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Il segreto della Regina Rossa
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Il segreto della Regina Rossa
E-book498 pagine7 ore

Il segreto della Regina Rossa

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Info su questo ebook

Benvenuti nel vero Paese delle Meraviglie

Dopo essere sopravvissuta al disastroso ballo, Alyssa si sente più coraggiosa che mai ed è decisa, nonostante sia una follia, a salvare i suoi due mondi e le persone che ama.
Anche se questo significa sfidare Rossa, sua acerrima nemica, su un campo minato da trucchi e astuzie. E l’unico modo per raggiungere il Paese delle Meraviglie, ora che la tana del coniglio è chiusa, è quello di attraversare il Paese dello Specchio, una dimensione parallela popolata da pericolosi mutanti. Con l’aiuto del padre, Alyssa affronta così il viaggio verso il centro della magia e del caos alla ricerca di sua madre. Riuscirà, insieme a Jeb e Morpheus, a salvare il mondo dalla distruzione in cui è intrappolato?

Una saga fantasy tradotta in 10 Paesi
200.000 copie vendute
Bestseller del New York Times
Consigliato dal Publishers Weekly

«Incredibile, magnetico, seducente... non potrete non innamorarvene! Mi ha veramente incantato dall’inizio alla fine, nulla di scontato, da leggere tutto d’un fiato.» 

«Avvincente. Riesce ad appassionarti ad ogni pagina e non vedi l’ora di sapere come andrà a finire. In poche parole bellissimo.»

Hanno scritto della saga:

«Alyssa è una delle protagoniste più originali che abbia mai incontrato.»
USA Today

«L’immaginazione di A.G. Howard è sconfinata: il tono ipnotico e l’affascinante ambientazione, tra follia e creatività, spingono i lettori dritti nella tana del coniglio.» 
Publishers Weekly

«Una visione decisamente oscura delle fantasie di Alice, resa ancora più intrigante da una sfida romantica e atmosfere cupe e sensuali.»
Booklist
A.G. Howard
Vive nel Nord del Texas. Trae ispirazione per le sue storie da tutte le cose imperfette che incontra. Cerca sempre di dar vita a personaggi che raccontino ogni sfumatura degli esseri umani e poi, per dare un brivido in più ai lettori, si diverte a mettere sottosopra il loro mondo. È sposata e madre di due figli. La Newton Compton ha pubblicato Il mio splendido migliore amico, Tra le braccia di Morfeo e Il segreto della Regina Rossa.
LinguaItaliano
Data di uscita24 feb 2016
ISBN9788854192591
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    Anteprima del libro

    Il segreto della Regina Rossa - A. G. Howard

    1214

    Titolo originale: Ensnared

    © 2015 A. G. Howard

    All rights reserved

    Originally Published in 2015 by Amulet Books,

    an imprint of ABRAMS

    Traduzione dall’inglese di Francesca Barbanera

    Prima edizione ebook: aprile 2016

    © 2016 Newton Compton editori s.r.l.

    Roma, Casella postale 6214

    ISBN 978-88-541-92591

    www.newtoncompton.com

    Realizzazione a cura di Librofficina

    Realizzazione: Sebastiano Barcaroli

    Immagine di cover: © Nathalia Suellen

    A.G. Howard

    Il segreto della Regina Rossa

    A mia madre:

    mi manchi. Grazie per avermi dato

    il coraggio di volare alto e afferrare i miei sogni,

    e per essere stata il vento sotto le mie ali.

    1

    Un mistico ricordo

    È una memoria molto misera quella

    che funziona solamente all’indietro.

    LEWIS CARROLL,

    Attraverso lo specchio

    Una volta credevo che fosse meglio lasciarsi alle spalle i ricordi, come fossero bolle di tempo ibernate da rivisitare ogni tanto per ritrovarne il valore affettivo… più una debolezza che una necessità. Poi, però, ho capito che ogni tanto sono indispensabili per poter andare avanti, per risollevare la sorte e il futuro di tutti quelli che ami di più al mondo.

    Sono in piedi di fronte alla porta rossa e lucida di uno scompartimento privato sul treno della memoria. Appesa alla porta, c’è una targa rimovibile sulla quale è inciso il nome

    THOMAS GARDNER

    .

    «Una formalità superflua, dato che lui è qui in carne e os­sa», mi ha detto il controllore – un coleottero da tappeto grande quasi quanto me – quando gli ho chiesto di fissare quell’insegna alla porta. Io gli ho lanciato un’occhiata torva e ho insistito perché facesse come dicevo.

    Appoggio la fronte alla targa di ottone e il metallo mi rinfresca la pelle mentre rifletto sul nome di mio padre, che significa molto più di quanto abbia mai creduto… lui stesso è molto più di quanto potessi immaginare.

    Per poco non lo seguivo nello scompartimento quando siamo arrivati qui. Ancor prima che atterrassimo a Londra, lui già tremava come una foglia.

    Del resto, come biasimarlo? Un uomo ridotto alle dimensioni di un insetto che ha appena sorvolato l’oceano sul dorso di una farfalla monarca… Ancora riesco a sentire il sapore salato dell’aria sulle labbra. All’alba, quando papà ha iniziato a realizzare che stavamo davvero volando sulle farfalle, ci siamo addentrati nelle fondamenta di un grande ponte di ferro passando per un foro che ci ha condotti a un trenino giocattolo arrugginito, in un tunnel sotterraneo. Vedendo che eravamo tanto piccoli da riuscire a salirci, papà ha spalancato gli occhi talmente tanto che credevo sarebbero saltati fuori dalle orbite.

