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I personaggi più misteriosi della storia
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E-book857 pagine12 ore

I personaggi più misteriosi della storia

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Info su questo ebook

Scoprire la loro verità potrebbe cambiare la storia

Maghi, streghe, alchimisti, scienziati, militari e profeti nel segno del mistero

È possibile influenzare il mondo tramite la magia? Si può trasformare un normale metallo in oro? Possiamo conoscere in anticipo il nostro futuro?

Sono solo alcune delle domande che l’uomo si pone sin dalla notte dei tempi. Questo libro vuole essere un omaggio ai personaggi che per amore della verità si sono spinti oltre i limiti. Scienziati stravaganti; persone che sostengono di essere in contatto con gli alieni; telepati che, con la sola forza del pensiero, sembrano modificare la realtà che li circonda; uomini che affermano di provenire dal futuro; iniziati; fisici che dicono di aver analizzato dei dischi volanti; sensitivi; preti che credono di aver costruito macchine che consentono di guardare nel passato; medium in grado di comunicare con i defunti; maghi che hanno stretto patti con il demonio; chimici in possesso della mitica pietra filosofale. Alcuni dei protagonisti di questo libro sono diventati celebri, come Nostradamus, Merlino, Faust, Dracula, Giovanna d’Arco. Altri sono quasi sconosciuti, come Helena Blavatsky, Nicholas Roerich, John Dee, Raimondo Lullo o Allan Kardec, ma tutti sono accumunati da un’unica parola: mistero.

Chi erano, cosa hanno fatto, perché ricordarli?

MERLINO Un mago alla corte di re Artù

JOHANN FAUST Il patto con il demonio

IL CONTE DI SAINT-GERMAIN L’alchimista dalla perpetua giovinezza

CAGLIOSTRO Giuseppe Balsamo, impostore o grande alchimista?

RAGNO NERO Il profeta del nazismo

NOSTRADAMUS Il medico che previde il futuro

EDGAR CAYCE Il profeta dormiente e i misteri delle guarigioni

CHRISTIAN ROSENKREUTZ Il leggendario fondatore dei Rosa+Croce

I MAJESTIC 12 I politici americani che nascondono la verità sugli alieni

NIKOLA TESLA L’uomo che inventò il XX secolo

ETTORE MAJORANA La scomparsa del grande genio della fisica

DRACULA Il sanguinario conte Vlad detto l’Impalatore

LA MASCHERA DI FERRO Il più celebre prigioniero della Bastiglia

HARRY HOUDINI Una vita tra magia e illusionismo

URI GELLER Il telepate che incantò milioni di telespettatori

Gian Luca Margheriti

nato a Milano nel 1976, è fotografo e scrittore. Ha curato con Francesca Belotti la rubrica “Milano segreta”, sulle pagine online del «Corriere della Sera». Collabora con diverse riviste tra cui «Il Giornale dei Misteri». Con la Newton Compton ha pubblicato 1001 cose da vedere a Milano almeno una volta nella vita, 101 tesori nascosti di Milano da vedere almeno una volta nella vita, I personaggi più misteriosi della storia e, scritti con Francesca Belotti, Milano segreta e 101 storie su Milano che non ti hanno mai raccontato.
LinguaItaliano
Data di uscita7 gen 2014
ISBN9788854163317
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    Anteprima del libro

    I personaggi più misteriosi della storia - Gian Luca Margheriti

    220

    Prima edizione ebook: gennaio 2014

    © 2013 Newton Compton editori s.r.l.

    Roma, Casella postale 6214

    ISBN 978-88-541-6331-7

    www.newtoncompton.com

    Gian Luca Margheriti

    I personaggi

    più misteriosi della storia

    Maghi, streghe, alchimisti, scienziati,

    militari e profeti nel segno del mistero

    logonc

    Newton Compton editori

    A Tiziana e Gian Paolo

    senza cui tutto questo non sarebbe stato possibile.

    La cosa più bella che noi possiamo provare è il senso

    del mistero:

    esso è la sorgente di tutta l’arte e di tutta la scienza.

    Colui che non ha mai provato questa emozione,

    colui che non sa più fermarsi a meditare è come morto,

    i suoi occhi sono chiusi.

    Albert Einstein

    Prefazione

    di Andrea Carlo Cappi

    Esistono personaggi famosi per essere misteriosi. Il che può sembrare un controsenso, ma è così.

    Alcuni si sono guadagnati la fama grazie alle leggende che sono sorte intorno a loro, prima o dopo la morte. Altri hanno fatto di tutto per costruirsi la propria immagine misteriosa, qualcuno anche a costo di diventare, oltre che famoso in vita, famigerato. C’è chi è entrato nel mito senza che se ne conoscesse la vera identità, come Jack lo Squartatore. Ad alcuni è toccata una brutta fine, ma questo non ha loro impedito di diventare un punto di riferimento anche letterario, come Faust, per sempre associato al concetto di patto col diavolo, tanto che Thomas Mann lo prende a prestito per il titolo di un suo romanzo su un musicista che (forse) ha stretto un analogo accordo malefico nella Germania alle soglie del nazismo.

    A proposito: quanto si è dato da fare Adolf Hitler per cercare di entrare nel novero dei personaggi misteriosi, anche se la Storia lo ricorda tristemente per ben altre ragioni! Peraltro il suo avvento sarebbe addirittura stato profetizzato da Merlino, almeno secondo l’interpretazione che diede Winston Churchill delle parole attribuite al mago dal suo biografo Goffredo di Monmouth. E quanto avrà influito invece il ricordo delle nere divise naziste su Jacques Bergier, scienziato e celebre studioso dell’occultismo, nel suo contributo alla mitologia dei Men In Black?

    Perché, a ben vedere, i personaggi misteriosi vengono a formare il tessuto stesso della Storia, influiscono gli uni sugli altri, si passano il testimone da un secolo a quello successivo. Sennonché, nel tempo, i ruoli di maghi, alchimisti, scienziati e ciarlatani si confondono, al punto che è difficili distinguere le varie categorie. E, se in principio erano i monaci amanuensi a trascrivere le tradizioni orali, prima la stampa a caratteri mobili (quell’invenzione moderna tanto deprecata da Tritemio!) e poi radio, televisione e internet sono intervenuti ad alimentare un universo di magia e lingue segrete, scienze occulte e profezie, cospirazioni e incontri con gli alieni. Oggi c’è persino chi aspira al titolo di personaggio misterioso per guadagnarsi un quarto d’ora di fama nella rete. Ma non tutti sono riusciti o riescono a varcare le porte della Storia e dell’immaginario collettivo.

    Ed è qui che interviene Margheriti, con la sua opera monumentale, che non oso immaginare quanti anni di ricerche gli abbia richiesto. Muovendosi con pari agilità tra miti e documenti, cronache e leggende, ricostruisce le vite e le opere – talvolta al nero e non solo in senso alchemico – degli individui più disparati: da Raimondo Lullo a John Dee, dal voivoda Dracula al principe di Sansevero, da Rasputin a Nikola Tesla, incontrando lungo il cammino iniziati, sensitivi, contattisti e persino viaggiatori del tempo. Che l’autore stesso disponga di un cronovisore olografico?

    Unendo abilmente i ruoli di enciclopedista e narratore, Margheriti lascia spesso al giudizio del lettore l’autenticità di certe storie, fornendo prove a carico e a discarico, confrontando le voci con i dati storici verificabili. Ma senza mai oscurare il fascino che le vicende di questi personaggi esercitano sulla nostra fantasia. Dev’essere il motivo per cui, nel bene e nel male, abbiamo bisogno di loro. Sarà la ragione per cui vi piacerà leggere e rileggere le storie che compongono questo libro. E questa, tutto sommato, è una facile profezia.

    MAGHI

    MERLINO

    Un mago alla corte di Re Artù

    Myrddin

    Carmathen (Galles) 450 circa - ?, 520 circa

    Intrappolato in una quercia

    Intorno all’anno 520 d.C. Merlino abbandonò le foreste della Caledonia, in cui si era ritirato a vivere per fare il profeta, e tornò nei luoghi dove per la prima volta aveva dato prova dei suoi poteri e aveva predetto la fine dell’usurpatore Vortigern. Il mago sembrava guidato da una forza superiore. Era consapevole che quello sarebbe stato il suo ultimo viaggio. Eppure non cercò mai di sottrarsi al suo destino. Quasi che la sua vita avrebbe acquisito un senso solo se anche i suoi ultimi passi fossero stati compiuti nel modo corretto.

