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Matrimonio in vendita: Harmony History
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E-book251 pagine2 ore

Matrimonio in vendita: Harmony History

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Info su questo ebook

Londra, 1817
Per Lady Lydia Barton il matrimonio è davvero una questione di affari. E come potrebbe essere altrimenti? Per rifondere il debito di famiglia, infatti, il padre ha organizzato un'asta nella quale il premio è la mano della figlia e il titolo che la accompagna. A fare l'offerta più alta è un marchese noto per le sue abitudini lascive, e Lydia vede già un futuro pieno di rimpianti. Fino a quando non è salvata da un'offerta privata ancora più ingente, alla quale il padre non può opporre un rifiuto pur provenendo da uno degli uomini più discussi di Londra: Mr. Owen Wolfe, ex galeotto e proprietario del Libertas, uno dei club più esclusivi di Mayfair. Un uomo che, nonostante il suo passato e ciò che le ha fatto, Lydia non ha mai dimenticato.
LinguaItaliano
Data di uscita21 set 2020
ISBN9788830519114
Matrimonio in vendita: Harmony History

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    Anteprima del libro

    Matrimonio in vendita - Virginia Heath

    successivo.

    1

    Mayfair, novembre 1817

    «Oggi ho sentito una voce interessante sul vostro conto, Lydia.»

    Il timbro profondo, al di sopra della musica e del brusio della sala da ballo, la fece vacillare. Naturalmente l'aveva già notato prima, mentre stringeva la mano alla crème della società. Sorridente e affascinante, spiccava fra tutti, nel salone. Per quanto Lydia si sforzasse, era difficile non notare Owen Wolfe. Aveva un modo di fare che attirava inesorabilmente l'occhio. Quella sera, però, si sentiva strana, così non l'aveva evitato con la consueta determinazione.

    Strana era dir poco. Le girava la testa, e non era nelle condizioni di litigare con lui, anche se l'inferno sarebbe potuto gelare prima che Lydia gli desse la soddisfazione di vedere l'effetto che sortiva su di lei. Si voltò a guardare le coppie che volteggiavano sulla pista da ballo per cercare di ricomporsi, prima di guardarlo con quella che si augurava sembrasse una gelida indifferenza.

    «Devono esserci ben pochi pettegolezzi interessanti, se parlano di me. E per voi sono milady

    Il pettegolezzo era inevitabile, si disse, anche se non capiva come avesse fatto la notizia a diffondersi così presto. Lei stessa l'aveva saputo solo nel pomeriggio, quando, nonostante la riluttanza, era stata costretta ad accettare la proposta di suo padre, prima di recarsi lì, come promesso. Era l'estrema risorsa, nel caso in cui tutto il resto avesse fallito, le aveva assicurato suo fratello Justin.

    Anche se lei non aveva idea di che cosa fosse tutto il resto, dato che i Barton stavano esaurendo in fretta ogni possibilità, insieme al credito.

    Ignorando il terrore improvviso alla prospettiva che incombeva minacciosa, rivolse a Wolfe uno sguardo irritato e altezzoso, mentre lo superava, trattenendo l'urgenza di rifugiarsi il più in fretta possibile a casa, per potersi leccare le ferite in privato. Era stato un errore recarsi lì, nato dal rifiuto di ammettere che la sua vita era sul punto di implodere.

    Wolfe stava appoggiato a una colonna con la solita arroganza disinvolta e le braccia conserte. Possedeva un'eleganza naturale e una bellezza irritante. Occhi azzurri troppo intelligenti per il suo stesso bene. Nonostante i numerosi difetti, la sua intelligenza pronta aveva brillato come un faro anche tanti anni prima, quando era solo un umile garzone di stalla nelle scuderie dei Barton in Berkeley Square.

    «È vero, allora?»

    Lydia aveva fretta di liberarsi di lui, di quella soffocante sala da ballo e del nuovo peso che le era stato gettato sulle spalle, ma a Owen Wolfe non fu difficile seguirla e adeguarsi al suo passo.

    «Vostro padre vuole davvero vendervi al miglior offerente, milady?» la incalzò.

    Sì. Perché, a quanto pareva, la situazione era precipitata, e si profilava la prigione per debiti. Un fatto di cui Wolfe era senza dubbio al corrente, perché aveva l'irritante abitudine di sapere quasi tutto molto prima di chiunque altro.