    Vorrei proteggerlo, ma so che non è debole, perciò non lo tratterò come tale. Non più.

    Aveva nove anni – solo due in più di Alice – quando si ritrovò a vagare nel Paese delle Meraviglie e venne catturato da una donna-ragno custode di un cimitero, eppure riuscì a sopravvivere. Meglio che affronti da solo quel ricordo, altrimenti potrebbe tentare di proteggermi e io non ho bisogno di protezione più di quanto non l’abbia lui.

    Sono dovuta arrivare a perdere la testa per mettere le cose nella giusta prospettiva. Se è ciò di cui ha bisogno anche lui, che vada così.

    Sfioro le lettere del nome con un dito tremante:

    T-H-O-M-A-S

    . Oggi papà scoprirà il suo vero nome, non quello che gli ha dato mamma. Tutte le rivelazioni e le mostruosità che ha vissuto da bambino, tutte le sue esperienze, ci porteranno a DovunqueAltrove, il Paese dello Specchio in cui vengono confinati gli esiliati del Paese delle Meraviglie. È un luogo protetto da una grande cupola di ferro che tiene tutti prigionieri al suo interno e altera la magia dei suoi abitanti, quando si azzardano a utilizzarla. A DovunqueAltrove si accede attraverso due porte che sono sempre sorvegliate da un cavaliere Bianco e da uno Rosso.

    I miei due cavalieri personali, Jeb e Morpheus, sono intrappolati lì dentro. È passato già un mese da quando quel luogo li ha risucchiati, ma voglio credere che siano ancora vivi.

    Devo crederlo.

    E poi c’è mamma, sola e abbandonata in un Paese delle Meraviglie che cade a pezzi, ostaggio della stessa donna-ragno che un tempo teneva in pugno mio padre. La tana del coniglio, il portale che conduceva al regno Netherling, non esiste più: l’ho distrutta io stessa. DovunqueAltrove è l’unica via di accesso rimasta.

    Siamo in missione di salvataggio e i ricordi di papà sono la chiave di tutto.

    Trascino i miei piedi fangosi sul pavimento a mattonelle rosse e nere, dirigendomi verso l’inizio del vagone passeggeri. I muscoli mi fanno un gran male perché ho volato sul dorso di una monarca per ventiquattro ore di seguito. Ci avremmo messo molto di più se non fossimo finiti in una tempesta che ci ha sospinti migliaia di metri più su e ci ha fatto percorrere centinaia di chilometri in pochi minuti (una corsa folle che io e papà non dimenticheremo facilmente).

    I miei capelli, un groviglio selvaggio biondo platino, sono bagnati di pioggia e senza vita. Quelle ciocche intrecciate mi rappresentano perfettamente perché è proprio così che mi sento: nel caos, eppure svuotata. La mia parte Netherling scalpita per liberarsi delle emozioni umane che la intrappolano. Non avrò pace finché non avrò ritrovato tutti quelli che amo e sistemato le cose nel Paese delle Meraviglie.

    Ma anche allora, nessuno di noi sarà più lo stesso, ne sono certa.

    I sedili di acetato bianco sono occupati da cinque o sei strane creature. Non sono in attesa di ritrovare i loro ricordi perduti. Stanno qui perché sono in trappola. Dato che la tana del coniglio non esiste più, non possono tornare nel Paese delle Meraviglie, la loro casa.

    Una delle creature è un’umanoide pallidissima con la testa a cono, il cui cranio si apre a intervalli regolari per permetterle di discutere con una versione più piccola di se stessa. Un attimo dopo, anche il cranio della versione ridotta si apre e ne fuoriesce un’altra umanoide identica, ma di dimensioni ancora minori. L’ultimo personaggio della serie, il più piccolo, è un uomo con un naso enorme che colpisce ripetutamente le sue compagne con un minuscolo mattarello prima di scomparire nel suo nascondiglio. Sembra una macabra versione a matrioska di Punch e Judy, uno spettacolo tradizionale di marionette che ho studiato al corso di teatro della scuola.

    Poco più in là vedo due folletti; chissà se fanno parte del gruppo che ho incontrato l’anno scorso nel cimitero del Paese delle Meraviglie? Hanno un aspetto diverso senza il cappello da minatore: dalle teste calve e squamose fuoriescono ciuffi radi di capelli argentei. Tra di loro c’è una busta di plastica e i due si danno il cambio nel pescare noccioline e lanciarle contro la creatura con la testa a cono per fomentare la discussione.

    Le lunghe code dei folletti scattano a destra e sinistra e quelle facce da scimmie-ragno si contraggono in una smorfia attenta e pensierosa quando incontro i loro occhi argentati. Non hanno né iridi né pupille e le palpebre si chiudono in verticale, come il sipario di un teatro.

    Si scambiano qualche commento sottovoce mentre io mi copro il naso e la bocca per smorzare il tanfo di carne putrefatta che fuoriesce sotto forma di melma argentea dalla loro pelle.

    Avvicinandomi, comincio a distinguere le loro parole. «Alice, scintillante parlatrice», dice uno dei due. «No peferdufutafa volta-sta?».

