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Storia su carta e inchiostro
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E-book187 pagine2 ore

Storia su carta e inchiostro

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Info su questo ebook

Beatrice è una tredicenne solare, estroversa, sognatrice, romantica e appassionata della scrittura.
Tommaso, suo coetaneo e figlio di genitori separati, è timido, introverso, con pochissimi amici e amante del pianoforte.
Nonostante siano così diversi, durante una calda estate toscana si incontrano e diventano amici, imparando a conoscere i loro sogni, le loro paure, le loro passioni…
Gli imprevisti, però, sono sempre dietro l’angolo e i due amici, o forse qualcosa di più, dovranno imparare a superarli.
LinguaItaliano
Data di uscita3 nov 2017
ISBN9788827509777
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    Anteprima del libro

    Storia su carta e inchiostro - Michelle Cerri

    forma.

    Capitolo 1

    Beatrice tolse le scarpe e si diresse verso il bosco vicino a casa: era un bosco come tanti altri, ma lei lo considerava speciale.

    Ormai aveva i calli ai piedi, perciò non sentiva male nel girovagare scalza.

    Si udivano gli uccelli cantare, le api tra i fiori…

    Quella distesa di alberi era fantastica come sempre.

    L'erba sotto i suoi piedi faceva cric-crac e fra gli arbusti scorse un leprotto che, vedendola, scomparve nel sottobosco.

    Era vestita in stile country: camicia a quadri, jeans, cappello di paglia, lunghi capelli biondi avvolti in una treccia e, come tocco finale, un filo d'erba tra i denti. Si considerava un'avventuriera professionista, perché fin da bambina adorava esplorare, visitare nuovi luoghi, conoscere altre persone…

    Sua sorella Margherita, più grande di sette anni, spesso l'accompagnava nelle passeggiate tra gli alberi, però questa volta doveva studiare per un esame imminente, così rimase chiusa in camera. Ormai, poverina, si distraeva dai libri solo per mangiare. Entrambe erano molto brave a scuola, ma Beatrice preferiva studiare in giardino piuttosto che stare chiusa in casa.

    Le due sorelle erano molto legate e amavano stare insieme, in una giornata noiosa sapevano divertirsi e ridere talmente tanto che a volte i vicini venivano coinvolti dal loro buon umore.

    Beatrice e Margherita erano due poli opposti: la prima amava scrivere, invece l'altra adorava fisica e matematica.

    «La fisica è strana!» sosteneva sempre Bea.

    «E allora cosa dovrei dire dei temi?» ribatteva la sorella.

    «Mah, credi a quello che preferisci.» poi faceva spallucce e se ne andava.

    Beatrice continuò a camminare sgranocchiando dei cioccolatini ripieni al cocco presi senza essersi fatta vedere dalla mamma, la quale, giustamente, l’avrebbe bloccata dicendole di smettere di mangiare tanto. Un’altra sua passione era il cibo, le piaceva tutto, bastava rimpinzarsi. La scusa era: Non voglio avere un calo di zuccheri!, ma la sua era solo golosità e, nonostante mangiasse molto, era una ragazza snella.

    Svoltò e si trovò davanti alla radura in cui c'era il suo albero preferito: aveva foglie piccole, scure e un fusto corto e largo. Non sapeva che tipo di pianta fosse, però nel complesso sembrava un broccolo, quindi l'aveva chiamato così. Da come aveva capito, non c'erano molti altri alberi fatti in quel modo nella sua regione, la Toscana.

    Lo amava come se fosse umano e per lei era anche un buon compagno d’avventure.

    Una volta, ovviamente per gioco, aveva finto di sposarlo, diventando la signora Broccolo, però il marito era troppo taciturno e l'aveva lasciato.

    «Smettila di torturare quella pianta!» le dicevano tutti.

    Bea pensava di aver visto all'albero perfino gli occhi, ma sapeva che era stato un sogno e sebbene adesso avesse 13 anni, sotto quell’aspetto era ancora una bambina con una grande fantasia.

    Attraversò il prato e si coricò sotto a Broccolo, il quale la riparò dal sole. Cullata dal canticchiare degli uccelli si addormentò.

    Beatrice aprì gli occhi e vide il buio.

    Quanto ho dormito? si domandò.

    Con orrore notò che non fosse più nel bosco, bensì in una stanzetta lurida.

    Vicino alla ragazza c'erano una ciotola d’acqua e un piatto con avanzi di cibo andato a male, sopra al quale si erano posate delle mosche.

