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Il Papa Straniero (Volver)
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E-book480 pagine7 ore

Il Papa Straniero (Volver)

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Info su questo ebook

Tra l’Argentina e la Basilicata accadono inquietanti vicende: un’anomala coalizione fra Sovranisti e Stellati, favorita alle Regionali del marzo 2019, viene invece battuta dal Centrosinistra guidato da un “Papa Straniero”, un prof di filosofia rientrato dopo 15 anni da Buenos Aires, dove fa il musicalizador in un’importante milonga.
Nick, leader della rivolta popolare del 2003 contro il deposito unico delle scorie nucleari a Scanzano, ritrova Diletta, sua ex alunna, diventata avvocato e tornata nelle file del PD dopo una deriva fra gli Stellati: fra i due nasce una storia d’amore scandita dal Tango argentino, che pervade tutto il romanzo.
Per punire i “ribelli lucani” il governo centrale ripropone il deposito delle scorie a Scanzano, ma la risposta è un Referendum per la Secessione della Basilicata dall’Italia in occasione delle Europee del maggio 2019; la decisione matura in Nick dopo un pellegrinaggio alla tomba di Rocco Scotellaro a Tricarico al termine di un viaggio virtuale nel quale ripercorre la saga della sua famiglia di contadini socialisti iniziata nel 1890.
     La narrazione si sviluppa tra flashback e colpi di scena, fino all’imprevedibile epilogo.
Una storia che é soprattutto un atto d'amore per il Tango.
LinguaItaliano
Data di uscita24 giu 2021
ISBN9791220818605
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    Anteprima del libro

    Il Papa Straniero (Volver) - Nicola Corona

    1. Buenos Aires, sabato 27 ottobre 2007.

    Al Club Gricel

    Entrarono in tre, con discrezione, senza i modi bruschi che di solito hanno le guardie del corpo quando ispezionano il luogo dove sta per entrare la persona che hanno in custodia.

    La cassiera indicò il tavolo che era stato loro assegnato; lo esaminarono con scrupolosità, un’occhiata attenta a quelli vicini e poi, con un cenno verso la porta, diedero l’OK al suo ingresso.

    Nick la vide entrare con la coda dell’occhio mentre alla consolle con il suo MacBook stava preparando i quattro brani di tango della tanda successiva, tutti naturalmente della stessa orchestra e più o meno dello stesso periodo di incisione, da far suonare attraverso il programma iTunes e un discreto impianto di amplificazione.

    Da tempo stava pensando di far comprare un giradischi di ultima generazione per ritornare al suono autentico dei dischi in vinile di una volta, ma con quei chiari di luna era difficile che il proprietario della sala lo potesse accontentare, magari doveva provvedere lui direttamente.

    La donna si tolse gli occhialoni scuri, il soprabito e il foulard annodato ai capelli, li porse a un bodyguard e si sedette per calzare le scarpe rosa shocking che l’uomo aveva tirato fuori da un sacchetto di raso nero; quando si rialzò la si poté ammirare in tutta la sua avvenenza.

    Un abito molto attillato e scollato e con un lungo spacco sulla sinistra metteva in mostra un fisico ben fatto: la pelle d’ebano, le gambe snelle, tornite e belle (come nella canzone Bellezze in bicicletta), un seno sodo e ben proporzionato, non esuberante, capelli appena più corti di quelli che si vedevano nelle foto ufficiali, che incorniciavano un volto apparentemente duro.

    Mentre le guardie del corpo si appostavano, sempre con discrezione, in punti strategici della milonga, lei si sedette e accavallò le gambe lasciando per un attimo intravedere uno slip, forse un tanga, dalla tonalità rossa leggermente diversa da quella dell’abito che indossava.

    Si mise in paziente attesa con il viso rilassato e un leggero sorriso, di tanto in tanto sorseggiando il Bourbon che le avevano servito, pronta a cogliere una mirada - lo sguardo continuo e sostenuto da parte di qualche cavaliere, costituente un invito a ballare secondo un codice comportamentale del tango - ma per lunghi imbarazzanti minuti nessuno dei tangueros presenti, molti dei quali l’avevano sicuramente riconosciuta, ebbe il coraggio di farla.

    Toccava perciò a Nick: cambiò la tanda che aveva appena preparato e ne fece partire un’altra, dell’orchestra di Osvaldo Fresedo, il cui primo brano era Buscándote con il cantante Ricardo Ruiz.

    Dopo una ventina di secondi si alzò dalla consolle, le si pose di fronte e la guardò con insistenza: lei corrispose alla mirada sostenendo lo sguardo quasi con sfrontatezza e abbozzando un sorriso; allora Nick abbassò impercettibilmente la testa come ulteriore segnale di conferma, facendo il cosiddetto cabeceo.

    La donna, ripetendo quel gesto, si alzò e percorse con passo felpato la metà della distanza che li separava, mentre le altre coppie giravano al largo da quella scena da film cult; lui le venne incontro con lo stesso tipo di passo fino a quando rimasero a circa mezzo metro di distanza.

