Ti ho scritto una mail: Nuova Edizione
Di Andy Ben
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Ti ho scritto una mail - Andy Ben
farlo.
PROLOGO
Ricordo ancora la prima volta che toccai un computer. L'immagine è nitida, ed è quella di un Commodore Vic20.
Fino a quel momento, non avevo mai messo in pratica quello che avevo letto in decine di numeri della mia rivista preferita, Input
.
Un bambino normale avrebbe digitato un load, avrebbe atteso pazientemente il caricamento di PacMan, Pitfall o DigDug dal registratore, e dopo alcuni minuti, si sarebbe messo a smanettare sul joystick. Il mio primo istinto invece, fu quello di programmare in Basic: digitare un semplice programmino e dare un run per vederne gli effetti sullo schermo del televisore.
Il Vic20 me l'aveva prestato una vicina di casa ma, in seguito, venni in possesso di un computer tutto mio. Il regalo di Natale.
Tutti avevano il mitico Commodore64, più veloce e potente del suo predecessore, che però veniva utilizzato soprattutto per giocare. C'erano un'infinità di giochi arcade per il Commodore64, copie quasi perfette dei giochi da bar; ricordo giornate intere passate a casa di amici a distruggere il joystick con Hyper Olimpic.
Io, al solito, avevo fatto il bastian contrario; il mio regalo di Natale fu un Sega SC3000, perché il computer, per me, significava studio, preparazione e programmazione.
Mi viene da ridere al pensiero che programmare, oggi, è una delle cose che odio di più; invece vent'anni fa, ero un ragazzino pieno di entusiasmo.
Crescendo, con il primo anno di università, arrivò anche un nuovo PC. Erano trascorsi sei o sette anni, e la tecnologia aveva fatto passi da gigante.
Per studiare, e prepararmi agli esami di Fondamenti di Informatica I e II, era necessaria una macchina più evoluta.
I miei, con estremo sacrificio, riuscirono a comprarmi i componenti per un assemblato. Ero perito elettronico, e appassionato, quindi il PC me lo montai io, comprando case, motherboard, scheda audio fichissima
per interfacciarci la tastiera elettronica – quella che mi aveva accompagnato qualche anno prima, quando cantavo in un gruppo – scheda video all'altezza e uno tra i processori più evoluti dell'epoca: un Intel 386DX-33, allora battuto solo dal Intel 486DX-40, che tuttavia, nel settembre del 1991, costava un piccolo patrimonio.
Con la scusa dello studio e della preparazione agli esami, due cose fondamentali hanno influito sulla mia vita.
La prima è stata la continua evoluzione del PC assemblato, che mi potevo permettere, grazie al fatto che lavoravo part-time e quindi i soldi in tasca non mi mancavano per nutrire le mie grandi passioni: l'elettronica, i viaggi, i manga e i bonsai.
Il PC cresceva a pari passo con la tecnologia; acquistavo ogni anno un processore e una RAM sempre più veloce e degli hard-disk sempre più capienti. Il floppy drive da 5 pollici e ¼ era stato sostituito da quello da 3 e ½ ed era arrivata anche l'epoca dei CD, con lettore prima e lettore più masterizzatore poi; erano i tempi gloriosi di Napster, tuttavia ancora mi mancava il modem 56KB e la connessione a internet.
La seconda sopperiva alle assenze della prima.
L'accesso praticamente illimitato al Centro di Calcolo (cdc) dell'università, ottenuto grazie a fantomatiche necessità di raccogliere materiale di studio o preparare programmi in Modula2 e C, che erano ovviamente una scusa. Chi aveva accesso al cdc faceva fondamentalmente due cose: giocava in intranet a BomberMan, oppure scaricava da siti ftp, crack per i programmi e musica; chiaramente queste due attività mi erano tutt'altro che sconosciute.
Il world wide web e l'http erano ancora agli albori, e le connessioni internet erano esclusivamente a pagamento, ma visto che la retta del Politecnico di Milano era tutt'altro che economica, mi pareva giusto sfruttare ciò per cui la pagavo: tecnologia aggratis
.
Tra il 1995 e il 1996 avvenne il salto di qualità.
Il cdc ottenne un ampliamento ragguardevole e venne dotato di macchine Unix e Solaris più potenti. I siti in www si moltiplicavano, comparivano le prime web chat e, soprattutto, qualche anno dopo cominciava l'era di internet gratis.
