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I custodi della rivelazione
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I custodi della rivelazione
E-book474 pagine5 ore

I custodi della rivelazione

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Info su questo ebook

Napoli. Inverno. Un barbone barbaramente assassinato nella chiesa di Santa Chiara. Non è un normale regolamento di conti tra derelitti è una vicenda che trasformerà la città nel teatro dello scontro finale per la conquista della più importante reliquia della cristianità.

In poco più di trenta ore, tentando di sfuggire a feroci assassini, un dentista napoletano riuscirà a sbrogliare una enigmatica matassa grazie alle sue intuizioni ma grazie anche alle canzoni dei Genesis.

Gennaro Sisto, eroe per caso, è talmente appassionato dei testi e delle musiche del famoso gruppo inglese da subirne una influenza divinatoria. Ogni passo del percorso verso la soluzione del millenario arcano vede Sisto ispirato da un brano dei Genesis.

Accompagnato e coadiuvato in questa avventura dal fratello Antonello, da Giulia Mey, ingegnere informatico e da Aldo Mey padre di Giulia e suo vecchio professore di Medicina Legale, giungerà a risolvere un mistero che vede schierati su fronti contrapposti i Templari e la Chiesa.

Un sottilissimo filo collega l’apparizione di un telo nella Chiesa di Santa Sofia in Edessa nel 525 d.C. alla IV Crociata, a Hugues de Payns fondatore dei Templari, a Jacques de Molay loro ultimo gran maestro, a Leonardo da Vinci, a Albrecht Dürer, a frate Luca Pacioli, a Raimondo de Sangro Principe di Sansevero, ad un professore di Iconografia Sacra….

Un percorso iniziato nel giardino di Giuseppe d’Arimatea circa 2000 anni fa vedrà la sua strabiliante conclusione nella città partenopea.
LinguaItaliano
EditoreEracle
Data di uscita8 ago 2014
ISBN9788867430451
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    Anteprima del libro

    I custodi della rivelazione - Gene R. Seesign

    Pubblicato da Eracle s.r.l.

    Via A.C. De Meis, 663 - 80147 - Napoli

    Tel e fax: 081 733.42.82

    E-mail. info@edizionieracle.it

    © Copyright 2013 by Eracle s.r.l.

    www.edizionieracle.it

    ISBN 978-88-6743-045-1

    Tutti i diritti sono riservati a norma di legge e a norma delle convenzioni internazionali.

    Nessuna parte di questo eBOOK  può essere ripubblicata, copiata o diffusa in rete  senza l’autorizzazione scritta dell’editore.

    Ogni abuso sarà perseguito a norma di legge.

    L’editore non si assume responsabilità per qualsiasi riferimento a fatti reali, citazioni di personaggi ed opinioni su fatti o eventi espressi dall’autore.

    Questa è un'opera di fantasia, qualsiasi eventuale riferimento a fatti o persone realmente esistiti è da considerarsi puramente casuale.

    PREFAZIONE di ANTONIO SASSO

    Il romanzo storico-saggistico, di ricerca e di approfondimento su vicende e temi fondamentali di ordine religioso, teologico e filosofico, che hanno interessato o attraversato determinate epoche, ha sempre suscitato nel grande pubblico un vasto interesse.

    Grazie al rigore, all’abilità e alla fantasia del narratore, che si cimenta nella storia o, viceversa, dello storico con la narrazione, è stato reso possibile diffondere, fare cultura nel significato più aperto e democratico del termine, cioè efficace e feconda opera di divulgazione, di agevole accessibilità per ogni strato sociale e di acculturazione.

    Tra gli esempi maggiori degli ultimi anni su questo tipo di narrazione, va ricordato il rilevante e straordinario esito avuto da Umberto Eco che, con Il nome della Rosa, potendo vantare una impareggiabile conoscenza di fonti, ha saputo coniugare il rigore storico al fervido supporto intuitivo della fantasia, e darci una sintesi addirittura filmica, visibile delle nefandezze dell’oscurantismo, flagello di coscienze e di innocenze.

    Su questa scia, di illuminante approccio a temi di non facile scansione, resi però accessibili dal vivace fervore descrittivo e ispirativo con cui l’autore riesce a esporli, va collocato l’ eccellente romanzo di Gene R. Seesign dal titolo I Custodi della Rivelazione: una travolgente sequenza di eventi, di vicissitudini, di scenari storici, una sconfinata ribalta di personaggi, finalizzata nel suo insieme a venire a capo di un controverso mistero. Un mistero che, prima però di esplorarlo nel romanzo, come solo un romanziere può provocatoriamente porre, richiede una doverosa premessa: chiarire il concetto di rivelazione.

