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Pepa: Il gioco dei sentimenti
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E-book591 pagine8 ore

Pepa: Il gioco dei sentimenti

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Info su questo ebook

Ricchezza e notorietà sono da sempre stati obiettivi primari da raggiungere per Pepa Botovin, una donna norvegese che non ha mai saputo accontentarsi nella vita.
Una fredda sera invernale la donna fa il suo arrivo a Monaco di Baviera con il chiaro obiettivo di farsi strada nella società che conta.
Grazie ad un colpo di fortuna riesce ad entrare in contatto con il mondo dell’hockey conoscendo Massimo Benvenuto, il direttore sportivo della squadra di punta della città; i Penguins Stars.
Da quel momento la sua brama di successo e ricchezza getterà nella bufera le vite di Sergey Marchev, presidente del team, e dello stesso Massimo, distruggendo le loro relazioni amorose ed innescando un domino di conseguenze imprevedibili.
Strategie, ricatti e bugie; fino a che punto sarà disposta a spingersi Pepa pur di conquistarsi un posto di valore in società ed un conto in banca consistente?
Solo l’amicizia tra due donne, Sylvie Parker, moglie di Massimo Benvenuto, e di Jessy Dalwar, fidanzata del capitano della squadra di hockey dei Penguins Stars, unita all’aiuto di un altro giocatore Sebastian Sutton, riusciranno a contrapporsi ai piani gelidi e arrivisti di Pepa Botovin, ma forse il prezzo da pagare sarà più alto del previsto.
L’amore e l’autenticità dei sentimenti  si opporranno alle strategie ed agli inganni, in un susseguirsi di eventi e colpi di scena fino a che non rimarrà un unico vincitore.
LinguaItaliano
EditoreElisa Riva
Data di uscita18 dic 2017
ISBN9788827537091
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    Anteprima del libro

    Pepa - Elisa Riva

    CAPITOLO 1

    Un'ombra scura, indistinta, sotto la luce soffusa di un lampione all'uscita dell'aeroporto. I contorni del viso indecifrabili nel buio di una sera d'inizio gennaio. Mentre la pioggia cadeva fitta bagnando la città infreddolita, la donna si guardò intorno con curiosità. Indossava dei pantaloni aderenti rossi, una maglia nera che le fasciava il fisico mascolino, ed una giacca di pelle sintetica a zip. Il freddo non scalfiva la sua pelle abituata alle temperature rigide del nord Europa. Era arrivata con un volo low cost poche ore prima ma sapeva dentro di lei che non avrebbe mai più ripreso aerei di linea. Basta con le noiose code al check in, basta mischiarsi alla gente comune così sciatta e confusionaria; si sarebbe elevata ad un livello superiore, nell’olimpo delle persone che contano e che ottengono sempre quello che desiderano.

    E ora lei desiderava ardentemente un passaggio; aveva un obiettivo per quella sera, il primo passo della sua scalata, e non se lo sarebbe fatto sfuggire a causa di un banale ritardo.

    Individuò una vettura che sopraggiungeva nella sua direzione, sul manto stradale fradicio, evitando le persone che, bagagli alla mano, si dirigevano verso i parcheggi o la zona taxi.

    L’auto bianca rallentò immediatamente al gesto della sua mano, l’unghia color rosso metallizzato attirò l’occhio assonnato del guidatore, che frenò fermandosi al suo fianco ed abbassando il finestrino le chiese con la voce increspata dal troppo fumo di sigaretta «Buonasera signorina, quanto vuoi per allietarmi qualche ora?»

    Gli occhi della ragazza si fecero piccoli come due fessure per l'affronto subìto ma cercò di glissare con indifferenza «Dipende, se mi porti all’OlympiaHalle, il palazzetto del ghiaccio dove gioca il top team di hockey di Monaco, potrei anche farti un grande sconto» rispose con una voce che cercò di far suonare più melodiosa di quella di un cardellino.

    «Sali allora, te lo do volentieri il… passaggio se è solo questo che desideri» rispose l’uomo scoppiando in una fragorosa risata.

    La ragazza cogliendo l'occasione evitò con un saltello una grande pozzanghera, aprì la portiera, e si accomodò sul sedile passeggero. Subito l'uomo le diede il benvenuto a bordo posando la mano secca e ruvida sulla sua gamba. Era un personaggio insignificante, piccolo e viscido come ne aveva conosciuti tanti nella sua vita. La macchina che guidava lo rispecchiava pienamente; vecchia, arrugginita, con i sedili macchiati e sintetici che la ripugnavano; inoltre tutto all'interno era intriso dell'odore acre di sigaretta che le colpiva le narici nauseandola. Il viaggio fu un vero incubo trascorso tra allusioni e palpeggiamenti audaci mentre dal finestrino la città scorreva come in un film al rallentatore. Alla fine però la donna aveva ottenuto quello che voleva, era giunta al palazzetto del ghiaccio. Mentre ringraziava l'uomo per il passaggio ottenuto nell'unico modo che conosceva aveva una sola certezza nella sua testa: gli uomini nella sua vita sarebbero sempre stati solo delle pedine, e lei avrebbe fatto scacco matto essendo semplicemente sé stessa.

    Ed eccola lì, un’ora e mezza dopo, seduta in tribuna ad ammirare dei bei maschi virili con indosso le divise da hockey che si rincorrevano pattinando e spingendosi, come bisonti canadesi al rientro nei ranch. Dalla borsetta borchiata, poggiata sul seggiolino vuoto accanto al suo, estrasse il foglio che aveva stampato il giorno precedente, prima di partire, nell'Internet point vicino casa sua e che ora le tornava molto utile. Aprendolo l’elenco dettagliato dei giocatori dei Penguins stars le apparve davanti agli occhi, con riportati in una tabella ordinata nomi, età, e soprattutto gli stipendi percepiti da ogni componente del team.

    Il suo dito si fermò sul nome dell’ala esterna, Matthias Konen, un bel ragazzo muscoloso, biondo, occhi azzurri, e soprattutto uno stipendio da star con tanto di notorietà alle stelle.