    Con il tacco otto, lei raggiungeva il metro e ottanta del suo partner, che la avvolse senza fretta nell’abbraccio standard del tango: la mano sinistra prese morbidamente la destra di lei stabilendo comunque una connessione stabile; non smettendo di guardarla negli occhi, con l’altra mano la cinse fino al di sotto della scapola destra, tastando la morbidezza della pelle, mentre lei appoggiava la sinistra sulla spalla destra del partner, senza spingersi più giù.

    Nick colse l’attimo di debolezza di quella che sembrava una Dark Lady e la costrinse nella postura milonguera: guancia a guancia, i petti aderenti, le gambe e i bacini appena lontani, con i corpi che, ballando, avrebbero disegnato dinamicamente una specie di V rovesciata; e lei, suo malgrado, dovette spingere la sua timida mano destra fino al fianco del suo partner.

    Senza fretta si dondolò impercettibilmente testando più volte l’abilità della donna a cambiare il peso sulle gambe: la lentezza era dovuta anche allo Chanel n. 5 che saliva dal corpo di quella gazzella - un po’ stagionata per la verità - che stava abbracciando, e che lo inebriava come sempre; si compiacque che prima di alzarsi dalla consolle si fosse spruzzato un po’ di Dolce e Gabbana: almeno poteva competere alla pari, quanto ad effluvi.

    Proprio quando stava per iniziare la parte cantata (Vagar, con el cansancio di mi eterno andar…) Nick finalmente partì: un passo indietro con la gamba destra, poi uno laterale con la sinistra, destra in avanti un po’ fuori rispetto alla direzione di ballo, poi la sinistra a rientrare e chiusura con il piede destro che si affiancava al sinistro, mentre con un’impercettibile rotazione del busto induceva la partner, che aveva fatto passi simmetrici ai suoi, a incrociare la gamba sinistra davanti alla destra.

    Erano i primi cinque movimenti della classica salida básica - cioè la uscita di base, la sequenza fondamentale del tango nelle prime fasi didattiche - che poi concluse con gli altri tre movimenti: sei, sinistra in avanti, sette, destra di lato e otto, sinistra a chiudere unendosi alla destra.

    Era stato una specie di rapido test, alla fine del quale aveva avuto l’impressione che lei fosse poco più che una principiante.

    Il tempo di continuare il test con delle figure un po’ più impegnative, l’ocho atrás con sanguchito, la parada e la sacada, che il primo brano della tanda terminò.

    Si sciolsero dall’abbraccio milonguero e prima che partisse il secondo tango, rispettando una delle regole fondamentali della milonga, secondo la quale ci si può parlare solo durante le pause fra un brano e l’altro, le rivolse la parola: «Do you like Fresedo

    «Claro que sí… ma perché non mi parli in spagnolo? Immagino che tu sappia che lo conosco.»

    «Vale, de acuerdo…»

    Nel frattempo era iniziato Niebla del Riachuelo, un tango del 1937 abbastanza lineare nella composizione, con le lunghe frasi musicali di Juan Carlos Cobián che facevano da pendant ai dodecasillabi del poeta Enrique Cadícamo, i quali descrivono mirabilmente il porto di Buenos Aires della fine degli anni ’30 che, avvolto nella nebbia e diventato "torvo cimitero di navi moribonde", fa da sfondo alla fine di un amore.

    E nel estribillo, il ritornello, Roberto Ray cantava tutta l’amarezza del poeta:

    Quel brano si prestava a un’interpretazione apparentemente facile, una semplice caminata senza passi e figure complesse, ma solo con ripetuti incroci della dama, frequenti cambi di direzione e diversi adornos, abbellimenti fatti con pause e movimenti aggraziati delle gambe, dell’uno e dell’altra; quindi Nick la condusse in lungo e in largo per il salone del Club Gricel mentre gli altri ballerini, forse un po’ intimoriti da una sopraggiunta maestosità di quella coppia, le lasciavano più spazio del necessario; conclusero il tango senza aver fatto neppure un ocho o una parada.

    Alla fine del brano disse: «Non mi sono ancora presentato, scusami, sono Nick, ma qui mi chiamano don Nicolás del Arrabal, è il mio apodo, il soprannome, come musicalizador

    «Io sono Megan, encantada!» rispose lei, mentre si accomodava con voluttà nel nuovo abbraccio per il terzo brano, Canto de amor.

    Questa volta Nick decise di condurla in figure e passi più complessi, abbandonando l’abbraccio milonguero per potersi muovere con maggiore dinamismo: lei sembrava estasiata, rispondeva docilmente alle nuove sollecitazioni e quando sorrideva mostrava tutta la bellezza dei suoi denti bianchissimi.

    Lui, che aveva corretto un po’ il rating iniziale del suo livello di preparazione (da CCC a BCC), non potette fare a meno di ricordare Las perlas de tu boca, un bolero-danzón degli anni 30 del musicista cubano Eliseo Grenet cantato da Barbarito Díez:

    Si ripromise di farlo ascoltare appena possibile come cortina, quel brano di un genere musicale diverso dal tango che si mette alla fine di una tanda per la durata di un minuto circa, onde consentire ai ballerini di tornare ai propri tavolini e/o di cambiare partner.

