodgson), un prete anglicano più conosciuto grazie al libro Alice nel paese delle Meraviglie
.
Nonostante la notorietà letteraria, la prigione per omosessualità non fu risparmiata allo scrittore Oscar Wilde. Il suo vizio
era stato tollerato fino a quando non era nata una relazione con un ragazzo di ceto superiore, scatenando le ire della famiglia di appartenenza. L’omosessualità femminile, più nascosta e strisciante, di solito era ben tollerata a meno che non venissero evidenziati travestitismi.
In questi racconti ho messo insieme dei flash, delle schegge di vita vittoriana, alcuni con agganci reali, altri totalmente di fantasia cercando, soprattutto, di far rivivere l’atmosfera di quel periodo pieno di contraddizioni, ma fondamentale nella storia inglese.
RITORNI
Immagine47La ragazza percorse tutta la lunga linea del pontile e si fermò all’estremità. Poggiò la sua valigia e sopra vi mise la gabbia con dentro la taccola che chinò il capo obliquamente per guardarla e poi iniziò a emettere dei suoni che a volte imitavano le parole, ma che erano prive di significato.
Il suo Tac, tac, tac
rompeva il silenzio dell’aria e Mina spazientita la coprì con un velo bianco che tolse dalla borsa. Si guardò intorno. Il paesaggio che aveva innanzi era di un verde compatto e uniforme, con i boschi che declinavano fino alla sponda del lago.
La casa che l’avrebbe accolta doveva essere lì, da qualche parte nella collina di fronte, celata forse dagli alberi. Spostò il peso da un piede all’altro. Una nebbia leggera aleggiava sul pelo dell’acqua. Ripensandoci non sapeva nulla del posto nel quale era diretta, ricordava solo le parole di Milady cui era stata affidata alla morte dei suoi.
«Fra poco non sarai più una ragazzina, devi essere preparata.»
«Preparata a cosa?» aveva chiesto lei, ma Milady aveva voltato le spalle e iniziato a prepararle la valigia.
Così, dopo un lungo percorso in carrozza, il conducente l’aveva scaricata davanti al pontile, aveva girato i cavalli scomparendo all’orizzonte, lasciandola da sola in quel posto sconosciuto.
Della sua meta sapeva solo poche cose che aveva intuito ed elaborato dalle parole di Milady e poi del cocchiere. Era una casa governata da una direttrice molto preparata, riservata solo a poche fanciulle. Non molto in verità.
Adesso il sole creava dei riflessi dorati sulla superficie dell’acqua, poi sarebbe tramontato.
Mina si chiese cosa avrebbe fatto se nessuno si fosse presentato a prelevarla. Poi, dal nulla, in mezzo al lago si delineò una vecchia barca, più che vederla la intuì dal rumore dei remi che ogni tanto perdevano il ritmo cadendo di piatto sull’acqua. L’uomo che la guidava aveva il viso nascosto da un vecchio berretto di lana, la barba ricopriva a cespugli le guance e in bocca teneva una vecchia pipa spenta.
Quando si accostò al pontile, legò la barca a uno dei pioli e salì sulle tavole di legno. Senza profferir parola prese la valigia e la gabbia e le posò sul fondo della barca, poi scese anche lui e le porse la mano per aiutarla a scendere nella barca. Mina evitò di poggiare il piede sull’ultima tavola ricoperta del muschio scivoloso delle alghe e con un saltello finale atterrò nella barca che dondolò dolcemente. Il vecchio sbuffò spazientito, sciolse l’ormeggio, rimise i remi in acqua e si allontanò dal pontile. Erano seduti uno di fronte all’altro, così Mina ebbe modo di osservare il suo viso rugoso di età indefinibile con l’espressione nascosta dal quel vecchio berretto calato quasi sugli occhi.
Si voltò indietro. Il pontile era ormai avvolto dalla nebbia e quasi non si vedeva, l’acqua che scorreva sotto la barca era scura e creava dei piccoli mulinelli quando i remi si immergevano, ogni tanto un guizzo sembrava solcarla giù in fondo.
Provò una stretta al cuore, come se solo adesso si fosse veramente resa conto di essere sola.