    Certo, non poteva presentarsi a lui così come era ora, con quei vestiti comprati al mercato della sua città natale dove amava spesso passeggiare con un lecca lecca tra le labbra, urlando contro gli ambulanti nel tentativo di strappare un prezzo accessibile per dei miseri stracci di bassa qualità.

    «Una donna interessata all’hockey, molto strano».

    Una voce roca la distrasse dai suoi pensieri.

    In un primo momento pensò fosse di nuovo l’uomo che le aveva dato il passaggio, non soddisfatto del pagamento ricevuto, ma non appena si girò i suoi dubbi vennero disciolti.

    Era sì un uomo, ma di tutt’altro livello. Capelli brizzolati pettinati all’indietro, una barba sale e pepe incolta, qualche ruga e due occhi profondi grigio azzurri. Portava un maglione bianco, in morbida lana, jeans attillati, e un vistoso foulard violetto al collo.

    Subito gli occhi di Pepa si illuminarono, accavallò le gambe in modo sexy e rispose «Non dia tutto così per scontato nella vita, io adoro l’hockey, da quando ero piccola».

    «Lodevole che abbia mantenuto le sue passioni così a lungo nel tempo» rispose lui sorridendo sornione.

    La ragazza con un gesto di stizza si scostò i capelli dal volto replicando «Non è passato poi così tanto tempo, ho solo 32 anni».

    «Oddio mi perdoni» replicò l’uomo «Queste luci al neon mi avevano portato ad attribuirle qualche anno in più, ma ora che la guardo bene mi accorgo di aver preso proprio un abbaglio, le chiedo nuovamente perdono» poi aggiunse «Piacere, il mio nome è Massimo, Massimo Benvenuto».

    La ragazza sorrise, acquietando il suo animo offeso, e replicò «Piacere mio, io mi chiamo Pepa, Pepa Botovin».

    «Pepa, che nome esotico, è per caso brasiliana?».

    «No, al contrario, sono scandinava, originaria della Norvegia».

    «Norvegia, che posto intrigante. Non ci sono mai stato,

    ed è strano per uno come me abituato a viaggiare molto per lavoro».

    Una luce si accese all'istante nella mente di Pepa; quell’uomo viaggiava frequentemente, i suoi vestiti erano firmati, aveva un'aria intrigante, quindi doveva agire ed intrappolare nella sua rete quell’ ignaro manzo dal mantello d’oro.

    «Viaggia molto? Che bella cosa, la invidio davvero. Lo fa per lavoro o per piacere?».

    «Lavoro, sempre e solo lavoro. Li vede quei ragazzi in divisa rossa a strisce bianche che stanno vincendo di misura? Ecco quelli sono i giocatori del mio team, i Penguins stars».

    Il direttore sportivo; stava parlando con colui che coordinava il team in cui giocava il suo obiettivo, Matthias Konen. Non poteva crederci! Una scarica di adrenalina le percorse tutto il corpo, si sentiva ad un passo dal cielo.

    «E così lei è il direttore sportivo dei Penguins Stars?».

    «Certamente» rispose Massimo con aria compiaciuta «Anche se spesso è molto difficile esserlo, soprattutto in questo periodo in cui le cose non vanno molto bene».

    «Problemi economici?» si informò subito Pepa con voce preoccupata.

    «No, da quel punto di vista siamo ben coperti, è solo che a livello di risultati è un momento complicato, ma sono fiducioso che ne usciremo a testa alta, iniziando da questa sera».

    «Non ho dubbi che con una guida sicura come lei tornerete presto al livello che vi compete» rispose Pepa con fare civettuolo.

    «Spero proprio che abbia ragione. Ora però mio malgrado la devo salutare, il dovere mi chiama» disse Massimo alzandosi dai seggiolini di plastica azzurri «È stato un piacere conoscerla, spero di rivederla un giorno di questi».

    «Il piacere è stato mio, e spero davvero anche io di rincontrarla presto» rispose la donna più calorosamente del dovuto.

    Mentre Massimo se ne andava scendendo i gradoni e girandosi per rivolgerle un ultimo sorriso, Pepa scorse suo malgrado il luccichio di una fede d'oro sul suo anulare sinistro.

    Ah così è sposato pensò amaramente la donna tra sé. Un piccolo neo nel tessuto perfetto che stava già tessendo nei suoi sogni, ma che non sarebbe stato certamente in grado di rovinarli.

    La partita quella sera, nonostante le ottime premesse iniziali, finì con una brutta sconfitta da parte dei Penguins Stars ma alla ragazza il risultato non interessava più di tanto.

    Quella notte Pepa trovò alloggio in una modesta pensione a due stelle, l'unica con un prezzo abbordabile viste le sue possibilità economiche, ma nella sua testa le stelle da conquistare era ben altre ormai.

    Nella sua piccola stanza composta da un armadio, un letto, ed una sedia consumata dagli anni, la ragazza pensava infatti al suo futuro stringendo il cuscino al suo petto. Il nuovo anno era davvero iniziato con il botto per lei; nuova città, nessuno a cui appoggiarsi, pochi soldi con cui cercare di tirare avanti per il momento, ma nonostante questo la sicurezza dentro di sé di essere vicina ad una svolta. La vibrazione improvvisa dello smartphone al suo fianco la fece trasalire, distogliendola di colpo dai suoi pensieri. Lo prese infastidita e lesse la notifica sullo schermo: Susan.

    Pepa sospirò amareggiata, cancellò il messaggio senza leggerlo, poi si voltò, spense l’abat jour, e dopo pochi minuti si arrese al sonno addormentandosi.

    CAPITOLO 2

    La mattina seguente il sole era tornato a splendere dopo la pioggia caduta la sera prima, e l'umore di Pepa era sereno come il cielo sopra i suoi capelli corvini.

    Si dice che la notte porti consiglio, e a lei mentre dormiva, aveva consigliato di buttarsi e di dare una svolta definitiva al suo futuro. Dopo colazione si era quindi diretta in centro città, nel quartiere dello shopping, ed ora era lì che passeggiava esterrefatta tra le vetrine peccaminose, in cerca dei capi perfetti per il suo scopo.