    Aveva scelto come quarto, ed ultimo pezzo, Vida mía, forse il più romantico di una delle più romantiche orchestre di tango, e disse a Megan: «Questa è la versione solo strumentale che nel 1956 Osvaldo Fresedo registrò dal vivo insieme al suo amico trombettista nero Dizzy Gillespie, qui a Baires nel night club Rendez-Vous Porteño. È uno dei primi esempi di contaminazione del tango con il jazz - quella che avrebbe fatto poi Astor Piazzolla - ed è un omaggio alla musica del tuo paese…ti piacerà!»

    Alla fine del brano la riaccompagnò al tavolo e le baciò la mano, proprio come un gentiluomo d’altri tempi. Ritornò alla consolle mentre stava suonando come cortina un famoso hit di Aretha Franklin, I say a little prayer di Burt Bacharah.

    Guardò verso il tavolo di Megan e la vide mentre sollevava il bicchiere di Bourbon in segno di brindisi; le sorrise.

    Dopo una quarantina di secondi partì la tanda successiva e Nick notò compiaciuto che don Miguel Hernández, un arzillo tanguero di una ottantina d’anni e più che frequentava il Club Gricel vestito sempre in maniera inappuntabile, con doppiopetto a righe blu, il collo della camicia inamidato e la pochette nel taschino intonata con la cravatta regimental, si era fatto coraggio e avvicinandosi al tavolo di Megan le aveva proposto la mirada.

    La donna aveva accettato l’invito e ballato di buon grado con il vegliardo che aveva sfoderato tutta la maestria di oltre sessant’anni di pratica: aveva cominciato a ballare nei mitici anni ‘40 con le orchestre di Juan D’Arienzo e Carlos Di Sarli, ricordava un giovane Piazzolla suonare il bandoneón in quella di Aníbal Troilo e aveva applaudito Osvaldo Pugliese ai suoi esordi.

    Mentre partiva Las perlas de tu boca, don Miguel, riaccompagnando Megan, si presentò e cominciò a parlare dell’Età dell’Oro del Tango, traducendo subito in inglese le parole che pronunciava in lunfardo, il gergo, o argot, dei bassifondi di Buenos Aires e Montevideo diventato un linguaggio parallelo allo spagnolo. Rimasti in piedi vicino al tavolo, lei lo stava ascoltando con grande attenzione.

    Quando il primo brano della tanda di tango-vals in corso stava per finire, don Miguel si rese contò di averla trattenuta oltre il limite e si scusò: «Pero, vos… forse volevi continuare a ballare?!»

    Megan scosse il capo con un sorriso un po’ imbarazzato, ma sopraggiunse Nick: «No te preocupe, don Miguel, estoy aquí…» e la cinse in un abbraccio un po’ più aperto di quello milonguero.

    Aveva scelto deliberatamente di mettere tre brani di tre orchestre differenti per dare tre interpretazioni diverse del vals porteño; ballarono gli ultimi due in maniera più che travolgente. Ritornando al tavolo, Megan ripetette più volte: «¡Qué rico… qué locura! »

    E lui, di rimbalzo: «E fra un po’ vedrai la milonga!»

    All’inizio della tanda successiva la donna si girò di lato in maniera molto plateale e quindi rifiutò la mirada insistente di un tipo che sembrava la reincarnazione di un compadrito in cerca di avventure, o di guai, poi fece un cenno a una delle guardie del corpo indicandogli l’uomo; dopo qualche minuto il bellimbusto lasciò la sala imprecando sottovoce.

    Nella mezzoretta che seguì Megan accettò di ballare solo con un giovanotto timido che aveva l’aria di essere un Maestro alle prime armi, e di nuovo una tanda con don Miguel, mentre Nick per simmetria ne fece una magistrale con Julie, una sua vecchia amica, una settantenne ancora piacente che non voleva arrendersi, e che gli fece molte domande sulla dama misteriosa; lui se la cavò in maniera evasiva.

    Mentre stava per mettere la tanda di milonghe dell’orchestra di Francisco Canaro che aveva scelto, gli si avvicinò il bodyguard che Megan aveva chiamato prima. Gli si sedette vicino e disse:

    «La Signora vuole… vorrebbe cenare con lei. Per motivi di sicurezza, che comprenderà, dobbiamo andare via subito, anche perché la Signora domani ha un importante impegno. Però non si cambi le scarpe, ci siamo permessi di pensare a un musicalizador che possa sostituirla…» e fece cenno a un signore appena entrato.

    Nick riconobbe e salutò, agitando appena la mano, El Tano Orlando della milonga El Beso, evidentemente caricato su un’auto e portato lì di corsa.

    Gli vennero in mente le scene de Il Padrino con la cabeza del cavallo mozzata e l’offerta che non si può rifiutare; disse fra sé e sé: «Maledetti yankees, pensano sempre a tutto, loro…».

    Ma in fondo era contento di quello che stava accadendo perché Megan, se pur fosse stata una Dark Lady predatrice e l’avesse trascinato nel suo letto, era veramente attraente.