    La rivelazione - secondo quanto dice la Chiesa - è quell’atto libero con il quale Dio comunica il suo mistero all’umanità invitando alla condivisione. In realtà in questo messaggio risiede il fondamento, il mistero della fede. Essa è, allo stesso tempo, Cosmica, Storica, Profetica e Cristica.

    Detto questo, bisogna chiedersi: poteva un messaggio di tale grandezza giungere all’Uomo, senza che questi non sovrapponesse le proprie interpretazioni, non lo piegasse alle proprie velleità giuste e ingiuste che fossero?

    E così come sulla sorte toccata al Santo Graal, il piatto, catino o coppa, che sarebbe servito a Gesù nell’ultima cena e, nel quale, da Giuseppe d’Arimatea sarebbe stato raccolto il suo sangue, versato sulla croce, nei secoli si sono avvicendate una serie di ipotesi, in cui protagonisti sono stati mitici personaggi, con alterni esiti, oscillanti tra ritrovamenti e inquietanti scomparse. Altrettanto interesse è destinato ad avere il filone contiguo e collaterale, come quello narrato nei I Custodi della Rivelazione.

    Il romanzo di Gene R. Seesign, siamo certi che, senza avere la pretesa di confutare verità teologiche acquisite, non mancherà di stimolare un rinnovato interesse per meglio intendere i messaggi della nostra esistenza, con quella libertà di pensiero, di cui ciascuno, in ogni tempo, dovrebbe porsi di fronte a temi così rilevanti, senza mai cadere nella intolleranza.

    Pur collocandosi però nel filone romanzesco, in cui le licenze della fantasia sopravanzano ogni altra verità, la narrazione ci avvince per una vena ispirativa di coinvolgente tensione, che fa sentire come vere talune invenzioni, raccontate con dovizia di profonda introspezione.

    La trama, che prende l’avvio in seno alla remota comunità dei Templari, la cui controversa storia sappiamo oscilla tra integralismo religioso e un sospetto settarismo, da averli per questo portati a una misteriosa scomparsa - rimasta un giallo - si articola intorno a una reliquia che contiene la verità, o meglio la interpretazione più vera di questo mistero. Una verità che, nel romanzo è però al centro di una lotta tra chi vuole celarla perché se venisse svelata affonderebbe la Chiesa e chi, invece, è pronto a tutto per divulgarla. Rappresentazione emblematica dell’eterna conflittualità dell’Uomo, sospeso tra Bene e Male e tuttavia in ragione di questa dialettica, auspicabilmente destinato a migliorarsi, dopo aver fatto emergere dalla lotta la ragione del Bene.

    L’aspetto più significativo del romanzo è la location, Napoli, ribalta umana e antropologica in cui si colloca l’epilogo del libro, l’ultimo atto, sul filo di una partecipazione espressiva unica, densa di particolari i più significativi, di un itinerario che, dal Medioevo, approda ai giorni nostri, nella Partenope del vissuto e dell’immaginario, di cui l’autore conosce bene e scandisce storia, miseria, nobiltà, caratteri, fondali, persino la toponomastica, segno dell’amore che l’anima.

    La storia della reliquia, iniziata in un convento dei Templari accanto al tempio di Salomone, si conclude nel convento di Santa Chiara, dove il segreto pare svelarsi nel tragico ritrovamento di un barbone….

    Ma qui concludo, lasciando il resto alla vostra perspicace lettura, cui non voglio togliere, la curiosità della sorpresa.

    I libri non sono fatti per crederci - ricordava Eco - ma per essere sottoposti a indagine. Appunto: in questo romanzo ponderoso e poderoso di Gene R. Seesign, credetemi, c’è tanto da indagare da rimanere stupefatti dalla fantasia che alimenta questo straordinario narratore.

    Il barbone

    Le mani nero fumo si tinsero di rosa. Due occhi scintillanti illuminarono consunti risvolti e tasche lise di una casacca appartenuta chissà a chi e da chissà quanto tempo gettata nel cassonetto. Il vecchio Remo la indossò estasiato. Una giacca rosa, accidenti. S’intonava perfettamente al maglione nero che a sua volta faceva pendant con i pantaloni di un ex rosso ormai soltanto immaginato. Fece due passi incerti in avanti per specchiarsi in una vetrina e l’immagine gli rimandò solo l’ipotesi di un sorriso. Bisognava festeggiare.