    Il loro idioma è un misto di alfabeto farfallino e assurdità senza senso. Il folletto vuole sapere se stavolta mi sono persa.

    «È non Alice, stupiderrimo», lo zittisce l’altro prima che io possa rispondere. «E poi sofolofo pensatori si peferdofonofo qui. Pensatori et momenti».

    Continuo a camminare, troppo presa dai miei pensieri per ascoltarli.

    Il controllore coleottero scrive qualcosa su una cartellina mentre chiacchiera con gli altri tre passeggeri. Sono creature morbide e rotonde e i loro occhi sono attaccati a due lunghe estremità lanuginose che assomigliano più a code di gatto dritte che a bulbi oculari. Mentre passo di lì, mi guardano e le loro pupille si dilatano sempre più a ogni rotazione delle code.

    Il più grasso dei tre starnutisce in risposta alla domanda del controllore e dal suo pelo si solleva una nuvola di polvere.

    «Maledetti gatti di polvere», impreca il coleottero, poi tira fuori un aspiratore dalla fondina che porta appesa alla vita e risucchia la sporcizia dalla sua epidermide di tappeto.

    Mi siedo in una fila completamente vuota all’inizio del vagone e mi rannicchio accanto al finestrino, in attesa del controllore. Gli ho chiesto di indagare su certi ricordi perduti che ho bisogno di vedere. Non sono ricordi miei. Spierò i momenti perduti di qualcun altro.

    Mamma si sentiva in colpa per aver visitato i ricordi perduti di papà a sua insaputa. Se lei, che è molto saggia ed esperta, si sentiva così, forse anche io dovrei essere più cauta, ma la mente che sto per violare non merita il mio rispetto. Appartiene a una creatura malvagia e vendicativa. Si è quasi impossessata del mio corpo ed è riuscita a fare a pezzi la mia vita e gran parte del Paese delle Meraviglie.

    Morpheus dice sempre che tutti hanno un punto debole. Se fosse qui, mi direbbe di trovare il punto debole di quella donna, così quando arriverà il momento di affrontarla di nuovo saprò come distruggerla.

    Ed è ciò che ho intenzione di fare.

    L’aspiratore del coleottero ulula forte e copre il rumore delle discussioni, degli starnuti e delle proteste intorno a me. Mi appoggio al sedile e alzo lo sguardo verso i lampadari di lucciole – ognuna delle quali è grande quanto il mio avambraccio – legate insieme da finimenti di ottone e catene. Gli insetti luminosi si dimenano, tracciando pennellate di luce gialla sulle pareti di velluto rosso. Inclino la testa e guardo fuori dal finestrino. La galleria è rischiarata da altre lampade-lucciola appese al soffitto. Le vedo muoversi come tante ruote panoramiche glitterate.

    Trattengo con fatica uno sbadiglio. Sono esausta, ma troppo agitata per dormire. Sembra proprio che sia destinata a spostarmi continuamente nel tempo e nello spazio. Solo ieri ero seduta a un tavolo nel cortile assolato del manicomio e stavo facendo mangiare a mio padre – ignaro della cosa – un fungo che lo avrebbe rimpicciolito. Mi sembra passata un’eternità da allora, ma sempre meno che dall’ultima volta che ho abbracciato mamma… o litigato con Morpheus… o baciato Jeb. Mi manca il profumo di mamma dopo che ha lavorato in giardino, un aroma di terriccio fresco e fiori. Mi manca vedere le gemme accanto agli occhi di Morpheus che si illuminano di un arcobaleno di emozioni quando mi lancia una sfida. Mi manca l’espressione rapita di Jeb quando dipinge.

    Le piccole cose che un tempo davo per scontate ora sono dei tesori inestimabili.

    Il mio stomaco brontola. Stamattina io e papà abbiamo saltato la colazione e il mio corpo mi avverte che è ora di pranzo. Infilo la mano nella tasca del grembiule che indosso sopra al camice d’ospedale infangato e faccio passare tra le dita i funghi che mi restano. Ho talmente fame che sarei quasi tentata di mangiarne uno, ma non lo faccio. La stessa magia che ci ha reso abbastanza piccoli da poter cavalcare una farfalla, ci restituirà le nostre dimensioni normali quando avremo concluso la missione. Non posso sprecare i funghi.

    Vedo il mio riflesso sul vetro del finestrino: camice azzurro, grembiule bianco, capelli biondi e scompigliati, con una ciocca rossa su un lato.

    Il primo folletto ha ragione: ho tutti i tratti caratteristici di Alice.

    Un’Alice horror.

    Un’Alice che ha perso il senno ed è assetata di sangue.

    Quando troverò la Regina Rossa, mi implorerà di non spaccarle le ossa.

    Ridacchio per la rima involontaria, ma torno subito seria perché il coleottero ha appena spento l’aspiratore. Si raddrizza il cappello da controllore e barcolla verso di me su due delle sue sei zampe. Con le altre quattro tiene una cartellina stretta al petto.

    «Allora?», gli chiedo, guardandolo negli occhi.

    «Ho trovato tre ricordi di tanto tempo fa, quando era giovane e nubile. Prima che diventasse…». Si guarda intorno con aria cauta e poi bisbiglia: «…regina».

    «Perfetto», rispondo. Faccio per alzarmi, ma lui mi spinge di nuovo sul sedile con una zampa.