    Non si cambiò più le scarpe, raccolse le sue cose e fece le consegne al Tano Orlando; il bodyguard gli si avvicinò:

    «La Signora probabilmente dopo cena vorrà ballare ancora un po’, compresa questa tanda di milonghe che le abbiamo fatto saltare. Non si preoccupi, abbiamo tutto qui, un migliaio di brani… – disse mostrandogli uno dei primi esemplari dell’iPhone, che era stato messo in vendita qualche mese prima – … con questo gioiellino abbiamo anche scattato le foto e registrato i video delle vostre esibizioni; poi le faremo avere una copia, se è il caso. Intanto mi segua nel taxi che ci aspetta fuori.»

    «Malditos yanquis, pensano sempre a tutto, loro» ripetette Nick con un sorriso…

    2. Buenos Aires, giovedì 21 febbraio 2019.

    Al Corazón de Lima

    El Corazón de Lima è uno dei migliori ristoranti peruviani di Buenos Aires, proprio all’imbocco di Puerto Madero, lussuoso quartiere residenziale derivato dalla riconversione di un’area portuale lungo il Río de la Plata.

    Arredato con stile minimalista sin dalla sua apertura, con tavoli di cristallo e sedie trasparenti, qualche originale e molte riproduzioni dei quadri di Fernando Botero, offre un ampio salone per le cene aziendali ed eventi, oltre a delle salette riservate.

    In una di queste salette, i tre emissari della Basilicata erano a colloquio con Nick e Paquita, mentre Palmiro e Gerardo, il presidente della Federazione delle Associazione dei Lucani in Argentina, con le rispettive consorti, facevano da padroni di casa.

    Vito fece un riassunto abbastanza preciso e circostanziato delle vicende politiche, partendo dalle Primarie della legislatura precedente, che avevano visto la sofferta vittoria di Michele, fino all’avviso di garanzia del giorno precedente al candidato del Centrosinistra.

    Paquita discendeva da una famiglia di genovesi giunta addirittura attorno alla metà dell’Ottocento, e stabilitasi nel barrio della Boca, detto così perché posto alla confluenza - imboccatura - del fiume Riachuelo nel grande estuario del Río de la Plata.

    Comprendeva poco l’italiano, e quindi era spesso soccorsa da Nick e dalle altre due signore che le spiegavano in spagnolo i passaggi più complicati.

    Nick riassunse così: «Mi amor, questi mi stanno chiedendo di lasciare Baires, tornare in Italia, presentarmi alle elezioni e tentare di diventare il Governatore della Basilicata… e tu diverresti la first lady. Ti andrebbe?»

    «Mi amor, io non ho capito molto bene che cosa stanno dicendo i tuoi amici, ma temo che ti vogliano trascinare in un’avventura pericolosa.»

    «Tranquila, Paquita, adesso sistemiamo tutto…»

    Il ceviche era particolarmente buono, d’altra parte era una delle specialità nel ristorante e Nick si fece scappare: «Lo assaggiai quando venni qui la prima volta, anni fa, lo avevano appena inaugurato… eccezionale già allora…»

    «Mi amor, non mi avevi detto che eri già stato qui… con chi stavi?»

    I commensali si resero subito conto che Paquita era una persona particolarmente gelosa, anche e soprattutto in maniera retrospettiva, perché Nick balbettò a metà fra l’imbarazzato e l’infastidito:

    «Beh, francamente non ricordo chi c’era con me… tu certamente no, perché non ci conoscevamo ancora… allora, ti stavo dicendo, devi venire con me in Italia perlomeno per un mese per fare una campagna elettorale all’ultimo sangue, ho bisogno di te per vincere!»

    «Ci vorrei pensare, Nicolás, sono frastornata, sai bene che avevamo altri progetti…»

    «Mi accompagnate a fumare una sigaretta?» chiese subito dopo alle signore. Patricia, la compagna di Palmiro e Asunción, la moglie di Gerardo, si alzarono e l’accompagnarono fuori del ristorante.

    «Stai messo un po’ male, don Nicolás…» annotò sarcastico Paolo, ma si pentì immediatamente dell’eccesso di confidenza e cercò di scusarsi.

    Nick, però, lo stoppò: «Non ti preoccupare, Paolo, ha sempre del sangue genovese nelle vene… è un po’ gelosa e un po’ tirchia, ma in fondo è molto affettuosa… poi è ricca di suo, il che non guasta di questi tempi… soprattutto, sa ballare molto bene il tango!»

    «Ecco, pensi sempre al tango, ma adesso ti devi concentrare sulla politica… solo tu ce la puoi fare e ci puoi salvare dalla deriva stellato-sovranista…» disse Alberto, a metà fra l’accorato e il deciso.

    «Da quando tempo la conosci? non l’avevo mai vista… non mi pare frequenti l’Istituto Italiano di Cultura e le nostre Associazioni.» disse Palmiro, già deputato e consigliere regionale del vecchio PCI, poi uno dei fondatori delle Associazioni dei Lucani nel Mondo, stabilitosi da una decina d’anni, per amore, a Baires, dove svolgeva un’intensa attività culturale a supporto degli italo-argentini.

