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Bravo Charlie
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E-book216 pagine2 ore

Bravo Charlie

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Info su questo ebook

Charlie ha due giri di nastro intorno agli occhiali e abita in una casa costruita con avanzi di cantiere alle porte di Sassari. Quando non è troppo occupato a giocare a Mazinga coi suoi nipotini gemelli, fa il dattilografo vessato all’Isola Sprint.
La sua vita cambia all’arrivo di Viola, che profuma di camomilla e adora sentirlo cantare accompagnato da una Bontempi a pile. Grazie a lei e a Valter, il barista acrobatico del Diamante, il Grande Charlie terrà il suo primo concerto: tutti nel quartiere scopriranno i segreti della sua voce proteiforme.
Ma a un tratto la città si rivelerà troppo piccola e ingrata per il suo talento.
LinguaItaliano
Data di uscita4 mag 2021
ISBN9788894580167
Bravo Charlie

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    Anteprima del libro

    Bravo Charlie - luca dore

    Ringraziamenti

    Prima parte

    1

    L’idea della tesi le era venuta grazie a un sovrappensiero alcolico di fronte alle natiche di Hellen, ancora agli esordi della sua carriera di modella. Una Chesterfield tra le dita, la sua collega svedese camminava nuda per la piccola stanza ammobiliata che le ragazze dividevano e giocherellava con un cornetto rosso portafortuna, regalo del suo nuovo fidanzato italiano.

    «Che fai, giri con gli amuleti?» le aveva chiesto Viola.

    «Questo? Regalo di Antonio. Che amuleti? Cazzo frega» e con un gesto congiunto di pollice e indice l’aveva spezzato in due.

    «No, perché? Cosa…»

    Il contraccolpo le era arrivato dritto nelle vene come se il simbolo, carico di secoli e secoli di credenze popolari, potesse intervenire davvero nella buona sorte.

    Di certo Viola non era immune agli scongiuri, altrimenti perché si irrigidiva di fronte ai gatti neri? E perché non era mai stata al Fuori Corso Café, nefasto soltanto per il nome che gli avevano dato? E perché teneva da sempre uno scacciaspiriti indiano appeso sul letto?

    Ogni tanto si rivedeva legata al sedile della Citröen Visa satura di gas, nel garage di via delle Fratte; il francese Lucien voleva morire insieme a lei, ma in quel caso un pugno sui testicoli e un calcio alla porta del box l’avevano liberata. Altre volte riapriva la busta grigia del comando dell’esercito in cui si diceva che Ermanno, il suo fidanzato, non sarebbe tornato dalla Destinazione Segreta. La caduta accidentale su un fascio di antiche baionette era la verità ufficiale in sede di processo. E le ecchimosi in tutto il corpo una banale allergia alla ruggine. Totale uomini restituiti alla sua gioventù: zero. E lei ancora a scongiuri e pussa via i gatti e tocca maniglia contro carro funebre.

    Aveva deciso in quel momento di lasciare al medioevo iella e fortuna, di fronte a un culo bianco alabastrino che forse poteva temere soltanto la vecchiaia, culo di valchiria coperto di gocce e bagnoschiuma con un piccolo tatuaggio azzurro, una frase in svedese che significava qualcosa tipo amo il piacere.

    Viola era corsa a vomitare per via dei sette cocktail in corpo e il lampadario riflesso sulla ceramica del water le aveva offerto l’illuminazione finale: avrebbe studiato la superstizione dalle origini. Sua madre non poteva opporsi alla partenza in Sardegna, ultimo avamposto della magia nera e dimora da decenni della Luisa, la zia ricca. La tesi di laurea sarebbe finita in libreria e lei avrebbe girato il mondo.

    Ma doveva disfarsi dell’ancora di plastilina, l’unico ricordo di suo padre pescatore, trovato vicino alle paste calde della colazione una mattina speciale dei suoi nove anni. Sua madre era arrivata poco dopo, le si era seduta accanto per spiegarle che il papà se n’era andato, non aveva le palle per affrontarla, le aveva lasciate per stare con un marina-retto di vent’anni.