    «Prima distruggi l’unica via per tornare al Paese delle Meraviglie, costringendomi a fare da baby-sitter a gatti di polvere e folletti puzzolenti, poi pretendi che metta a rischio la mia vita mostrandoti…», osserva attentamente i passeggeri seduti alle mie spalle e gli tremano le mandibole, «…i suoi ricordi privati». Il suo mormorio è scandito da una serie di clic ritmici, simili a schiocchi di dita.

    Digrigno i denti. «Da quando i Netherling rispettano la privacy degli altri? Non rientra nel vostro codice etico. Anzi, gran parte di voi nemmeno sa cosa sia l’etica!».

    «Io so quanto basta. So che lei non perdona. Mai», risponde, evitando ancora una volta di pronunciare il suo nome.

    Decido di seguire il suo esempio. «Non scoprirà mai che me li hai mostrati tu».

    Il controllore sfoglia alcune pagine della sua cartellina, poi scrive qualcosa, cercando di prendere tempo. «C’è un altro problema da risolvere», annuncia, stavolta ad alta voce. «Si tratta di ricordi ripudiati».

    «Che significa?»

    «Che non è stata costretta a dimenticare, ma ha scelto di farlo volontariamente. Ha bevuto una pozione dimenticante».

    «Ancora meglio», commento. «Per qualche motivo ha paura di quei ricordi e questo andrà a mio vantaggio».

    Il clic clic si fa sempre più intenso, così come il tremore delle sue mandibole. «In teoria, potresti usarli come arma. I ricordi ripudiati sono impregnati di magia emotiva volatile. Desiderano vendicarsi di chi li ha creati e poi abbandonati. Per fare questo, dovresti portarli con te fino a lei, conservandoli nella tua mente sotto forma di ricordi dormienti, ma i mezzosangue come te non sono abbastanza forti».

    La sua aria di superiorità mi fa saltare i nervi. «Anche i mortali hanno il loro sistema per tenere i ricordi dormienti: scriverli. In questo modo il passato non occupa i loro pensieri. Mi serve soltanto un diario».

    Lui mi punta la penna contro, a un centimetro dal naso. «Questo metodo non funziona con i ricordi stregati, a meno che tu non abbia della carta magica in grado di trattenerli. Purtroppo, però, non ho mai sentito parlare di un diario dotato di questo potere. E tu?».

    Gli lancio un’occhiata torva senza dire niente.

    «No, neanche tu. Proprio come pensavo», commenta il coleottero, picchiettandomi il naso con la punta della penna.

    Gliela strappo di mano con rabbia e la infilo in tasca. Che provi a riprendersela, se ha il coraggio.

    «Sciocca ragazzina! Quando i ricordi ripudiati si annidano nella mente di qualcuno, diventano come quei motivetti musicali che non ti escono più dalla testa. Continui a ricordarli e ricordarli, fino a star male. Nella migliore delle ipotesi, ti portano a provare affetto per la preda, rendendoti inerme contro di lei. Nel peggiore dei casi, invece, ti fanno impazzire. Sei disposta a rischiare tanto?».

    Sfrego le mani contro le ginocchia, poi infilo la stoffa abbondante del mio camice d’ospedale sotto il sedere. L’idea che i ricordi ostili di un’altra persona possano disintegrarmi la mente è spaventosa, ma non mi importa. L’unico modo per sconfiggere Rossa è trovare il suo punto debole.

    «Ho già perso tutto e sono già impazzita». Punto lo sguardo nei suoi occhi sferici e gli chiedo: «Vuoi che te lo dimostri?».

    Una serie di palpebre si chiude sui suoi occhi composti da insetto. I coleotteri non hanno né palpebre né ciglia, ma questo non è un insetto normale. È un insetto del Paese dello Specchio, o un rifiuto, a seconda che si voglia usare il vocabolario di Carroll o quello del coleottero da tappeto.

    Il coleottero è stato inghiottito dalla foresta di Tulgey e respinto al cancello di DovunqueAltrove, poi è stato risputato fuori sotto forma di mutante. A Jeb e Morpheus è successa quasi la stessa cosa. L’unica differenza è che, per fortuna, loro sono stati ammessi nel Paese dello Specchio. Tuttavia, saperli lì da soli mi suscita un orrore mai provato in vita mia. Morpheus non può usare la magia a causa della cupola di ferro e Jeb è solo un umano. Quante possibilità hanno di sopravvivere in una terra di assassini Netherling esiliati?

    Soffoco a stento un grido di angoscia.

    Abbasso la voce in modo che possa sentirmi solo il controllore e dico: «Una volta collezionavo insetti. Li appuntavo a dei pannelli di sughero. Le pareti di casa mia erano ricoperte di queste bacheche. Sto pensando di ricominciare con questo hobby. Forse ti piacerebbe essere il primo pezzo della mia nuova collezione».

    Il controllore fa una smorfia, ma non capisco se è infastidito o preoccupato. Impossibile dirlo con tutte quelle parti del viso mobili. Mi indica il corridoio e dice: «Da questa parte, signora».

    Ci dirigiamo verso gli scompartimenti privati. Il coleottero si ferma due porte più in giù di quello di papà e guarda dietro di sé per assicurarsi che nessuno ci abbia seguito, poi infila una targa di ottone nel telaio:

    REGINA ROSSA

    .

