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Il viaggio di Luca
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E-book218 pagine3 ore

Il viaggio di Luca

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Info su questo ebook

Il viaggio di Luca, ragazzo di città timido, infantile e sognatore, nella Calabria degli anni ‘60, la sua maturazione a contatto con Andrea, in un mondo sospeso tra il nuovo e l’antico. La vicenda, legata a un tragico fatto realmente accaduto, racconta con straordinaria delicatezza la nascita di una profonda amicizia e di un tenero amore tra adolescenti. E’ il viaggio della memoria nei luoghi del passato e della fantasia, nel conflitto tra le illusioni dell’adolescenza e le realtà incomprensibili degli adulti, nel nascere dei sentimenti e nel loro approfondirsi. La natura e il paesaggio calabrese sono onnipresenti: la loro bellezza affascina e determina un desiderio di felicità e di eternità. Infine l’irrompere della violenza, che sconvolge la serenità dell’esistere e distrugge l’illusione di poter costruire un mondo migliore.

LinguaItaliano
Data di uscita14 mag 2018
ISBN9788868152857
Il viaggio di Luca
Autore

Sandro Roberti

Sandro Roberti è nato a Pescara nel 1951. Ha insegnato Letteratura italiana, Latino e Greco al Liceo classico “Ugo Foscolo” di Albano Laziale. Ha pubblicato i romanzi: Il mare di notte (Ed. Era Nuova, Perugia, 2005); Street Rod (Ed. EMMEBI, Firenze, 2008), da cui è nato il progetto dei Sindaci dei Castelli Romani in un film di impegno sociale per i giovani (sceneggiatura di Marcello Baldi, produzione Nervous Pixels); Un mondo diverso (Ed. SEAM, 2010). Attualmente collabora alla scrittura di sceneggiature.

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    Il viaggio di Luca - Sandro Roberti

    Il viaggio di Luca

    romanzo

    Sandro Roberti

    Meligrana Editore

    Copyright Meligrana Editore, 2018

    Copyright Sandro Roberti, 2018

    Tutti i diritti riservati – All rights reserved

    ISBN: 9788868152857

    Disegno di copertina: Orfeo Roberti

    Meligrana Editore

    Via della Vittoria, 14 – 89861, Tropea (VV)

    Tel. (+ 39) 0963 600007 – (+ 39) 338 6157041

    www.meligranaeditore.com

    info@meligranaeditore.com

    INDICE

    Frontespizio

    Colophon

    Licenza d’uso

    Sandro Roberti

    Copertina

    Premessa

    Licenza d’uso

    Questo ebook è concesso in uso per l’intrattenimento personale e non può essere rivenduto o ceduto ad altre persone. Se si desidera condividere questo ebook, è necessario acquistare una copia aggiuntiva per ogni destinatario. Se state leggendo questo ebook e non è stato acquisito per il vostro unico utilizzo, si prega di acquistare la vostra copia. Grazie per il rispetto all’impegnativo lavoro di questo autore.

    Sandro Roberti

    Sandro Roberti è nato a Pescara nel 1951. Ha insegnato Letteratura italiana, Latino e Greco al Liceo classico Ugo Foscolo di Albano Laziale. Ha pubblicato i romanzi: Il mare di notte (Ed. Era Nuova, Perugia, 2005); Street Rod (Ed. EMMEBI, Firenze, 2008), da cui è nato il progetto dei Sindaci dei Castelli Romani in un film di impegno sociale per i giovani (sceneggiatura di Marcello Baldi, produzione Nervous Pixels); Un mondo diverso (Ed. SEAM, 2010). Attualmente collabora alla scrittura di sceneggiature.

    Contatti:

    sandro.roberti@hotmail.it

    Facebook

    Premessa

    Nato da un fatto di cronaca realmente accaduto, il libro ha come temi fondamentali le illusioni dell’adolescenza, la scoperta del mondo, dell’amicizia, dell’amore. Può considerarsi un romanzo di formazione ed è un libro che l’autore definisce un atto da compiere e una promessa da mantenere.

    Un atto dovuto da tempo e il rispetto di un’antica promessa per ricordare la breve vita di un amico, con il quale chi scrive ha condiviso le speranze, la felicità e le illusioni di un periodo importante della propria esistenza.

    Per una circostanza del tutto casuale, la narrazione si svolge nei luoghi del confino di Pavese, nelle case e nelle strade che delimitavano l’esilio dello scrittore, ma l’esilio del racconto è quello di Andrea e di tanti ragazzi come lui, troppo presto privati per sempre dei loro sogni e poi dimenticati.

    Nel libro le attese di Andrea e del timido Luca, i sogni dell’infanzia e dell’adolescenza sono destinati a scontrarsi con delle realtà avverse che essi non immaginavano e che hanno tentato in qualche modo di cambiare.

    Se il racconto contiene soltanto una parte di quanto è apparso agli occhi e al cuore dei due protagonisti, vi sono due ragioni: la prima è l’inadeguatezza dell’autore a riportare in vita l’infinità di quell’esperienza, pur avendola in gran parte condivisa; la seconda è la necessità, per il lettore, di seguire un sentiero diritto e sicuro in cui distinguere l’essenziale, per non perdersi nel caos.

    Come ogni libro, può piacere o meno. Il giudizio non è fondamentale, è fondamentale invece tramandare la memoria.