    La bottiglia di pessimo whisky si adattava perfettamente alla tasca della giacca. La infilò e la estrasse più volte per testare la sua capacità di reazione. Sembrava un cow boy impegnato in un duello contro la sua figura riflessa. Fuori… Dentro… Fuori… Dentro e di nuovo fuori. Muori vigliacco, pensò stappandola e infilandosela lestamente in bocca. L’avversario era stato battuto.

    Alle dieci di sera nessuno guardava quella mesta scena e se anche Remo si fosse dimenato come un folle, nessuno ci avrebbe fatto caso. Era un barbone, un disperato, ma preferiva farsi chiamare ‘Clochard Remy’: un vezzo. Rimise in piedi la sua pila di sacchetti di plastica semoventi, così numerosi da coprire completamente la bici su cui erano legati. Il suo… tessssoro: novello Gollum. Riinfilò il soprabito e fece molta attenzione a coprirsi il capo col cappuccio di quello che una volta era stato un Montgomery color cammello. Si avviò. Erano le dieci e venti di sera. Il portone che per quella notte aveva deciso di adibire ad ostello distava poco.

    Una sensazione.

    Il vecchio si voltò d’istinto, come se avesse avvertito una presenza alle spalle. Affrettò il passo borbottando frasi incomprensibili.

    La testa sempre china verso il marciapiedi, vecchia abitudine di clochard, gli impedì di vedere l’uomo che inaspettatamente si parò davanti. Una comparsa improvvisa. Doveva essersi nascosto da qualche parte per riuscire a sorprendere Remo in quel modo. Lo scontro fu inevitabile. I due si avvinghiarono cadendo rumorosamente sul selciato. Remo urlava frasi sconnesse, bestemmie mescolate a maledizioni. Roteava le braccia per difendersi da quella violenza inattesa.

    Brutto figlio di… Ma che accid… Tu e tua madre…

    I pugni colpivano l’aria mentre cercava di liberare le gambe incastrate nella bici. L’altro, rialzatosi, si teneva a distanza. Stranamente silenzioso. Con la mano sinistra sosteneva il polso dell’altra mano che a sua volta reggeva qualcosa puntata verso Remo. Il vecchio si rese conto del pericolo. Smise di agitarsi e assunse una posizione fetale.

    Atavico istinto di protezione.

    Il ritorno del cavaliere

    No, non era un miraggio. La costa finalmente mostrava la sua silhouette sfacciata e tentatrice. I pellegrini esultarono in coro inneggiando al Signore, improvvisando una laude per l’occasione. Per molti di loro sarebbe stato l’ultimo viaggio fatto in vita, ma questo l’avevano messo in conto. Un vento caldissimo sferzava le vele e rendeva difficoltoso l’approdo. Uno di loro aveva già percorso quelle vie del mare anni prima e adesso ritornava con un diverso bagaglio, più pesante delle armi che indossava. Guardava i suoi compagni di viaggio con affetto misto a compassione. Più di una volta avrebbe voluto descrivere la cruda realtà che li attendeva ma aveva sempre desistito. Perché disilludere chi intraprendeva un viaggio con tale fede? Chi era lui per decidere chi poteva o non poteva recarsi in quei luoghi? Meglio tacere e lasciare che ognuno vivesse la propria esperienza nel corpo e nell’anima. Era nell’anima che lui aveva sofferto più di tutto.

    Finalmente, e non senza timore di ribaltarsi proprio al termine del viaggio, la nave ammainò le vele. Una massa di persone, cose ed animali cominciò a discendere e fare da affluente ad una fiumana di altre moltitudini giunte prima. Sballottato da uomini e bestie il cavaliere si guardava intorno proteggendo con una mano gli occhi dal sole cocente. Era certo che qualcuno sarebbe venuto ad incontrarlo, aveva inviato un messaggio mesi prima specificando con una discreta approssimazione la data del suo arrivo. Una figura vestita come lui si sbracciava tra la folla e urlava il suo nome. Finalmente riuscì a scorgere Philippe. L’amico percorreva controcorrente la marea di uomini, armi e vettovaglie che venivano trasportati dal molo verso l’interno del porto per essere catalogati e stipati. Sarebbero poi stati distribuiti alle truppe stanziali.

    Era l’estate del 1114 e trascorreva il quindicesimo anno dalla liberazione di Gerusalemme dalle orde islamiche che ne avevano profanato il sacro suolo.