    La leggenda ci dice che in questo ultimo viaggio Merlino si rincontrò con Nimue (in alcune versioni chiamata anche Niniane o Viviana), la strega che lo aveva cresciuto. Una volta che Merlino si era fatto uomo, la donna si era perdutamente innamorata di lui. Merlino però l’aveva brutalmente respinta. Nimue aveva accettato passivamente la decisione del mago sapendo in cuor suo che prima o poi sarebbe riuscita a possederlo.

    Come anche Merlino, la strega Nimue poteva assumere qualunque forma volesse, si avvicinò così al mago sotto le sembianze di una donna bellissima. Merlino non seppe resistere a una tale bellezza e sedusse la splendida sconosciuta. Fecero l’amore e nel momento dell’estasi massima dell’orgasmo, mentre Merlino non aveva difese che potessero proteggerlo, Nimue si tramutò in una sfera d’ambra inglobandolo completamente e rendendo così innocui i suoi poteri. Nimue poi si trasformò ancora. In una gigantesca quercia questa volta. E così sarebbe ancora oggi: un albero della mitica foresta di Brocelandia che al suo interno intrappola per l’eternità Merlino.

    Si ritiene però che questa fine violenta e magica sia solamente un’invenzione di epoca medievale. Merlino più probabilmente sarebbe morto di vecchiaia e Nimue era il nome della donna che si era occupata della sua sepoltura. Il grande mago fu posto in una grotta la cui imboccatura era stata segnalata piantando un grande cespuglio di biancospino. Secondo la tradizione la grotta si troverebbe sull’isola di Bardsey, davanti alla penisola di Lleyn, nel Mare d’Irlanda, il tratto di mare che separa Gran Bretagna e Irlanda.

    L’isola è quella che i gallesi chiamano Ynys Vitrin, isola di vetro, uno di quei luoghi che esistono tanto nella dimensione reale che in quella ultraterrena. Guardando l’isola dalle coste gallesi, con il suo profilo a schiena di balena, non stupisce che le sia stata assegnata questa mitica caratteristica. La tradizione identifica l’isola come uno dei passaggi verso la quarta dimensione della cosmologia druidica, un mondo parallelo a quello in cui noi abitiamo in cui spazio e tempo si comportano in maniera diversa rispetto a quella a cui siamo abituati. La quarta dimensione è il posto in cui vanno le anime in attesa della rinascita. Quello era il luogo in cui era andato Merlino, ma la scelta di usare il biancospino per chiudere la sua sepoltura non era di secondaria importanza. Per i celti il biancospino è infatti la pianta che consente a un defunto di mantenere una dimora anche nella dimensione terrena quando la sua anima si è sposata nella quarta dimensione.

    Il senso è piuttosto chiaro, quindi: Merlino al momento della sua morte, grazie alla particolare scelta di sepoltura, divenne attivo in entrambe le dimensioni con la stessa forza. Grazie a questo la sua essenza può esercitare la sua influenza sul mondo in maniera sempre più forte nella speranza di riportare la cultura celtica ai fasti di un tempo.

    Merlino, figlio di un demone

    Secondo la leggenda Merlino fu concepito quando sua madre fu sedotta da un demone che aveva assunto l’aspetto di un giovane affascinante. La madre di Merlino, quando nacque suo figlio, terrorizzata dall’aver partorito un demone, lo gettò in una fonte di acqua consacrata. Si dice che ottenne così di far amare a Merlino l’intero genere umano. Quello che però il bagno non cancellò furono le sue capacità magiche, comprese quelle negative portate dal demone.

    Va precisato che la lettura del padre di Merlino come di un demone potrebbe risalire al Medioevo e al tentativo della Chiesa di far passare come male le credenze celtiche. Per tradizione Merlino è infatti figlio di una donna mortale e di un demone della tradizione celtica, cioè un essere sovrannaturale che vive tra la terra e la luna che però non è in alcun modo connesso con il male o la tentazione tipica della religione cristiana.

    In celtico il nome di Merlino è Myrddin, che tradotto significa qualcosa di simile a «colui che ride». Intorno ai nove anni, come tutti i suoi coetanei, Myrddin concluse la prima fase della sua vita e, probabilmente con una grande festa, entrò nell’età adulta. Fu allora che gli fu assegnato il nome che avrebbe portato per tutta la vita. Per i celti, così come per gli indiani d’America (le cui usanze conosciamo bene grazie a centinaia di film, a differenza di quelle dei nostri progenitori celti), si usava assegnare i nomi mettendo in risalto caratteristiche peculiari dell’adolescente. Di Merlino possiamo quindi intuire che fosse una persona solare e con una grande voglia di divertirsi.

    Subito dopo la festa per il suo ingresso nell’età adulta, il giovanissimo Merlino cominciò la sua formazione per diventare un druido, una sorta di sacerdote per la religione dei celti. Anche se in realtà la figura del druido rivestiva un ruolo molto più complesso. I druidi infatti erano i depositari della cultura celtica e come tali il vero elemento unificante della società. Il loro ruolo non era limitato a quello di semplici sacerdoti, ma erano anche filosofi, profeti, scienziati, medici, bardi, maestri e soprattutto giudici e consiglieri dei regnanti. Il fatto che fossero considerati dei saggi in qualunque campo dello scibile li rendeva di fatto, in molti casi, più potenti dei re e dei comandanti militari.

    La formazione dei druidi (o delle druidesse, la società celtica era assolutamente paritaria e c’erano le stesse probabilità di carriera per un uomo come per una donna) era un percorso estremamente lungo. Bisognava studiare per vent’anni e apprendere tutto sull’anima, sugli astri, sulla natura, sull’arte della divinazione e soprattutto imparare a preparare la bevanda che propiziava la salute e la fertilità. Per farla i druidi usavano il vischio che staccavano dai tronchi delle querce con un falcetto d’oro.

    Alla base della religione praticata dai druidi c’era un grande rispetto per la natura personificata nella Grande Dea o Grande Madre che si adorava nei Nemeton o Drunemeton, boschi sacri in cui si amministrava anche la politica. I popoli celtici vivevano in completa armonia con la natura, nel totale rispetto di animali, piante, fiumi, sorgenti, ma anche pietre e montagne, che vedevano tutte colme di uno spirito che pervadeva l’intero creato.

    Questa filosofia di vita, basata principalmente sul rispetto reciproco e su una delle prime forme di democrazia, aveva fatto diffondere i celti del periodo detto di La-Tène (il nome deriva dal villaggio svizzero in cui furono trovate le prime tracce di questa cultura), quello che va dal V secolo a.C. fino all’avvento dell’era cristiana, dall’Irlanda all’Asia, comprendendo buona parte dell’Europa incluso il Nord Italia. La grande cultura celtica fu completamente cancellata dai romani nella loro vorace conquista dell’intera Europa. Quello che non fecero i romani toccò a un altro popolo indoeuropeo, i Germani. Nel V secolo d.C., l’epoca di Merlino, i celti occupavano ormai solamente le isole britanniche.

    I due draghi

    Merlino entra prepotentemente nella storia celtica in un episodio leggendario narrato per la prima volta nella Historia Regum Britanniae, di Goffredo di Monmouth, datata 1136. Nel V secolo un re di nome Vortigern stava costruendo l’inespugnabile fortezza di Dinas Emrys, sul monte Snowdon, in Galles.

    Vortigern (forse una storpiatura medievale di Vawr Tigern), un capoclan che si era autonominato re quando i romani avevano abbandonato la Britannia per tornare a difendere Roma dalle invasioni barbariche, si trovava ora minacciato dai pitti, un popolo di selvaggi provenienti da nord. Vortigern voleva costruire una fortezza che fosse imprendibile, non solo dai pitti, ma anche dai sassoni, che il re aveva usato come mercenari durante le sue frequenti guerre, ma che non aveva mai pagato. Come se non bastasse l’intera Britannia non era unita, ma risultava frammentata in una serie di fazioni che si combattevano l’un l’altra per cercare di rubare il titolo di Ard Rhi, sommo re della Britannia, a Vortigern che era visto come un usurpatore. In più i romani andandosene avevano lasciato molte sacche cristianizzate, soprattutto negli insediamenti urbani del Sud, che lottavano per affermare la loro religione al di sopra dei culti pagani.

    In un Paese tormentato da guerre e scaramucce militari quasi quotidiane, la costruzione di una fortezza inespugnabile era una necessità. E purtroppo quella di Vortigern era soggetta a continui crolli a causa dell’instabilità del terreno della montagna su cui era costruita. I suoi consiglieri avevano però la soluzione perfetta ai suoi problemi: era sufficiente innaffiare le fondamenta del castello con il sangue di un ragazzo senza padre.

