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Hrauneyjafoss
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E-book133 pagine1 ora

Hrauneyjafoss

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Info su questo ebook

La lotta senza quartiere tra le aziende manifatturiere che cercano di accaparrarsi nuovi mercati coinvolge un giovane e tecnico, costringendolo a trasformarsi in agente segreto.
Per scoprire la verità sarà costretto a lavorare in una terra inospitale, assieme a persone delle quali non comprende nemmeno la lingua. 
Le mille difficoltà tra cui si dibatte per risolvere l’enigma non gli impediscono di subire il fascino di quei luoghi selvaggi e primordiali, al punto che, molti anni dopo, non saprà resistere al desiderio di un ritorno.
LinguaItaliano
EditorePubMe
Data di uscita8 dic 2017
ISBN9788871637143
Hrauneyjafoss

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    Anteprima del libro

    Hrauneyjafoss - Pier Paolo Galiani

    così.

    A te, che sopporti stoica il ticchettio dei tasti a notte fonda e il mattino mi sorridi ugualmente, portandomi il caffè a letto.

    Capitolo 1

    Nel dormiveglia, sentì l’altoparlante gracchiare nel corridoio: una voce femminile, registrata, nel solito inglese quasi incomprensibile annunciava che la mensa era aperta per la prima colazione. Barba sapeva che era quasi l’ora di alzarsi; da parecchi minuti uno scalpiccio di piedi calzati con pantofole di feltro faceva cigolare e rimbombare le assi del pavimento del lungo passaggio che univa tutte le camere dell’ala A. Gli altri operai si erano già alzati e intasavano docce e bagni per le faccende mattutine. Barba se la prese più comoda, come suo solito. Lui la doccia la faceva la sera, prima di coricarsi, e sinceramente non capiva che vantaggio ci trovassero gli altri ad infilarsi sporchi nella loro cuccetta. Non è meglio andare a letto puliti, con la possibilità di poter poltrire ancora qualche minuto il mattino? Portava la barba da quando aveva sedici anni: una barba folta, incolta quanto basta per non doverla curare tutte le mattine. Gli bastava una lavata di viso con l’acqua fredda, una spazzolata ai denti ed era pronto in pochi minuti, senza essere costretto a radersi e fare una doccia affrettata, mentre gli altri operai fremevano impazienti di fuori, e i più maleducati che comin-ciavano già a bussare dopo solo un paio di minuti.

    Andò ai bagni quando ormai tutti si erano già affrettati verso la mensa per la prima colazione, e restò a cincischiare guardando allo specchio quel viso che dopo solo una settimana faceva già fatica a riconoscere: appena alzato aveva già l’aria stanca, distrutta. Riparando con le mani il riflesso delle luci al neon sul vetro provò a guardare fuori: buio! Solo buio, interrotto a tratti da qualche guizzo bianco, veloce come una meteora nel cielo estivo: i fiocchi di neve che tentavano di cadere a terra, impediti da quel vento teso che non cessava un minuto; era solo forte, molto forte, fortissimo.

    Come avrebbe fatto a resistere otto mesi in quel posto?

    Per l’ennesima volta, in quei pochi giorni trascorsi al cantiere, si chiese come avesse potuto lasciarsi convincere dall’Ingegnere. Ancora una volta non trovò una risposta esauriente.

    Si tolse la tuta da ginnastica felpata che utilizzava come pigiama e indossò i pantaloni imbottiti e il maglione collo alto, poi si avviò verso la mensa. Dal fondo del corridoio sentiva già il rumore delle stoviglie e un vociare incomprensibile nelle lingue più disparate, che peraltro non conosceva. A quell’ora le baracche erano già impregnate anche dell’odore della colazione: aringa marinata, merluzzo affumicato, merluzzo in salsa, merluzzo in panna acida. A chi non andava il merluzzo la compagnia dava ampia scelta: bacon fritto, ma non croccante, bensì molliccio e poco invitante, accompagnato da uova sode, o fritte nel burro, se no strapazzate. Oppure fiocchi d’avena o mais o riso. Erano disponibili anche delle poco invitanti fettine di prosciutto di pecora… L’ultima spiaggia era una sorta di frittella dolciastra dalla composizione indecifrabile, affogata in uno sciroppo dall’origine ancor più misteriosa, perché le salsicce andavano evitate assolutamente. Un aroma di caffè che a Barba ricordava l’infanzia, quando era sua nonna a preparare il caffè, con una miscela di malto e cicoria tostati, cercava di sovrastare, con scarso successo, i miasmi mattutini.

    Si versò una tazza gigantesca di quella brodaglia, un bicchiere di latte, prese un uovo sodo e una porzione abbondante di frittelle che ricoprì con l’indefinibile melassa e si sedette all’estremità di uno dei tavoloni ormai vuoti. I più solerti tra gli altri operai stavano già indossando le giacche del pesante abbigliamento da lavoro o erano addirittura già usciti. Guardò l’orologio sul muro: il suo trasporto sarebbe partito tra venti minuti, Barba sarebbe stato puntuale.

    §

    Mentre il grosso veicolo ballonzolava arrampicandosi con le gigantesche ruote sulle asperità del terreno, e trasmetteva ai suoi occupanti ogni movimento amplificato con la massima cura, Barba si chiese per l’ennesima volta come avesse fatto l’Inge-gnere a convincerlo.

