Honorine
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Honore de Balzac
Honoré de Balzac (1799-1850) was a French novelist, short story writer, and playwright. Regarded as one of the key figures of French and European literature, Balzac’s realist approach to writing would influence Charles Dickens, Émile Zola, Henry James, Gustave Flaubert, and Karl Marx. With a precocious attitude and fierce intellect, Balzac struggled first in school and then in business before dedicating himself to the pursuit of writing as both an art and a profession. His distinctly industrious work routine—he spent hours each day writing furiously by hand and made extensive edits during the publication process—led to a prodigious output of dozens of novels, stories, plays, and novellas. La Comédie humaine, Balzac’s most famous work, is a sequence of 91 finished and 46 unfinished stories, novels, and essays with which he attempted to realistically and exhaustively portray every aspect of French society during the early-nineteenth century.
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Anteprima del libro
Honorine - Honore de Balzac
Honoré de Balzac
HONORINE
© TIEMME
www.tiemme.onweb.it
Ebook Letteratura
Dicembre 2017
In copertina
Dipinto di Mara Gessi
€ 3,00
Vietata la riproduzione, la divulgazione e la vendita
senza autorizzazione da parte dell’Editore.
UUID: 37990a4a-d828-11e7-a9d9-17532927e555
Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write
http://write.streetlib.com
Indice
Intro
Prefazione
HONORINE
Note
Informazioni e ringraziamenti
Ringraziamenti
Honoré de Balzac
HONORINE
Traduzione e commento di
Luciano Montanari
TIEMME EDIZIONI
Intro
Attualmente è molto difficile trovare in commercio una edizione in lingua italiana di Honorine (1843), un intenso racconto/romanzo d’amore (e di matrimonio e divorzio ante-litteram…) di Honoré de Balzac. Per questo, essendo Balzac un autore fra i più grandi in assoluto, si è ritenuto utile e opportuno farne una corretta traduzione, per metterla a disposizione dei lettori che amano i classici
della letteratura francese. La traduzione, la Prefazione e le Note sono di Luciano Montanari.
Prefazione
Luciano Montanari
Honorine fa parte dell’immensa raccolta di 137 lavori – intesi come romanzi e novelle – che costituiscono l’inarrivabile opera di Honoré de Balzac.
Honorine , oltre ad essere un toccante romanzo d’amore, esamina con considerevole intensità, e aggiungerei anche con pungente acutezza, la questione del matrimonio. Balzac lo fa come non ha fatto mai per gli altri suoi lavori, con la massima energia e con straordinario impeto. Perciò, studiando gli innumerevoli e diversi momenti nei quali si riscontrano a volte l’armonia, a volte il disaccordo, non solo va ad inquadrare la questione, ma raggiunge un problema di portata notoriamente universale.
Honorine, lo riaffermiamo, è un romanzo d’amore, ciononostante è pure una storia dove emerge il divorzio nell’autentico senso della parola (e, pensate, siamo all’inizio dell’Ottocento!). L’autore ci ricorda che il mondo è un grande teatro dove ogni uomo recita più o meno bene il proprio ruolo. Ed è per questo che troviamo sempre nei suoi lavori grande riflessione sull’arte e sull’artista. Balzac intende riprodurre la natura con il pensiero, dove l’immagine e addensamento della scrittura rendono nitido ciò che era frammento, polvere. In Honorine la passione umana, troppo umana, emerge dall’ombra ed è affidata alla arte poetica indelebile della tradizione.
Lo scrittore racconta questa vicenda alla sua maniera, usando un bellissimo linguaggio – come sempre, del resto – dove sembra attingere ogni singola parola in una polvere dorata. Inoltre, con il suo stile inconfondibile, incassa il racconto in un altro racconto (cosa non semplice, ma che egli fa sovente).
Anche questa storia, come tutte le altre, non sembra la stessa vista dalla parte di un protagonista e vista dalla parte di un altro. La verità, in effetti, soprattutto quando si parla di una coppia, è sempre a due facce, e quindi è assai difficoltoso decretare quale delle due verità sia la
verità, tanto è vero che lo stesso Balzac ebbe a dire: «Non c’è niente di più terribile come il vero!».
La storia di Honorine ci viene raccontata entrando con dovizia di particolari nei dettagli persino dei gesti, dei movimenti, poi scavando interiormente nell’anima dei personaggi, nella profondità dei loro sentimenti, per la solita introspezione tipica dell’autore. Un componimento armonioso, con ampio equilibrio nei ruoli principali, dipingendo con la solita maestria sia gli incantesimi d’amore, sia i momenti più drammatici.
Balzac chiarisce tutta la sua enorme produzione con queste parole: «I drammi della vita non sono nelle circostanze, sono nei sentimenti, si giocano col cuore, o, se volete, in questo mondo immenso che noi chiamiamo modo spirituale ».
N.B. Talune abbreviazioni si sono rese necessarie poiché gli stessi autori francesi usano tale sistema:
Mme = Madama
Mlle = Mademoiselle
M.= Monsieur
rue = Via
HONORINE
I
Se i Francesi hanno altrettanta ripugnanza quanto gli Inglesi hanno propensione per i viaggi, forse i Francesi e gli Inglesi hanno ragione da una parte e dall’altra. Si trova dappertutto qualcosa di migliore che in Inghilterra, mentre è eccessivamente difficile ritrovare lontano dalla Francia gli incantesimi della stessa Francia. Gli altri Paesi offrono degli ammirevoli paesaggi, presentano sovente un comfort superiore a quello della Francia, che fa i più lenti progressi in questo genere.