    Gucci, Prada, Hermes, la scelta era variegata, ma il budget limitato. Optò quindi per una piccola boutique di Liu Jo ed entrò. Mezz'ora dopo ne usciva con due bei sacchetti eleganti e vari vestiti tra cui un abito da sera audace con pelliccia copri spalle, due paia di jeans aderenti, due abiti formali, qualche maglione, e per finire un caldo e lungo piumino nero.

    La donna era soddisfatta, ma mancavano ancora tre cose fondamentali; scarpe con tacco a spillo, qualche completo intimo provocante e trucchi, molti trucchi, fondamentali per apparire perfetta in quel mondo ovattato in cui ambiva ad entrare.

    Fu solo nel primo pomeriggio che sentì di aver raggiunto il suo scopo. Ora aveva davvero tutto, eccetto i soldi, ormai ridotti a pochi euro, e la carta di credito praticamente svuotata. Ma Pepa era soddisfatta, e con il suo nuovo paio di decolté tacco dodici si avviò a passo deciso verso il palazzetto del ghiaccio. Aveva infatti letto che la squadra dei Penguins Stars era solita riunirsi il pomeriggio successivo alle partite per analizzare i video dell’incontro appena giocato, e successivamente, allenarsi.

    In poco tempo arrivò presso la struttura e notò subito nel parcheggio tutte le auto dei giocatori, lucide e splendenti, sotto il tiepido sole invernale.

    Pepa sperava di riuscire in qualche modo ad entrare per assistere, e ce l’avrebbe fatta, a costo di corrompere il custode che stava alla guardiola di entrata del palazzetto.

    Mentre si preparava all'opera di convincimento, abbassandosi la zip della giacca a vento, sentì alle sue spalle il bip sonoro di un antifurto e girandosi vide con sorpresa Massimo Benvenuto lasciare la sua vistosa jeep gialla, e procedere a grandi passi verso l'entrata e verso di lei.

    «Ma guarda chi ho il piacere di rincontrare, ci siamo rivisti prima del previsto signorina... Botovin vero?».

    «Signor Benvenuto che piacere rivederla, non pensavo lavorasse anche la domenica pomeriggio» rispose Pepa sorridendo e appoggiando una mano sul braccio di Massimo.

    «Il successo non ammette giorni di riposo» ammiccò l'uomo.

    «Deve essere difficile per sua moglie accettare e resistere tutto questo tempo lontano da lei».

    «Oh lei è abituata, lavora nella gestione marketing dei Penguins e da poco si occupa anche di ampliare le sponsorizzazioni di un team della serie cadetta, pensi un po'» sorrise Massimo guardandola negli occhi, ma cogliendo solo il suo riflesso nei Ray-Ban arrotondati della donna.

    «Una coppia dedita al lavoro, di certo non vi annoierete tra le mura di casa» rispose Pepa pensando nel frattempo che non poteva esserci nulla di più favorevole di una donna in carriera lontana dal marito per la maggior parte del tempo.

    «Ma lei cosa ci fa qui oggi? Anzi se posso darti del tu, cosa ci fai oggi qui al palazzetto?».

    Pepa non era pronta a quel tipo di domanda, ma non si fece prendere dalla confusione e si limitò a rispondere «Passavo di qua. Il mio albergo è nelle vicinanze, e volevo informarmi se ci fosse qualche partita in programma in giornata, o qualche allenamento a porte aperte».

    «Sei proprio un’appassionata, mi sorprendi. Oggi non ci sono partite ma se ti fa piacere posso invitarti all'allenamento della squadra, così puoi conoscere i ragazzi».

    Quelle parole suonarono come miele alle orecchie della donna; non solo aveva trovato il modo di entrare, ma anche di conoscere la squadra, oltre che approfondire la conoscenza di Massimo, che tra l'altro si stava rivelando un'utile chiave passe-partout per aprire tutte le porte dei suoi obiettivi.

    «Non vorrei essere di troppo disturbo» replicò con finta costernazione.

    «Prenderei il tuo rifiuto come un'offesa» ribatté l'uomo «Vieni, entriamo» e così dicendo la prese sotto braccio portandola all'interno del palazzetto.

    I tacchi della donna picchiettavano una marcia di conquista per il lungo corridoio, finché, fermandosi, non giunse ai lati del campo ghiacciato dove tutta la squadra, una volta accortasi della presenza dei due nuovi venuti, si voltò nella loro direzione fissandoli.

    «Ragazzi vi presento una persona che non solo ha una grande passione per l'hockey da molto tempo, ma è anche venuta appositamente dalla Norvegia per vedere la disdicevole figuraccia che abbiamo rimediato ieri».

    «Poteva risparmiarsi i soldi del volo allora» un ragazzo esile con dei capelli radi e ribelli sorrise ironico facendo a gomitate con il compagno a fianco.

    «E invece per fortuna ci sono ancora persone che amano il nostro sport e fanno sacrifici per seguirlo Sebastian» rispose Massimo con cipiglio severo.

    Seguirono altri scambi di battute ma Pepa non ci prestò attenzione. I suoi occhi erano infatti concentrati sul numero 77, Matthias Konen, che bello come un tramonto a picco sul mare, giocherellava con la sua mazza da hockey tenendosi in disparte.

    Pepa cercò invano di attirare la sua attenzione, ma fu riportata al presente dalla mano di Massimo sulla sua vita, che la invitò ad accomodarsi sulla panchina a bordo campo.

    «Non sarà comodissima ma da qui puoi seguire l'allenamento. Il signor Binolli è il nostro coach e ti mostrerà come prepara con pazienza questi ragazzotti insolenti alle partite».

    L'allenatore le fece un veloce cenno di saluto, che Pepa ricambiò, per poi posizionarsi a bordo pista a dar disposizioni ai suoi giocatori.

    L’allenamento fu intenso e particolarmente coinvolgente. Vedere all’opera Matthias era per Pepa motivo di vero interesse, ed infatti per tutto il tempo non fece altro che cercare di assumere una posa particolarmente provocante, ma gli unici sguardi che riuscì ad attirare furono quelli insistenti di Massimo, del signor Binolli, e di qualche giocatore di ruolo secondario.

