Il gatto che arrivò il giorno di Natale
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Info su questo ebook
«Chi ama i gatti impazzirà per questo libro.»
«Ho letto tutti i libri di Melody Carlson e li ho adorati tutti, ma questo è il mio preferito. Lo raccomando caldamente a chi cerca una bella storia di Natale.»
«Il libro perfetto da leggere accoccolati sul divano, con una tisana fumante, per passare un pomeriggio molto hygge.»
«Ma allora è proprio vero che a Natale tutto può accadere! Romanzo delizioso.»
«Anch’io, come la protagonista, avevo smesso di credere alle favole, ma grazie a questo libro mi sono dovuta ricredere, e ho adottato un gattino che mi regala gioia e affetto. Una storia meravigliosa.»
«Natale con i tuoi? Sì, con i miei gatti!»
Melody Carlson
è l’autrice pluripremiata di decine di romanzi. Adora scrivere di cuccioli, amore e Natale.
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Anteprima del libro
Il gatto che arrivò il giorno di Natale - Melody Carlson
Capitolo 1
Chiunque conoscesse Garrison Brown, sapeva che era solito attraversare la strada ogni volta che incrociava un gatto. Mentre si affrettava nella gelida aria di Seattle, vedendone uno nero tagliargli la strada fece una smorfia. La testa bassa, la creatura emaciata si stava infilando nel vicoletto dietro un noto ristorante e scomparve nella nebbia. Garrison odiava i gatti. D’accordo, forse odiare era una parola un po’ forte. Semplicemente, non voleva avere niente a che fare con quelle bestiole pelose.
Nel periodo che Garrison aveva trascorso da volontario in Africa, sua nonna lo prendeva amorevolmente in giro nelle sue e-mail. «Hai attraversato mezzo mondo solo per sfuggire ai miei amichetti pelosi?». Effettivamente, i gatti erano rari, in Uganda, ma non era stata la sua allergia ai felini a spingerlo a lasciare il Paese… e sua nonna lo sapeva.
Entrando nel palazzo in cui aveva temporaneamente trovato alloggio a casa di un vecchio amico, Garrison ricordò a sé stesso che i gatti potevano in realtà essere piuttosto divertenti… almeno a debita distanza. Alcuni degli spassosi video di YouTube che sua nonna gli aveva inoltrato negli ultimi anni gli erano persino piaciuti. Il primo a venirgli in mente fu quello con il gatto travestito da squalo che inseguiva un anatroccolo a cavallo di un robot aspirapolvere.
Salendo la prima rampa di scale scricchiolanti, rifletté che era impressionante quanto bene se la cavasse la sua anziana nonna con la tecnologia. Altrettanto incredibile era che, nei nove anni che lui aveva trascorso in Uganda, fosse riuscita ad accumulare tanti gatti. Per qualche ragione, era diventata una calamita per gli animali abbandonati e maltrattati. Lei la chiamava la sua «missione francescana», ma lui rabbrividiva al pensiero di tutte quelle creature pelose che si aggiravano per casa.
Garrison era ben consapevole che sua nonna non fosse l’unica amante dei gatti del Paese. A meno che non fosse uno scherzo della sua immaginazione, durante la sua assenza la popolazione felina della nazione si era moltiplicata notevolmente. Non aveva una spiegazione logica per quel fenomeno, ma sembrava che, ovunque si girasse, anche nelle pubblicità in televisione, ci fossero gatti, gatti e ancora gatti. E non erano gli attori di Cats, il musical di Broadway!
Si fermò lungo le scale, per estrarre dal fondo della tasca del cappotto il telefonino che squillava. Sperando che fosse il direttore dell’organizzazione no-profit con il quale aveva appena avuto un colloquio, rispose con allegro entusiasmo: «Sì? Parla Garrison». Il suo coinquilino l’aveva incoraggiato a mostrarsi più spigliato e moderno… anche se Garrison aveva solo trentaquattro anni e non era ancora pronto a farsi rottamare. A detta di Randall, Seattle era una città orientata verso i giovani e, a quanto pareva, Garrison aveva bisogno di rimettersi un po’ al passo… quanto meno se voleva integrarsi.