    «È questa la voce che avete sentito?» Lydia dovette ricorrere a tutto il proprio orgoglio per scuotere il capo con finta esasperazione. «Non male.» Aprì il ventaglio e diede un breve colpo, mentre sentiva morire un'altra parte di sé. «Be', immagino che mentre le malelingue dicono queste sciocchezze sul mio conto, stanno dando tregua a un'altra povera creatura.»

    «State davvero per sposarvi?» Wolfe scosse il capo, incredulo, mentre i suoi occhi esprimevano preoccupazione, ma lei sapeva bene che non poteva fidarsi, per quanto il suo cuore volesse ancora credere che possedesse delle vere emozioni. «E io che per tutti questi anni sono stato convinto che aspettaste me!»

    Gli piaceva ricordarle che avevano un passato in comune.

    Come se Lydia potesse dimenticarlo. La triste verità era che lo ricordava fin troppo bene.

    Quell'anno era stata via tutta l'estate con la madre. Il giorno in cui avevano fatto ritorno in Berkeley Square, quando la portiera della carrozza si era aperta, Lydia si era trovata a guardare gli occhi più azzurri che avesse mai visto, incastonati in un bellissimo viso. Il giovane garzone di stalla le aveva sorriso, offrendole la mano e... bang! Il resto del mondo era svanito, e il tempo si era letteralmente fermato, perché in quell'istante il suo cuore aveva deciso di aver trovato l'anima gemella.

    «Vi lusingate. Del resto avete sempre avuto un senso esagerato del vostro valore e ambizioni al di sopra della vostra condizione sociale.» Sapeva di irritarlo, ricordandogli le sue radici, e fu ripagata vedendolo sollevare il mento con aria di sfida, come faceva sempre quando veniva rimesso al proprio posto da chi gli era superiore. Lydia fece una pausa, prima di trafiggerlo con lo sguardo e lasciar trasparire tutta la propria disapprovazione. «Che cosa ci fate qui, in ogni caso? Non posso credere che siate stato invitato. Più probabilmente vi siete infiltrato, il che spiega perché mi spiavate all'ombra di quella colonna... Come al solito.» O almeno, era così da due anni, da quando Wolfe era tornato inaspettatamente a Mayfair e gli orologi si erano fermati di nuovo. Troppe colonne e tronchi d'albero in troppe occasioni sociali, quando invece il proprietario di una delle sale da gioco più famose di Londra sarebbe dovuto restare nelle fogne alle quali apparteneva.

    Lo vide sorridere come se non si fosse offeso, e sentì il cuore traditore accelerare i battiti. Di tutti gli uomini che conosceva, nessuno aveva mai avuto quell'effetto, su di lei. «Le ombre mi hanno sempre attirato più delle luci dei candelabri» rispose lui, «ma, se voleste ballare, potrei fare un'eccezione, per voi.»

    Vedendo che curvava le labbra in un sorriso canzonatorio, mentre l'orchestra attaccava le prime note di un valzer, Lydia fece roteare gli occhi per mostrare la propria irritazione. Non era dell'umore giusto per quelle schermaglie. Gli occhi ammiccanti di Wolfe nascondevano un'anima nera come la pece.

    «Avrei detto che il Duca e la Duchessa di Aveley fossero più esigenti, nella scelta degli amici. Siete l'ultima persona al mondo che mi sarei aspettata di vedere in questa gloriosa dimora. Con la vostra reputazione...» Lydia lasciò in sospeso l'implicita accusa, sperando di irritarlo. Sapevano entrambi chi era, al di là dell'alone di mistero che lo circondava. Poteva anche aver ottenuto il perdono, ma restava la sordida realtà del suo crimine.

    «Eppure eccomi qui, ufficialmente invitato. Volete vedere l'invito?»

    «Preferirei vedervi voltare le spalle per sempre.»

    Come battuta conclusiva era patetica, ma in quel momento Lydia non aveva di meglio. Tuttavia parve funzionare, perché, quando raggiunse la porta, Owen Wolfe non era più al suo fianco. E nemmeno dietro, ne era sicura, perché riusciva sempre ad avvertire la sua presenza. Solo lui riusciva a provocarle un formicolio di consapevolezza, per quanto detestasse ammetterlo. Aveva quasi lasciato la sala, quando udì di nuovo la sua voce, abbastanza alta da rovinarle la fuga. «Il candidato più probabile è Kelvedon.»