    Mancavano pochi giorni a Natale, e la Segretaria di Direzione l’aveva fatto chiamare: l’Ingegnere voleva parlare con lui. Non era una cosa insolita negli ultimi tempi, e Barba, che sperava da tempo di essere promosso Quadro, fantasticò che forse questa era la volta buona. La Segretaria di Direzione, ex bella donna, molto sciupata ma dagli appetiti non ancora completamente satolli, lo accolse con l’atteggiamento complice e confidenziale che riservava solo a lui. I più pettegoli sostenevano che avesse un debole per Barba benché questi fosse molto più giovane di lei, ma negli uffici si mormorava anche che fosse l’amante dell’Ingegnere, anche se nessuno aveva prove oggettive che suffragassero queste voci. Intanto però le voci circolavano e si sa come vanno queste cose. L’ipotesi che avesse delle simpatie per Barba però aveva più di un fondamento. Appena il giorno prima, in una delle pause caffè del tardo pomeriggio, quando l’azienda era ormai vuota e rimanevano solo quelli della Direzione e i pochi sgobboni che aspiravano a fare carriera, davanti alla macchinetta automatica del caffè la Segretaria aveva confidato a Barba che aveva sentito l’Ingegnere parlare spesso di lui negli ultimi giorni con il suo socio. Aveva sentito fare il suo nome dietro la porta ripetute volte; non frasi intere, ma abbastanza da capire che avevano importanti progetti su di lui. La promozione finalmente? Sarebbe stato un bel regalo di Natale.

    L’Ingegnere fu insolitamente espansivo e particolarmente gentile; gli chiese notizie sul suo recente divorzio, sulla salute, fece anche sgradevoli battute di spirito sulle possibilità di avventure che avrebbe potuto avere Barba, ora che si trovava nuovamente libero. Gli chiese conferma che il progetto su cui stava lavorando fosse terminato e la documentazione fosse già, come previsto, in produzione, al reparto prototipi. Poi venne al dunque.

    «Abbiamo una proposta da farle. Una proposta molto vantaggiosa per lei, tuttavia anche piuttosto impegnativa e scomoda. La voglio anche rassicurare che, nel caso non accettasse, questo non influirà assolutamente sulla sua carriera; lei è un collaboratore prezioso per noi. Riteniamo anche che sia la persona più indicata a svolgere l’incarico che andremo ad illustrarle: lei è giovane e libero da vincoli famigliari, sportivo, perché ama la montagna se ben ricordo? Sappiamo che è ambizioso, capace, e mastica anche un po’ d’inglese… in sostanza, si tratterebbe di una trasferta di otto mesi.»

    Aveva parlato in fretta, come volesse liberarsi di un peso, poi si era interrotto e aveva suonato il campanello per chiamare la Segretaria.

    «Il ragioniere?» chiese al citofono.

    «Sta arrivando, lo vedo in fondo al corridoio Ingegnere.»

    «Lo faccia passare immediatamente!»

    Intanto, approfittando della pausa, non aveva staccato lo sguardo da Barba, cercando di intravvedere, interpretando la sua espressione, almeno una prima reazione alla proposta. Dietro la spessa e folta cortina di pelo castano che gli coronava il viso, vezzo che gli era valso quel soprannome, Barba fece una smorfia che poteva essere interpretata in qualunque modo; era un uomo di poche parole, almeno sul lavoro, e non era tipo da facili entusiasmi; ma non era nemmeno uno di quelli che si lasciano scappare una buona occasione, se capita. Voleva saperne di più. Bussarono alla porta del grande ufficio, arredato in modo severo, quasi spartano; un bussare proforma perché il ragioniere entrò senza attendere l’avanti. Barba salutò il Ragioniere, un uomo dalla cortesia infida e rivolgendo nuovamente l’attenzione al vero padrone di casa, chiese in modo brusco:

    «Località, incarico, dettagli, possibilmente dove sta la fregatura e…»

    Aveva parlato con voce grave, lentamente. Ad ogni richiesta aveva computato sulla punta delle dita un immaginario elenco, che concluse con quel gesto di fregare insieme i polpastrelli del pollice e dell’indice che dalle sue parti significa: «cosa costa?» ovvero «cosa si prende?»

    L’Ingegnere aveva passato da poco i cinquanta. Era di corporatura massiccia, spavaldo, prepotente. Aveva le idee chiare e non era avvezzo a essere contraddetto. Nessuno tra i dipendenti sapeva spiegare come fosse arrivato a essere praticamente il proprietario dell’azienda, visto che i soci e una finanziaria molto chiacchierata erano poco più che comparse nel bacino delle quote societarie. La laurea in ingegneria non ne aveva fatto un buon tecnico, tuttavia un imprenditore nella sua posizione non deve essere un buon tecnico, bensì deve sapere fiutare il vento e saper scegliere bene i suoi collaboratori, e questo, guardando i risultati, sembrava lo sapesse fare molto bene.

    Sbottò in una grassa risata.

    «Lo sapevo che lei è uno che non si fa fregare, e non lascia niente al caso. La trasferta che le proponiamo non è dietro casa: è in l’Islanda» spiegò, «un cantiere vicino a una località chiamata...» guardò con attenzione un foglio sulla scrivania.

    «Lasciamo stare, è impronunciabile! Deve sapere che abbiamo fornito la nostra Livellatrice Stradale S55 a una compagnia statunitense che sta costruendo una diga nell’interno, un posto un po’ scomodo perché è poco abitato; così poco abitato che debbono costruire anche la strada per arrivarci. Come lei sa benissimo la S55 è una macchina collaudata, che non ha mai dato problemi, ma fino ad ora non è mai stata usata in climi così freddi. Temiamo che ci possano essere dei problemi, anche se non credo. La macchina è stata modificata sull’esperienza delle trattrici che esportiamo in Canada da parecchi anni.»

    Fece una lunga pausa, forse in attesa di una qualche

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