    I boccioli delle mie ali cominciano a prudere, impazienti di entrare in azione. Un misto di rabbia e magia ribolle sotto la mia pelle, pronto a esplodere.

    Il controllore fa per aprire la porta, ma si ferma. «Una volta sono stato a un garden party nel suo palazzo», sussurra. «L’ho vista scuoiare l’amico del Ghiromante… quella specie di lepre».

    Digrigno i denti al ricordo della prima volta che vidi la Leprosa, un anno fa; sembrava che le avessero rovesciato la pelle. «La Leprosa Marzolina? È stata Rossa a scuoiarla?».

    Il coleottero annuisce con tanta veemenza che per poco non gli cade il cappello. «La sorprese a mangiare i petali delle rose. Una pessima idea, soprattutto perché erano state piantate in onore del suo defunto padre, ma fu comunque terribile. Rossa prese una zappa e la usò come un pelapatate su di lei. Le scuoiò un fianco e gli schizzi di sangue sporcarono tutti gli ospiti, rovinando i loro vestiti e le margherite. Hai mai sentito un coniglio gridare? È una cosa che non si dimentica più».

    Noto che il coleottero apre e chiude le palpebre ripetutamente. Sta perdendo determinazione. Lo capisco, dato che ho sperimentato in prima persona la violenza di Rossa. Una volta ha usato le mie vene come i fili di una marionetta… il dolore più straziante che abbia mai provato in vita mia. Ha perfino lasciato un’impronta sul mio cuore… un’impronta che ancora sento perché è una pressione costante.

    A dire il vero, negli ultimi tempi è più di una semplice pressione. Dalla sciagurata sera del ballo, quando andò tutto a rotoli e io mi lasciai travolgere dalla follia, quel senso di oppressione si è trasformato in fitte di dolore ricorrenti, come se qualcosa si stia lentamente espandendo dentro di me.

    Non l’ho detto a papà. Ero troppo occupata a esercitare i miei poteri magici e a elaborare un piano. Devo vincere questa battaglia ed essere più forte di Rossa, stavolta. Devo farlo per tutti quelli che amo.

    Non posso permettermi il lusso di andare dal medico e, in ogni caso, non servirebbe a niente. I miei problemi sono stati causati dalla magia. Dalla magia di Rossa. Il mio istinto lo sa. La costringerò a sistemare le cose prima di porre fine alla sua miserabile esistenza.

    Più determinata che mai, allungo una mano per prendere la chiave che il controllore tiene in mano.

    Lui la ritrae e la nasconde sotto al cappello, poi armeggia con la targa, cercando di tirarla fuori dal telaio. «Ho cambiato idea», dice, facendo scattare le mandibole. «A volte capita anche agli insetti».

    «No», protesto, afferrandogli il braccio, sottile come uno stecchino. Sarebbe così facile spezzarlo… La tentazione mi offusca la mente per un attimo, istigandomi a liberare l’assassina che è in me, ma ritraggo la mano e la appoggio sul petto con aria implorante. «Lo giuro sulla mia vita-magia: non le dirò mai che sei stato tu a mostrarmeli».

    «Meglio per te se ti siedi e aspetti tuo padre», risponde il controllore, poi fruga dietro al tappeto ruvido che gli copre il torace, tira fuori un pacchetto di arachidi e me le offre. «Avrai fame dopo il viaggio. Mangia qualcosa».

    «Non mi muovo di qui finché non avrò visto i suoi ricordi, insetto-zerbino». Butto a terra le arachidi e mi appoggio contro la targa per bloccarla.

    Il coleottero lancia un gorgoglio rabbioso. «Il mio corpo sarà anche fatto di tappeto, ma il mio cervello funziona bene quanto il tuo».

    «Non credo proprio. Dimentichi ciò che ti ha detto Mor­pheus: io sono una reale».

    «Già, ma Morpheus non è qui, se non sbaglio».

    Vorrei rispondergli per le rime, ma il pensiero di ciò che tiene Morpheus lontano mi raggela, rendendo la mia lingua pungente inutile quanto una fetta di manzo surgelata.

    «Sei una reale rottura di scatole», mi provoca lui. «Ti sei resa conto che siamo sotto a un ponte di ferro e che quindi la magia Netherling funziona poco o niente? È per questo che conserviamo qui i ricordi perduti, per tenerli al sicuro. Non puoi costringermi a fare nulla e io non voglio certo morire schiacciato dal pollice della Regina Rossa per aver aiutato una rammollita mezzosangue».

    Un’ondata incandescente di orgoglio mi fa pulsare le vene e mi scongela la lingua. «Forse dovresti aver più paura di restare intrappolato che di essere schiacciato».

    Mi concentro sui lampadari con le lucciole, immaginandoli come delle enormi meduse di metallo. Le catene cominciano a scuotersi e i bulloni si staccano dal soffitto. I finimenti si spezzano, liberando nell’aria le lucciole che, sopraffatte dalla gioia, svolazzano e volteggiano forsennatamente per tutto il vagone. Sembra di assistere a uno spettacolo del planetario. Gli altri passeggeri squittiscono di paura e si rintanano sotto i sedili.

    Il controllore lancia un grido stridulo e indietreggia mentre gli involucri ormai vuoti dei lampadari nuotano nell’aria verso di noi, sospinti dai tentacoli metallici che, pur muovendosi con grazia, fanno un effetto spaventoso. Io mi getto di lato e le catene afferrano il coleottero, facendogli volare via il cappello e scagliandolo contro la parete. I bulloni si fissano automaticamente alla superficie, creando una rete di metallo gigante; il controllore resta intrappolato al suo interno, così in alto che le gambe penzolano nel vuoto.