    «Sì, queste famiglie di origine ligure sono ormai argentine a tutti gli effetti, d’altra parte molte stanno qui da 150 anni e più… i legami si sono allentati.» confermò Gerardo, facoltoso imprenditore del settore edile, anche lui punto di riferimento per tutti i Lucani in Argentina.

    «Cardiologa, 55 anni, divorziata senza figli, tifosa sfegatata del Boca Juniors, le dico sempre che dobbiamo far fare un gemellaggio con la mia Juve… è molto attiva nel settore del volontariato, tanto è vero che ci siamo conosciuti un paio di anni fa a una raccolta fondi per i nativi della Terra del Fuoco. Però stiamo insieme solo da due mesi e per il momento viviamo ancora separati… proprio l’altro giorno mi ha chiesto di andare a vivere da lei, qui in un attico a Puerto Madero. E mo siete venuti voi a rompere le scatole, per questo è andata fuori a fumarsi una sigaretta, fuma raramente…» Nick interruppe l’identikit perché le tre donne erano rientrate nella saletta.

    Paquita si sedette, strinse la mano di Nick e sorrise: «Ci ho pensato, ho parlato con loro: se tu lo vuoi io ti seguo… non so se ti potrò essere utile, ma ti seguo. Sai però che non posso partire subito, ho il passaporto scaduto e lo devo rinnovare, poi devo chiedere il permesso, anzi le ferie, in ospedale, mi ci vorrà almeno una settimana, dieci giorni… ma dopo ti raggiungo!»

    Un applauso prolungato e un brindisi con calici colmi di Cartizze festeggiarono e ratificarono la decisione della donna.

    La conversazione si era spostata sull’attualità con la crisi economica di nuovo galoppante, i soliti errori della politica liberista con la sudditanza al capitalismo finanziario, una costante nella storia dell’Argentina, quando lo smartphone di Vito si mise a squillare.

    «È Michele… che vorrà?… in Italia sono le tre del mattino.» e poi, rispondendo: «Presidente, che è successo?… cosa? ma non è possibile… ma allora c’è una talpa fra di noi… e mo ci possono fottere… sì, qui c’era qualche problema, ma l’abbiamo risolto… solo che adesso diventa tutto più difficile… va be’, ci teniamo aggiornati e ci vediamo comunque sabato verso le 11 e 30 alla Corte d’Appello… ok, mi raccomando, preparate tutto per bene…»

    «Andiamo fuori, ché voglio fumarmi pure io una sigaretta, ve lo dico là…»

    Vito raccontò la lunga telefonata: a Michele nel cuor della notte era stato riferito da un informatore che i dirigenti Stellati e quelli Sovranisti, avendo saputo della possibile candidatura di Nick ed essendosi letteralmente spaventati, avevano improvvisamente deciso di presentarsi con un unico candidato, quello del Centrodestra. La cosa non era stata facile, perché gli Stellati non la volevano mandare giù di rinunciare alla loro lista identitaria e al loro candidato; poi alla fine era arrivato il placet/diktat del capo politico del Movimento, della Casamadre Associati e addirittura di Beppe l’Elevato, notizia che era stata confermata a Michele anche da suo fratello Antonio da Roma.

    Si erano fatti i conti: separati avrebbero perso sicuramente di fronte a un Centrosinistra con quella leadership; uniti la si vinceva facilmente.

    Tutto si era svolto in ventiquattrore, in maniera convulsa fra i dirigenti ma nel massimo riserbo, senza neanche passare, naturalmente, per la piattaforma Montesquieu. A quell’ora, essendosi cominciata a spargere la voce, il Web iniziava a ribollire con le notifiche di abbandono, gli insulti e così via, ma ormai era deciso e magari la cosa, chissà, poteva essere un test per le Europee.

    Rientrarono nella saletta e ripresero a cenare, commentando l’accaduto un po’ demoralizzati e ipotizzando scenari non proprio favorevoli.

    «Beh, a maggior ragione adesso non mi posso tirare indietro… forza, ce la possiamo fare, ce la faremo… a proposito, mi ricordate a che ora c’è l’aereo domani?» cercò di rincuorarli Nick.

    3. Buenos Aires, sabato 27-domenica 28 ottobre 2007

    Al Corazón de Lima, anni prima

    Le tre berline blindate e il taxi si fermarono vicino a un ristorante peruviano, El Corazón de Lima, inaugurato appena la settimana prima, proprio all’imbocco di Puerto Madero; fra le specialità della casa il ceviche, a base di pesce crudo e frutti di mare, marinati nel limone e arricchiti di spezie.

    Entrarono come al solito prima i tre bodyguards, che dopo qualche minuto fecero un cenno di OK a quello che sembrava il loro capo; questi, conducendo Nick attraverso una porta di servizio, gli disse che avrebbe trovato nel ripostiglio accanto al bagno l’occorrente per cambiarsi d’abito, se l’avesse voluto: «Spero di aver indovinato la taglia… per le scarpe mantenga quelle da tango, così se la Signora vorrà ballare sarà già pronto!»

