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Narciso cacciatore: Un'ipotesi sul mostro di Firenze
Narciso cacciatore: Un'ipotesi sul mostro di Firenze
Narciso cacciatore: Un'ipotesi sul mostro di Firenze
E-book117 pagine1 ora

Narciso cacciatore: Un'ipotesi sul mostro di Firenze

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Info su questo ebook

Nel 1984 un uomo, un pluripregiudicato pratese, ha dichiarato di essere il mostro di Firenze. La sua abitazione sorgeva a pochi metri da tre luoghi del delitto. Il suo impiego lo poneva in contatto diretto con una delle vittime. Questo studio, basato su anni di indagini e interviste, ne delinea la vita e le attività, rilevando sconcertanti analogie con la vicenda del mostro.
LinguaItaliano
EditoreRogas
Data di uscita29 feb 2024
ISBN9791223007488
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    Anteprima del libro

    Narciso cacciatore - Cristiano Demicheli

    Prefazione

    Ancora adesso non sappiamo perché i cosiddetti «compagni di merende», condannati in via definitiva per i delitti del mostro di Firenze, avrebbero commesso quegli spaventosi crimini. Per psicopatologia? Non esiste alcuna prova clinica di psicopatologia. Su commissione? Non esiste alcuna prova materiale dell’esistenza di uno o più mandanti.

    Il risultato paradossale è che, per la giustizia italiana, è esistito un crimine psicopatologico [1] ma nessun criminale psicopatologico, è esistito un crimine su mandato ma nessun mandante.

    Alla stragrande maggioranza degli studiosi del caso, compreso il sottoscritto, sembra difficilmente contestabile l’assunto che i delitti del mostro di Firenze siano di matrice psicopatologica, che rientrino, cioè, nella categoria dei lust murders.

    Per il lust murderer lo scopo dell’azione è il lust ottenuto tramite il murder: ne consegue che il soggetto che delegasse ad altri il secondo, si priverebbe del primo. Ecco perché le ipotesi basate su un movente d’interesse appaiono decisamente poco convincenti, anche laddove le finalità dell’ipotetico mandante, o mandanti, si tingono di esoterismo. Come osserva Paul Begg a proposito di Jack lo Squartatore, «leggendo il resoconto di ciò che […] fece alle sue vittime, è impossibile credere che quegli omicidi fossero commessi per un movente diverso dal desiderio di infliggere quelle orribili mutilazioni» [2] .

    Il problema di questo assunto, naturalmente, è che un mostro di Firenze assassino psicopatologico è ancora tutto da trovare. Bisogna ripartire da zero: non tanto nella ricerca del nome (a molti dei «soliti sospetti» in verità, una simile condizione potrebbe attagliarsi), quanto nella ricerca dei moventi.

    Non chi, dunque, ma perché.

    Perché il mostro uccideva proprio in quel modo? E perché mutilava i corpi delle vittime femminili? Perché ha commesso due delitti isolati, nel 1968 [3] e 1974? Perché usava sempre la stessa pistola? E perché ha spedito alla dottoressa Silvia Della Monica una lettera contenente un lembo di tessuto organico appartenente a una delle vittime?

    Ecco, io credo che fornire a tutti questi interrogativi una risposta non soltanto soddisfacente nel singolo episodio, ma coerente nel quadro generale, potrebbe farci avanzare di qualche passo in direzione della verità.

    Nella prima parte del presente studio cercherò dunque di rispondere a queste domande.

    Nella seconda parte, invece, fornirò la descrizione di un soggetto che corrisponde, sotto molti aspetti, a un simile identikit psicologico. Non si tratta, inutile dirlo, di un’accusa esplicita: io non so, né posso sapere, se questa persona fosse a tutti gli effetti il mostro di Firenze, ma posso indicare le circostanze che rendono una tale eventualità possibile, verosimile e coerente.

    Genova, 17 agosto 2023

    1

    2

    3

    Antefatto

    Dal « Corriere della Sera » del 18 e 19 aprile 1952

    Si bracca un lupo mannaro nella pianura di Prato

    Parroco assalito presso la chiesa

    Prato 17 aprile, notte. Strani episodi, che hanno messo in allarme la popolazione, avvengono da qualche mese nella pianura pratese, dove uno sconosciuto ‒ probabilmente squilibrato o licantropo, dati gli urli inumani e lugubri con i quali talora accompagna i suoi gesti ‒ bastona la gente o la getta a terra a furia di spinte.

    L’ultimo fatto del genere è accaduto la notte scorsa verso le 22.30 al sacerdote don Gennaro Bigagli di Gino, di 37 anni, parroco di Grignano, borgata vicina alla città. Don Bigagli era uscito dal teatrino parrocchiale dove si era trattenuto per riordinare del materiale adoperato per una recita e faceva ritorno alla canonica, percorrendo via della Chiesa, quando a circa cinquanta metri dalla canonica stessa, dove la strada fa una piccolissima curva e corre incassata fra un alto muro e una siepe altrettanto alta, scorgeva, rannicchiato ai piedi della siepe, una figura umana.