    Lydia si fermò, sentendo le mura che si chiudevano intorno a lei. «Prego?»

    «Il Marchese di Kelvedon...» Owen si staccò dalla colonna alla quale si appoggiava e si avvicinò. «Calvo, con un ventre prominente e un alito disgustoso. Abbastanza vecchio da essere vostro nonno...»

    «So chi è!» L'idea che suo padre potesse darla in moglie a quel vecchio lussurioso solo per pagare i debiti era assurda. Di certo non era a una simile prospettiva che Lydia aveva dato il proprio consenso.

    Benché fosse pronta ad ammettere che era molto costoso mantenere una figlia nubile perché si presentasse al meglio, Stagione dopo Stagione, chiederle di sposare Kelvedon sembrava un prezzo troppo alto da pagare, anche per suo padre. «Siete del tutto fuori strada!» sibilò.

    «Di sicuro è ricco e di sangue blu. Non sono questi i criteri principali che contano, per chiunque abbia una posizione importante, in società? Soprattutto per vostro padre.» I penetranti occhi azzurri erano freddi, ora, ed entrambi sapevano perché. Non c'era mai stata simpatia tra l'ex garzone di stalla e il suo datore di lavoro.

    «Come al solito, vi sbagliate.» Lydia girò sui tacchi per andarsene, decisa a sfidare il padre per mettere in pace la mente. E dov'era suo fratello? Scrutò la sala da ballo con sguardo ansioso. Justin l'avrebbe difesa, se l'avesse sollecitato, e di certo non avrebbe tollerato che la costringessero a sposare un vecchio. Anche se lei era perlopiù invisibile, agli occhi del padre, a volte suo fratello riusciva a farsi ascoltare.

    «Davvero?» ribatté lui. Lydia non aveva bisogno di guardarlo per immaginare la sua espressione compiaciuta. «Oserei dire che il marchese possiede abbastanza denaro per cancellare i debiti che la vostra famiglia ha nascosto con tanta cura, ma che sono in rapido aumento. I Barton, così pii e altezzosi, saranno salvi senza clamore... proprio come desiderano, e il vecchio Kelvedon riuscirà ad avvicinarsi un po' di più al re... proprio come desidera. Saranno tutti vincitori, tranne voi, naturalmente, Lydia. Ma lo farete comunque, perché è ciò che si richiede a una figlia nubile e leale, di fronte alla completa rovina della famiglia. Farete come vi dicono, senza protestare... come al solito.»

    La sua analisi, troppo vicina alla realtà perché Lydia si sentisse a proprio agio, accrebbe i suoi timori per il futuro. Era tutto troppo improvviso e definitivo. Tutto così orribilmente ingiusto. Ma cosa poteva fare? I raccolti andati a male e il mercato al ribasso avevano messo tutti in difficoltà, e mantenere la tenuta di campagna, oltre alla casa in città, era costoso. Justin aveva bisogno del suo aiuto per salvare le sorti della famiglia, e lei non poteva abbandonare il suo unico fratello nel momento del bisogno. Forse non erano più vicini come un tempo, ma i Barton facevano sempre il loro dovere. Se l'unica scelta era Kelvedon...

    A un tratto l'aria della sala da ballo le sembrò soffocante, e il rumore le pulsava alle tempie. «Con un'immaginazione così fervida, potreste scrivere per i giornali scandalistici, Mr. Wolfe» si sforzò di ribattere in tono gelido.

    «Eravate solita chiamarmi Owen.»

    Non c'era bisogno che glielo ricordasse. Era solo una delle tante cose che Lydia non avrebbe mai dovuto fare, con un umile garzone di stalla. Grazie al cielo, nessun altro sapeva della sua vergogna. «Ero praticamente una bambina, allora!» Lui era stato condannato il giorno del suo diciassettesimo compleanno.

    «Anch'io.» Lui sorrise e si strinse nelle spalle. «A diciott'anni non si è ancora un uomo.»

    Lydia non voleva pensare a quel giovane affascinante, pieno di sogni e di voglia di vivere. L'unico che prendesse in considerazione la sedicenne che era stata al tempo, quando nessun altro si curava di lei. «Ero troppo ingenua, allora, ancora fresca di scuola! E voi avete sempre avuto la lingua sciolta. Peccato non abbia scoperto prima che era anche biforcuta.»