Alzò gli occhi verso la riva che si avvicinava. Un altro pontile, poi una scaletta di legno saliva verso una casa a un piano con le finestre illuminate. Attorno, gli alberi di un verde intenso e scuro con le cime a bucare la volta del cielo.
«Una taccola, porterà solo guai.» La voce del vecchio era bassa e cavernosa.
«Perché?» chiese, ma lui non rispose e riprese a masticare il bocchino della pipa emettendo dei suoni gutturali. Forse non aveva realmente parlato, Mina lo guardò sperando che chiarisse le parole, ma adesso era impegnato a virare con un remo per accostarsi all’approdo.
Fermò la barca, come prima la legò a un pilone, e salì poggiando sul legno la valigia e la gabbia, poi le porse la mano e la tirò su.
Mina fece appena in tempo a dire «Grazie» che lui si era già allontanato, svoltando dietro un piccolo promontorio. Si volse verso la casa e solo allora si accorse che una donna la stava aspettando, ferma sul primo gradino.
Mina accennò a una riverenza: «Mina Harriet.» si presentò.
«Mi segua, so chi è lei, la stavo aspettando.»
Mina prese la valigia con una mano e la gabbia con l’altra e arrancò dietro di lei, salendo i gradini che portavano alla casa.
La porta si chiuse alle sue spalle, anche se lei non l’aveva spinta. Provò un brivido, ma passò subito. La stanza in cui erano entrate era calda e accogliente.
«Poggi le sue cose. Dobbiamo parlare. Io sono Miss Cooper e dirigo questa casa. Vedo che ha con sé un uccello. Doveva prima chiedere il permesso, ma faremo un’eccezione. Il vecchio che l’ha portata si chiama Claud, ma lo vedrà solo in casi estremi. Tengo molto alla disciplina. Se seguirà le mie regole non avrà alcun problema, altrimenti… Per ora vada nella sua stanza al primo piano, sistemi le sue cose e ritorni giù. Si cena alle diciannove.»
«Sì, miss.» Mina prese il bagaglio e salì la scala. C’era un corridoio con almeno cinque porte. In una c’era una targhetta con il suo nome, abbassò la maniglia ed entrò.
La stanza aveva alle pareti una carta di un azzurro pallido, con dei frutti di melograno aperti con i loro grani di un rosso cupo al centro di ogni striscia racchiusa da una linea bianca. C’era un letto con una coperta uguale al motivo delle pareti, una scrivania con una comoda sedia, un orologio da tavolo, un armadio con le ante coperte della stessa stoffa, non c’erano specchi, ma curiosamente un trespolo con l’aggancio per la gabbia, come se fosse previsto l’arrivo di un uccello. La finestra aveva le tende tirate e lei le lasciò così. In un angolo un lavabo su un treppiedi, con l’asciugamano poggiato di lato e la sua brocca d’acqua messa sotto. Mina aprì la valigia, mise le sue cose nell’armadio e si rese conto di avere solo un ricambio oltre a quello che indossava. Si lavò le mani, si passò il pettine nei capelli e diede uno sguardo all’orologio. Erano quasi le sette, non era il caso di far aspettare Miss Cooper.
La tavola era già apparecchiata per un pasto leggero. La direttrice si sedette e, con un cenno, la invitò a fare altrettanto.
«A tavola non permetto conversazioni. Parleremo dopo.»
Mina assentì con la testa. Sorbì il suo brodo caldo, il pasticcio di verdure e attese che anche la direttrice avesse finito.
Si spostarono nelle comode poltrone del salottino.
«Per iniziare, questa è una pensione per ragazze con poche ospiti. In questo momento c’è solo lei, ma questo non significa che potrà fare i suoi comodi. Tengo molto a quelle che sono le inclinazioni naturali delle donne: il ricamo, la musica. So che lei prendeva lezioni, potrà esercitarsi sul piano che si trova nell’altra stanza. Ovviamente anche le buone maniere e la bella scrittura: in biblioteca ci sono molti testi che potrà leggere e copiare. Potrà fare delle passeggiate intorno alla casa, ma non è prudente allontanarsi. C’è un sentiero che porta a una radura, potrà spingersi fino a là e poi ritornare. Terrà pulita la sua stanza e laverà i suoi vestiti. Si va a letto alle ventuno e la mattina la sveglia è alle sette. Se avrà qualche problema, potrà chiedermi spiegazioni in seguito. È tutto chiaro? Bene, se vuole, può scegliere un libro in biblioteca da poter leggere.»