    Hugues de Payns aveva deciso di tornare alla sua confraternita per restarci fino alla morte. Nel luglio del 1099 aveva gioito come tutti gli altri crociati alla vittoriosa fine dell’assedio da loro posto alla città santa. Non era mai stato convinto però dell’utilità della strage di musulmani che ne era seguita. Quando aveva deciso di accompagnare il suo signore, il Conte di Champagne, in quella che riteneva dovesse essere un’azione necessaria e doverosa per ogni buon cristiano, aveva sì immaginato aspre battaglie e spargimenti di sangue ma non quella dura barbarie. La realtà aveva di gran lunga superato le congetture da lui rimuginate durante il suo primo viaggio. Aveva sognato di cacciare verso l’interno gli islamici, di indurli a fuggire terrorizzati verso le montagne con la sola esibizione dell’enorme potenza di uomini e mezzi. Ma gli anni che erano trascorsi avevano costellato di cadaveri ogni anfratto del territorio adesso nelle mani dei crociati.

    Fratello Hugues, finalmente! Gli gettò le braccia al collo l’amico Philippe Gruyes, facendo spandere per l’aria volute di polvere. Più alto di Hugues di circa dieci centimetri era da sempre stato il suo più fidato compagno in tutti quegli anni. Quello che più gli era mancato. La sua schiettezza, la sua semplicità, la sua fede incrollabile lo avevano sostenuto nei momenti bui del dubbio. Avrebbe voluto portarlo con sé nel suo forzato ritorno in patria ma la decisione di lasciarlo a Gerusalemme si era rivelata tutto sommato giusta. Perché intaccare la nobiltà d’animo del suo amico con le meschine tresche della politica? Cosa avrebbe trovato in Francia se non disincanto?

    Philippe… Come stai? E gli altri, tutto bene? lo accolse sorridendo Hugues de Payns, lasciando cadere il sacco con le poche cose che aveva portato con sé. Spintonati dalla gente che affollava quella striscia di terra non riuscivano quasi ad udirsi per colpa delle urla e degli strepiti di una miriade di commercianti e dei loro animali. Dopo giorni e giorni di navigazione uomini e bestie sentivano il bisogno di percepire la terraferma sotto i piedi, di manifestare con gioia l’addio a beccheggi e rollii. Cercarono un posto più appartato prima di dirigersi ai cavalli che il devoto Philippe aveva portato. Un ubriaco quasi li investì. Buttato fuori da una grossa tenda planò a pochi centimetri da loro. Il padrone di quella specie di taverna inveì in una lingua che de Payns non sentiva da tanto e che a stento riuscì a decifrare. Entrarono scostando una cortina multicolore che fungeva da porta. I rumori si attutirono ma si amplificò il tanfo caleidoscopico fatto di sudore, vomito e chissà quali altre deiezioni. Almeno lì, però, potevano tenere il volume della voce alto di quel tanto che bastava per parlarsi senza urlare. Molti occhi si soffermarono sulle loro tuniche bianche mentre sedevano ad un tavolo lontano dall’entrata.

    Allora… Raccontami. Cosa si dice in Francia? E nel resto dell’Europa? attaccò Philippe ordinando due tshunkal, bibita moderatamente alcolica ottenuta fermentando alcune erbe del posto. Si guardavano negli occhi i due amici. Migliaia di cose da dire, e qualche secondo per assemblarle. L’oste, eufemismo per definire un grasso individuo dall’incerto vestiario untuoso, sbatté sul tavolo due boccali ricolmi e attese. Si decise ad andar via solo quando Philippe Gruyes gli allungò un paio di monete. De Payns trasse un sorso da quel grezzo calice e trattenne a stento un moto di disgusto. Dopo i vini della sua Champagne e della Borgogna, bere quella specie di liquido dolciastro non era certamente il massimo.

    Allora…? insistette Philippe che non capiva la strana reticenza del compagno, Pietro l’Eremita ancora predica in lungo e in largo? Ricordo che riuscì ad arrivare a Colonia con un seguito di più di 15000 persone.... E il Papa… Cosa dice il Papa?

    Hugues lo attraversò con lo sguardo come fosse immateriale. In un attimo rivisse tutte le pulsioni che lo avevano portato ad affrontare l’avventura che aveva cambiato la sua vita. E che ancora aveva da offrirgli impensabili sorprese e immensi compiti da portare a termine. Alcune cose gli erano state raccontate, altre le aveva lette ed altre ancora le aveva vissute in prima persona. Com’era cominciato il tutto? Non sempre è possibile evidenziare un’origine certa per eventi così epocali.

    Fin da ragazzino aveva sentito racconti di infedeli che profanavano la Terra Santa. Aveva visto pellegrini partire e mai più tornare e pellegrini tornati ma non completamente.