    Al termine della seduta, quando gli atleti lasciarono il campo, Pepa notò un uomo dai capelli neri, vestito in modo casual, che entrava negli spogliatoi con loro.

    Intuendo la direzione del suo sguardo, e la sua curiosità, Massimo le sussurrò «Quello è il presidente, Sergey Marchev, gli piace seguire da vicino la squadra quando ha del tempo libero. La sua famiglia è molto conosciuta ed in vista, così come le sue fabbriche tessili; le migliori di tutta la Germania e forse d'Europa».

    «È lui quindi che ha il comando della squadra? Sembra un tipo strano» rispose Pepa più rivolta a sé stessa che all'uomo al suo fianco, poi appagata la sua curiosità si mise gli occhiali, si aggiustò i capelli, e si congedò da Massimo «Beh, ora è meglio che io vada, ho già approfittato troppo della tua gentilezza oggi».

    «Figurati, anzi grazie per essere restata, è un piacere averti qui con noi. A proposito, non mi hai ancora detto di cosa ti occupi in Norvegia, lavori nel settore sportivo?».

    Quella domanda arrivò come un fulmine a ciel sereno. Come poteva confessare di non aver mai trovato un lavoro serio, e di essersi al contrario fatta mantenere da due dei suoi ultimi fidanzati, se così potevano essere chiamati? La posta in gioco era troppo alta per smascherare così brutalmente il suo passato, e lei non l’avrebbe certamente permesso.

    «Ho una laurea in giornalismo. In Norvegia dirigo un team di editorialisti sportivi, sono sempre a caccia di notizie, mi piace tenermi informata» le parole le erano uscite di bocca a raffica, in modo spontaneo senza che potesse controllarle.

    «Una giornalista sportiva ma che onore» sorrise l’uomo passandosi una mano tra i capelli «Sei qui per scrivere di noi quindi?» il sorriso si tramutò in una risata profonda.

    «No no tranquillo, sono in Germania in veste rigorosamente non ufficiale. Faccio una vacanza per staccare un po’ la spina, era da tanto che non mi prendevo del tempo per me» mentì Pepa nascondendo il suo sguardo dietro gli occhiali da sole.

    «Allora devi assolutamente goderti il tempo che passerai qui, ed avrei anche già un'idea sul come. Hai impegni per questa sera?» le chiese l'uomo con parecchia disinvoltura nella voce.

    «Assolutamente nessuno» la risposta di Pepa fu persino troppo diretta e veloce a sopraggiungere.

    «Allora se ti va ritieniti ufficialmente invitata alla cena di beneficenza annuale dei Penguins Stars, questa sera alle 20.30».

    «Sono davvero senza parole. Grazie Massimo, non sai quanto gradisco questo invito» e questa volta nella sua affermazione c'era la sincerità più assoluta.

    «Mia moglie è via per lavoro, quindi posso passare a prenderti con la mia auto. In che hotel alloggi?».

    Certamente non posso dire che alloggio in quella misera pensione da due soldi, pensò Pepa.

    «Se per te va bene mi farò trovare nella piazzetta qui di fronte. Io pernotto all'hotel Am Schloßpark dall'altra parte della città; sai offrono un servizio auto nel prezzo di soggiorno, quindi ne approfitto utilizzandolo spesso, dato che lo pago. Potrei venire direttamente al luogo della cena con la mia macchina, ma mi farebbe piacere fare un tratto di strada in tua compagnia» si inventò così su due piedi, simulando poi una risata «Se ci troviamo per le 20.15 per te va bene?».

    «D'accordo se sei più comoda così ci troviamo alla piazzetta, mi raccomando non farti aspettare» ammiccò lui.

    «Tranquillo sarò puntualissima, intanto ti lascio il mio numero di cellulare per ogni evenienza».

    Massimo salvò il numero della donna sul suo smartphone poi, con un cenno di saluto si congedò.

    Uscita dall’OlympiaHalle, mentre camminava in solitudine verso l'albergo con andatura poco elegante visto il dolore ai piedi causato dai tacchi alti, il cervello di Pepa era in tumulto.

    In un solo pomeriggio era riuscita a partecipare ad un allenamento privato, a vedere il suo obiettivo Matthias Konen, ed addirittura aveva rimediato un invitato alla cena di gala della squadra. Conoscere Massimo il giorno precedente era stato come estrarre il suo biglietto vincente alla lotteria, ed ora era lì, in piena corsa verso la sua nuova vita.

    Ed a proposito di corsa occorreva sbrigarsi, alla cena mancavano poche ore e lei doveva prepararsi al meglio.

    Il tempo volò letteralmente mentre si preparava per la serata. Fece un bagno caldo, poi spese oltre un'ora a truccarsi cercando di modificare il suo viso, rendendolo vicino a quello delle modelle perfette che aveva visto sulle riviste patinate. Indossò infine l'abito con il copri spalle di pelliccia preso quella mattina, infilò le Louboutin da oltre 700 euro, e alle venti in punto uscì dall’albergo camminando lentamente per le strade accidentate, diretta verso la piazzetta.

    Massimo era già lì ad aspettarla. La sua Jeep era parcheggiata in doppia fila con le quattro frecce inserite e lui si appoggiava alla portiera, elegante nella sua giacca scura con lo stemma della squadra, con una camicia bianca inamidata sotto, ed un paio di jeans molto casual.

    «Buonasera Massimo» lo salutò Pepa sfiorandolo con una mano dalle lunghe unghie smaltate di un blu elettrico per l'occasione.

    «Pepa, non ti avevo quasi riconosciuta. Buonasera a te, sei... veramente elegante» affermò l'uomo guardandola ancora sorpreso per quanto non sembrasse più la donna conosciuta il giorno prima. «Grazie, anche tu sembri un perfetto cavaliere, ma spero che questa ci porti alla cena molto più velocemente di un cavallo» disse la ragazza sorridendo ed ammiccando verso la macchina, poi aggiunse «A proposito ma dove si tiene questo evento?»