    Il re mandò immediatamente i suoi uomini in giro per il regno alla ricerca di un giovane che rispondesse alle caratteristiche richieste. Alla fine fu il giovane Merlino, trovato in un paese del Galles sud occidentale di nome Carmathen, dove era nato, a essere trascinato al cospetto del re. Si diceva che fosse figlio di un demone, quindi, non avendo un vero e proprio padre, poteva essere utile allo scopo. Prima che il sacrificio fosse compiuto, Merlino riuscì a dire al re che il suo problema era che le fondamenta del castello poggiavano su un terreno saturo d’acqua e, anche dopo il sacrificio, il castello non avrebbe certo guadagnato in stabilità.

    Incuriosito dal giovane, Vortigern ordinò ai suoi uomini di scavare sotto le fondamenta per vedere cosa trovassero. Come predetto da Merlino, al di sotto del castello fu scoperto un enorme lago sotterraneo. Il re interrogò nuovamente Merlino che affermò con sicumera che se lo avessero prosciugato avrebbero trovato i resti di due draghi.

    Non appena l’acqua fu completamente eliminata comparvero due draghi, uno bianco e uno rosso. Nonostante sembrassero morti, improvvisamente si rianimarono e ingaggiarono uno scontro furibondo lanciando fuoco dalle narici. Vortigern chiese allora a Merlino di spiegargli cosa stava accadendo. Merlino disse che il drago bianco rappresentava i sassoni, mentre quello rosso i britanni. Il drago rosso è destinato a perdere e il drago bianco distruggerà completamente la Britannia.

    Sentite queste parole Vortigern decise di lasciare libero il giovane Merlino.

    Uther di Pendragon

    Merlino predisse anche la fine di Vortigern, che fu ucciso nella sua stessa fortezza, bruciato dalle fiamme appiccate dai sassoni. Fu allora che i britanni affidarono le loro sorti a un comandante romano che si era convertito alla causa celtica e che li aveva guidati verso numeroso vittorie: Ambrogio Aureliano.

    Quando anche Ambrogio morì, il suo posto alla guida del regno fu preso da Uther di Pendragon. Fu questo il periodo in cui, durante le lotte contro i germani, si mise in luce un generale fedele a Uther, un certo Artorius o Arthur, destinato un giorno a reggere le sorti della Britannia. Si trattava indubbiamente del cinghiale il cui arrivo era stato predetto da Merlino per combattere in difesa del drago rosso.

    Le leggende su Merlino riportate dal solito Goffredo di Monmouth però fanno di Artù un personaggio più strettamente legato a Uther di Pendragon. Si racconta che quando Uther fu incoronato, al ricevimento fosse presente anche il duca Gorlois di Cornovaglia. Non appena Uther vide la splendida moglie di Gorlois, Ygern, perse la testa e cominciò a desiderarla ardentemente. Quando il duca di Cornovaglia si accorse di quello che stava accadendo abbandonò la festa e si rifugiò con la moglie nel castello di Tintagel che era virtualmente inespugnabile, visto che sorgeva su un’isoletta collegata alla terraferma solo da un ponte molto stretto e facilmente controllabile.

    Ma Uther aveva un asso nella manica. Fece convocare Merlino, già allora conosciuto come un potente mago, e gli ordinò di fargli un incantesimo che gli facesse assumere l’aspetto di Gorlois. Così camuffato entrò indisturbato nel castello e poté approfittare delle grazie di Ygern. Quella stessa notte dal loro amplesso fu concepito Artù.

    Nei mesi successivi Gorlois morì per una ferita di battaglia (o forse per mano di uomini fedeli a Uther di Pendragon) e il re prese in sposa Ygern facendo di Artù il suo legittimo erede.

    Da questa antica leggenda presero poi avvio tutte le storie successive riguardo ai cavalieri e alla tavola rotonda il cui iniziatore, nel XII secolo, è stato lo scrittore francese Chrétien de Troyes e uno dei principali continuatori sir Thomas Malory che nel Quattrocento pubblicò La morte di Artù.

    Artù e il suo precettore

    Gli studiosi collocano la data di nascita di Artù intorno al 469. Merlino negli anni della giovinezza del futuro re di Britannia si era ritirato a meditare o forse a completare il suo periodo di formazione tra i boschi dell’isola di Mona.

    Le tradizioni medievali raccontano che Merlino si fece consegnare con un inganno magico il giovane rampollo dalla madre Ygern per portarlo a nord dove sarebbe stato cresciuto da un cavaliere di nome Kay per farlo diventare un grande guerriero. Una volta adulto avrebbe dovuto dimostrare di essere il vero re di Britannia estraendo la mitica spada Excalibur (Caliburn nell’antica versione di Goffredo di Monmouth) da una roccia.

    Più probabilmente Merlino, non appena Artù ebbe compiuto i nove anni ed entrò nella vita adulta, divenne il precettore del giovane principe. Forse Merlino condusse veramente Artù verso nord, ma non per crescere come un guerriero, ma per studiare negli stessi centri druidici dove lui si era formato, così che fosse sempre la testa la sua vera guida e non una spada. Artù doveva prepararsi a diventare un re capace di fondere l’energia metafisica con quella guerriera.

    Artù ricevette la consacrazione che segnava il termine del suo periodo di formazione ad Avalon, un luogo che oggi può essere identificato con Glastonbury. Qui si trova una collina molto alta sulla cui sommità si erge una torre, detta Avalon Tower. La salita alla collina è un percorso a spirale che si dica conduca gli iniziati verso un ponte che mette in diretta comunicazione con l’aldilà. In cima alla collina Merlino aspettava Artù per donargli una spada, Caladvwlch (si pronuncia Caladfulch), che significa spada lucente, con cui avrebbe guidato il suo popolo alla libertà. Ora Artù era pronto per la sua vita da re. Correva l’anno 485.

    I cavalieri di Artù di Pendragon

    Forse già nel 485 Artù partecipò alla sua prima battaglia. In quell’anno i britanni si scontrarono più volte con i germani guidati da Aelle sulle rive del fiume Arun. La schiacciante inferiorità numerica fece dei celti una facile preda. In quell’anno i britanni abbandonarono da perdenti tutti i campi di battaglia.

    Sembra storicamente accertato che proprio Artù compì, negli anni compresi tra il 485 e il 488 un’inversione di tendenza nei risultati degli scontri, cominciando ad addestrare truppe a cavallo sempre più versate alla guerra (se nel 485 si contavano una decina di cavalieri, già l’anno successivo più di cento uomini a cavallo combattevano sotto il vessillo del «cinghiale di Cornovaglia», l’uomo che, secondo le profezie di Merlino, avrebbe riportato i celti alla vittoria).

    Prima di Artù la guerra si conduceva prevalentemente a piedi. Sia i romani che i germani relegavano le truppe a cavallo a piccole schiere composte da personaggi di rango elevato che ben poca parte svolgevano nella battaglia. Artù per primo capì il vantaggio che gli avrebbero dato uomini a cavallo forniti di adeguato addestramento che combattevano alternando la lancia alla spada.

    Grazie a questa incredibile innovazione militare, a diciotto anni Artù era già un comandante coraggioso e temuto dai nemici. I suoi attacchi, repentini e fulminei, lasciavano i germani sconfitti e attoniti. Con pochi cavalieri le truppe di Artù erano in grado di tenere in scacco decine di uomini appiedati e di avere facilmente la meglio su di loro.

    Nel 488, alla morte di suo padre, Artù divenne rhiotam, il sovrano guerriero, e cominciò a combattere sotto l’insegna dei Pendragon, un drago rosso come il sangue, uguale a quello che Merlino aveva visto combattere nei sotterranei del castello di Vortigern.

    Artù, grazie alle straordinarie doti militari mischiate alla saggezza guadagnata dai druidi, riuscì a riunificare sotto il suo controllo le varie fazioni in cui la sua nazione si era frammentata come non succedeva dai tempi della regina Budicca, che aveva guidato i celti nella grande rivolta contro i romani.

    I germani intanto avevano un nuovo sovrano, Octha, che con rinnovato vigore si spinse verso la Britannia tentando di eliminare definitivamente i celti. Artù, con il sempre più diffuso impiego delle truppe a cavallo, riuscì egregiamente a tenere testa agli sterminati eserciti germanici. Inoltre il rhiotam rese i confini della Britannia inespugnabili costruendo una serie di solide fortificazioni.