    Ispezionò bene il luogo in cui si trovava. Vide davanti a sé una turca, una brandina sudicia e sopra la sua testa scorse molte ragnatele.

    Si mise le mani fra i capelli: dov’era finita?

    Notò delle sbarre alla porta, per cui capì di trovarsi in una prigione, ma non in una moderna! Era ritornata indietro nel tempo?

    «Chi prendiamo?» chiese una voce sconosciuta al di fuori della sua cella.

    «Quella là, la ragazza bionda con la treccia.» rispose un uomo.

    Si avvicinarono alle sbarre due giovani guardie, con sguardi seri e capelli incolti che la presero di forza e la obbligarono a camminare.

    «Dove mi state portando?»

    I due uomini fecero finta di non sentire e lei provò a liberarsi, ma il tipo più alto le diede uno schiaffo che le segnò la guancia.

    «Ahi!» gemette e si mise a piangere in silenzio.

    La condussero, o meglio la spinsero fino a un salone, dove c'erano altri carcerati che, al contrario di lei, erano aggressivi e furiosi.

    Mentre fissava un uomo con una cicatrice sull'occhio e un dente di metallo, la guardia le rovesciò addosso dell'acqua gelida.

    «Ah!» urlò.

    «Ecco la tua bella doccia.» la derise l’uomo.

    Dopo qualche minuto la fecero di nuovo camminare, dirigendola verso il tribunale, dove la incolparono di aver aiutato il nemico.

    «Con chi ti sei alleata?» domandò a un certo punto il giudice.

    «C…che alleato?» balbettò.

    «Sappiamo che menti. Ti condanno alla pena di morte!»

    Un brivido percorse la schiena di Beatrice.

    Si erano sbagliati, lei non poteva essere colpevole, anzi non lo era! Di che alleato stavano parlando? Erano forse in tempi di guerra? Fra l'altro era troppo giovane per morire, doveva ancora incontrare nuovi amici, andare alle superiori, innamorarsi…

    No, non era la realtà, eppure.

    Arrivata alla sua cella, si coricò e ripensò alla sua famiglia, a mamma, papà, sua sorella. Rivide i loro visi, i loro occhi. Li amava troppo, come faceva a separarsi da loro?

    Si ricordò il bel sorriso di sua mamma, la risata e il suo buon profumo. Pensò a suo papà, che le dava un buffetto sulla guancia, e infine vide gli occhi grandi di Margherita.

    Passò la notte a piangere disperata.

    La mattina seguente, le stesse guardie del giorno precedente la diressero in uno spiazzo, dove si erano radunate molte persone.

    «Giustiziatela!» gridò un bimbo.

    Ecco a cosa portava la guerra: alla miseria e alla disperazione! Anche un bambino avrebbe tolto la vita a una persona.

    Legarono la giovane a un palo, in modo che non si potesse muovere.

    Poi un uomo con la divisa prese un fucile, lo caricò e, mentre aspettava l’ordine di sparare, abbassò l’arma. Nel frattempo Bea osservò la folla, composta per lo più da persone adulte.

    Una donna fece girare la testa del figliolo verso di lei, affinché potesse guardarla morire. Il piccolo la osservò e quando il soldato alzò il fucile, si mise a piangere urlando: «Non uccidetela!»

    Finalmente qualcuno l'aveva capita: un bambino piccolo, però almeno uno su cento!

    Questo non fece cambiare la brutta situazione; l'uomo puntò il mirino verso la fronte della ragazza, fece un sospiro, deglutì e…

    Pum!

    Si svegliò di soprassalto.

    «Sono in paradiso?»

    Invece capì di essere nella solita radura.

    Si mise una mano sul petto, il cuore le batteva all'impazzata ed era tutta sudata.

    «Che incubo!»

    Le venne in mente la guerra che aveva visto in TV qualche giorno prima, ne era rimasta colpita e l'aveva sognata.

    «Grazie Broccolo per avermi svegliata nel momento peggiore!» diede un bacio al fusto e se ne andò.

    Raccontò quello che aveva sognato agli alberi, che sembravano ascoltare in silenzio.

    I suoi piedi erano sporchi di terra; doveva lavarseli, altrimenti sarebbe stata rimproverata. Così prese un fazzoletto, se li pulì fino a farli diventare rossi e s’infilò le scarpe.

    «Ecco fatto!»

    Fischiettando, aprì la porta ed entrò nella sua piccola ma graziosa casetta.

    Capitolo 2

    Beatrice aveva otto anni quando conobbe Giovanni.