    Il sacerdote, insospettito, pur continuando il cammino, si portava nel centro della strada, ma allorché giungeva a un paio di metri di distanza dalla figura, la vedeva ergersi, armata di un lunghissimo e grosso bastone, e dopo aver lanciato un grido che non aveva nulla di umano, gettarsi contro di lui, per colpirlo con il bastone stesso, evidentemente sfilato pochi istanti prima da una vigna vicina. Il reverendo fuggiva, mentre lo sconosciuto, gettato il palo, con un salto scavalcava la siepe e si dileguava attraverso i campi. Don Bigagli si rifugiava nell’abitazione dell’esercente Bruno Pini, poco distante; il Pini, a sua volta, avvertiva quanti si trovavano in un vicino circolo e la polizia, provocando una battuta durata fino alle due del mattino, che non dava però alcun risultato. È da escludersi, tanto nel caso di questa notte, quanti nei tre precedenti verificatisi contro una ragazza, un carbonaio e un’altra donna, ogni movente di natura politica.

    V ANA CACCIA AL LICANTROPO NELLE CAMPAGNE DI GRIGNANO

    Dopo l’aggressione a don Bigagli pochi sono gli audaci che si avventurano fuori di casa

    Firenze 18 aprile. Squadre di carabinieri, la notte scorsa, hanno battuto in lungo e in largo la campagna di Grignano in una vana caccia: il licantropo, l’«uomo‒lupo», non s’è fatto vivo. Solo abbaiar di cani e gente che trasalisce nelle case, tanto è l’allarme, a ogni rumor di passi che giunge dalla strada: pochi gli ardimentosi che si avventurano fuori di casa nelle ore notturne.

    Il sopralluogo degli investigatori nel luogo in cui fu aggredito don Bigagli, chiamato confidenzialmente «don Camillo», ha portato al rinvenimento di un palo da viti col quale il licantropo affrontò il sacerdote. Intorno sono state notate orme e tracce lasciate dal licantropo in fuga, tracce che, per altro, si esauriscono in un campo di grano, non molto distante.

    Intanto, nella zona, molti ricordano che, da vari mesi, subito dopo l’imbrunire, un’ombra si era improvvisamente levata alle loro spalle e con, uno spintone o una legnata, li aveva gettati a terra: immediatamente, prima di entrare in azione, l’ombra aveva gettato un grido altissimo, anzi più che un grido, una specie di latrato. Quindi l’ombra si era dileguata nella notte senza infierire sulle persone e soprattutto senza rubare o tentare di rubare.

    Questo appunto fa pensare alla presenza di un «lupo mannaro», un licantropo. Chi sarà questo sconosciuto che, secondo le fasi della luna, o reagendo ad altri imponderabili elementi, viene colto da queste crisi più di bestia che di uomo, durante le quali urla come un lupo e spesso aggredisce i passanti?

    Una ragazza ricorda ‒ e lo ha dichiarato ai carabinieri ‒ che, una sera dell’ottobre scorso, rincasando in bicicletta venne affrontata da un uomo che brandiva un bastone: erano le 22. L’uomo gridò in maniera impressionante, movendo verso di lei. La ragazza saltò dalla bicicletta e fuggì.

    Un certo Ciabatti, che abita a Galciana, a sua volta ha riferito che, mentre transitava per una stradetta di campagna guidando per la cavezza un somaro, udì un grido impressionante e intravide un ciclista che muoveva verso di lui agitando un bastone: fece in tempo a scansarsi per non ricevere in testa un colpo.

    Prima parte - Narciso cacciatore

    Il modello

    1.

    La notte del 21 agosto 1968, Barbara Locci (casalinga, 31 anni) e Antonio Lo Bianco (muratore, 29 anni) vengono uccisi con otto colpi di pistola calibro 22. Entrambi sposati, si erano appartati nell’auto del Lo Bianco in un viottolo di Signa. Rimane incolume il figlio seienne della Locci, Natalino, che dormiva sul sedile posteriore; dopo il delitto qualcuno ‒ verosimilmente l’assassino o uno degli assassini ‒ lo accompagna fino a una casa distante poco più di due chilometri, dove Natalino dà l’allarme.

    Poiché alla Locci vengono attribuite numerose relazioni extraconiugali, le indagini dei carabinieri si rivolgono innanzitutto al marito, un manovale di nome Stefano Mele. Questi accusa vari amanti della moglie, poi anche se stesso. In particolare, finiscono sotto la lente degli investigatori due fratelli, sardi come il Mele e la Locci: Salvatore e Francesco Vinci (quest’ultimo già noto alle forze dell’ordine). Gli inquirenti, evidentemente ansiosi di liquidare ciò che ritengono un

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