    Nick ebbe l’impressione di trovarsi sul set di un film di James Bond, impressione che si consolidò quando, dopo aver indossato lo smoking, entrò nella saletta riservata: luci soffuse, un tavolo di cristallo già apparecchiato, sedie trasparenti, alle pareti un originale e qualche copia dei quadri di Fernando Botero, un vaso con un’imponente pianta esotica, in sottofondo brani strumentali dell’orchestra di Osvaldo Pugliese, Recuerdo, A Evaristo Carriego, Gallo ciego, La Yumba.

    Si mise a passeggiare con le mani in tasca, pensieroso e un po’ nervoso, guardando ogni tanto il suo Nokia per vedere se gli fosse arrivato qualche messaggio. L’aria condizionata e la presenza di un ampio aspiratore sul soffitto, in corrispondenza del tavolo, lo autorizzarono a prendere da una scatola di legno che stava lì un Cohiba Robusto e ad accenderlo. Dopo un po’ apparve la Signora, più elegante e affascinante che mai: un tailleur-pantalone bianco, probabilmente di Versace, un filo di perle su una camicetta rosa, un make-up più sofisticato, ancora con le scarpe da tango; il profumo, ça va sans dire, era sempre Chanel n. 5.

    Lo osservò e disse: «Caspita, mister Bond!… sembri proprio Sean Connery giovane in Goldfinger

    «E tu, se ti tagliassi i capelli, saresti uguale a Jinx, la Bond girl di La morte può attendere!» fece Nick, tempestivo e galante.

    «Davvero? Sei un adorabile bugiardo… Halle Berry ha la pelle scura ma è molto più bella e giovane di me!»

    Mentre si sedeva - lui, naturalmente, dopo aver lasciato il sigaro nel posacenere e averle baciato la mano, le aveva spostato la sedia - esordì senza preamboli:

    «Domani c’è la festa di commiato del Presidente Kirchner che termina il suo mandato e George W. non è potuto venire per un improvviso malanno; il vicepresidente è in Cina e non fa in tempo a raggiungerci… rappresento io il mio Paese!»

    «È stato un buon Presidente, Néstor, e sono certo che sua moglie Cristina saprà fare come lui… io sono un loro sostenitore, sono peronista…» rispose con garbo Nick.

    «Sì, però così si crea una dinastia…»

    «Sì, però anche George W. è figlio di George…»

    «Come immagino tu sappia, noi non siamo molto favorevoli a questo governo! E comunque rispettiamo la volontà del popolo argentino…»

    «Beh, non sempre lo avete fatto… non solo qui, ma in tutta l’America Latina… scusami, non credo sia il caso che mi metta a polemizzare con te, c’è troppa sproporzione di forze!»

    Megan tirò fuori dalla borsetta il suo iPhone, una specie di bip l’aveva avvertita di un messaggio in arrivo.

    «Scusa un attimo… – sussurrò alzandosi dal tavolo, si allontanò e per qualche minuto lesse qualcosa nello smartphone, poi tornò a sedersi – già, tu in Italia eri un esponente di quel sindacato di sinistra, la CGIL… e quindi qui sei diventato peronista!»

    «È incredibile! già ti sono arrivate le informazioni sul mio conto, già sai tutto di me! E poi dite che non siete i padroni del mondo… scusami un’altra volta, forse è meglio che parliamo solo di tango, io e te… e lo balliamo! Magari riprendendo da quella tanda di milonghe che avevo preparato…»

    «No, perché? Dopo, magari… intanto voglio parlare un po’ con te… mi incuriosisci…» disse Megan, con dolcezza.

    «Come il ragno con la mosca che ha appena catturato?» ribatté Nick con un po’ di sfrontatezza, pensando che doveva comunque reagire a quell’assedio suadente.

    «No… semmai sono io che mi sono sentita persa, come in trappola, quando mi hai avvinta in quell’abbraccio - come si chiama? - milonguero… Lo avevo letto, ne avevo sentito parlare, ma non immaginavo che fosse così…»

    «Non mi dirai che è la prima volta che vieni in una milonga, o addirittura che è la prima volta che hai ballato un tango? Non ci posso credere!»

    «È proprio così, don Nicolás…il tango mi ha sempre affascinato: lo ascolto, lo suono al pianoforte, specie Piazzolla, ma mai ballato. Un mesetto fa, in vista di questo viaggio a Baires ho guardato dei filmati su YouTube e ho provato anche dei passi da sola, pensando che, se avessi potuto, avrei fatto una capatina in una milonga almeno per osservare… tutto qua… il resto è merito tuo, anche se mi hanno aiutato gli studi di danza classica…» e sfoderò un sorriso ammaliante, stringendo la mano di Nick. Dopo un paio di secondi lasciò la presa con un po’ di imbarazzo.

    «Beh, all’inizio pensavo che tu fossi poco più che una principiante, poi ti ho aumentato un po’ il rating… è proprio vero che il tango fa miracoli, proprio quelli che non ti aspetteresti.»

    Nello stesso momento dall’impianto stereo partirono le note di Adiós Nonino e gli occhi di Megan si inumidirono.