    Il cuore dell’impianto difensivo della Britannia era Camelot, il castello in cui risiedeva Artù, la cui ubicazione è ancora incerta, ma si potrebbe forse identificare con il castello di Cadbury.

    Con la battaglia dei Bradbury Rings, Artù, che al suo fianco aveva sempre l’inseparabile consigliere Merlino, riportò una schiacciante e definitiva sconfitta delle truppe di Octha, che abbandonarono definitivamente ogni proposito di conquista dei territori protetti da Artù e dalla sua cavalleria.

    La morte di Artù

    Nel 509 Artù cadde sul campo di battaglia di Camlann per colpa di un nobile di nome Medraut. Le corruzioni medievali della leggenda hanno trasformato quest’uomo in Mordred, il figlio che Artù aveva concepito durante un rapporto incestuoso avuto con la sorella Morgana sotto l’influsso di un incantesimo ordito da quest’ultima. Mordred aveva ucciso suo padre per volere della sua perfida madre.

    Gli Annales Cambriae, gli annali del Galles, riportano invece una versione un po’ diversa. Medraut, un nipote di Artù, forse figlio di una sorellastra, approfittando di un periodo di assenza del rhiotam aveva provocato un’insurrezione per cercare di prendere il potere. Artù, al suo ritorno, si era messo sul piede di guerra, era riuscito a sedare la rivolta, ma sul terreno di scontro di Camlann, una stretta gola che il rivoltoso aveva scelto per la sua estrema difesa, il rhiotam era stato ucciso proprio da Medraut. Lo stesso Medraut era morto poco dopo a causa di una ferita che Artù gli aveva inflitto durante lo scontro.

    Per volere di Merlino le spoglie di Artù furono portate ad Avalon, il luogo dove tanti anni prima aveva compiuto il suo percorso iniziatico, per ricevere la sepoltura.

    Merlino sapeva che ora per il drago rosso, il popolo dei britanni, cominciava un periodo buio destinato a durare per molti secoli. Ma come aveva profetizzato anche a Vortigern sul lungo termine il drago rosso sarebbe risorto e avrebbe ripreso la guida del mondo. Bisogna solo aspettare la fine dell’era dei Pesci. Con l’avvento dell’era dell’Acquario la celticità tornerà preponderante sconfiggendo ogni altro sistema di valori.

    Merlino il profeta

    Ormai vecchio Merlino decise di ritirarsi nelle foreste della Caledonia per dedicarsi all’attività di profeta.

    Le profezie sono normalmente divise in tre grossi blocchi: le profezie della Caledonia, scritte da Merlino negli ultimi anni della sua vita durante il ritiro nelle foreste, che formano due cicli ben distinti, Saluti e I meli, la profezia dei draghi, fatta al castello di Vortigern, di cui abbiamo già ampiamente parlato, e le visioni del nuovo millennio.

    Il mago vaticinò su molti argomenti. Anticipò ad esempio le lotte per la libertà combattute nel Medioevo dai principi gallesi Llywelyn e Owain Glyndwr. Così come predisse la Rivoluzione Francese o l’avvento di Hitler.

    Quello che però ci riguarda più da vicino sono le predizioni che Merlino fece riguardo al terzo millennio, fatte di terribili catastrofi ambientali e tremende mutazioni di animali e di piante.

    Merlino ci dice che, prima che le distruzioni geologiche culminino nell’inversione dei poli che creerà indicibili sconvolgimenti climatici, le zone bibliche saranno completamente distrutte. Sono state infatti le religioni derivate dalla Bibbia, guidate dal loro comandamento: «Assoggettate la natura!», a portare il mondo verso questa china distruttiva. La vera colpa di religioni come quella cristiana è stata quella di rifiutare completamente le vere divinità, legate alla natura e agli animali. Solo dopo questa distruzione, che sarà anche una purificazione, potranno rinascere le idee celtiche per una vita condotta in stretta armonia con la natura.

    La figura storica di Merlino resta comunque avvolta da un velo di mistero. Qualcuno sostiene che si trattasse di un vescovo cristiano, il cui nome latino sarebbe Dubricius, che incoronò re Artù. Secondo altri si tratterebbe di un poeta che improvvisamente impazzì e cominciò a vagare per le foreste acquisendo poteri sovrannaturali. Quello che possiamo dire con certezza è che appena si pronuncia il termine mago, siamo immediatamente portati ad associarlo al nome Merlino. Merlino è una sorta di archetipo del mago, la cui ombra misteriosa e cangiante aleggia su tutti i cultori di magia venuti dopo di lui. Il fatto di essere primariamente un eroe celtico a cui poi si è sovrapposta la corruzione cristiana che lo ha modificato e trasformato, lo rende un eccelso legame con il nostro stesso passato pagano prima e cristiano dopo.

    GIOVANNI TRITEMIO

    Alla ricerca del libro maledetto

    Johann Heidenberg

    Trittenheim (Germania) 1 febbraio 1462

    Würzburg (Germania) 13 dicembre 1516

    La Sodalitas Celtica

    Impossibile parlare dell’abate Tritemio senza raccontare di uno dei libri più introvabili della storia che nasconde segreti che farebbero gola a molti. Ma andiamo con ordine.

    Giovanni Tritemio nacque nel febbraio del 1462 a Trittenheim in Germania. Il suo nome di battesimo era Johann Heidenberg. La sua famiglia era poverissima e il giovane Johann sembrava avviato a una vita di duro lavoro nei campi. La sua forza di volontà però lo spinse a voler tentare comunque la via dello studio. Grazie a un certificato di povertà poté frequentare l’università senza pagare le relative tasse. Qui Johann gettò le basi di quella che sarebbe diventata la sua straordinaria cultura.

    Studiò le lingue orientali come l’ebraico, il caldeo e il tartaro, ma soprattutto ebbe occasione di entrare in contatto con cabalisti, teologi, astrologi e alchimisti che spinsero sempre più i suoi interessi verso gli argomenti esoterici. Proprio questi interessi lo convinsero a fondare, insieme a tre compagni di corso, una società segreta che si occupava dello studio della magia, della cabala e dell’astrologia, la Sodalitas Celtica, la confraternita celtica.

    Gli aderenti a questa società si diedero nuovi nomi con cui chiamarsi durante le sedute. Johann optò per il latino Johannes Trithemius, Giovanni Tritemio in italiano, la cui origine è sconosciuta a parte il fatto che figura visibilmente legato al numero tre. A partire da quel momento Johann abbandonò il suo nome reale in favore dello pseudonimo che si era inventato.

    Subito dopo gli studi, nel 1482, all’età di vent’anni, Giovanni Tritemio entrò nel monastero benedettino dell’abbazia di San Martino di Sponheim. In breve, a soli ventitré anni, vista la sua straordinaria cultura, ne divenne abate.

    Giovanni divenne esoterista, storico, scrittore, lessicografo, astrologo, umanista, crittografo e occultista. A Sponheim cominciò a scrivere libri. Tra le sue opere più conosciute c’è la Polygraphiae libri sex, scritta nel 1508, che comprende l’elaborazione della tavola recta, un quadrato contenente righe composte da tutte le lettere dell’alfabeto sfasate di una lettera per ogni riga. La tavola è la base per i cifrari a sostituzione polialfabetica, uno dei sistemi più diffusi di crittografia, cioè di scrittura cifrata. Prima dell’invenzione del computer era alla base della maggior parte dei sistemi di cifratura, anche se oggi è più conosciuta come tavola di Vigenère, visto che viene comunemente utilizzata nell’omonimo cifrario.

    Nell’abbazia di Sponheim Tritemio radunò una delle biblioteche più ricche dell’intera Germania che contava su oltre duemila volumi. Era prevalentemente composta da manoscritti, visto che Giovanni odiava i libri stampati che riteneva troppo volgari (la stampa era stata inventata da pochi anni, nella metà del Quattrocento). Per farlo spese una cifra folle per l’epoca, millecinquecento ducati d’oro, si dice, tirati fuori di tasca sua.

    Uno sguardo sul futuro

    Tra le sue opere più conosciute c’è sicuramente da annoverare il De septem secundeis id est intelligentiis sive spiritibus orbes post Deum moventibus. Il libro è ispirato ai lavori cabalistici del mago Pietro d’Apona, soprattutto per quanto riguarda il concetto di ciclicità del tempo. Gli scritti di Pietro d’Apona crearono tale sconvolgimento all’interno della Chiesa che quando morì a Padova, nel 1313, si cercò il suo cadavere per poterlo bruciare. Quando questa impresa si rivelò impossibile, perché alcuni adepti del mago lo avevano nascosto, la Chiesa si accontentò di bruciare un’effige che lo rappresentava.