«Garrison Brown?», chiese una voce profonda.
«Sì, sono io».
«Sono felice di averla trovata, signor Brown. Anche se temo di avere cattive notizie».
L’entusiasmo di Garrison si affievolì. Il direttore aveva probabilmente deciso, come molti altri responsabili del personale, di rifiutargli, seppur con gentilezza, il lavoro. Perché esserne sorpreso? Di solito, però, non lo richiamavano.
«Mi chiamo Edward Miller», disse l’uomo. «Sono l’avvocato di Lillian Brown e…».
«L’avvocato di mia nonna?», lo interruppe Garrison. «Qualcosa non va?»
«Sì. Mi dispiace informarla che la signora Brown è deceduta».
«Ah…». Garrison si bloccò sulle scale, con un grosso nodo in gola. «La nonna è morta?»
«Sì. È deceduta questa mattina o forse la notte scorsa. Una vicina l’ha trovata qualche ora fa. Mi dispiace molto per la sua perdita».
Garrison si sentì oppresso da un forte senso di colpa. Tornato dall’Uganda, aveva davvero avuto l’intenzione di trascorrere più tempo con sua nonna. Avrebbe davvero voluto. Ma tra i consulti medici per curare la malaria… e i colloqui di lavoro per curare il conto corrente, erano trascorsi alcuni mesi, e da allora era riuscito a trovare il tempo per un’unica visita, una breve sosta nel corso di una gita di un giorno con il suo coinquilino. Aveva in programma di farle una sorpresa per il giorno del Ringraziamento e trascorrere l’intera settimana insieme a lei. Ma ormai era troppo tardi.
«Che cosa è successo?», chiese con un filo di voce. «Cioè, mi rendo conto che aveva quasi novant’anni, ma sembrava in buona salute. Le ho parlato solo qualche giorno fa».
«Sospetto che sia stato il cuore. Sapeva dei suoi problemi cardiaci?»
«No. Non me ne ha mai parlato». Si trascinò per l’ultima rampa di scale.
«Sì, be’, a me ne aveva accennato alla fine dell’estate scorsa, quando era venuta a fare alcune modifiche al testamento. Sospetto che sapesse di non avere ancora molto tempo da vivere».
«Non ne avevo idea. Sembrava sempre così allegra e piena di energie…». Nell’immaginare l’anziana donna che lavorava in giardino, circondata dalla sua eterogenea ghenga di gatti abbandonati, Garrison sentì le lacrime salirgli agli occhi. Diede un pugno contro la porta. Malaria o non malaria, perché non aveva trascorso più tempo con lei, subito dopo essere tornato dall’Uganda?
«Mi dispiace per la sua perdita, Garrison. Come sono certo saprà, la signora Brown l’ha designata come suo unico erede».
Alla parola erede, Garrison sospirò. La povera nonna, come lui, non possedeva praticamente niente… a parte i suoi gatti. «Sì, be’, la nonna e io non abbiamo molti altri parenti».
«Quindi speravo che potesse venire a Vancouver a sistemare le cose…».
«Naturalmente», acconsentì Garrison, infilando la chiave nella porta dell’appartamento di Randall. «Arriverò il prima possibile. Magari questa notte stessa, se faccio in tempo a prendere un pullman».
«Anche domani andrà bene». L’avvocato Miller gli fornì poi qualche dettaglio riguardo ai desideri di sua nonna per il funerale e la sepoltura. «Ho già contattato il suo pastore. Il servizio funebre potrà tenersi lunedì prossimo alle undici, se per lei va bene. Ma sono certo che ci saranno altri dettagli di cui vorrà occuparsi».