    «In un castello qui vicino, proprio come nelle favole» le rispose Massimo «È di proprietà della famiglia di Marchev da molte generazioni; sarà presente Sergey con sua madre, un sacco di persone dell'alta società bavarese, ed ovviamente i ragazzi dei Penguins, soli, o con le loro compagne».

    «Spero di non sentirmi troppo inadatta allora» menti Pepa, la quale al contrario, non vedeva l'ora di conoscere gente di spicco e di farsi notare.

    Massimo aveva ragione era proprio come in una fiaba; il castello si ergeva maestoso in rialzo su di una collinetta, circondato da enormi distese di prato verde, interrotte soltanto, a macchia di leopardo, da gruppetti di erica e violette bianche e azzurre. Il cancello di ingresso, in ferro battuto, con le iniziali della famiglia Marchev incise in rilievo, si apriva su di un lungo viale di ghiaia, bianca come la neve, che brillava nella luce serale dei numerosi lampioni posti ai lati dello stradone. Alcune luminarie ornavano due piccoli pini posti ai lati dello scalone d'entrata. Massimo consegnò le chiavi dell’auto ad un parcheggiatore, ed insieme a Pepa si avviarono verso il portone, salendo i pochi gradini di marmo rosato.

    Varcarono la soglia e subito vennero ricevuti da una coppia di camerieri in divisa, che indicarono loro la stanza riservata alla cena.

    Il salone rifletteva perfettamente lo stile fiabesco del castello. Lampadari di cristallo illuminavano la sala con giochi di riflessi, i tavoli spiccavano al centro, ricoperti da candide tovaglie ricamate su cui poggiavano preziosi vassoi d'argento ricolmi di ogni tipo di pietanza. Eleganti camerieri si aggiravano con discrezione tra gli ospiti, come danzando, pronti a riempire i calici vuoti di costoso champagne ambrato.

    Pepa si fece largo tra facce sconosciute e sorridenti, scortata dal possente braccio di Massimo. Si sentiva come una principessa all’esordio nell'alta società, e percepiva con una punta di piacere gli sguardi curiosi che seguivano i suoi passi.

    La gente si chiedeva chi fosse quella donna al braccio del signor Benvenuto, con quel vestito così trash, vistoso, e poco adatto all'occasione, ed i primi commenti cominciavano a diffondersi come leggera nebbia tra le conversazioni degli ospiti.

    Ma la ragazza era ignara di tutto ciò. Continuava a guardarsi intorno con insistenza nella speranza di scorgere l'uomo che le interessava, Matthias Konen.

    «Allora che ne pensi?» le chiese il suo accompagnatore porgendole un calice di champagne «Niente male vero?»

    «Sono davvero colpita Massimo, questa sala è un sogno, non pensavo che la cena di beneficenza di un club potesse essere così sfarzosa. Sembra un ricevimento reale».

    «Massimo è questa signora chi è? Non dovrò fare rapporto a tua moglie spero» un’anziana donna con un tubino color corallo ed un vistoso girocollo di pietre preziose si intromise nella loro conversazione.

    La risata calda di Massimo anticipò la sua risposta «Nessun allarme Rose, ti presento la signorina Pepa Botovin, è una giornalista Norvegese che è venuta qui in vacanza a Monaco».

    La signora la squadrò da capo a piedi «E quando va in vacanza porta spesso nella sua valigia abiti eleganti come questo per partecipare a cene di gala?» domandò con tono acidulo rivolgendosi a Pepa.

    La donna sentì montare un'onda di rabbia dal profondo, ma prima che potesse rispondere sgarbatamente, la voce di un uomo al microfono riecheggiò per la sala, pilotando tutti gli sguardi verso di lui.

    «Buonasera signori e signore, e grazie di essere venuti qui ad omaggiare con la vostra presenza questa causa che la mia associazione, unita alla mia squadra di hockey, porta avanti ormai da molti anni. Il problema degli animali abbandonati e maltrattati è una piaga della nostra società che deve essere sconfitta; iniziamo a rispettare gli esseri più indifesi di noi o non riusciremo mai a portare rispetto ai nostri pari. Chi fa del male ad un animale, cosa potrà fare ad un suo simile? Rifletteteci mentre vi divertite e cenate, ma ricordatevi anche di lasciare un'offerta in quella teca prima di tornare a casa, qualsiasi cifra può trasformarsi in un aiuto concreto. Colgo anche l'occasione per ringraziare tutti i membri del team dei Penguins Stars per aver sposato la causa della mia associazione donandole il 5% del loro compenso annuale e speriamo che fare del bene ci aiuti raggiungere molte soddisfazioni sia personali che sportive. Grazie ancora per la vostra gentilezza ed il vostro aiuto e ancora una volta, buona serata».

    Un fragoroso assolo di applausi coronò la fine del discorso.

    «Ah mio figlio, è sempre stato un grande oratore sin da bambino» disse l'anziana donna con occhi luccicanti di orgoglio.

    «Sergey sa come arrivare alla gente, infatti oltre ad essere un grande uomo è anche un grande presidente per la nostra squadra» rispose Massimo sorridendo alla signora Marchev.

    «È un onore conoscerla» Pepa porse subito la mano alla donna non appena ebbe saputo chi era «E per rispondere alla sua domanda di prima, si, mi piace portare sempre qualcosa di elegante, mi tengo sempre pronta a quello che può offrire il destino».

    «E le ha offerto una grande occasione stasera signorina mi creda; si goda la cena, e mi raccomando, non dimentichi di contribuire alla causa di mio figlio» ribatté l'anziana signora prima di congedarsi con una stretta energica all'avambraccio di Massimo.

    «Devi scusarla, l'età l'ha resa un po’ acida e chiusa alle novità, ma ti assicuro che è una donna davvero per bene e con una grandissima forza d'animo».

    «Non ti preoccupare, mi ha fatto molto piacere conoscerla e…» le parole si fermarono sulle labbra rosse di Pepa.

    In un angolo della sala, appoggiato ad una colonna di marmo lavorato, c'era infatti Matthias, in giacca e cravatta, che giocherellava con una tartina al salmone.