    Le lucciole, ormai calme, si muovono lentamente per il vagone, spandendo un tenue bagliore tutto intorno.

    Stringo i denti e pesco la chiave dal cappello del controllore, recuperando anche il sacchetto di arachidi. «C’è una nuova regina in circolazione», dico, lanciandogli un’occhiata torva. «E, grazie al mio sangue impuro, i miei poteri magici non vengono alterati dal ferro, perciò Rossa non può niente contro di me». Mi dirigo verso la porta della Regina Rossa.

    «Un momento», mi implora il coleottero. «Perdonate la mia impertinenza, Vostra Maestà. Ora so che avete ragione, ma cercate di capirmi: sono il controllore, ho il dovere di proteggere le riserve di ricordi perduti dai clandestini. Fatemi scendere, vi supplico!».

    Mi volto di scatto per guardare gli altri passeggeri. Loro si affacciano da sotto i sedili e mi guardano con soggezione, a coda bassa e pelo ritto. Starnutiscono e tremano di paura.

    Lancio le arachidi al controllore e lui emette un lamento. Il sacchetto rimane attaccato a una catena, vicino alle sue zampe sinistre.

    «Il controllore è in pausa pranzo», annuncio agli altri passeggeri. «Non allontanatevi dai vostri sedili per nessuna ragione, o dovrete vedervela con me, chiaro?».

    Gli altri clandestini annuiscono con terrore e, ancora un po’ incerti, tornano a sedersi al loro posto. Un bocciolo di soddisfazione germoglia dentro di me.

    Con un sorriso compiaciuto, infilo la chiave nella toppa e apro la porta che conduce al passato della mia nemica.

    2

    Discesa

    Non appena mi richiudo la porta alle spalle, tutte le mie certezze vacillano.

    La stanza è angusta e priva di finestre. Un arazzo color avorio pende sopra a una chaise-longue color crema e, poco più in là, c’è una lampada da terra molto alta che diffonde un bagliore soffuso sul pavimento a scacchi.

    Sento un buon aroma di mandorle; proviene da un piatto di biscotti lunari, che sembrano trovarsi sempre ovunque. Nonostante abbia una gran fame, non riesco a mangiare. Questo posto mi è dolorosamente familiare.

    Qui ho stretto a me Jeb e mamma e ho sentito il loro amore. Le mie braccia bruciano di nostalgia. Sulla parete di fronte a me, le tende di velluto rosso attendono che qualcuno le apra e riveli qualche scorcio del passato. Su questo treno ho visto la storia d’amore dei miei genitori e i ricordi di Jeb. Mi sono aggirata nelle loro menti e ho provato le loro emozioni come se fossero state mie.

    Ho avvertito il cambiamento nel cuore di mia madre quando ha rinunciato alla corona di rubini per dare a mio padre la possibilità di sopravvivere… Ho perfino visto Morpheus aiutarla a portare mio padre oltre il portale, nel regno umano, nonostante questo mettesse a rischio i suoi piani ben architettati. Ho sentito la nobiltà d’animo e il coraggio di Jeb quando ha voltato le spalle al suo futuro per permettere a me di andare avanti.

    Ci sono voluti così tanti sacrifici per arrivare fin qui… Farei qualunque cosa per riportare indietro l’orologio e rimettere a posto le cose. Ma il tempo non ha pietà e i momenti sfuggono.

    «Momento. Nel Paese delle Meraviglie non avrai costrizioni di questo genere. Guarda il lato positivo. E ora riprenditi. Dobbiamo prepararci per Rossa». Sono le parole che Morpheus mi ha detto la sera del ballo, poche ore prima che tutto andasse in malora. Il suo discorso mi sembra così significativo adesso che mi chiedo se Morpheus non sia connesso con la mia mente. No, non è possibile con la cupola di ferro a separarci. Tuttavia, è logico che il suo consiglio riecheggi nella mia mente proprio quando sto per cedere all’incertezza, considerando che lui è il depositario della saggezza del Paese delle Meraviglie, il custode di tutti gli azzardi e le follie di quel mondo.

    Jeb è un’ancora che mi tiene saldamente legata al mio lato umano e compassionevole, ma Morpheus è il vento che mi trascina urlante in cima al precipizio più alto, mi spinge giù e mi osserva volare con le mie ali Netherling. Quando Jeb è accanto a me, il mondo è una tela da pittore, immacolata e accogliente. Quando sono con Morpheus, ogni luogo è un parco giochi per cattivi, eccitante e pericoloso, del quale non riesco a fare a meno.

    Jeb e Morpheus occupano i due diversi lati della mia anima divisa a metà. Insieme, uniscono la mia parte umana a quella Netherling, ma non so cosa questo significhi per me. E, a meno che mio padre non esca dallo scompartimento con i ricordi ancora intatti, potrei non scoprirlo mai.

    I miei occhi si riempiono di lacrime per la prima volta dopo settimane. Sono diventata molto brava a nascondere la disperazione. Del resto, faceva parte della mia messinscena al manicomio: dovevo mostrarmi insensibile e distaccata per recitare bene la parte, ma quello che provo è l’esatto opposto.