È a partire da quel periodo che inizia questa storia; una storia fatta di e-mail, di chat e di forum, ma vissuta anche al di fuori del mondo virtuale; una storia fatta di persone che, come me, credevano e ancora credono che la connettività sia il futuro del mondo, e che il web, oggi, sia una delle poche fonti di informazione credibili e imparziali.
1
È il mese di giugno del 1997 e, dopo aver lavorato un anno per una grande compagnia telefonica e sette mesi all'help-desk tecnico di una televisione privata, sono stato assunto per una mansione che, a differenza delle precedenti, non c'entra nulla con i miei studi da Ingegnere, ancora in corso e ben lungi dal definirsi terminati.
Ormai fuoricorso cronico e con una mezza idea di abbandonare l'università, il mio curriculum lavorativo risulta sicuramente più brillante di quello di studio: tredici esami su ventinove in cinque anni e mezzo, con il sesto che si sta concludendo con la sessione di esami estivi che mi vedrà ancora una volta combattere, e probabilmente soccombere, contro Fisica II per la nona volta.
È l'esame catenaccio per eccellenza, in quanto propedeutico per tutti gli esami di elettronica che mi attenderebbero negli anni futuri, ma proprio non riesco a digerirlo; odio la materia, odio il professore, odio l'esercitatore e, ogni volta che prendo in mano il libro di testo, rigorosamente fotocopiato, mi viene la nausea.
Due cose continuano a farmi insistere nella mia carriera scolastica. Anzitutto il sogno, che ho fin da bambino, di diventare Ingegnere e progettare Mazinga e, in seconda battuta, la frase citata da un film cult con il grande Tomas Milian, che mi ripete incessantemente un compagno di corso: «Chi abbandona la lotta, è 'n gran fijo de na mignotta». Anche lui non è una cima in Fisica II e dunque non è che si passi il tempo a studiare. Condividiamo la passione per Luca Carboni, ma soprattutto lui ha il grande merito di avermi appassionato ai manga. Ogni inizio mese ci troviamo in fondo a un'aula della nave
, la cosiddetta piccionaia
, e anziché seguire l'ora di lezione, ci mettiamo a leggere Video Girl Ai di Masakatsu Katsura o DragonBall di Akira Toriyama, con le ovvie, pessime conseguenze per il nostro apprendimento.
Fortunatamente, con il lavoro è tutta un'altra musica.
Ho iniziato a lavorare in maniera regolare a dicembre del '94, presso il call-center di una delle più importanti aziende di telecomunicazioni d'Italia.
Questo lavoro mi impegnava tre o quattro ore al giorno e mi permetteva di seguire con costanza le lezioni universitarie; inoltre potevo usufruire di permessi per sostenere gli esami.
Avere lo stipendio in tasca significa potermi mantenere gli studi, pagare la retta e i libri e, visto che i miei non mi chiedono una lira, mi permettono di spendere i soldi per i miei hobbies e il tempo libero, avere un’auto, andare in discoteca o sui Navigli quando voglio e, spesso e volentieri, concedermi qualche viaggio in mete esotiche.
Questo traguardo era ben lontano da raggiungere con i soli lavori estivi che ho fatto negli ultimi anni delle scuole superiori, finalizzati solo a finanziare le vacanze.
Da quel momento ho cercato di non smettere più e ora sono stato assunto in una compagnia assicuratrice che opera telefonicamente, tra l'altro raggiungendo un piccolo successo personale: un contratto in formazione lavoro di ventuno mesi, che è di gran lunga migliore dei contratti a tempo determinato che ho avuto finora. Ironia della sorte, la cosa che più colpisce gli esaminatori durante il colloquio è sempre la stessa, con l'identico commento: «... frequenti una facoltà così dura come Ingegneria, e trovi il tempo di conciliare lavoro e studio. Questo è ammirevole». Quando dicono così, è fatta!
Per dirla tutta: il posto di lavoro è fantastico.
Lavoro come consulente assicurativo e passo il novanta per cento del tempo al telefono a compilare preventivi rc auto di clienti insoddisfatti della propria assicurazione. Non è neanche difficile in sé, perché anche al cliente più incazzato, quando comunichi il premio che verrà a pagare per un anno di polizza, si calmano tutti i bollori, ti ringrazia per la gentilezza e, se sei proprio stato bravo, magari manda un fax per complimentarsi insieme alla stipula, e questo ti fa guadagnare punti nella corsa al miglior consulente dell'anno
; premio in palio: una settimana per due persone in Egitto.