    La suoneria di un cellulare si fece largo nella sua testa, seguita all'unisono dalla voce di Massimo che le chiedeva scusa mentre si allontanava per rispondere, ed in pochi secondi si ritrovò sola, a fissare il ragazzo; si stava profilando un'occasione unica davanti a lei.

    Senza perdere tempo Pepa puntò decisa al tavolo del buffet vicino a lui.

    Si finse indecisa tra due tipi di tartina, poi sorrise, allungò un indice nella salsa rosa, e se lo portò alle labbra con fare seducente.

    «È che a volte non so decidermi» si scusò emettendo subito dopo una risatina che suonò isterica alle orecchie di Matthias.

    «Le tartine posso essere un enigma irrisolvibile per alcune persone» rispose il ragazzo con un'espressione stupita per il gesto appena compiuto dalla donna davanti a lui.

    «Hai l'aria di chi si sta annoiando molto, le cene di beneficenza non ti piacciono?»

    «Le cene e la beneficenza si, il lusso e tutto ciò che le contorna invece non fa per me» rispose Matthias, poi aggiunse «Invece vedo che tu sei a tuo agio, sei qui con Massimo?»

    Allora mi ha notata esultò Pepa tra sé, poi ribatté «Si, mi ha invitata questo pomeriggio dopo l'allenamento, non so se ci hai fatto caso ma ero seduta in panchina».

    «Difficile non notare una donna con le scarpe con il tacco in un palazzetto del ghiaccio» la interruppe lui «Sei una sua amica?» chiese poi senza troppo interesse.

    «Si diciamo di sì, lo conosco da poco» la donna allungò la mano verso di lui «Piacere sono Pepa, e mi occupo di giornalismo sportivo» si presentò con una punta di orgoglio nella voce.

    «Piacere, Matthias Konen. E sono l'ala esterna d'attacco nella squadra dei Penguins» disse il ragazzo stringendo velocemente la mano della donna.

    «Si, penso di averti visto giocare molte volte, sei davvero la punta di diamante del team, oltre ad essere un mito per tutto il pianeta».

    «Adesso non esagerare. Mi piace il mio lavoro e mi ritengo fortunato a poter vivere facendo la cosa che amo, ovvero giocare a hockey, ma per il resto non mi sento un mito per nessuno, le persone da idolatrare sono altre».

    Pepa rimase colpita dalla modestia di quel ragazzo, famoso, ricco, ma così riservato e umile.

    «Sei molto legato al presidente, ho letto che partecipi a tutte le iniziative che propone, pensi di terminare la tua carriera in questa squadra?» domandò Pepa a bruciapelo.

    «Si, questa squadra è per me come una famiglia, il mio posto ormai è qui, adesso ed in futuro».

    «È molto bello questo legame con la squadra da parte tua, soprattutto in questi tempi dove tutti cambiano spesso team, sei proprio speciale» Pepa appoggiò la mano sul braccio di Matthias che si scostò imbarazzato.

    «Beh ora devo proprio andare, devo sedermi al tavolo con i miei compagni, è stato un piacere conoscerti, buona serata» l'uomo si dileguò velocemente dirigendosi verso i tavoli più lontani e lasciandola sola in piedi davanti al buffet.

    La sua solitudine durò poco, infatti dopo pochi minuti Massimo ritornò da lei per accompagnarla a braccetto verso i posti a loro assegnati.

    La cena trascorse cullata dal brusio delle conversazioni, dal tintinnio delle posate, e da un leggero sottofondo musicale che un'orchestra d'archi diffondeva da un angolo del salone.

    Pepa ascoltava e osservava, intrattenendosi ogni tanto in qualche discorso con gli spiriti vicini o scambiando sorrisi d'intesa con Massimo. I giocatori dei Penguins sedevano purtroppo all'altra estremità del suo tavolo; la donna poteva scorgerli scherzare e ridere durante la cena, mentre il presidente, seduto accanto a sua madre, sbocconcellava il cibo con fare distratto.

    La signora Rose Marchev, scrutava a sua volta quella donna truccata pesantemente che sedeva al fianco di Benvenuto. Nonostante le rassicurazioni ricevute da lui non si sentiva convinta, avrebbe senza dubbio informato la moglie dell'uomo, Sylvie, di quella bambolina portata quella sera alla cena dal marito. Era vecchia ormai, ma proprio la sua esperienza la portava ad essere guardinga verso quella ragazza appariscente su di cui provava un'istintiva antipatia.

    Le ore trascorsero veloci, alle 23 gli ospiti iniziarono a diradarsi, ed anche Massimo si dimostrò desideroso di andare via.

    «Per me è ora di rincasare, mia moglie mi ha avvisato prima per telefono di essere appena tornata dalla trasferta di Ginevra, e mi attende a casa. Spero che non ti dispiaccia se ce ne andiamo» chiese a Pepa scusandosi.

    «Nessun problema, anche io inizio ad essere stanca, andiamo pure» gli rispose la ragazza prendendolo sottobraccio.

    Prima di lasciare la sala Massimo vide Sergey e lo salutò abbracciandolo.

    «Caro presidente, la serata è stata davvero perfetta, grazie di tutto».

    «Grazie a te amico mio, di essere presente in ogni occasione».

    «Ti presento la signorina Pepa Botovin, è qui in veste di giornalista, ma in vacanza, quindi non scriverà nulla di questa serata» disse l'uomo presentando Pepa al presidente.

    «Buonasera signorina Botovin, sono Sergey Marchev, grazie di aver partecipato alla mia serata, si è trovata bene?»

    «Meravigliosamente signor presidente, è stato tutto fantastico, non sono mai stata in un posto così elegante».

    «Sono lieto che abbia trascorso piacevolmente il suo tempo qui alla festa, per me la felicità dei miei ospiti viene prima di tutto. Ma ora non voglio trattenervi, quindi vi lascio andare. Vi rinnovo i miei ringraziamenti, a presto» si congedò l'uomo stringendo la mano ad entrambi.

    «Ci vediamo domani alla riunione societaria Sergey, buona serata» e terminati i saluti Massimo e Pepa si allontanarono a braccetto.