    Lui sospirò e scosse il capo. «Avete deciso di odiarmi per l'eternità, Lydia? Perché io non vi odio... anche se Dio sa che dovrei farlo.» Ed ecco di nuovo quel lampo di umanità nel suo sguardo, che faceva breccia nelle sue difese e le faceva desiderare di potergli credere. Idiota! Si detestava per quella debolezza. E detestava ancora di più lui, perché ne approfittava. «Sono passati dieci anni.»

    Dieci anni, due mesi e un giorno, per essere precisi, da quando un terribile istante aveva cambiato tutto. Fino a quel momento, Lydia era corsa allegramente verso il suo futuro, quando il sentiero si era disintegrato sotto i suoi piedi e a un tratto non c'era più un futuro. O almeno, non quello che desiderava. Il suo cuore ancora non voleva crederci, la mente faticava a capire come un solo istante avesse potuto cambiare tutto.

    «L'odio presuppone che mi curi di voi, mentre mi siete indifferente, Mr. Wolfe.» Una bugia colossale. Tutto, in lui, scuoteva le sue emozioni. Era sempre stato così, e sempre lo sarebbe stato. E adesso veniva punita per le folli speranze che aveva nutrito. Un matrimonio combinato. Con un vecchio ricco, che poteva benissimo essere l'orribile Marchese di Kelvedon, perché possedeva tutti i requisiti, proprio come aveva detto Owen.

    Un altro istante fatale, un altro sentiero che si sbriciolava sotto i suoi piedi. Un altro futuro, anche se meno luminoso del primo, sparito in un batter d'occhio. Le pareti cominciavano a chiudersi intorno a lei, ma trovò la forza di guardarlo con aria di sfida. «Tornate alle vostre ombre, Mr. Wolfe. Vi si addicono più della luce dei candelabri.»

    Lydia non attese di vedere la sua espressione, ma uscì dalla porta e si ritrovò nel giardino gelido, poi prese a camminare attraverso il prato. Le scuderie di Aveley si trovavano nello stesso vicolo delle sue. In pochi minuti sarebbe stata a casa e avrebbe potuto riflettere. Forse avrebbe escogitato miracolosamente un piano per salvare la famiglia, la tenuta e tutti i lavoratori che dipendevano dai Barton, senza essere costretta a sposare un vecchio lascivo. Non che un perfetto sconosciuto fosse molto meglio. Non aveva mai immaginato un matrimonio senza amore. Lo stesso cuore sciocco e sentimentale che un tempo aveva amato Owen Wolfe in modo così totale, prima che lui lo spezzasse, voleva ancora amare senza riserve ed essere ricambiato. Desiderava ancora la passione, le risate e la gioia.

    Tuttavia il bisogno non le lasciava scelta. Ora toccava a lei riempire i forzieri dei Barton, dai quali aveva attinto liberamente per anni. Suo padre era stato irremovibile: doveva fare il suo dovere, se non voleva che il fratello venisse rovinato. Così lei era condannata, in un modo o nell'altro.

    Guardando indietro, Lydia si rimproverava di essere stata troppo esigente. Nelle sette Stagioni passate dal suo debutto, aveva ricevuto diverse proposte vantaggiose e, se ne avesse accettata una, non si sarebbe trovata in quella situazione. Invece aveva rifiutato cortesemente tutti i pretendenti, perché nessuno di loro le aveva fatto palpitare il cuore. Aveva atteso con pazienza di riprovare quella sensazione, solo per rendersi conto troppo tardi che aveva paragonato ogni gentiluomo titolato all'infido garzone di stalla che l'aveva usata senza pietà, per poi tradirla. Avrebbe dovuto intuire la sua vera natura, se non fosse stata così infatuata di lui al primo sguardo.

    Quella triste verità le faceva ribollire il sangue.

    Non avrebbe più sentito il cuore librarsi in volo. Non ci sarebbe stato mai nessun altro. Nessun lieto fine, ma solo un matrimonio di convenienza con un uomo che probabilmente non avrebbe mai amato. E se fosse stato proprio Kelvedon, non ne avrebbe sopportato nemmeno la vista!

    Che Dio mi aiuti.