    Nel De septem Tritemio compila una sorta di storia completa del mondo. Secondo lui la storia sarebbe divisa in cicli destinati a ripetersi, ognuno caratterizzato da sette età della durata di 354 anni e quattro mesi. Ogni età inoltre sarebbe governata da un angelo connesso a un diverso pianeta. Nell’ordine sono: Orisiele in relazione con Saturno, Anaele con Venere, Zaccariele con Giove, Raffaele con Mercurio, Samaele con Marte, Gabriele con la Luna e Michele con il Sole.

    Secondo Tritemio la creazione del mondo avvenne il 15 marzo del 5207, avanti Cristo ovviamente. Secondo i suoi conti quindi lui sarebbe vissuto nella diciannovesima età, quella governata per il terzo ciclo da Samaele. Noi oggi vivremmo nella ventunesima età, cominciata nel 1879. Questa età sarebbe governata dall’arcangelo Michele e dal Sole.

    Giovanni Tritemio non era un profeta e non vedeva il futuro. Però riteneva che, essendo il mondo impostato in maniera ciclica, ogni età avrebbe avuto delle caratteristiche destinate a ripetersi ogni volta che queste governavano il mondo. Secondo quanto scritto nel De septem nell’età che stiamo vivendo si dovrebbe assistere alla scomparsa dell’istituzione monarchica da tutti gli Stati del mondo, oltre alla rinascita di numerosi culti pagani. Sempre nella nostra epoca assisteremo a un incredibile sviluppo delle scienze matematiche e astronomiche. A partire dal 2115 cominceranno a svilupparsi invece quelle magiche.

    Sempre secondo quanto detto dall’abate Tritemio con la fine dell’età governata da Michele che stiamo vivendo, nell’anno 2233, si chiuderà il terzo e ultimo ciclo della vita come la conosciamo sulla terra. Sarà il momento della fine dei tempi e coinciderà con la seconda venuta di Cristo sul nostro pianeta. Quello diventerà il punto di partenza per una nuova epoca, completamente diversa dalle precedenti, caratterizzata dalla pace e dalla fratellanza mondiale.

    La Steganographia

    Ma, sempre a Sponheim, Tritemio continuò anche i suoi studi esoterici. Forse proprio la religione cristiana riuscì a tenerlo lontano dalle tentazioni legate al potere e alla ricchezza che sembrano sempre racchiuse nello studio della magia e dell’alchimia. Il suo modo di studiare queste discipline fu quindi sempre molto equilibrato e dominato da un interesse intellettuale, da scienziato, e non, come fecero in molti in quegli anni, spinto dal desiderio di rivalsa e dalla ricerca di un modo semplice e veloce di riuscire a dominare il prossimo.

    Ad esempio, tramite i suoi studi, Tritemio arrivò a scoprire che l’astrologia non aveva alcun significato e che le sue predizioni erano solo illusioni. In merito scrisse:

    Indietro, o voi uomini temerari, uomini vani ed astrologi mentitori, che ingannate le intelligenze e che ciarlate di frivolezze. Poiché la disposizione delle stelle non ha alcuna influenza sull’anima immortale, non ha alcuna azione sulla scienza naturale; non ha nulla in comune con la saluta supra celeste, poiché il corpo non può avere potere se non sul corpo soltanto. Lo spirito è libero e non è affatto sottomesso alle stelle, non assorbe le loro influenze e non segue il loro movimento, ma è in comunicazione esclusivamente con il principio supra celeste dal quale è stato fatto e dal quale è reso fecondo.

    La sua opera esoterica più conosciuta è la Steganographia, un trattato esoterico in otto volumi che parla di come riuscire a inviare messaggi basati su linguaggi magici che non richiedono l’utilizzo di messaggeri o di scrittura simbolica. Una volta terminato di scriverlo lo stesso Tritemio si rese conto della potenza che conferivano le rivelazioni in esso contenute e cercò invano di distruggerne tutte le copie esistenti.

    Nonostante questo il contenuto della Steganographia continuò a circolare per secoli sotto forma di manoscritti segreti che venivano passati di mano in mano da un ristretto numero di adepti. Il testo fu così importante e diffuso che il suo contenuto è alla base del De magia mathematica di Giordano Bruno. Solo nel 1606 una piccola parte della Steganographia fu pubblicata, per volontà di Mathias Becker. E già nel 1609 era stata inserita nell’Indice dei libri proibiti perché, anche se incompleta, giudicata molto pericolosa. La proibizione intorno al libro di Tritemio durò fino al 1930.

    Purtroppo sembra che non esista una copia completa di questo libro. Esisteva un tempo il manoscritto completo scritto di suo pugno da Giovanni Tritemio che era conservato nella biblioteca del padre di Filippo II. Il conte palatino però, quando lo lesse, ne rimase a tal punto terrorizzato da decidere di bruciarlo per evitare che potesse cadere nelle mani sbagliate.

    Per capire quali segreti conteneva questo libro misterioso dobbiamo appoggiarci a quello che ne scrive lo stesso Tritemio:

    Un giorno di quest’anno, 1499, dopo aver sognato per molto tempo la scoperta di segreti sconosciuti, e finalmente convinto che ciò che cercavo non era possibile, andai a coricarmi, vergognandomi un poco di aver spinto la mia follia fino a tentare l’impossibile. Durante la notte, qualcuno mi si presentò in sogno chiamandomi per nome: «Tritemio, mi disse, non credere di aver avuto invano tutti questi pensieri. Benché le cose che tu cerchi non siano accessibili né a te né a nessun altro, lo diventeranno». «Insegnami dunque – risposi io – ciò che bisogna fare per riuscire». Allora egli mi rivelò tutto il mistero e mi mostrò che non vi era nulla di più semplice.

    Sempre nella Steganographia Tritemio mette al corrente il lettore di quali siano i risultati del procedimento suggeritogli la notte della visione e quali le scoperte contenute nel suo libro:

    Posso assicurarvi che quest’opera, per mezzo della quale insegno numerosi segreti e misteri poco conosciuti, sembrerà a tutti, soprattutto i più ignoranti, contenere cose sovrumane, ammirevoli e incredibili, poiché nessuno, prima di me, ne ha mai scritto o parlato. Il primo libro contiene e mostra più di cento modi di scrivere segretamente e senza alcun sospetto tutto ciò che si vorrà, in qualunque lingua conosciuta, senza che se ne possa sospettare il tenore, e tutto questo senza metastasi né trasposizione di lettere, e senza alcun dubbio o timore che il segreto possa venire mai conosciuto da altre persone che quella a cui avrò insegnato cabalisticamente questa scienza, o quella a cui l’avrà cabalisticamente trasmesso il mio corrispondente. Poiché tutte le parole usate sono semplici e familiari, non suscitano alcuna diffidenza, e non vi sarà persona, per quanto esperta, che potrà giungere da sola a scoprire il mio segreto, che apparirà a tutti una cosa ammirevole, e che agli ignoranti apparirà impossibile.

    Tritemio prosegue:

    Nel secondo libro, tratterò di cose ancora più meravigliose, legate a certi mezzi grazie ai quali io posso, in modo certo, imporre la mia volontà a chiunque comprenderà il significato della mia scienza, sia egli lontano, sia pure a più di cento leghe da me, e senza che mi si possa sospettare di aver usato segni, figure o caratteri di qualunque genere, e se io mi servo di un messaggero e questi viene catturato lungo la strada, nessuna preghiera, minaccia o promessa o violenza potrà costringerlo a rivelare il mio segreto, poiché egli non ne avrà la minima conoscenza; ed è per questo che nessuna persona, per quanto esperta, potrà scoprire questo segreto. E tutte queste cose io posso farle facilmente, quando mi piacerà, anche senza l’aiuto di messaggeri, anche con un prigioniero rinchiuso in un luogo profondissimo e sorvegliato da un attento carceriere.

    Tritemio e la magia nera

    Di lui si raccontava anche che fosse capace di evocare gli spiriti dei defunti. Facendolo spaventò molti dei monaci dell’abbazia. La voce però si sparse e Tritemio fu interpellato da principi e re che volevano ricorrerealle sue sovrannaturali capacità. Si racconta che l’imperatore Massimiliano lo convocò a corte per avere aiuto riguardo alla recente scomparsa della sua consorte Maria di Borgogna. Tritemio ne evocò lo spirito, che consigliò all’imperatore, per sostituirla, di prendere in sposa Bianca Sforza.