Essi ostentano qualche volta una magnificenza, una grandeur, un lusso sbalorditivo; non mancano di grazia, né di maniere nobili; ma la vita di testa, l’attività di idee, il talento di conversazione e quella purezza del parlato così familiare a Parigi; ma quelle improvvise intese di quello che si pensa e di quello che non si dice, quella genialità di sottintesi, la metà della lingua francese, tutte queste cose non si riscontrano da nessuna parte.
Anche i Francesi, le cui canzonature sono così poco comprese, si rinsecchiscono in fretta all’estero, come un albero spogliato.
L’emigrazione è un controsenso per la nazione francese. Molti francesi, di quelli qui in questione, confessano di aver rivisto i doganieri del paese natale con piacere, e ciò può forse sembrare l’iperbole, l’esagerazione più audace del patriottismo.
Questo piccolo preambolo ha per scopo di ricordare a quei Francesi che hanno viaggiato, il piacere eccessivo che hanno provato quando, a volte, hanno ritrovato la patria, un’oasi nel salone di qualche diplomatico; piacere che comprenderanno difficilmente coloro i quali non hanno mai lasciato l’asfalto del boulevard des Italiens, e per i quali la linea del lungo Senna, riva sinistra, i quali dicono che non è più Parigi. Ritrovare Parigi! Sapete voi cos’è, o parigini? È ritrovare, non la cucina del Rocher de Cancale come Borel la cura per i buongustai, in grado di apprezzarla – poiché tale cucina non la si fa che in rue Montorgueil (1) – ma un servizio che la ricordi!
È ritrovare i vini di Francia che rappresentano una mitologia fuori dalla Francia stessa, e rari come la donna di cui si parlerà qui.
È ritrovare non la battuta alla moda, poiché di Parigi alla frontiera se ne fanno; ma quel mezzo spirituale, comprensivo, critico, in cui vivono i francesi, dal poeta all’operaio, dalla duchessa fino al monello da strada.
Nel 1836, durante il soggiorno della corte di Sardegna a Genova, due parigini, più o meno celebri – almeno lo si credeva a Parigi – si trovarono in un palazzo affittato dal Consiglio generale di Francia, sulla collina, ultima piega dell’Appennino tra Porta San Tommaso e quella famosa Lanterna che, negli album dei souvenir illustrati, orna tutte le vie di Genova.
Questo palazzo è una di quelle famose ville dove i nobili genovesi hanno speso milioni al tempo della potenza di quella repubblica aristocratica.
Se la tarda sera è bella in qualche luogo, lo è indubbiamente a Genova, quando è caduta la pioggia come solitamente fa, a torrenti, durante quasi tutte le mattinate, quando la purezza del mare gareggia con quella del cielo, quando il silenzio regna sul lungomare e nel boschetto di suddetta villa, tra i marmi dalle bocche spalancate in cui l’acqua fluisce con un senso di mistero, quando le stelle brillano, quando le onde del Mediterraneo si susseguono come le confidenze di una donna alla quale strappiate parola per parola. Confessiamolo: questo istante dove l’aria imbalsamata profuma i polmoni e le fantasticherie, in cui la voluttà, visibile e mobile come l’atmosfera, vi afferra sulla vostra poltrona mentre, con un cucchiaino alla mano gustate un gelato o una crema, una città ai vostri piedi, le belle donne dinnanzi a voi, queste ore alla Boccaccio, insomma, non si trovano che in Italia e ai bordi del Mediterraneo. Supponete di vedere attorno alla tavola la Marchesa di Negro e il Marchese Damaso Pareto, due francesi travestiti da genovesi, un Console generale attorniato da una moglie – bella come una madonna – e da due bimbi silenziosi, poiché assaliti dal sonno, l’Ambasciatore di Francia e sua moglie, un Primo segretario d’Ambasciata, malizioso e che si crede spento, infine, due parigini che si approssimano a prendere commiato dal Consolato in una cena splendida, e voi avrete il quadro che presentava la terrazza della villa verso la metà di maggio, quadro dominato da un personaggio, da una donna celebre sulla quale gli sguardi si concentravano per dei momenti; l’eroina di questa festa improvvisata.
Uno dei francesi era il famoso paesaggista Léon de Lora, l’altro un celebre critico, Claude Vignon. Tutti e due, accompagnavano questa donna, una delle illustrazioni attuali del bel sesso, Mlle des Touches, conosciuta sotto il nome di Camille Maupin nel mondo letterario. Mlle des Touches si era recata a Firenze per affari. Per una di quelle affascinanti gentilezze che prodigava solitamente, aveva condotto con sé Léon de Lora per mostrargli l’Italia, e spinta poi fino a Roma per mostrargli la campagna romana. Venuta dal Simplon (o Sempione), ritornava dal cammino della corniche (2) a Marsiglia. Sempre a causa del paesaggista, anche lei si fermò a Genova. Prima dell’arrivo della Corte, naturalmente il Console generale aveva voluto fare gli onori di Genova ad una persona che la sua fortuna, il suo nome e la sua posizione raccomandano alquanto così come il suo talento. Camille Maupin, che conosceva Genova fin nelle sue modeste cappelle, affidò il suo paesaggista alle cure