    Le liti quotidiane fra i suoi, gli scorfani sul cuscino e l’aceto nel caffè erano terminati per sempre.

    La famiglia, ormai ridotta, si era dovuta immolare al dio del risparmio, ogni spesa doveva essere contrattata e inserita in una lista di priorità: creme rassodanti, club del bridge, cena per due con uno sconosciuto. Ben presto la bambina aveva smesso persino di chiedere. In compenso sua madre s’impegnava a difenderla contro la malizia ramificata nel mondo: se per esempio un ragazzo le sfregava il dito sulla mano era per portarla dietro le case rosse e – accendendo un dildo rosso a batterie – le ripeteva che non era un giocattolo da mostrare alle amichette.

    Tutto quel daffare inatteso metteva una gran sete alla signora e certe bottiglie la portavano a dire cose senza senso, e a compierle. Il venerdì era il turno di Valerio, stivali a punta e capelli grigi che partivano dalla nuca alle spalle; Viola li osservava dalla porta, uno contro l’altra sul letto a rotelle: sua madre urlava, «spingi» e quello «boja, boja» mentre una madonna dorata gli si sbatteva al petto fino a incollarsi ai peli ricciuti.

    Dopo cinque anni di Lettere e Filosofia la ragazza era come disintossicata dalla presenza materna e dall’angustia del vecchio appartamento. Solo una cosa le rimaneva da fare: l’ancora di plastilina aveva perso ogni traccia di azzurro, era una pietra secca ormai, la sua magia evaporata e suo padre non era mai tornato a riprendersela. Le erano bastate due dita, un gesto ripetuto più volte, per distruggerla.

    Una lacrima di ordinanza e poi il meritato sonno etilico. Intanto le scritte che abitavano il culo di Hellen si erano levate in piedi ad applaudire il suo gesto, prima di sparire dietro un asciugamano arancione.

    2

    Lo scantinato dell’Isola Sprint è uno spettacolo di luci basse, piccole tossi nervose e il fischio lungo del fax che va a singhiozzo coi rumori della strada.

    Una donna in lacrime stacca fotografie dalla parete, infila delle cartellette in una busta e saluta gli ex colleghi con un timido cenno della mano: «Buona fortuna a voi che restate. E buona terapia.»

    Nell’ufficio del direttore Viola comincia a capire: mister Forfora è un sessantenne atletico, spedito in Sardegna dopo essersi guadagnato i sigilli per un settimanale in alta Italia; tiene l’occhio liquido sullo spacco della gonna azzurra, dove le cosce ancora abbronzate dall’ultima estate alla marina di Pisa fanno la loro bella figura.

    «Sì sì, non c’è problema. Fai un due settimane di prova, nespà?»

    La ragazza cerca di tradurre in lire il tempo che perderà dietro al giornale, non vuole dare alla vecchia zia sassarese – che l’ha accolta in città con tutti gli onori – l’idea di una scroccona in villeggiatura con la scusa della tesi di laurea.

    «Questa è la lista dei nostri finanziatori.» Il modulo è fitto di nomi sparsi in quattro fogli, in ordine di peso sul patrimonio del giornale, «senza di loro, non sta a me spiegarvelo, domani chiuderemmo bottega. Perciò niente stronzate. Se sentite chiacchiere su questi signori, voi non avete orecchie.»

    «Non sono un po’ troppi?» chiede Cotica, il reporter più odiato dai colleghi per il suo fiuto innato di stanare una buona notizia, ma anche dai lettori per l’incapacità di saperla raccontare.

    «Fatti i cazzi tuoi» risponde il direttore, sostenuto da facce sconvolte e risatine isteriche.

    Viola segue il discorso ma tiene lo sguardo attaccato ai movimenti di un giovane con gli occhiali rabberciati a scotch bianco. Il ragazzo ha diverse difficoltà a rimanere seduto, come se il bacino decentrato e le braccia troppo lunghe non possano trovare una collocazione stabile. Sarà per questo che sbaciucchia un rosario fosforescente e si segna in continuazione. Appesa alla parete dietro di lui c’è l’icona sbiadita di Santa Dinfna col mattone a cui dedica una carezza, ma con il gomito dà un colpetto amichevole anche ai ferri di cavallo più in basso.