    Gli stallieri degli Aveley si misero sull'attenti, al suo passaggio, ma Lydia non si fermò a salutarli, come faceva abitualmente. Le lacrime erano troppo vicine alla superficie perché potesse trattenerle. Le scuderie erano affollate di carrozze, cocchieri e aiutanti di stalla giocavano a carte intorno ai barili capovolti, in attesa che il ballo finisse. Lydia si face strada tra loro, tenendo lo sguardo fisso alle scuderie dei Barton, a poche iarde di distanza.

    «Lydia...» Il tocco inaspettato della sua mano sul braccio si riverberò fino alle dita dei piedi. Lei si bloccò, fissando la mano con la fronte aggrottata, prima di fulminarlo con lo sguardo. Per essere un uomo così imponente, si muoveva con la grazia furtiva di un predatore. Un lupo, come il suo nome. Solo che era un lupo travestito da agnello, che insidiava le prede più deboli e sciocche. E lei era entrambe le cose, un perfetto agnello sacrificale! Naturalmente doveva averla seguita fin lì per godere delle sue lacrime e della sua sconfitta proprio nel luogo in cui tutto aveva avuto inizio. Una conclusione degna, per il secondo peggior giorno della sua vita.

    «Cosa volete, ora?» lo apostrofò con tutta l'ostilità di cui era capace. L'impulso di schiaffeggiare il suo bel viso per il solo fatto di esistere le fece stringere i pugni fino a conficcarsi le unghie nei palmi.

    «Se ho ragione riguardo Kelvedon... Se aveste bisogno di qualsiasi cosa...» I luminosi azzurri erano insolitamente tempestosi e la invitavano a fidarsi di lui, mentre allentava la presa e le sfiorava la pelle dell'avambraccio, come se tenesse a lei. «... Sapete dove trovarmi.»

    «Non lo farò mai.» Lydia ritrasse il braccio, ricordando quanto era stata sciocca tanti anni prima, quando aveva creduto che lui provasse qualcosa, ogni volta che la toccava, mentre la stava solo usando. «Non verrei da voi nemmeno se foste l'ultimo uomo sulla terra e tutto il mio mondo fosse crollato!»

    Il che era esattamente quello che rischiava di accadere da un momento all'altro.

    2

    Owen non era orgoglioso di essere stato lui a informare Lydia del suo destino, dopo aver visto l'orrore nei suoi occhi.

    L'aveva fatto per spirito vendicativo, per un desiderio meschino di rimetterla al proprio posto, dopo che lei l'aveva ignorato. Aveva imparato a non curarsi di coloro che lo guardavano dall'alto in basso, godendo della sfida di farsi accettare nella loro cerchia e di prendere il denaro che perdevano ai suoi tavoli da gioco. Sfortunatamente, non c'era alcuna scommessa da vincere, quando si trattava di Lydia. Con lei si trovava costantemente in alto mare, e non riusciva a mantenere il controllo come faceva con tutto il resto. Lydia era una persecuzione... molto più di quanto sarebbe dovuto essere un fantasma del passato.

    «Sei sicuro che non ci siano altri candidati?» domandò a Randolph.

    «No, a meno che stiano ancora negoziando e non vogliano scoprire le carte.» L'altro si strinse nelle spalle. «A quanto mi risulta, però, non ci sono prove che sia così. Kelvedon è stato invitato a cena ben due volte, questa settimana, ed è stato l'unico ospite dei Barton. È di certo lui.» Il suo migliore amico e socio in affari fece una pausa e lo osservò attentamente per valutare la sua reazione. «Perché altrimenti avrebbe preso un appuntamento con il Vescovo di Londra, ieri? Si è procurato una licenza speciale.»

    Owen annuì allo specchio e finse di essere concentrato a fare il nodo al fazzoletto da collo per non tradire l'improvviso impeto di collera a quella notizia. Stava accadendo tutto così in fretta che riusciva a malapena a tenere il passo e, peggio ancora, non sapeva nemmeno perché avrebbe dovuto farlo. Non desiderava quella bisbetica. Non come l'aveva desiderata un tempo, almeno. Lydia era pericolosa per la sua libertà e per la sua salute mentale. Che cosa gli importava chi sposava? Grazie al cielo non era un problema suo.

    Eppure... povera Lydia.

    Non era sicuro di ciò che provava per lei, oltre a una combinazione di rabbia, dolore, nostalgia e attrazione... ma nessuno meritava

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