    Come al solito si arrampicò su Broccolo, prese il suo binocolo (regalatole per Natale) e contemplò la sua radura: erba - erba - un pino - arbusti - una lepre - un bambino con i capelli ricci - erba… un bambino con i capelli ricci?

    Scese dall'albero e gli puntò contro la fionda.

    «Non ti ho mai visto da queste parti.» disse in tono accusatorio.

    Parecchie volte le era capitato di incontrare delle bande di ragazzini che volevano conquistare quella radura, perciò doveva combattere. Ovviamente non si facevano male, si lanciavano solo palline di carta o cartone e chi vinceva, s’impossessava del territorio altrui. Tutto era cominciato per caso quando lei e dei suoi compagni avevano inventato questo gioco, ma col tempo lo presero sul serio.

    Beatrice aveva conquistato soltanto quel posto, mentre gli altri avevano più zone, però a lei andava bene così.

    «Sì, lo so. Io non vengo mai in questo bosco.» disse il bambino.

    «Ah.»

    Peccato, era pronta a difendersi.

    A questo punto si presentò e lui fece lo stesso: era Giovanni, aveva nove anni ed era in Toscana solo per una vacanza.

    Era simpatico, scherzoso e buffo. La sua folta chioma di capelli ricci biondi sembrava un cespuglio enorme: faceva ridere!

    «Sei qui da tanto?» gli chiese.

    «No, sono appena arrivato. I miei stanno sistemando i bagagli, allora mi sono avventurato nei dintorni.»

    I due nuovi amici si coricarono sull'erba guardando le nuvole, erano veloci e mutavano da un secondo all'altro.

    «Guarda quella là, sembra un drago!» indicò Giovanni tutto eccitato.

    «A me invece sembra un aeroplano.»

    «No, cosa dici! Ora è diventata un pesce!»

    Non litigarono per questo, anzi, si divertirono a contraddirsi l’un l'altro.

    Il bambino raccontò che arrivava dalla Puglia. A suo parere era la regione italiana più importante perché l’Italia sarebbe caduta senza di essa, essendo il tacco della penisola. Aggiunse che la sua zona gli piaceva molto soprattutto per le particolari città, come Alberobello.

    «Sì, è ovvio.» annuì lei.

    La verità era che non sapeva bene dove fosse, non avendola ancora studiata a scuola. Conosceva Milano, Torino, Venezia, e altre città, ma quel posto le era sconosciuto.

    Le disse anche che lui e i suoi genitori amavano viaggiare ed erano già andati a Parigi, Roma, New York, Buenos Aires e Lisbona.

    «Sai dove si trovano tutti questi posti?» le chiese a un tratto.

    «Sì.» però mentì di nuovo, non volendo farsi vedere impreparata. Anzi no, un po' di vero c'era, poiché sapeva dove si trovavano Roma, Parigi e New York.

    Giovanni continuò a raccontare, ridendo e scherzando con la sua nuova amica.

    Per un attimo i loro sguardi s’incrociarono: Beatrice non aveva notato che Gio avesse molte lentiggini sul naso e fantastici occhi del colore del cielo.

    Improvvisamente un forte rumore interruppe il silenzio.

    «Cos’è stato?» chiese lui spaventato e incuriosito.

    Videro alla fine della radura una specie di ruspa che si dirigeva verso la parte ovest del bosco, mentre abbatteva gli alberi.

    «Oh, no!» esclamò il ragazzino, portandosi una mano alla bocca.

    «Seguiamola!» disse, o meglio ordinò lei.

    Per fortuna quella distruggi-piante non proseguiva velocemente, perciò la seguirono senza difficoltà.

    Rimasero per tutto il tragitto a un po’ di distanza da quella macchina, per evitare pericoli.

    La simil-ruspa si fermò accanto a un capanno, dove c’erano alcune persone che parlavano animatamente.

    Che strano, non aveva mai saputo della presenza di quelli lì nel bosco.

    «Vieni.» disse la bambina spingendolo dietro a una grande roccia.

    «Non c'è da fidarsi di loro,» continuò lei indicando gli uomini «dobbiamo spiarli per capire le loro intenzioni.»

    Rimasero a lungo nascosti, senza ottenere nulla, finché…

    «Come sta andando il disboscamento?» domandò il tipo più giovane del gruppo.

    «Bene e la strada che sarà costruita al posto di queste orribili piante sarà fantastica. Verranno anche edificati hotel, palazzi...»

    Crac!

    Beatrice pestò involontariamente un ramo che fece un rumore abbastanza forte,

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