    «Direttore, ma se noi li trattiamo bene ci danno più soldi?» qui lo strano ragazzo gratta la testa a un Padre Pio in polietilene.

    «Bella domanda, Charlie. Ecco perché ti ho tenuto, perché sei intelligente. Non so come tu ci possa aiutare a tenere alto il buon nome della testata dal tuo sgabuzzino di dattilografia, ma sono sicuro che darai il meglio di te.»

    «Come sempre!» dice fiero il giovane.

    Finita la riunione i redattori si guardano come per cercare una via d’uscita da quella gabbia: Ruzzolotto fissa la macchia di muffa pelosa sulla parete e fa per scrocchiare le falangi, poi si alza di scatto e va a occupare la sedia girevole. Intanto lo strano ragazzo si avvicina a Viola di soppiatto.

    «Tu sei nuova?» le chiede.

    «Sì…» risponde lei imbarazzata, «e tu? Ti chiami Charlie…»

    «Sai perché mi chiamano così?»

    «Io… devo andare…»

    Il ragazzo la raggiunge sulla porta. «Perché so tutto l’alfabeto dei piloti a memoria.»

    «Ah, caspita.»

    Viola allunga lo sguardo verso il nulla: il tram del giovane non si vede, l’idea di aspettare l’Alfa 75 dello zio in compagnia di quell’individuo le procura un’emicrania improvvisa.

    «Victor India Oscar Lima Alpha.»

    «Come hai detto, scusa?»

    «È il codice dei piloti… tra poco mi scrivo nell’arionautica.»

    «Ah… guarda, forse è il tuo autobus.»

    Il naso schiacciato di Charlie contro il vetro del tram fissa la biondina come una strana maschera di gomma e si produce in smorfie terrificanti; una signora gli chiede se sta bene, ma il ragazzo continua a sparare a raffica il suo messaggio criptato per Viola: «Tango India Alpha Mike Oscar.»

    3

    Nell’autunno del novantotto Viola entra per la prima volta a casa di Charlie, con un vassoio di paste e la voglia di essere da tutt’altra parte. Alla fine la sua curiosità morbosa, unita all’insistenza di quel ragazzo, hanno vinto sul buon senso. Prima di suonare sbircia al di là del cancello e infila il naso fra due fili di ruggine. Nessun movimento. L’unico rumore proviene dall’interno: sessione d’orchestra per frittura mista e televisione locale. Il corpo sottile di un vecchio si rimette in sesto le bretelle e urla infastidito: «Chi è?» dalla porta di casa.

    L’uomo ha pochi capelli impregnati di grasso e fogliame. La ragazza si convince di aver sbagliato strada, nonostante il minuzioso disegno infantile che Charlie le ha consegnato in redazione su come raggiungere quella vecchia magione cadente, assemblaggio di avanzi e di furti nei cantieri, dal giovane indicata con orgoglio come VILLA SANNA.

    «Buongiorno. Stavo cercando Charlie.»

    Il vecchio si limita a sbattere il cancello.

    «No, qua siamo Sanna.»

    Il prossimo tram verso casa partirà solo due ore più tardi e Viola ci ritenta: «Charlie… abita qui?»

    L’uomo torna indietro infastidito.

    «Ma… non è che sta cercando a Carletto?»

    «Sì… noi in redazione lo chiamiamo così, e allora…»

    «Aspetti che lelo chiamo» e di nuovo le chiude il passante di ferro in faccia.

    «E sennò, entri entri.»

    L’odore di latrina che li accompagna lungo il vialetto ha l’epicentro sulla tuta grigio melange del vecchio, nel punto in cui una macchia lattiginosa gocciola ancora.