    Molti di loro avevano lasciato l’anima a far da compagna alla barbarie imperante in quei luoghi.

    Linda

    Domenica. Inverno.

    Uno squillo alle sei e cinquanta del mattino.

    Un altro ancora. Non poteva essere la sveglia, l’accento era diverso.

    Forse se mi giro dall’altra parte smette…’ pensò o forse sognò Gennaro Sisto rivoltandosi nel letto preda dell’insofferenza tipica di chi viene destato bruscamente. Provò a coprirsi il capo col cuscino ma l’odioso trillo penetrava tra le fibre come un ago. Decise di affrontarlo.

    Buio.

    Penombra.

    Lampada.

    Luce.

    Troppa luce.

    Il telefono sembrava più grande, più gonfio.

    Pronto? biascicò Sisto, inserendo volutamente una nota di irritazione.

    E’ il dottor Sisto… Gennaro Sisto?, rimandò la cornetta.

    Sono io, si… Chi mi vuole a quest’ora?, altra nota seccata.

    Scusate per l’orario, dottore, ma qui è il maresciallo Iannaccone dei carabinieri… Dovremmo farle delle domande…

    I carabinieri? E che volevano da lui? A quell’ora, poi… Cos’era, una specie di indagine di mercato? Sisto era chiaramente disorientato.

    Domande… Adesso? Per telefono?

    No, non per telefono, dottore, dovrebbe raggiungerci al suo studio… Ed anche piuttosto in fretta… Se ha problemi veniamo a prenderla noi… ribadì la voce senza tradire particolare rammarico.

    Ci mancava solo la volante dei carabinieri sotto casa e lui che veniva portato via, sai che stura di commenti.

    No… No… Cinque minuti per farmi una doccia e vestirmi. Vi raggiungo subito. si affrettò a confermare il dottore non ancora ben sveglio.

    In un attimo una cupa ombra di inquietudine lo avvolse. Si soffermò a pensare a cosa mai potessero volere da lui i carabinieri… Di domenica… Nel suo studio! Lo studio? Lì per lì non ci aveva pensato… Vuoi vedere che era uno scherzo! Riprese la cornetta e controllò il numero dell’ultima chiamata ricevuta: era proprio quello del suo studio. Difficilmente qualcuno col mal di denti scassina la porta di uno studio dentistico per chiamare poi il titolare. I fumi del sonno si erano ormai dissolti quando un movimento a venti centimetri da lui perfezionò il ritorno alla realtà. Linda, sollevata su un gomito, lo guardava.

    Dove pensi di andare? domanda che ammetteva univoca risposta.

    I carabinieri… Mi hanno chiamato non so per quale ragione… Devo andare allo studio. Torno subito. fece per scendere dal letto ma prima si voltò. Non preoccuparti, sarà sicuramente qualche sciocchezza. Farò presto. Ti prometto che sarò di ritorno in un attimo.

    Un bacio sulla guancia e via sotto la doccia.

    Linda avvertì una sorta di apprensione e si rinfoderò tra le coperte nel misero tentativo di riaddormentarsi. Sforzo inutile quando il tuo compagno è abituato a farsi la doccia con lo stereo a palla. E sempre con la musica della stessa band. Meglio alzarsi e fare un caffè, pensò.

    Il soprannome che gli amici avevano dato al medico era quanto mai azzeccato. Sintesi del suo nome e cognome e della sua passione per un gruppo inglese degli anni ’70: Gennaro Sisto detto Gene Sisto o meglio Genesis!

    Neanche il tempo di metter su la caffettiera che Genesis si avvinghiò a Linda mordicchiandole la nuca per poi incollarsi in un bacio da maratoneti. La moka tossì educatamente per evidenziare la sua presenza. Un gesto molto apprezzato. Due tazzine fumanti, un ultimo bacio da centometristi causa lingue ustionate e via. Linda lo guardò uscire.

    Forse non sarebbe stata costretta a trovare una scusa per non far visita ai suoi genitori. Stavano insieme da quattro anni e finalmente avevano deciso di sposarsi. O meglio, lo aveva deciso Gennaro. Lui aveva messo al corrente tutti. Amici, parenti, conoscenti, vicini di casa, tutti… Tranne i genitori di lei. Non li aveva ancora conosciuti ma bisognava compiere il gesto di rito. Quel gesto! Presentarsi a casa dei genitori della ragazza e chiederne la mano al padre. Un atto superfluo, ovviamente, ma Gennaro ci teneva.