    Forse proprio per il terrore provocato dalle sue pratiche magiche, i suoi confratelli si riunirono di nascosto e decisero di parlare con le autorità ecclesiastiche per farlo allontanare. Queste, per evitare che si sollevasse un polverone, decisero di accontentare i monaci e imposero all’abate Tritemio di trasferirsi alla guida dell’abbazia di San Giacomo a Würzburg dove visse fino alla morte, avvenuta nel 1516. Subito dopo la morte l’abate Tritemio si guadagnò la falsa reputazione di essere un adepto della magia nera. Molti inquisitori cercarono, per colpa di queste dicerie, di far mettere all’indice tutti i suoi scritti ignorando però le copie segrete della Steganographia, l’unico suo testo veramente pericoloso, che continuavano a circolare di nascosto per il mondo.

    Nel frattempo cominciavano a trapelare frammenti del contenuto mancante della Steganographia da parte di chi sosteneva di essere riuscito a leggere l’opera completa. Un religioso, padre Le Brun, all’inizio del Seicento, sostenne ad esempio che la comunicazione dei segreti a distanza era possibile solo dopo la costruzione di un certo apparecchio che nelle parole del prete assomiglia a uno strumento moderno:

    Ho sentito dire più volte che certe persone si erano comunicate dei segreti, a una distanza di più di cinquanta leghe, per mezzo di aghi calamitati. Due amici prendevano ciascuno una bussola, attorno alla quale erano incise le lettere dell’alfabeto, e si pretendeva che quando uno di quei due faceva avvicinare l’ago a una lettera, l’altro ago, per quanto fosse lontano parecchie leghe, si girasse immediatamente verso la stessa lettera.

    Forse allora Giovanni Tritemio non era un mago, ma solo uno scienziato e un inventore molto avanti sui tempi. Le capacità descritte nella sua Steganographia non proverrebbero da evocazioni di spiriti e da patti con il demonio, ma da conoscenze tecniche superiori a quelle dei suoi contemporanei. Avrebbe senso allora anche questa frase che un giorno scrisse: «Non ho fatto nulla di straordinario, eppure si sparge la diceria che io sia un mago. Ho letto quasi tutti i libri dei maghi, non per imitarli, ma con l’intenzione di confutare un giorno le loro superstizioni ingannevoli».

    JOHANN FAUST

    Il mago e il patto con il demonio

    Johann Georg Faust

    Kundlinger (Germania) 1480 circa - Staufen (Germania) 1540

    Una sanguinaria morte

    Le testimonianze di quello che accadde in quella notte del 1540 (anche se alcune ricostruzioni divergono sull’anno) provengono per la maggior parte dall’oste e dagli avventori della locanda Zum Löwen di Staufen, vicino a Friburgo in Brisgovia. Le testimonianze parlano tutte di urla, boati e rombi che per tutta la durata della notte arrivarono dalla stanza dell’uomo che si firmava Magister Georgius Sabellicus Faustus Junior. Solo al sorgere del sole l’oste della locanda del Leone ebbe il coraggio di aprire la porta della camera dell’uomo per verificare cosa fosse accaduto durante la notte.

    Quello che l’uomo vide si fissò per sempre nella sua testa e mai più riuscì a liberarsi di quelle immagini orribili. Il famoso mago che rispondeva al nome di Faust giaceva a terra orrendamente sfigurato e mutilato, ormai morto, in mezzo ai mobili completamente distrutti della stanza dove aveva trascorso la sua ultima notte.

    Alla fine uno dei demoni più potenti, quel Mefistofele di cui Faust si dichiarava parente, allo scadere del patto fatto ventiquattro anni prima con Faust, come era previsto, gli spezzò il collo e gettò la sua anima all’inferno dove la aspettava la dannazione eterna.

    Una vita avvolta dall’oscurità

    Nonostante la fama mondiale di Faust, si conosce molto poco della sua biografia. Chiunque se ne sia occupato si è concentrato quasi esclusivamente sugli aspetti della sua vita che possiamo definire esoterici. Un pastore protestante di nome Johann Gast, che sembra conoscesse Faust di persona, raccontò di lui che era sempre accompagnato da un cane e da un cavallo ammaestrato. In realtà si trattava di due demoni che lo tenevano sempre d’occhio, così come stabiliva il contratto che aveva stipulato con Mefistofele. Il demonologo Johann Wier ne parla come di un povero ubriacone che aveva imparato alcuni banali trucchi magici a Cracovia, ma che morì effettivamente strangolato da un demone.

    Altri come Giovanni Tritemio (vedi), anch’egli stimato mago, oltre che abate ed esperto di demonologia, lo riteneva solamente un folle e un esaltato che aveva raccontato un sacco di frottole e che per questo meritava solamente di essere frustato. Della stessa opinione era un certo Mudt, canonico della Chiesa tedesca, che ne parla come di un ciarlatano.

    Quello che sappiamo per certo è che Faust nacque con il nome di Johann nel borgo di Kundlinger, nella regione di Württemberg, in Germania, intorno al 1480 da una famiglia di contadini. Grazie all’interessamento di uno zio borghese che abitava a Ingolstadt, sulle rive del Danubio, Faust a dieci anni poté cominciare un percorso regolare di studi che lo portò a laurearsi nel 1509 all’Università di Heidelberg, una delle più prestigiose della Germania, traguardo quasi irraggiungibile per un ragazzo nato da una famiglia contadina.

    Al momento del conseguimento della laurea era già conosciuto in tutto il Paese per la sua erudizione al di fuori del normale. In pochi anni era divenuto un grande esperto di teologia, filosofia, astrologia, matematica e medicina. Con quel gusto per la teatralità che coltivava fin da giovane, poco dopo aver conseguito il baccellierato, asserì di conoscere così bene le opere di Platone e Aristotele che, se anche fossero andate tutte distrutte, le avrebbe potute facilmente ricostruire a memoria.

    Dopo la laurea Faust si trasferì a Cracovia, in Polonia, per approfondire gli studi di scienze naturali. Forse fu in quegli stessi anni che si avvicinò agli studi di magia. Studi che probabilmente completò a Praga, città che, con la caduta di Bisanzio, era divenuta la sede dei maestri di magia di tutto l’Occidente.

    Furono quelli gli anni in cui cambiò il suo nome in Georg Faust e cominciò a farsi una discreta fama come negromante, mago e astrologo. Fama non completamente positiva, se sappiamo che in quegli anni si rese inviso all’Università di Erfurt dove era stato assunto come professore, proprio per le sue pratiche poco ortodosse.

    Dopo parecchi anni in viaggio per approfondire le sue conoscenze magiche, in particolare quelle legate alla cabala, una forma di misticismo che mette in contatto le esperienze esoteriche con le tradizioni religiose di tutto il bacino del Mediterraneo, nel 1520 Faust era stabile alla corte di Giorgio III, principe nonché vescovo di Bamberga, che lo sfruttava come suo personale astrologo.

    Dopo un buco di notizie sappiamo ancora di lui che cambiò nuovamente il suo nome in Jörg Faustus e che di professione faceva l’indovino. Ma ancora una volta la fortuna non gli arrise e nel 1528 fu malamente scacciato dalla città di Ingolstadt. Successivamente lo troviamo a Norimberga, assunto come insegnante in un collegio. Anche qui la sua fortuna durò pochi anni. Nel 1532 fu licenziato e bandito dalla città per aver avvicinato alle pratiche magiche alcuni suoi allievi.

    Nell’ultimo periodo della sua vita usava presentarsi come Magister Georgius Sabellicus Faustus Junior, fonte dei negromanti (i maghi che evocano spiriti e demoni), astrologo, assistente mago, chiromante (chi legge la mano), aeromante (colui che prevede gli eventi leggendo le condizioni atmosferiche), piromante (colui che prevede il futuro osservando la forma delle fiamme di un fuoco) e assistente di idromanzia (una forma di divinazione che prevedeva di lanciare tre diversi sassi in uno stagno e di leggere i tipi di cerchi concentrici che si formavano sulla superficie dell’acqua).

    Questi furono gli anni in cui come clienti ebbe importanti personalità come un senatore di Würzburg che voleva avere pronostici sulla guerra che Carlo V stava combattendo contro il re di Francia e un avventuriero tedesco che stava preparandosi ad andare in Sud America a cercare la mitica città di Eldorado e voleva sapere quali scelte avrebbe dovuto compiere per riuscire nella sua impresa.