«Giusto». Garrison entrò in casa dell’amico, fermandosi a prendere qualche appunto e ad annotarsi dei numeri di telefono. «La chiamo appena arrivo in città… probabilmente domani», disse all’avvocato. Conclusero la penosa conversazione, quindi Garrison interruppe la chiamata, lasciandosi cadere in una poltrona reclinabile in pelle piuttosto vissuta. Chinandosi in avanti, con la testa tra le mani, lasciò uscire le lacrime. Una parte di lui, risalente a molto tempo prima, si vergognava: piangere a quel modo non gli sembrava una cosa da uomo. Ma poi ricordò una frase che gli aveva detto una volta un amico ugandese: «Un vero uomo non ha paura di versare lacrime». Inoltre rammentò a sé stesso, soffiandosi rumorosamente il naso, che era sua nonna che stava piangendo.
Da quando ventidue anni prima i genitori di Garrison erano rimasti uccisi in un incidente stradale, l’anziana donna era stata la sua roccia. Era vedova da poco, ma aveva dimostrato di avere spina dorsale, insistendo per prendere in casa il nipote adolescente e pieno di rabbia. All’epoca lo conosceva a malapena e ciò nonostante lo aveva amato ostinatamente, nel bene e nel male. E di male ce n’era stato parecchio. Malgrado la radicata riottosità del ragazzo, però, e la sfacciata abitudine che aveva di risponderle, lei si era rifiutata di gettare la spugna. L’aveva perdonato persino quando lui aveva rischiato di dare fuoco alla vicina scuola elementare. La tolleranza e la dedizione della donna alla fine lo avevano conquistato, avvicinandolo a lei e alla sua fede. Senza sua nonna, Garrison sapeva che avrebbe fatto una brutta fine.
E ora lei se ne era andata, e lui non aveva nemmeno potuto dirle addio.
«Ehi, amico», lo salutò Randall, entrando nell’appartamento con un paio di sacchetti della spesa. «Come è andato il coll…». Appoggiò un sacchetto sul bancone, con un’espressione preoccupata. «È successo qualcosa?»
«Mia nonna». Tirando su con il naso, Garrison si alzò in piedi e raddrizzò la schiena, cercando di essere forte… di comportarsi da uomo. «Ha appena telefonato il suo avvocato. È morta questa mattina».
«Oddio, mi dispiace tanto». Randall appoggiò il secondo sacchetto, scuotendo tristemente la testa. «Tua nonna era una grande, lo sai. Ho sempre avuto molto rispetto per lei, era dolcissima. Che peccato. Ma ha vissuto una bella vita. Questo lo sai, vero?»
«Giusto». Garrison si riempì un bicchiere d’acqua, bevendone una bella sorsata. «La nonna era una vera signora. Mi mancherà… molto». Spiegò all’amico i suoi progetti di prendere un pullman per Vancouver il mattino seguente.
«Puoi anche prendere la mia macchina, se vuoi», propose Randall, cominciando a mettere via la spesa.
«Ti ringrazio, ma non so quanto mi fermerò. Che io sappia, la nonna non si è mai sbarazzata della sua vecchia Pontiac. Userò quella, mentre sono lì».
«Stai scherzando! Quella macchina sarà un pezzo d’antiquariato, ormai».
«Sì», concordò Garrison. «Aveva già più di quindici anni quando il comitato missionario gliel’ha regalata al suo ritorno dal Kenya».
«Però andava da Dio. Aveva un gran motore. Ricordi quando ci andavamo in giro ai tempi delle superiori?»
«Non farmici pensare». Garrison cercò di non soffermarsi sui tempi in cui guidava troppo veloce. «In ogni caso, la userò solo finché starò lì… a sistemare le cose». Indicò con un cenno della testa la distesa di cibo che Randall aveva allineato sul bancone. «Come mai tutta quella roba?»
«Ho promesso a Rebecca che stasera avrei preparato la cena», gli spiegò Randall.