    «Mi fa pensare al mio povero papà… è il tango più bello che sia mai stato scritto.» disse con voce rotta dall’emozione; si accese una sigaretta.

    «È vero, Astor Piazzolla lo compose nel 1959 dopo la morte del padre Vicente, i nipoti lo chiamavano Nonino, con una enne sola; poi nel 1963 Eladia Blázquez scrisse dei versi meravigliosi:

    … e sai chi lo sta eseguendo?»

    «Il Sexteto Mayor, naturalmente!» rispose sicura Megan.

    «Brava!… pensa che uno dei suoi fondatori, José Pepe Libertella, era un cugino di mio padre.»

    Gli sguardi si incrociarono ancora una volta; senza dire una parola i due si alzarono e si misero a ballare: una performance magistrale, con lunghe pause e adornos vari che la donna ormai aveva imparato a fare, memore anche dei tutorial di YouTube.

    Tornarono a sedersi proprio quando i camerieri stavano portando la prima pietanza, naturalmente il ceviche.

    Il sommelier si avvicinò con la carta dei vini, ma Nick senza consultarla disse che avrebbe preferito un Prosecco italiano, magari un Cartizze.

    «Anche a me piacciono le bollicine, specie questa sera…» disse ridendo Megan.

    Camerieri e sommelier dopo un po’ ritornarono portando un paio di cestelli di ghiaccio con il Cartizze, un rosso di Mendoza, il Malbec, e un vassoio con del pollo in salsa, l’altrettanto classico ají de gallina.

    «Stavamo parlando di politica, compañero…» disse la Dark Lady con un tono un po’ canzonatorio.

    E continuò: «Sei un comunista?»

    «Allora non ti sono ancora giunte tutte le informazioni sul mio conto! No, sono un socialista, ero del partito di Bettino Craxi prima che delle strane vicende che tu conosci - e nelle quali c’è sicuramente il vostro zampino - distruggessero la cosiddetta Prima Repubblica italiana… caspita, ho un’occasione più unica che rara per conoscere che cosa è veramente successo!» disse con una certa enfasi Nick.

    «Dimmi, che cosa vuoi sapere?»

    «Gliel’avete fatta pagare cara la vicenda di Sigonella a Bettino! Avete atteso un po’ di anni, dal 1985 al 1992, ma poi in combutta con i poteri forti italiani lo avete disarcionato!… L’anno scorso ho conosciuto José Pepe Mujica, l’ex guerrigliero Tupamaro che è stato una dozzina d’anni in carcere, oggi ministro del governo dell’Uruguay… bene, mi ha confermato che i socialisti italiani hanno finanziato a lungo tutti i Movimenti di Liberazione dell’America latina, gli oppositori delle dittature, qui in Argentina, in Cile, in Uruguay, in Brasile, mentre voi stavate dalla parte dei gorilla, dei generali golpisti, da Pinochet a Videla, che avevate foraggiato e insediato… e i soldi delle tangenti italiane ai socialisti, magari anche di qualche vostra fottuta multinazionale, finivano quaggiù a chi combatteva il vostro inumano, arrogante imperialismo! E questa cosa non la potevate mandare giù!»

    Nick si accalorò, ritenendo che il vantaggio che gli derivava dall’essere il maschio che conduce il tango lo mettesse al riparo dalle possibili reazioni di chi in quel momento era forse la femmina più potente al mondo.

    Ma la Dark Lady, recuperando tutto il suo freddo aplomb, rispose a tono: «Ehi, muchacho, non ti scaldare troppo… datti una calmata!»

    Seguirono alcuni minuti di un gelido silenzio, durante il quale i due commensali, gioco forza, dovettero concentrarsi sulle pietanze; Nick riempì il calice di Megan, che sorseggiò il Cartizze fissando il suo interlocutore con uno sguardo che non ammetteva repliche e questi, per quanto si sforzasse, non riuscì, alla fine, a non abbassare gli occhi: una specie di mirada alla rovescia.

    Le prime note di Libertango riequilibrarono la situazione: nelle menti di entrambi si proiettarono le travolgenti sequenze finali del film Lezioni di Tango di Sally Potter e i due, senza se e senza ma, si ritrovarono a ballare vorticosamente, anche se lo spazio della saletta non era il massimo. Quando si sedettero erano un po’ accaldati, si tolsero le giacche e rimasero in camicia.

    «Tanto, non dobbiamo dare conto a nessuno…» fece sornione Nick, che aveva intuito che il clima era di nuovo cambiato a suo favore.

    «Che mi stavi dicendo, mi amor?» sussurrò dolcemente Megan, prendendo la mano destra di Nick fra le sue.

    «Bettino se n’è andato in Tunisia, in esilio, e non ha affrontato i processi perché altrimenti ne sarebbero andati di mezzo i suoi figli!… Sì, è vero, era già malato di diabete e questo ne ha sicuramente minato la capacità di resistere, ma l’argomento decisivo furono le minacce esplicite in tal senso che ricevette da qualcuno, forse dalla ‘ndrangheta! E non è una leggenda metropolitana! Solo tu me lo puoi confermare… c’era sempre la CIA di mezzo, ne sono certo. Craxi era un combattente nato, figurati se lui aveva paura dei giudici! A gennaio dell’anno prossimo saranno già otto anni che è morto… penso di andare ad Hammamet.» raccontò Nick in tono pacato.