    Oltre che un mago, Faust era anche un alchimista. Molti storici sostengono che i periodi di assenza di informazioni della vita di Faust corrispondono a momenti di isolamento e di studio intensivo in cui il mago tentava di avvicinarsi il più possibile ai grandi segreti dell’alchimia come la Pietra Filosofale. Faust probabilmente praticava la magia e l’astrologia solo per accumulare denaro e con quello mantenersi nei periodi che dedicava allo studio.

    Faust e Mefistofele

    Faust divenne famoso per essere uno di quei maghi che per ottenere la conoscenza delle questioni occulte si avvicinò alla magia nera e non ebbe paura di trattare con i demoni per ottenere da loro quanto desiderava. Fu proprio per questi motivi che Faust decise di fare un patto con Mefistofele. Non conosciamo ovviamente gli estremi di questo patto. Possiamo solo immaginarli e per farlo ci appoggiamo alle parole utilizzate dal drammaturgo inglese Christopher Marlowe. Quando Faust tratta con Mefistofele gli ordina:

    Io ti incarico di vegliare su di me mentre vivo, di fare qualunque cosa Fausto ti comandi, anche di strappare la luna alla sua orbita, e di inabissare il mondo nell’oceano.

    E ancora:

    Va, porta queste richieste al grande Lucifero: vedendo che Fausto si espone alla morte eterna attraverso pensieri disperati contro la divinità di Giove, digli che lui arrende a Lucifero la sua anima, così che egli lo risparmi per ventiquattro anni, lasciandolo vivere in tutte le sue voluttà: avendoti sempre al mio fianco, per darmi qualsiasi cosa io ti chieda, per dirmi qualsiasi cosa io ti domando, per distruggere i miei nemici e aiutare i miei amici, e sempre essere obbediente al mio volere. Va’ e torna dal potente Lucifero, e incontriamoci nel mio studio a mezzanotte, e fammi sapere i pensieri del tuo maestro.

    Molti furono poi gli aneddoti che nacquero riguardo a Faust e al suo patto con il demonio. Secondo alcuni poteva chiedere qualunque cosa a Mefistofele, da un piatto di fragole in pieno inverno a una rinfrescante nevicata pomeridiana per stemperare la canicola di un pomeriggio di agosto. Inoltre grazie alla sua vicinanza con il demonio, Faust era in grado di compiere azioni impossibili ai più. Si racconta che gli bastasse picchettare su un tavolo di legno per farne sgorgare del vino di ottima qualità. Una volta vide quattro omoni ben piazzati faticare a portare un barile su da una cantina. Faust rise di loro e quando gli uomini lo sfidarono a fare di meglio, il mago senza fatica, da solo trasportò il pesante barile sulla cima della rampa di scale.

    Va detto che ai tempi la cultura era dominio esclusivo della religione, cattolica o protestante che fosse. Era ovvio che il sapere rivelato tipico della religione entrasse in conflitto con le grandi verità scientifiche e parascientifiche che in quegli anni si affacciavano al mondo per la prima volta. Come già era accaduto a tanti altri personaggi prima di lui, Faust, scienziato e studioso, chimico e matematico, quando raggiunse un livello di conoscenze troppo elevato fu avversato dalla religione. Siccome la religione per mantenere il controllo delle menti aveva necessità di avere un popolo rozzo e ignorante, per screditare le persone che arrivavano a raggiungere conoscenze che potevano essere pericolose, associava l’eccessiva cultura con la presenza del demonio. Furono quindi forse i poteri religiosi forti a cominciare a diffondere le dicerie intorno a Faust e al suo patto con Mefistofele. Il senso di tutto questo era che era meglio essere ignoranti, perché la conoscenza costava la dannazione eterna della propria anima.

    Consideriamo che Faust si muoveva per una Germania appena travolta dalla riforma luterana (le novantacinque tesi di Lutero sono datate 1517). Per i protestanti, che propugnavano un ritorno alla più stretta osservanza nelle parole che Dio ci aveva consegnato tramite la Bibbia, lo studio delle scienze cosiddette occulte era una palese ribellione alle leggi del Signore e quindi era da punirsi con la dannazione. Lo stesso Lutero spesso disse di essersi rivolto a Dio per chiedere un aiuto contro i demoni che Faust gli scagliava contro.

    Faust comunque non fece mai mistero di essere totalmente insofferente all’autorità religiosa, soprattutto riguardo al mantenimento dell’ignoranza dei fedeli. Uno dei suoi crucci più grandi fu la notizia della condanna e dell’uccisione, proprio da parte delle tanto odiate autorità religiose, di Fra Savonarola, un teologo di cui Faust aveva un rispetto incondizionato e le cui tesi trovava innovative e interessanti.

    Fama imperitura

    Dopo la tragica fine avvenuta intorno al 1580, la figura di Faust, del mago che per sete di conoscenza e potere arriva a cedere la sua anima al demonio, era pronta per divenire una delle più famose di tutto il mondo.

    Il primo libro che cominciò a trasformare Faust in quello che è quasi l’archetipo del mago stesso, fu la Storia di Johann Faust (detto anche Faustbuch) di Johann Spiess, datato 1587. Il romanzo ebbe un tale successo che fu da subito tradotto in diverse lingue.

    Di poco successiva è una delle più famose opere su Faust che siano mai state scritte: nel 1594, un anno dopo la misteriosa morte del suo autore, Christopher Marlowe, in Inghilterra apparve La tragica storia della vita e della morte del dottor Faust. Il dramma ha dei momenti di straordinaria poesia soprattutto nel momento in cui Faust si rende conto dell’errore fatto e di quanto importante siano le conseguenze del baratto che ha attuato: «Oh, se la mia anima deve patire per la mia follia, ponete un termine alla mia pena incessante! Fate sì che Faust stia all’inferno per mille anni, centomila, ma che alla fine sia salvo».

    Lo straordinario successo ottenuto dall’opera di Marlowe fece in modo che nei secoli successivi fiorissero centinaia di opere dedicate alla figura del mago tedesco e alla sua incredibile sete di conoscenza. Allo stesso modo prosperavano anche i manuali di magia e negromanzia redatti sotto il nome di Faust che spiegavano come contattare demoni e spiriti senza però giocarsi l’anima per l’eternità.

    La più importante opera dedicata a Faust vide la luce in Germania all’inizio dell’Ottocento (la prima parte è datata 1808, mentre la seconda 1832) e porta la firma di Johann Wolfgang von Goethe. Il Faust di Goethe è però una figura molto diversa da quelle delineate dai suoi predecessori. Tanto diversa che alla fine Dio lo salva perché comunque «non ha mai cessato di tendere verso un ideale». Quello che ne nasce è quindi un eroe positivo che serve a Goethe per dimostrare che nonostante il male insito nella natura stessa degli esseri umani, l’uomo può comunque, attraverso la conoscenza, raggiungere una grande nobiltà e bontà.

    Le opere dedicate a Faust non si fermarono comunque al capolavoro di Goethe. Meritano di essere qui ricordate almeno il melodramma La dannazione di Faust del 1846 di Hector Berlioz e soprattutto l’opera lirica di Charles Gounod datata 1859 e intitolata semplicemente Faust.

    Nel Novecento l’opera più importante dedicata a Faust è il Doktor Faustus di Thomas Mann del 1947.

    Come mai a distanza di centinaia di anni la figura di un mago morto in circostanze misteriose in una locanda tedesca attira ancora così tante persone? La risposta si trova nelle motivazioni addotte al momento della scoperta del suo cadavere. Faust andò incontro a una morte tragica e dolorosa e, forse, a un’eternità di dannazione, ma ottenne in cambio ventiquattro anni di potere assoluto dato dalla conoscenza dei più grandi segreti del mondo. Chi è pronto a firmare il patto?

    JOHN DEE

    Il negromante che parlava con gli angeli

    John Dee

    Londra (Inghilterra) 13 luglio 1527 - Mortlake (Inghilterra) 26 marzo 1608

    Il conte Laski e la rigenerazione dell’Europa

    Albert Laski, conte palatino di Sieradz in Polonia, come era suo solito si recò nella casa di Mortlake, un paese non distante da Londra, per incontrarsi con il suo amico John Dee. Laski, molto legato alla sovrana inglese, Elisabetta I, aveva avuto la fortuna di conoscere il grande mago a palazzo, dove era consulente della regina in astrologia e altre materie occulte.

    Come a ogni loro incontro il collaboratore di Dee, Edward Kelley, si sedeva davanti al cristallo che il mago aveva ricevuto in dono dagli angeli e cominciava a interrogare gli spiriti. Laski odiava Kelley, con quella faccia viscida e furba, eppure era l’unico tramite che permetteva a John Dee di ascoltare le parole delle altre dimensioni, parole che venivano pronunciate in una lingua oscura e incomprensibile.