    Mi rifiuto di piangere e sollevo il mento con fierezza. Morpheus mi direbbe che sono una regina, e le regine non piangono. Jeb, invece, mi direbbe: Ce la farai, Miss Skater.

    Hanno ragione entrambi.

    Giro la manopola sulla parete per affievolire la luce della lampada. Il sipario si apre e rivela uno schermo cinematografico. Seguo le istruzioni che il coleottero mi ha dato l’ultima volta che sono stata qui: «Fissi lo schermo vuoto immaginando il viso di sua madre e sperimenterà il passato come se stesse accadendo or ora».

    Resto sorpresa dalla facilità con cui ricordo l’immagine di Rossa nei disegni che mia madre ha aggiunto alla sua copia di Alice nel Paese delle Meraviglie. Prima che la piccola Alice cadesse nella tana del coniglio, prima che il mondo di Rossa venisse fatto a pezzi da un marito infedele… prima che venisse tradita dal suo re, quando era ancora una principessa.

    Lo spettacolo comincia e io esplodo in mille pezzi che si riuniscono sullo schermo, nel corpo e nella mente di Rossa.

    È una bambina di circa dieci anni in età umana, ma nel regno Netherling i bambini sono diversi, più saggi e cinici, privi di innocenza e di fantasia. Il suo respiro è veloce e affannato perché sta rincorrendo un gruppo di folletti che trasporta un cadavere avvolto da un drappo di velluto rosso. I folletti non si fermano finché non oltrepassano il cancello del cimitero ed entrano nei giardini coperti, dove sono al sicuro.

    «Aspettate! Riportatela qui!», grida Rossa.

    Correndo, inciampa nell’orlo del suo abito, ma batte forte le ali e si solleva in volo. Atterra di fronte al cancello proprio mentre le ante si chiudono, lasciandola fuori. Rimasta sola, sbircia tra le sbarre. Sorella Uno esce dal labirinto di siepi e le sue otto scintillanti zampe da ragno fanno capolino sotto l’orlo della gonna. La giardiniera avvicina il volto umanoide alla madre di Rossa ed estrae lo spirito dal suo corpo. Quello sembra dimenarsi e fuoriesce sinuoso come un viticcio fluorescente.

    Sorella Uno si avvolge lo spirito intorno al polso e fa portare via il corpo vuoto dai folletti.

    «No, non potete prenderla!», grida Rossa, con un peso tale sul petto che perfino respirare fa male. L’olezzo di muffa e foglie bruciate le riempie le narici. Non è mai arrivata tanto vicino al giardino delle anime perché le hanno sempre raccontato cose spaventose su quel luogo e le sue custodi. Tuttavia, le storie sulle mani-forbice e sugli intrusi che vengono fatti letteralmente a pezzi non le fanno alcuna paura. Non oggi che sua madre le viene portata via per sempre.

    Sorella Uno la fissa con aria pensosa dall’interno del giardino. «Questo suolo è sacro, piccola regina. Qualunque cosa tu abbia in mente, è una follia. Qui non hai il potere che eserciti sul tuo regno».

    Rossa la guarda con rabbia. Tutto il suo corpo si illumina di rosso mentre si concentra sui capelli della donna-ragno. Le ciocche, lucenti e sottili come trucioli di matita, si sollevano intorno al volto della giardiniera come mossi da una folata di vento, ma la magia di Rossa non ha alcun effetto.

    Osserva attentamente il cancello e i rami spinosi che coprono il cimitero come un tetto. Non c’è modo di superare quegli ostacoli.

    Sorella Uno fa una risatina altezzosa. «Sarebbe un grande errore tentare di introdurti qui, principessina, a meno che tu non voglia conoscere personalmente mia sorella. Ha un vero talento nel trasformare in coriandoli le piccole impiccione come te».

    Un brivido corre lungo la schiena di Rossa, fino alle punte delle ali.

    Sorella Uno lancia un’ultima occhiata minacciosa a Rossa e intreccia lo spirito sofferente tra le dita, poi scompare nella fitta vegetazione con un gran movimento di gonne e zampe.

    Rossa viene raggiunta dal re, suo padre, paonazzo in volto per lo sforzo di tenere il passo con la figlia.

    «A che serve essere immortali se non possiamo stare insieme per sempre?», gli chiede Rossa, col naso premuto contro le sbarre del cancello, infreddolita dal contatto con il metallo.

    «Essere immortali significa soltanto che a un certo punto smetti di invecchiare… e che il tuo spirito non muore mai», risponde il re, affannato, stringendole una spalla con affetto. «Il corpo, però, non è invulnerabile e può diventare un involucro vuoto».

    Le braccia e le gambe di Rossa perdono ogni forza. Anche il suo corpo sembra essersi trasformato in un involucro vuoto e fragile, così leggero che una folata di vento potrebbe portarlo via.

    Si aggrappa alle sbarre per sorreggersi. «Perché non possiamo seppellirla nei giardini del palazzo, tra le begonie e le margherite, come fanno gli umani? Se continuasse a vivere nei fiori, potremmo farle visita tutti i giorni».

    Il padre aggrotta le sopracciglia, come se stesse valutando la cosa. «Sai bene che solo i sogni possono saziare e placare gli spiriti, e così impedire loro di possedere altri corpi viventi. Le Sorelle Semelle sono le uniche in grado di procurarsi i sogni necessari».