    ‘Lo so che siamo nel terzo millennio… Che questi rituali risalgono all’età della pietra… Ma non me ne frega niente. Voglio venire a casa apposta per chiedere la tua mano e finalmente conoscere i tuoi. Mi hai sempre detto che tuo padre è una roccia. Ebbene voglio vedere quella roccia di tuo padre sciogliersi…’ questo ripeteva Gennaro quando lei obiettava riguardo l’anacronismo di certe usanze.

    Il rumore della porta che si chiudeva la proiettò in una quiete innaturale. Solo lo stereo ingombrava ancora la scena.

    Pulì la moka rigorosamente senza usare detersivo, sciacquandola semplicemente. Si stava apprestando anche lei a fare una doccia quando il campanello all’ingresso le fece cambiare traiettoria. Non sapeva se spegnere prima lo stereo o andare ad aprire. Sicuramente Gennaro avrà dimenticato qualcosa, pensò, certo le chiavi della macchina o forse il portafoglio… Figuriamoci, prima o poi lascerà qui anche la testa.

    Aprì la porta sorridendo beffarda ma il sorriso si congelò sulle labbra.

    La realtà che aveva vissuto fino ad allora si spense.

    Lo stereo rimase acceso.

    I Genesis imperterriti continuavano a suonare *‘After the Ordeal.’

    *Dopo la dura prova

    Crociati

    Durante il VII secolo Gerusalemme era caduta definitivamente sotto il controllo degli arabi ma per molti anni c’era stata una relativa libertà di culto. I cristiani venivano chiamati dhimmi, cioè stranieri infedeli, ma veniva loro consentito di professare la propria fede dietro pagamento di una tassa. Chissà, forse sarebbe stata una soluzione anche per gli attuali problemi di convivenza interreligiosa. Lo stato delle cose assunse comunque una sorta di ufficializzazione tanto che Carlo Magno strinse un trattato col califfo di Baghdad, Harum-al-Rashid, divenendo Protettore del Santo Sepolcro, assicurando così una fase di relativa tranquillità alla regione. Un periodo durato circa duecento anni. Agli inizi del secolo XI, però, qualcosa fece pendere quella bilancia verso uno strisciante fondamentalismo e nel 1009 gli islamici decisero di saccheggiare Gerusalemme e di distruggere il Santo Sepolcro.

    Paradossalmente il flusso di pellegrini verso la Terra Santa non si interruppe, anzi si incrementò. E s’incrementarono anche le notizie delle malefatte islamiche ai danni dei pellegrini cristiani. Nel primo secolo del nuovo millennio, ad un calderone già colmo di carestie e calamità naturali, si aggiunse uno spruzzo di doppia epidemia di fuoco di S. Antonio, che colpì le regioni tedesche dal 1084 al 1094. Il tutto fu insaporito da scorribande di assassini che non risparmiavano neanche i preti e le chiese e venne condito con le paure dell’ anno mille appena trascorso. Mescolando il tutto si ottenne una mistura che pur non rappresentando la fine del mondo ne era un buon surrogato. La ciliegina sulla torta fu messa poi nel 1071, con l’ulteriore e progressivo allargamento del potere musulmano a tutto il medio oriente. Era quanto di più simile all’Apocalisse si potesse immaginare. Fu così che Alessio Comneno dal suo trono di Costantinopoli chiese aiuto al Papa Gregorio VII affinché spronasse l’occidente a contrastare l’avanzata islamica. Il Papa iniziò una politica di incentivazioni, chiamiamola così, verso quei capi feudali restii ad abbandonare le proprie terre. Promise loro vita eterna e beni materiali strappati ai musulmani se si fossero messi al servizio della Chiesa. Non riuscì però a portare a termine la sua missione perché la morte lo colse nel 1085. Il suo compito fu proseguito da Oddone di Lagery, salito al soglio pontificio col nome di Urbano II. Un ulteriore invio di ambasciatori da Costantinopoli spinse il nuovo Papa a dirottare le masnade che terrorizzavano l’Europa, capitanate magari da figli non primogeniti di feudatari, verso altre mete ammantate da una mistica sacralità. La promessa di feudi a chi non poteva possederne alcuno, causa il diritto di primogenitura, ebbe il suo effetto. Il culmine della sua battaglia il Papa lo raggiunse il 27 Novembre del 1095, quando dal trono pontificio montato su di una piattaforma fuori alla porta orientale di Clermont portò l’entusiasmo della folla ad un livello critico. Grazie allo slogan basilare delle crociate: Dio lo vuole!

    Allora…? Fratello Hugues? A cosa stai pensando? chiese insistentemente Philippe interrompendo quel flusso di pensieri che aveva portato il de Payns a rivalutare la sua fede e le ragioni che lo avevano portato in Terra Santa.