Il restante dieci per cento del tempo, magari, lo trascorro in front-desk, ricevendo i clienti che preferiscono il contatto umano a quello telefonico. Normalmente non è un lavoro che fanno fare a un novello, ma dopo qualche mese di affiancamento, la mia capa ha ritenuto che fossi pronto ad affrontare i leoni nell'arena: «... e poi cucciolo, stai così bene in giacca e cravatta, sembri proprio un ometto...».
La giacca, la cravatta e pure la camicia su misura, che mi sono state fornite dalla ditta, insieme ai pantaloni in tela – che ho visto solo una volta quando li ho provati, ma non mi sono mai stati consegnati – costituiscono la divisa aziendale. Per rendermi presentabile
i pantaloni sono stati sostituiti dal sottoscritto con un bel paio di jeans neri, rigorosamente Levis 501, perché fanno pandan con il resto e mi fanno anche un bel culo.
Beh, fino a questo punto della descrizione sembra un luogo di lavoro normalissimo; quello che fa di un impiego normalissimo un posto fantastico non possono essere che le persone: i superiori, i colleghi o meglio le colleghe... su una popolazione di cento consulenti, cinque uomini e novantacinque donne, tutte gnocche
, e per me – che vengo da un istituto tecnico industriale e il cui ambiente di studio è il Politecnico di Milano, corso di laurea in Ingegneria, da non confondersi con il corso di laurea in Architettura, dove invece le fighe ci sono – questo posto di lavoro è il paradiso. L'età media è la mia, venticinque anni, un vantaggio per socializzare e fare amicizie, e poi, detto con tutta onestà, lavorare con le donne è meraviglioso: stanno sempre a coccolarti – sarà forse per l'innato istinto materno – inoltre siamo in così netta minoranza che ogni maschietto riceve mille attenzioni.
In un posto così non potevo non innamorarmi.
2
Ho il mio primo account di posta elettronica, anche se non è accessibile al di fuori dell'azienda, al momento mi basta.
Ho fatto conoscenza con una persona speciale. Lei ha un anno più di me. Lavora nel mio stesso team, quindi abbiamo gli stessi orari e gli stessi turni, inoltre abitiamo a poche centinaia di metri l'uno dall'altra; per questo motivo, quando entrambi non abbiamo impegni universitari, ci scambiamo il classico strappo casa-lavoro.
È una persona piacevole, intelligente, spiritosa, indipendente, ma l'aspetto che più mi colpisce è la sua maturità e al contempo il grandissimo entusiasmo e un'immensa gioia di vivere, che riesce a trasmettere anche agli altri.
Una ragazza positiva, il suo nome è Antonella, o semplicemente Anto, per gli amici.
È sorridente, luminosa come il sole e, negli anni a seguire, sono state una rarità le volte in cui la ricordo triste, accigliata, nervosa o incazzata.
Anto fu assunta un paio di mesi prima di me, ed è la persona che mi ha affiancato e formato come consulente.
Studente di psicologia, una volta laureata, è diventata una brillante psicologa e formatrice, nonché una discreta attrice e regista teatrale. Non fu lei la persona di cui mi innamorai, anche se i suoi occhi, chiari e profondi, mi hanno sempre affascinato; Anto si limitò a essere la mia coscienza durante una relazione che definire tormentata è un eufemismo.
Il rapporto di amicizia e complicità che ho instaurato con Anto penso possa essere descritto da questo scambio di e-mail.
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From: Anto
To: Ben
CC: tutto il team
... dietro la tua continua propensione verso le donne si nasconde, in realtà, una tendenza omosex, che non vuoi ammettere. Non ti preoccupare... io conosco tanti locali, se vuoi te li faccio conoscere...
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RE
Mi pare di aver dimostrato che a me piacciono le donne... quindi, se dici che ho tendenze omosex vuole dire che sei tu che di uomini non capisci una mazza (Valeria).
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RE RE
Hai ripetuto la stessa frase che dice Boy George quando parla con la madre... a voi le conclusioni!
E poi perché continui a giustificarti? Devi forse dimostrare qualcosa?
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RE RE RE
Non ho bisogno di difendermi da questa infamia, perché parlano i fatti (cioè i drogati) per me.
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3
Non sono mai stato uno sciupa femmine
, considerata la mia timidezza atavica a rompere il ghiaccio, tuttavia me la sono sempre cavata con un