    Presto Laski divenne il protagonista di quelle sedute in casa Dee. Gli spiriti e gli angeli sembravano incredibilmente interessati al suo futuro e a quello della politica europea. Laski per un attimo fu tentato di credere che tutto quello che si sentiva ripetere era una bufala inventata da quel ladro di Kelley per estorcergli quanto più denaro possibile, ma un po’ per la fama che circondava la figura di John Dee, un po’ perché gli faceva piacere credere in un futuro così luminoso, si fece intrappolare dal mago e da quel ciarlatano del suo compare.

    Gli spiriti prevedevano che Laski sarebbe presto divenuto il reggente di una nuova e grandiosa monarchia europea e che lui, proprio lui, Edward Kelley, sarebbe stato il suo fido braccio destro. Una sera Kelley raccontò che tramite il cristallo si era presentato un angelo di nome Murifre che aveva dichiarato che Laski era l’uomo destinato ad attuare la definitiva rigenerazione del mondo.

    Dopo parecchie sedute di continue adulazioni nei confronti di Laski e di quello che avrebbe fatto in futuro, compreso sconfiggere definitivamente i saraceni, Kelley disse che gli spiriti gli avevano detto che era giunto il momento di tornare in Polonia. Solo che avrebbe dovuto farlo portandosi al seguito Dee, Kelley e le rispettive famiglie.

    Per non contraddire il volere divino, Laski, all’inizio del 1584, fece spostare i due maghi, le loro famiglie e tutti i loro averi nella sua residenza principale, Lasco, in Polonia.

    Giunti in Polonia i due maghi investirono le loro energie e buona parte del patrimonio del conte nell’alchemico tentativo di trasmutare il piombo in oro. La riuscita dell’operazione era fondamentale per recuperare il denaro necessario a creare il vasto esercito con cui il conte avrebbe preso il controllo di buona parte dell’Europa. Ovviamente mesi di intensi tentativi furono totalmente inutili. Un risultato però lo ottennero: diedero completamente fondo alle finanze di Laski che nel frattempo, per mantenere i due maghi, aveva ipotecato quasi tutti i suoi beni.

    Quando Kelley scoprì che i soldi del polacco erano terminati interrogò nuovamente gli spiriti, che ora dicevano che forse il conte non era la persona giusta per rinnovare il mondo. Laski che era sì sprovveduto, ma non del tutto, capì di essere stato malamente raggirato e cacciò i due maghi dalla sua corte.

    John Dee, da astronomo a mago

    John Dee nacque a Londra nel 1527. Suo padre, Roland, era un mercante di tessuti e un sarto con una carica, seppur modesta, alla corte di Enrico VIII. Il lavoro del padre garantiva alla famiglia una certa stabilità economica che permise a John di andare a studiare a Cambridge e di conseguire, a soli diciassette anni, il Bachelor of Arts (il corrispettivo della nostra laurea). Guidato dalla sua mente aperta e curiosa e da un’intelligenza spiccata e arguta, Dee decise di proseguire il suo percorso di studi andando in Olanda per approfondire il suo crescente interesse per l’astronomia sotto la guida del grande astronomo e matematico Gerardus Mercator.

    Dopo l’Olanda fu la volta della Francia. A Parigi Dee, oltre a continuare i suoi studi, tenne anche diverse conferenze sui princìpi della geometria che impressionarono così tanto l’ambiente matematico francese da valergli una cattedra alla Sorbona. Dee però rifiutò il privilegio per fare ritorno in patria dove il nuovo re, Edoardo VI, gli aveva proposto un incarico da rettore a Upton-on-Severn nel Worcestershire.

    Tutti i sogni di Dee sembravano essersi avverati. Faceva il lavoro che aveva sempre sognato, aveva uno stipendio di notevole portata che gli garantiva una splendida casa e in più aveva anche molto tempo libero che poteva utilizzare per continuare a studiare le materie che prediligeva.

    Purtroppo la sua intera vita crollò miseramente nel 1553. Quello stesso anno, giovanissimo, si era spento, forse di tisi, re Edoardo. Il suo posto sul trono era stato preso da Maria Tudor, figlia di Enrico VIII e sorellastra di Edoardo. La donna, salita al trono con il nome di Maria I, per qualche oscuro motivo ritenne che nei primi mesi di regno la sua vita fosse stata in pericolo per colpa delle arti occulte praticate da John Dee, che aveva cercato di ucciderla. Il povero Dee fu immediatamente arrestato e incarcerato a Hampton Court. Fu rilasciato dopo soli pochi mesi di reclusione, ma ormai la sua reputazione pubblica era completamente distrutta e questo gli rendeva impossibile continuare a fare il lavoro che aveva sempre svolto.

    Per sua fortuna nel 1558 Maria I prima morì senza lasciare eredi e il suo posto sul trono fu preso dalla sorellastra Elisabetta. Sotto il regno di Elisabetta I John Dee, completamente scagionato da ogni accusa, ricominciò a godere di una buona reputazione. Si stabilì a Mortlake, un piccolo centro lungo il Tamigi, non distante da Londra, e qui si guadagnò una notevole fama di astronomo.

    La sua insaziabile sete di conoscenza lo spinse a intraprendere nuovi viaggi di studio. Fu durante uno di questi viaggi che cominciò a interessarsi di cristallomanzia, una branca della magia che prevede la divinazione attraverso l’utilizzo dei cristalli.

    Ritornato in patria Dee si interessò sempre più di magia e di alchimia e cominciò a guadagnarsi da vivere fornendo consulenze astrologiche. Fu così che arrivò a essere l’astrologo di corte di Elisabetta I, oltre che il suo consigliere in materie occulte.

    Si racconta che in questo periodo John Dee costruì una Mano della Gloria, divenuta poi celebre per essere stata la più potente mai creata. La Mano della Gloria era un oggetto magico consistente nella mano di un morto impiccato disseccata e conservata in salamoia. Per usarla bisognava anche costruire una candela con il grasso preso a un delinquente morto giustiziato e il dito di un bambino nato morto. La candela doveva essere accesa e poi infilata nella Mano della Gloria come se fosse un candeliere. L’artefatto così ottenuto era in grado di paralizzare temporaneamente chiunque lo avesse guardato. Per questo motivo era molto usata dai ladri che volevano svaligiare le case con i proprietari all’interno. Tra Cinquecento e Seicento si registrarono parecchi casi di donne incinte uccise per poter realizzare questo potente oggetto magico. La Mano della Gloria di Dee, conosciuta come Sigillum Emeth, è andata perduta subito dopo la sua morte.

    John Dee prese in quello stesso periodo un’abitudine abbastanza strana ma strettamente legata alla sua passione per la magia. Scrutava per ore nell’imperscrutabile profondità di una sfera di cristallo in attesa di un segno che gli svelasse gli arcani meccanismi dell’universo. Per anni John Dee lo fece senza successo. Almeno fino al 25 maggio del 1581.

    Arrivano gli angeli ed Edward Kelley

    In quella data per la prima volta vide degli spiriti fluttuare all’interno della sfera. Ma presto avrebbe avuto visioni ben più impressionanti. Nel novembre dell’anno seguente infatti percepì una grande forza attorno a sé. Guardando fuori dalla finestra del suo laboratorio vide una luce intensissima in mezzo alla quale si stagliava l’angelo Uriele. Dee era come paralizzato. Uriele entrò nel suo laboratorio con un gran sorriso come a dimostrare che le sue intenzioni non erano ostili. Poi allungò verso Dee uno strano cristallo convesso che, gli spiegò, serviva per comunicare con gli altri mondi.

    Dee cominciò immediatamente una serie di esperimenti per verificare che il cristallo di Uriele funzionasse. Scoprì anzitutto che era necessaria una grande concentrazione per riuscire a comunicare con gli altri mondi. C’era però un altro problema: Dee sapeva che durante le sedute con il cristallo riusciva a comunicare con gli spiriti, ma appena la seduta terminava si dimenticava immediatamente i discorsi che erano stati fatti. Le possibilità del cristallo parevano infinite, ma bisognava trovare un modo per ricordare le parole degli spiriti. L’unico modo era quello di cercarsi un assistente, qualcuno che potesse parlare con gli spiriti mentre lui trascriveva l’intera conversazione.

    Fu allora che fece il suo ingresso in scena Edward Kelley. Nato nel 1555

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