    Caro Philippe… L’Europa è sempre uguale. I politici fanno i politici, i signori fanno i signori e il popolo fa la fame rispose amareggiato Hugues, non c’è più nulla che mi lega a quei luoghi. Mia moglie è morta e ho deciso di terminare qui i miei giorni, portando sollievo a coloro che decidono di sperimentare la trascendenza di questa città unica al mondo.

    La risposta colpì profondamente Philippe. Il giovane era ancora pervaso dalla fiamma della fede. Viveva ancora la ragione che aveva imposto la cacciata dei musulmani dai territori toccati dalle gesta e dai passi del Cristo. E credeva che anche per l’amico fosse ancora così. Svuotate le brocche i due si alzarono e si rituffarono nella caotica tangibilità del mondo reale. Il sole prometteva una giornata canicolare. Le vesti che indossavano non erano propriamente adatte ad un tragitto rovente ma i cavalli erano poco distanti ed entro qualche ora li avrebbero portati alla meta.

    Senza farsi notare, due piccoli occhi avevano seguito ogni mossa dei cavalieri. Nessuno faceva caso ad un ragazzino semi svestito che tendeva la mano in cerca di elemosina. Presi com’erano dai propri pensieri, i due non si erano accorti di due piccoli piedi nudi che, alle loro calcagna, riuscivano a mescolarsi allo scalpiccio di una infinità di altri arti inferiori. Dopo un centinaio di metri i due cavalieri affiancarono una coppia di cavalli. Neanche il tempo di montare in groppa che il piccolo si scagliò violentemente contro di loro.

    Il ragazzo

    Chi vide la scena non poté fare a meno di sorridere. Un ragazzino aggrappato al mantello di un cavaliere nel tentativo di impedirgli di montare a cavallo. Hugues de Payns era più imbarazzato che spaventato. Non voleva far del male al piccolo ma doveva pur partire. Il ragazzo si dimenava e non mollava la presa. Ripeteva freneticamente la stessa frase in una lingua incomprensibile. Sembrava implorare il cavaliere affinché facesse qualcosa. Pendeva dal mantello costringendo de Payns a stare curvo per non farselo strappare.

    Philippe… Dammi una mano. Cosa vuole questo povero ragazzo? Io non ho nulla da potergli dare. Faglielo capire tu! pregò de Payns.

    L’altro scese da cavallo e con gentile fermezza staccò quella piccola furia dal mantello dell’amico. Il giovane allora gli si aggrappò al braccio sempre ripetendo freneticamente le stesse parole.

    Ascolta, piccolo… Io non ti capisco. Ma se cerchi qualche moneta hai sbagliato posto. Noi non abbiamo nien… Hey! non terminò la frase che il ragazzino gli saltò al collo avvinghiandosi al petto come un cucciolo di scimpanzè alla madre.

    Oh… Ma insomma, basta! si spazientì Philippe Gruyes staccandoselo dal torace e lanciandolo a terra.

    Due occhi sgranati apparvero sull’ immaturo volto emaciato. Sbattuto a terra, il ragazzo non riusciva a credere che lo avessero trattato così. Sembrava veramente sorpreso. L’immagine era paradossale: due cavalieri in piedi davanti ad una figura inerme stesa a terra. Il flusso di persone e animali parve fermarsi. Il tempo parve arrestarsi. Solo il vento caldo smuoveva vesti e mantelli. C’era silenzio o almeno così sembrava. Anche i cavalli voltarono il capo incuriositi mostrando il loro disappunto.

    Hugues de Payns decise di risolvere quel-l’impasse. Si avvicinò al piccolo e con gentilezza lo fece rialzare. Gli asciugò le lacrime che nel frattempo ne avevano rigato le guance impolverate formando diverse striscioline limacciose.

    Allora… Parla più lentamente e cerchiamo di comprendere cos’è che vuoi. Riesci a capirmi?

    Il ragazzo guardava Hugues come se venisse da un altro pianeta. Fissava i movimenti delle labbra seguendone il ritmo ma era chiaro che non intendeva una parola. Nel frattempo il flusso di tempo e persone era ripreso ed anche Philippe si era avvicinato ai due. Si inginocchiò come l’amico per essere all’altezza del ragazzo. Il bambino guardava ora l’uno ed ora l’altro sforzandosi di riconoscere almeno una parola, poi, d’improvviso, riprese la tiritera di prima a velocità ancora più sostenuta. Una cacofonia incomprensibile.