«È un’occasione speciale?».
Randall scrollò le spalle. «Naaa. Ho solo perso una scommessa».
«Be’, posso togliere il disturbo, se voi due dovete…».
«Non esiste. Devi restare». Gli si illuminarono gli occhi. «E poi, faccio il pad thai. So quanto ti piace».
Malgrado la tristezza, lo stomaco di Garrison si mise a brontolare. Non mangiava da quella mattina presto, e ricordò che Randall si era mantenuto all’università facendo il cuoco in un ristorante vietnamita. Il suo pad thai era da urlo. «Posso aiutarti?», si offrì.
«Certo». L’amico gli passò i cipollotti.
Mentre lavoravano fianco a fianco, pelando e tagliando, Garrison si mise a parlare di sua nonna. «Ricordo quando mi ha preso in casa», raccontò. «Cercava di nasconderlo, ma era evidente che soffriva ancora molto per la morte di mio nonno, che era mancato solo pochi mesi prima. Deve essere molto triste, perdere il marito e l’unico figlio a così breve distanza. Ma lei è sempre stata molto forte. Piena di fede e ottimista».
«E non era appena tornata da una missione anche lei? I miei all’epoca erano nel comitato missionario parrocchiale. Ricordo ancora che parlavano di questa vedova che era stata missionaria in Africa e di come dovessero tutti contribuire a farla sentire a casa, a Vancouver».
«Sì, era appena tornata negli Stati Uniti. Sarebbe voluta rimanere in Kenya, a continuare il lavoro che stava facendo, ma il consiglio missionario non gliel’aveva permesso. Fortunatamente per lei e anche per me, i genitori di mio nonno le avevano lasciato la casa in cui poi abbiamo vissuto».
«È stata un’ottima cosa… sia per te che per me. Sorridendo, Randall versò un po’ di salsa di pesce in un misuratore. «Ricordo quando vi siete trasferiti nel quartiere. L’ho capito subito che saremmo diventati grandi amici».
«Sì. È stato bello». Annuendo, Garrison versò i cipollotti tagliati in una ciotola di metallo, poi sospirò. «Ancora non riesco a credere che se ne sia andata».
«Almeno sai che è in un posto migliore».
Garrison sospirò di nuovo. «Sì… Ma vorrei essere andato a trovarla… Cioè, prima che fosse troppo tardi».
«Be’, nessuno avrebbe potuto capire meglio di tua nonna, amico. Immagino tu sappia che era molto orgogliosa di te. Lavorare in Uganda come hai fatto. Contribuire a costruire tutti quei pozzi in quei villaggi». Sorridendo, aprì un vasetto di salsa al peperoncino. «Probabilmente adesso è lassù in paradiso che si vanta di te».
Garrison fece un mezzo sorriso, poi suonò il campanello e Randall corse ad aprire. Rebecca fece irruzione con la sua solita chiassosa energia, salutando Randall e raccontando eccitata della tempesta che si stava infilando nello stretto di Puget. «Ieri c’erano sedici gradi, ma le previsioni meteo dicono che potremmo avere la neve prima del Ringraziamento. Ci crederesti?». Togliendosi il parka, la ragazza salutò Garrison con un cenno della mano.
Garrison conosceva Rebecca più o meno da quando conosceva Randall. Erano andati tutti e tre a scuola insieme, a Vancouver. Ma Randall e Rebecca si erano ritrovati solo di recente, grazie ai social network, e ormai uscivano regolarmente da quasi un mese. Di conseguenza, Garrison aveva cominciato a sentirsi un po’ come il terzo incomodo, in quella casa. Randall cercava di minimizzare l’importanza della relazione, ma Garrison era certo che la ragazza, nella sua testa, sentisse già suonare le campane a nozze. E, nel vedere l’amico salutarla con un bacio e sussurrarle qualcosa all’orecchio… capì che non era la