Mina assentì con la testa. «La ringrazio, è tutto chiaro. Per stasera vorrei il permesso di ritirarmi nella mia stanza. Sono stanca per il viaggio.»
«Vada pure.» Miss Cooper prese un libro che era poggiato sul tavolino e si sprofondò nella lettura. Mina salì le scale e aprì la porta della sua stanza accolta dal gracidio sommerso della taccola.
Prese una manciata di semi e li mise nella gabbia, aggiunse un po’ d’acqua nel vasetto e sedette sul bordo del letto a guardare la sua amica che becchettava tranquilla.
«La fai facile, tu. Per te nulla è cambiato, io invece non so dove sono finita. Nessuno mi ha detto come si chiama questo posto, né dove si trova. È strano, sai. Una pensione con una sola ragazza. E poi non ho visto servitù. Forse farò meglio ad andare a letto, domattina certamente il sole chiarirà i miei dubbi.» Coprì la gabbia, mise la camicia da notte e s’infilò nel letto.
La sveglia suonò alle sei e mezzo. Svuotò il vaso da notte, si lavò e scese giusto in tempo per la colazione. Trovò pronta una tazza di latte con i fiocchi d’avena, del burro fresco, piccoli vasetti di marmellata e dei muffin caldi, appena sfornati.
Miss Cooper non era presente e, dopo aver spazzolato tutto quello che c’era sulla tavola, Mina si alzò e fece qualche passo.
«Ha finito?» la voce era strascicata e proveniva da una donna anziana con i capelli a crocchia da cui sfuggivano ciocche grigie. Il viso era un reticolo di rughe.
«Sì, certo. Mi scusi non mi ero accorta. Buongiorno, signora, non ho visto miss Cooper.»
«Nemmeno io,» rispose lei. Mise le stoviglie su un vassoio e le portò in una stanza in fondo: la cucina. Mina la seguì. La stanza non era molto ordinata. Notò altri vassoi vuoti e delle pentole sul fuoco.
La vecchia si voltò: «Vada via, vuol farmi rimproverare? Non è consentito, senza miss Cooper, l’ingresso in cucina.»
Mina si voltò e corse nella sala sperando di non essersi fatta scoprire dalla direttrice.
Non sapendo cosa fare uscì dalla porta d’ingresso. Stranamente il cielo era plumbeo, anche se non le sembrava che ci fossero nuvole. Attorno sempre e soltanto la corona di alberi, il pontile da dove era partita non si vedeva e anche il promontorio dove era sparita la barca del vecchio era offuscato da una nebbiolina leggera.
«Se non mette uno scialle, prenderà un malanno.» Era la voce della direttrice alle sue spalle. Mina non l’aveva sentita arrivare e trasalì. «Non credo di possederne uno. Ho solo questo vestito e uno di ricambio. Milady ha messo solo questo vestiario nella valigia.»
«Bisognerà provvedere. Intanto rientriamo.»
I giorni si susseguirono uno dietro l’altro, monotoni e grigi. Dentro l’armadio, nei giorni successivi, trovò una mantella e uno scialle. Spesso la mattina passava almeno un’ora al pianoforte, poi prendeva la mantella e si avventurava fuori. Il cielo era sempre plumbeo come la prima mattina, anche se lei non avrebbe saputo dire quanti giorni fossero passati o che giorno della settimana fosse. Il sentiero la portava in cima a una collinetta riparata da un roseto fiorito. Erano gli unici fiori che avesse visto finora sull’isola. A volte le sembrava di sentire risa e voci femminili accanto a sé e si voltava sperando di trovare qualcuno. La solitudine le pesava. Leggeva e questo l’aiutava a volare sulle ali della fantasia, ma chiuso il libro ritornava alla realtà. Le camere accanto alla sua erano sempre chiuse, anche se,