    «Non ti posso rispondere… non ho tutte le informazioni, magari ti faccio sapere…» rispose Megan con un certo imbarazzo.

    «Come hai detto tu poco fa… sei un’adorabile bugiarda… ma lasciamo perdere questo argomento, non voglio che ci roviniamo la serata… perché non mi parli un po’ di te?»

    «La mia biografia la puoi leggere sul WEB, Nick, anche se lì non troverai tutte le sofferenze di una ragazzina nera nata in uno degli stati più razzisti degli USA, la Georgia. Non ho avuto un’infanzia molto facile, già da quando mi iscrissero a una scuola di danza classica, unica negretta fra tante pebetas rubias, bimbe bionde; non hai idea quanto ho lottato per raggiungere questi livelli… e a quelli che mi chiedono perché sono diventata una conservatrice, ti confesso, non so rispondere!»

    «Forse ti capisco… molti miei compagni del PSI, per reazione dopo le ingiustizie di Mani pulite, hanno avuto un’involuzione, una specie di mutazione genetica, un innamoramento per la destra, passando con il Berlusca… – disse comprensivo Nick – poi, fortunatamente, per molti è rientrato, ma un mio caro amico ancora adesso, ogni mattina, indossa per una mezzora una specie di cilicio virtuale per espiare la sua colpa.»

    Si udì un nuovo bip proveniente dallo smartphone di Megan, che si alzò, accese una sigaretta e si mise a leggere il nuovo messaggio; Nick, rassegnato, riprese il suo Cohiba che aveva parcheggiato nell’ampio posacenere in ceramica andina ed era ancora acceso.

    La donna tornò a sedersi e disse: «Dobbiamo continuare a parlare di te. Qui mi dicono che hai da poco compiuto 50 anni… ehm… hai tre anni meno di me… ehm… sei nato a Senise, un piccolo centro alle pendici del Pollino, nel sud della Basilicata, ma a undici anni ti sei trasferito a Potenza, ti eri iscritto ad Architettura a Napoli e facevi parte della cellula di Lotta Continua, ma poi hai abbandonato e ti sei laureato in Filosofia con una tesi sulla Città del Sole di Tommaso Campanella, sai… l’ho studiato anch’io, mi sono sempre piaciute le società utopiche…»

    «Ma sono così importante, per stare nel database della CIA o del FBI?» la interruppe Nick.

    Megan non raccolse la provocazione: «Taci… hai insegnato al Liceo Classico di Potenza, sei entrato nel sindacato scuola, sei stato uno dei leader, il più carismatico, della rivolta popolare contro il governo del Berlusca… ah, sai che c’ha provato pure con me?»

    «Scommetto che è stato in occasione di un G7 o un G8!»

    «Sì, al G8 del 2001 a Genova, quando poi successe quel macello nella caserma. Mi faceva una corte serrata, imbarazzante, ma lo gelai con un Nonno, dove credi di andare?. Ci rimase male e andò a lamentarsi con la Merkel…»

    «Fu prima o dopo di averla definita una culona inchiavabile

    «Cosa?» chiese Megan.

    «Scusa, è un’espressione che non saprei tradurre in inglese o tedesco; in spagnolo suona più o meno così: una mujer con un culo tan grande que un hombre no se la puede follar, scusa la volgarità.»

    Megan rise divertita: «Hai reso l’idea… e non è il caso mio, vero?»

    «No di certo. Nick sentì un brivido attraversargli la schiena.

    «Ma torniamo a te, dicevo che il governo di Centrodestra voleva localizzare il deposito unico delle scorie nucleari in una miniera di salgemma sita in un paese della vostra regione vicino al mare, Scan…, come si legge?»

    «Scanzàno!»

    «E tu in definitiva capeggiasti la rivolta!»

    «In realtà ci fu una grande sollevazione collettiva, e si realizzò l’unità di tutto il popolo lucano; io semplicemente, con un certo carisma e l’esperienza acquisiti nel sindacato, riuscii a mettere tutti attorno ad un tavolo, anche quelli della destra, in nome della nostra dignità di meridionali sempre calpestati dallo Stato centrale. Figurati che il 23 novembre 2003 sfilammo per sei, sette chilometri in centomila, su poco più di cinquecentomila residenti: una cosa mai vista; e il governo revocò il provvedimento.»

    «Sì… credo di ricordare qualcosa, forse mi arrivò una segnalazione da parte dell’Ambasciata di Roma… – ammise Megan che continuava a leggere il lungo messaggio sull’iPhone – … aspetta… dicono pure che a fine gennaio 2004 sei partito improvvisamente, sei venuto qui… c’è scritto after the accident… cioè dopo un incidente, una disgrazia… che accadde?»

    «Preferirei non parlartene, almeno adesso…»

    Una lunga pausa e poi: «Mia moglie Lisa e nostra figlia Marta precipitarono con l’auto da un viadotto, un mese dopo la manifestazione,

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