    L’uomo si ferma davanti alla zanzariera: «Vadi, vadi» e tiene spalancato col piede. Viola ringrazia e cerca di non inghiottire molecole di quella nuvola che galleggia nella sala d’ingresso, greve di sudore e padelle bruciate. L’orologio a cucù a forma di baita innevata è la prima cosa che balza agli occhi, insieme al chiodo che sostiene in coabitazione un crocifisso, due ferri di cavallo e un peperoncino con sombrero, mascotte di Messico 86.

    «Buongiorno signora, sono un’amica di Carlo.»

    La vecchia è alta quanto la cucina a gas, ma non ha intenzione di arrendersi: il suo compito è saltare caldarroste sulla pattana arrugginita di una Ritmo e non smetterà fino alla sigla iniziale del gioco del criceto alla televisione. Stupita per l’assurdità della richiesta la donna, Forica all’anagrafe Salvatorica, assume un’espressione tremolante: «È al piano di suuu» e si gira di scatto per domare una colonia di castagne ribelli.

    Viola fissa il suo orologio e quello sopra la cappa, cristallizzato in un mezzogiorno di quindici anni prima. Il vecchio, incuriosito ma seccato da quella presenza, spera che la ragazza sparisca al più presto dal raggio d’azione del telecomando, non ha voglia di raggiungere il bagno, ma l’intimo desiderio di liberarsi di un peto fragoroso lo tormenta da cinque minuti.

    «Sali, sali. Che già è su… sta preparando i bambini.»

    Bambini? Charlie padre? Impossibile che quel ragazzo, dattilografo messo in castigo dalla perfida redazione dell’Isola Sprint, si fosse riprodotto.

    Eccolo Charlie, cammina nella stanza dei nipotini con un secchio in testa come elmo spaziale e le braccia stirate in avanti. Il maschietto ha tutte le intenzioni di infilargli il gonfiatoio di un materassino nell’ano e se non fosse per la tela rigida dei jeans Lewis Strass ci riuscirebbe eccome; invece la bambina lancia l’intera collezione di biglie d’acciaio e costruzioni contro il giovane robot, che perde sangue da una guancia.

    Da quella posizione Viola può sentire la scoreggia del vecchio contro la sedia e le bestemmie della donna: «La mazza ti nni faria.»

    «Daaaaaaaai zio» urlano Anna e Barbera «trasformati!»

    «Mazinga Mazingaaaa» sbraita Charlie.

    Solo una volta liberatosi del secchio il ragazzo si accorge di una presenza inattesa nella sua stanza: «Vi… ola» balbetta, mentre i bambini vanno a nascondersi dietro di lui, imbarazzati da quella ragazza fresca, pulita, la faccia a punta, magra all’eccesso ma con seni vistosi. Perché mai si era materializzata davanti alla loro quotidianità, fatta di regole e passaggi obbligati come quello del sedersi a tavola col metodo catapulta? O dell’infilarsi maschera e boccaglio, dato che lo zio Carlo li faceva immergere nella vasca prima di ogni pasto purché si lavassero le mani?

    In sala da pranzo risale un magma di fave a ribisari ed evaporazioni di piscio stantio dalle poltroncine che affollano la sala. Viola è costretta a subire in ossequioso silenzio la sigla del Criceto show e guardare l’animaletto infilarsi nella scatola da ottocentocinquantamila lire, così l’uomo in canottiera alza il volume a 99. La tizia, col nuovo seno a favore di telecamera, grida: «Signora, ma cosa ne farà di questi bei soldini?»

    Il criceto è andato dritto dritto nella scatola dorata, pare sia un record; se potesse, il signor Sanna solleverebbe il volume a tremila. Meglio concentrarsi sui ragazzini: «E quindi, giocate sempre a Mazinga? A proposito, che bei nomi avete…»

    Il piccolo solleva le spalle e le guance si gonfiano a dismisura per addentare un’intera polpetta.

    «Quando arriva, chiederò a vostra madre come li ha scelti» insiste Viola.

    «No, mamma non arriva.»

    Per un attimo Forica smette di cercare con

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