    Fuori l'aria era fresca e le stelle brillavano come diamanti sul tappeto blu scuro del cielo notturno. Camminando verso la Jeep, con a fianco Massimo, la ragazza si sentiva soddisfatta e felice. Non riusciva a credere che fino a pochi giorni prima doveva arrangiarsi tra storielle di poco conto per ottenere qualche misera cena in qualche ristorante di periferia e qualche vestito di basso valore.

    Adesso era invece ad un passo dal cielo e pur non sapendo ancora bene come sarebbe arrivata al paradiso del successo, guardando quel cielo lucente, sentiva dentro di sé che ce l'avrebbe fatta.

    CAPITOLO 3

    La svegliò un raggio di sole che filtrava dalle persiane. Il suo tocco caldo si soffermò sulla fronte di Pepa riflettendo la luce dorata attraverso le sue palpebre chiuse costringendola ad aprire gli occhi che però richiuse immediatamente per il fastidio. Si girò pigramente, prese il cellulare dal comodino, e lesse l’ora. Erano già le 9.45. Ormai era in ritardo per la colazione, tanto valeva prendersela comoda. Andò in bagno e dopo una doccia veloce passò in rassegna i pochi abiti, seppur di classe che aveva nel piccolo armadio a muro, scegliendo di indossare dei leggins neri con un maglione aderente. Infilò un paio di comode scarpe da ginnastica per far riposare i piedi maltrattati dai tacchi della sera prima, si truccò con attenzione, e preso il piumino dal l'attaccapanni, scese nella hall.

    Il proprietario alzò gli occhi dal giornale che stava leggendo, la guardò, e riconoscendola l’apostrofò immediatamente «Signorina Botovin, domani mattina a che ora pensa di lasciare l’albergo? Sa, per il saldo del conto».

    «Non sono ancora certa di partire, potrei fermarmi ancora per qualche giorno o settimana» rispose Pepa cercando di essere il più spontanea possibile «Ho ancora delle cose da sbrigare».

    «Sono molto felice che si trattenga, ma mi raccomando, mi avvisi sulla durata del soggiorno e passi a pagare, la puntualità è un elemento cardine di questa struttura» la ammonì l’uomo come per metterla in guardia.

    «Non si preoccupi, domani salderò il tutto» rispose la ragazza, anche se dentro di sé cominciava a sentirsi in ansia sul come avrebbe potuto trovare i soldi per pagare la sua permanenza.

    Una volta uscita dall'albergo la strada la salutò con il suo coro di voci e rumore di traffico. Le vetrine colorate ed adorne occhieggiavano ai passanti che però le ignoravano continuando a camminare distratti e frettolosi senza farsi ammaliare dai prodotti esposti. Non sapendo bene cosa fare, e non avendo soldi per cedere alle tentazioni dei negozi come invece avrebbe voluto, Pepa decise quindi di soddisfare la sua curiosità compiendo un sopralluogo a casa di Matthias Konen, per vedere da vicino dove abitava.

    Seguì le indicazioni stradali sul suo smartphone ed in poco tempo si ritrovò davanti alla villa di Konen. Era una struttura elegante, a due piani, con un prato verde all’inglese che si intravedeva dalla recinzione a trame fitte che la circondava. Non c'erano fiori o decorazioni ad ornare il giardino e nemmeno il suo cognome scritto sul campanello.

    Mentre la donna era intenta a seguire il perimetro della casa passeggiando sul marciapiede, vide improvvisamente il cancello aprirsi e una macchina scura, una Mercedes per la precisione, uscire a bassa velocità. Nei secondi antecedenti alla svolta sulla strada, Pepa vide chiaramente spuntare una coda di cavallo e due grandi orecchini dorati dal finestrino lato guidatore; chi stava conducendo l’autovettura che usciva dalla casa di Matthias era chiaramente una donna. Rimase qualche secondo stupita; in effetti della vita privata di Konen sapeva poco o nulla e sul web non aveva trovato informazioni, anche perché non aveva cercato con particolare attenzione, presa com’era dalla precipitosa voglia di cambiare vita. C’era quindi una possibilità che l’uomo fosse fidanzato. Questo la irritava abbastanza ma non lo riteneva un ostacolo particolarmente insuperabile. Me la caverò comunque, non c’è storia che non possa finire pensò fra sé, poi con passo deciso si incamminò verso il centro lasciandosi alle spalle villa Konen ed i suoi dubbi.

    Le campane della cattedrale rintoccavano mezzogiorno, il sole era tiepido e nonostante fossero ancora in inverno e la brina iniziava a sciogliersi velocemente anche nelle zone in ombra liberando i ciuffi d'erba ed i marciapiedi dal suo velo di ghiaccio. Mentre stava camminando tranquillamente godendosi il paesaggio il suo telefono iniziò a suonare e vibrare nella sua borsetta. Senza guardare chi stava chiamando rispose «Pronto?».

    Silenzio dall'altra parte.

    «Chi parla?» disse di nuovo con voce stizzita, decisa ad interrompere la comunicazione.

    «Pepa, sono Susan, ma dove diamine sei finita?» rispose la voce dall'altra parte.

    «Susan?» la donna era sorpresa e seccata. Cosa voleva sua sorella? Perché chiamarla visto che non si sentivano quasi mai?

    «Che cosa vuoi?» Le domandò in tono aspro.

    «E me lo chiedi pure? Sei sparita da casa, non hai lasciato nessuna informazione su dove sei. La mamma è preoccupata, stai bene?»

    «E da quando vi interessa? Certo che sto bene, più lontana sto da quel paesino senza vita e più mi sento bene».

    «Non parlare in questo modo della tua casa Pepa, mamma si è sempre fatta in quattro per te, per non farti mancare nulla, non merita di essere lasciata così senza una spiegazione».

    «Tu riferiscile che sto bene. Sono in Germania, e fidati, sto facendo più io per dare un futuro luminoso a me stessa e magari anche a voi, di te che resti lì a vendere fiori in quel piccolo chiosco».