    «Sogni», ripete Rossa, poi tira su con il naso. «Un giorno porterò i sogni al nostro popolo, padre. Ne troveranno in abbondanza ovunque, non solo al cimitero. Un giorno libererò gli spiriti, così potranno dormire nei nostri giardini, bussare alle nostre finestre di notte e inciampare sui nostri piedi di giorno. Porterò la fantasia nel nostro mondo, così ognuno di noi potrà restare per sempre con quelli che ama».

    Lui le dà qualche colpetto affettuoso sulla testa, un gesto tenero che per un attimo sembra quasi riempire la voragine aperta nel petto di Rossa.

    «Se ci riuscissi, diverresti la regina più amata della storia, bocciolo scarlatto, ma fino ad allora siamo costretti a seguire le regole, come tutti gli altri. Non possiamo fare un uso improprio del nostro potere o della nostra posizione, né mettere in pericolo i sudditi, nean­che in nome dell’amore che proviamo per lei». Si asciuga gli occhi con il fazzoletto. «Hai capito?».

    Rossa annuisce.

    La scena sfuma e svanisce. Vengo trascinata fuori dalla sua memoria e mi ritrovo sulla mia poltrona, avvolta dall’oscurità. Sento un rimbombo nel cranio, come se qualcuno mi stesse prendendo a pugni dall’interno. Premo le mani contro le tempie finché i colpi non smettono.

    Dev’essere il ricordo ripudiato che si annida nella mia testa, perché non ho provato niente del genere l’ultima volta che sono stata qui.

    Lo schermo si riaccende. Un arcobaleno luminoso attraversa la stanza e mi riporta in scena. Le mie ossa si incastrano in quelle di Rossa e la mia pelle si avvolge sulla sua.

    Qui avrà circa sedici anni. Suo padre ha sposato una vedova Netherling dopo la morte della madre in modo che la Corte Rossa abbia una regina in attesa che Rossa raggiunga l’età per salire al trono. Mancano pochi mesi alla sua incoronazione, il giorno in cui la magia della corona riempirà le sue vene…

    Rossa si nasconde dietro a dei cespugli nel giardino del castello. Le zinnie a righe viola fremono per la rabbia che emana dal suo corpo mentre spia il padre e la sua sorellastra. Granato è la figlia che l’attuale regina ha avuto dal precedente matrimonio ed è diventata una spina nel fianco di Rossa.

    I suoi capelli emanano lo stesso bagliore dei rubini e i suoi occhi d’argento danzano tra folte ciglia color lavanda. Come se questo non bastasse, la sua memoria non trattiene niente e lei è sempre un foglio bianco pronto per essere scritto. La sua debolezza e il costante bisogno di aiuto sono una gradita distrazione per il cuore addolorato del re, distrazione che non poteva certo trovare nel carattere forte e indipendente di Rossa.

    Il re si china e mostra per la centesima volta a Granato come si gioca a croquet, dopo averle ricordato per la millesima volta che lui è il suo nuovo papà. Le indica i piccoli archetti di metallo che fuoriescono dal terreno e disegnano un percorso a forma di diamante. Un picchetto rosa e uno grigio segnano l’inizio e la fine della pista e i due set di palle dei giocatori sono sistemati in una custodia rivestita di raso.

    «Bisogna seguire il percorso degli archetti», le spiega dolcemente il re. «Io ho il rosso e tu l’argento. Il primo di noi che attraversa tutti gli archetti nell’ordine giusto e colpisce il picchetto finale vince».

    Granato scuote la testa e i suoi riccioli rosso rubino rimbalzano sulle sue spalle. «Mi spiace, ma non ricordo cos’è il picchetto».

    «Quella specie di bastone alla fine del percorso».

    «E l’archetto… È questo?». Granato solleva una creatura con il collo da fenicottero che, per effetto della magia, ha il corpo rigido e incurvato come una mazza da hockey. Le piume rosate della creatura si agitano, come se si fosse offesa per l’errore.

    «Quella è la mazza, cara. Gli archetti sono le piccole porte a u attraverso cui devi far passare la palla».

    Sulle guance di Granato appaiono due fossette, come sempre quando è perplessa. «Oh, padre, non riesco proprio a ricordare».

    Lui sorride, vinto dal suo fascino distratto. «Credo di aver trovato una soluzione. Sir Bill?». Segnala a qualcuno di avvicinarsi.

    Bill la Lucertola – un rettile Netherling capace di scrivere senza inchiostro – si fa avanti e si inchina. Il suo frac rosso diventa verde erba, confondendosi con gli arbusti così bene che la testa e le mani ora sembrano sospese in aria.

    Granato lo saluta con un inchino. «Piacere di conoscervi, signore».

    La lucertola sorride, conquistata dalla sua dolcezza come tutti.

    «Sir Bill è lo stenografo di corte. Ha il potere di mangiare i sussurri», spiega il re. «Dopo averli mangiati, li può scrivere su qualunque superficie, dove restano incollati in eterno come mormorii sommessi, in modo che possano essere sentiti ma non visti. Sussurra qualcosa che vuoi ricordare».

    Granato bisbiglia le regole del croquet, appena spiegatele dal re.

    La mascella da camaleonte di Bill si spalanca e la sua lingua si srotola nell’aria, catturando l’eco dei mormorii di Granato. I suoi

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