    Aspetta… Frena… Un momento!! lo arrestò de Payns mettendogli una mano sulla bocca, se continui così non andiamo da nessuna parte… Più lento!.

    Accennò con le mani ad un movimento aggraziato, facendone poi subito uno frenetico per contrasto, seguito ancora da un altro aggraziato. Indicò quest’ultimo con un sorriso e con un cupo diniego il precedente. Il ragazzo parve comprendere l’intenzione del cavaliere e cominciò a parlare più lentamente cercando di scandire le parole. Non cambiò molto ma una scintilla s’accese negli occhi di Hugues de Payns.

    Ma questo non è arabo… E’… E’… Una specie di lingua mista… Una sorta di dialetto forse… Mi è sembrato di riconoscere una parola greca che sta per Anastasi…. Vuoi vedere che si riferisce alla Basilica dell’Anastasi?

    In un attimo il ragazzo esplose di gioia. Saltava felice. Assentiva freneticamente. Finalmente l’avevano capito. Senza stare ad aspettarli si incamminò lestamente verso un minuscolo agglomerato di case distante poco più di un chilometro facendo chiari segni di seguirlo. Dopo pochi passi si fermò dubbioso. Si voltò e vide che i due cavalieri erano ancora lì, fermi, confusi dal suo comportamento. Tornò indietro e senza parlare afferrò la mano destra di Hugues de Payns strattonandolo. La sua intenzione era fin troppo chiara, non erano necessarie parole. Philippe e Hugues si guardarono mentre il ragazzo insisteva nel suo inutile tentativo di cercare di smuovere il cavaliere di qualche passo.

    Che dici Philippe… Lo seguiamo?

    Non so… E se fosse una trappola?

    Non credo. Ho come l’impressione che questo ragazzino sia sincero… Che abbia bisogno di aiuto. E’ una sensazione, solo una sensazione… Sento come se avesse qualcosa di veramente importante da comunicarci.

    Con un’alzata di spalle si decisero a seguirlo. Philippe, che non aveva bagaglio, montò sul suo cavallo e senza sforzo apparente sollevò il giovane dietro lui. Anche Hugues si issò sul suo animale e seguì l’amico. Il piccolo indicava decisamente un mesto villaggio poco distante, arroccato su una bassa collina invasa dal sole. A piccolo trotto le due cavalcature si diressero verso quell’agglomerato di case. Man mano che si allontanavano dal porto la densità di esseri umani diminuiva per lasciare il posto a sassi e sterpaglie. Ad un certo punto anche i suoni della vita normale si dissolsero in un silenzio irreale. Solo i passi dei cavalli facevano da metronomo a quella sinfonia silenziosa. Il ragazzo diventava sempre più irrequieto man mano che il villaggio si avvicinava. Era ansioso, come se il tempo trascorresse troppo lentamente. Cominciò a dare di sprone al cavallo ma subito fu bloccato da un grugnito dell’animale che aveva riconosciuto la sollecitazione diversa da quella di stivali adulti. La sua inquietudine aumentò al punto da costringerlo a scendere, appena giunti alle prime case, per correre verso una più interna. I due amici lasciarono la groppa dei cavalli per seguirlo. Guardati con timore dalle donne e dai bambini, unica presenza umana a quell’ora, giunsero ad una casa che poteva definirsi tale soltanto perché dotata di quattro pareti ed un tetto. Legarono i cavalli. Erano incerti se entrare o meno. Il loro dubbio venne dissipato dal ragazzo che uscito di nuovo li invitò energicamente a introdursi nell’abitazione. Scostata la tenda d’ingresso ci volle qualche secondo per abituarsi al buio regnante in quel tugurio.

    La voce del ragazzo li guidò verso il fondo, proveniva da una stanza in cui una lampada ad olio illuminava un letto occupato da una singola figura consunta.

    Un vecchio la cui corporatura a stento dava rilievo al lenzuolo.

    L’aggressione

    Gennaro Sisto abitava in via Bernardo Cavallino, in una splendida villa che dava sul golfo di Napoli. Entrando nel complesso non si sarebbe mai immaginato che una serie di palazzoni potesse nascondere un’oasi del genere. Dopo una cinquantina di metri di un viale anonimo, infatti, si accedeva ad uno spiazzo con giardino e alberi a fare da trailer alla villa vera e propria. Una costruzione a due piani più mansarda, dalle cui finestre il profilo della costa aveva una grafica degna dei più moderni schermi ad alta definizione. Si poteva ammirare la skyline del golfo da Sorrento a Posillipo, con Capri ed Ischia a

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