    «Io almeno do un contributo concreto, non capisco cosa trovi di tanto malvagio nel guadagnarsi dei soldi onestamente proseguendo la professione dei nostri genitori».

    «Soldi? Tu chiami soldi quella misera somma che a malapena vi permette di comprare due vestiti l'anno?»

    «I vestiti non sono tutto Pepa, ma diavolo da chi hai preso per essere così veniale? Si può essere felici anche senza una borsa Prada o un diamante addosso» sbottò Susan esasperata dall’ostinazione per il lusso della sorella.

    «Per te e per mamma non saranno tutto; voi indossate quegli stupidi grembiuli verdi imbrattati di polline dalla mattina alla sera, recidendo i gambi dei fiori e rovinandovi le unghie. A voi potrà piacere questa vita, io invece voglio di più; voglio avere quello che desidero con facilità, non faticare per il nulla» la ragazza non si accorse che stava praticamente urlando in mezzo alla strada.

    «Va bene Pepa riferirò alla mamma che stai bene, e che di noi non hai più bisogno. Buona vita nel mondo delle favole, ma attenta a quando ti sveglierai, potresti cadere dal tuo letto di sogni».

    «Non ti preoccupare di...» ma la donna non fece in tempo a finire la frase che sentì il bip della linea interrotta.

    Furiosa per questo affronto spinse con forza il cellulare nella borsetta e sbattendo i piedi, con passi pesanti, si diresse verso un bar, si sedette su un tavolino di grezza plastica ed ordinò un'insalata cercando nel cibo e in un calice di vino la calma persa.

    Nemmeno mentre consumava il suo pranzo leggero riusciva però a togliersi dalla testa la conversazione con sua sorella Susan. Ma cosa pretendeva? Che continuasse a vivere in modo sciatto precludendosi così la possibilità di sognare? Aveva passato 32 anni della sua esistenza rinunciando a tutto. Prima che suo padre morisse avevano vissuto in modo modesto ma dopo la sua morte il livello di vita si era abbassato ancora di più. Mentre vedeva gente uscire a cena nei ristoranti, lei doveva al contrario sempre cenare a casa. La sera inoltre non poteva permettersi di andare a ballare nei locali esclusivi perché non aveva i soldi dell'entrata e poi in ogni caso cosa avrebbe indossato!? Un maglione di lana con dei jeans scoloriti?

    Sua madre voleva che lavorasse con lei e la sorella nel piccolo negozio di fiori del padre ma lei non ne aveva voglia, voleva guadagnare veramente, non sopravvivere stancandosi. Aveva provato ad iscriversi in qualche agenzia per modelle, ma le avevano proposto solo soluzioni in cui era lei a dover pagare per ottenere il lavoro, e Pepa l’avrebbe anche fatto, se solo ne avesse avuto la possibilità. La sua salvezza erano stati alcuni impresari che l'avevano notata non proprio per le sue doti da modella, ma che perlomeno le davano soldi e qualche momento di notorietà, in cambio di divertimento extra coniugale. Per molti anni le era andata bene questa situazione, fino a che, dopo la morte della nonna qualche mese prima, aveva ereditato quella piccola somma di denaro, la chiave per aprire la porta dei suoi sogni; diventare qualcuno, rigorosamente per riflesso, facendo cadere nella sua tela qualche uomo di successo.

    Persa nei suoi pensieri Pepa terminò l’insalata e la bottiglia di vino, pagò alla cassa con i pochi euro che le rimanevano nel portafoglio, e si avviò verso il parco con l’obiettivo di prendere qualche raggio di sole, seppur pallido, per mantenere l'abbronzatura ottenuta a caro prezzo nel centro estetico. Mentre stava scendendo per una via semi deserta, lo sguardo le si posò casualmente su di un gruppetto di persone fuori dal portone di un antico palazzo. Le ci volle pochissimo tempo per accorgersi di chi si trattava. Riuniti ed intenti in una chiassosa conversazione, Pepa riconobbe Massimo, una signora vestita in modo sportivo che pensò essere la moglie, Sergey Marchev e sua madre, ed un ragazzo esile dai capelli castani che ricordava di aver già notato da qualche parte.

    Che cosa ci facevano tutti riuniti davanti a quell'edificio? La curiosità di Pepa era alle stelle.

    Il piccolo gruppo varcata la soglia del palazzo d'epoca e salite le poche scale, entrò nell'ufficio di amministrazione di Sergey Marchev e, su invito dell'uomo, tutti i presenti si sedettero su delle morbide poltrone di pelle. Le persiane erano socchiuse creando nella stanza una penombra alquanto intima. La porta di mogano era stata chiusa, e la segretaria, dopo che ebbe portato una caraffa di tè freddo, fu invitata ad uscire senza più interrompere la riunione.

    Nessuno aveva idea del perché il presidente Marchev li avesse fatti venire quel pomeriggio, nemmeno sua madre, che sedeva giocherellando con il girocollo di perle, chiedendosi come mai quel ragazzino esile seduto accanto a Sergey ed a lei sconosciuto, partecipasse alla riunione.

    Anche Massimo e sua moglie erano incuriositi, avevano l’impressione che qualcosa bollisse in pentola, ma il cosa non era ancora chiaro a nessuno.

    «Se siete tutti d’accordo salterei i preamboli» esordì Marchev tamburellando con la matita su di un plico di fogli.

    «Volevo informarvi che in questi giorni ho maturato un'importante decisione» a quelle parole tutti gli sguardi si calamitarono su di lui all'unisono.

    «Come potete vedere oggi è presente tra noi un membro del mio team di hockey, Sebastian Sutton. È cresciuto nelle nostre giovanili e proprio la scorsa settimana mi ha chiesto di rinnovare il suo contratto a vita. In questi anni ha dimostrato ampiamente il suo talento in campo e sono sicuro che al ritiro della nostra stella, Matthias Konen, lui sarà un degno sostituto anche a livello di immagine».

    «Non sappiamo quanto durerà la carriera di Matthias con sicurezza» intervenne Massimo schiarendosi la voce «Ma se la tua idea è di formulare un contratto a vita per Seb, non puoi che trovarmi d'accordo; sono sempre stato ammirato

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