    L’autore

    Il viaggio di Luca

    a Leonardo

    1

    L’ultima cartolina

    Le mani di Luca trattavano con immenso rispetto l’ultima cartolina. Nell’avvicinarla al volto, quasi a sfiorarla con lo sguardo, le muovevano l’ansia e l’illusione di ridestare i riflessi di un mondo, di sottrarre all’opera del tempo qualche debole indizio di vita, prigioniero del lucente cartone.

    – Sto leggendo, mamma! – rispondeva il ragazzo, quando si sentiva chiamare insistentemente e a gran voce dal lungo corridoio perché uscisse dalla propria camera e aiutasse la madre – Sto leggendo un libro, se non è una cosa urgente non mi disturbare!

    Quella mattina, dopo gli abituali litigi tra i genitori, in casa regnava finalmente uno stato di quiete, per quanto apparente e carica di tensione. Luca aveva smesso di vagare agitato per le stanze, di inseguire con ansia e con paura le folli discussioni tra il padre e la madre.

    Sentendosi più sereno, si era rifugiato nella propria stanza per non essere scoperto nel pieno del suo atto di adorazione morbosa, che lo estraniava dalla realtà circostante, lo escludeva quasi perfettamente dalle voci e dal parlottare dei genitori, dal frastuono delle auto che passavano veloci per le strade di Roma.

    Mai s’era concentrato così profondamente e a lungo, mai era riuscito a conseguire per così tanto tempo un simile stato di annullamento di ogni sensazione e di ogni disturbo che provenisse dall’esterno.

    – Sto leggendo un libro difficile e se mi interrompi devo ricominciare da capo! – aveva insistito a dire quando la madre, insospettita, s’era presentata nella sua camera, vedendo che senza motivo la porta era chiusa.

    In effetti, reggeva tra le mani un libro dall’aspetto serio e importante, ma al suo interno aveva nascosto l’ultima cartolina. Le sue dita sottili di adolescente sfioravano con religiosa devozione la lucida stampa a colori con la vista del mare di Calabria, ripreso nell’alba e nel rosso tramonto.

    Accarezzavano come in un rito religioso propiziatorio i riquadri simmetricamente affiancati con le vedute panoramiche del minuscolo paese e i grossi caratteri di un colore arancio brillante, collocati nella parte centrale, che ne indicavano lo strano nome altisonante: Brancaleone Marina.

    Al cartoncino opaco del lato opposto della cartolina non era riservata una minore considerazione: il profilo deciso della severa testa coronata raffigurata nel francobollo filigranato e il timbro circolare impresso ad arte gli conferivano un aspetto solenne e ufficiale.

    Luca ammirava la data stampata al centro della perfetta circonferenza: nella sua immaginazione, la continuità del tratto e l’assenza di sbavature simboleggiavano il discrimine tra il prima e il dopo, il breve e triste passato e l’eterno radioso futuro.

    In ciascun segno e in ogni frase leggeva un simbolo: il suo nome, riportato a chiare lettere nello spazio assegnato all’indirizzo del destinatario, indicava la palese evidenza del proprio esistere; le parole di saluto e l’invito che Andrea gli rivolgeva gli rivelavano, nella sua solitudine, l’esistere concreto dell’amicizia.

    Ne aveva ricevute di cartoline, spedite dai parenti nel corso di qualche viaggio o durante le numerose ricorrenze e festività annuali, ma era la prima volta che otteneva da un coetaneo il privilegio di una attenzione particolare, la gratificazione immensa di un sentimento che gli si rivelava esclusivo e personale.

    Sarebbe forse stata la prima amicizia della vita.

    Nel riquadro principale, situato al centro della cartolina, spiccava il mare fotografato all’alba, balzava in primo piano l’azzurro uniforme della superficie e sullo sfondo il paese consisteva in una striscia sottile, in un pugno di case basse e variopinte, subito dietro la spiaggia e le barche allineate.

    Nell’osservare con attenta insistenza, Luca notava qualche scoglio, distingueva sulla sinistra la collina, dietro i primi tetti, con la nera croce del Redentore piantata sulla cima.

    L’immagine del tramonto, al contrario, era ripresa dalla riva, volgendo le spalle al paese: cielo e mare si confondevano in ombre e tonalità stravaganti, che accomunano l’eclissarsi del sole in qualunque cartolina.

    L’assenza di ogni elemento identificabile del paesaggio impedisce a chi osserva di riconoscere i luoghi, rende tutti i tramonti perfettamente interscambiabili, ne annulla le possibili differenze senza sminuirne il fascino.

    Luca ne era irresistibilmente attratto, desiderava che esistessero davvero i rossi e i viola accesi, le tinte calde e inverosimili. Nel soffermarsi a vagare con la sua fantasia, subiva il richiamo dei tramonti, la suggestione dei colori e del successivo confondersi delle cose nella tenebrosa unità della notte, da cui nuovi universi gli sarebbero apparsi nello scenario del cielo.

    In un riquadro marginale campeggiava solenne lo stivale d’Italia, con la punta parzialmente nascosta dal nome del paese e in prossimità un grande cerchietto arancione indicava la città principale: Reggio Calabria.

    Si vedeva il lembo orientale della Sicilia, un curioso disegno che sembrava raffigurare l’Etna, e nel mare comparivano dei tratti stilizzati che intendevano rivelare i gorghi infausti di Scilla e di Cariddi.

    Un’altra immagine, quella con le panchine e gli alberi, non gli suscitava particolare entusiasmo: si intravedevano spazi angusti e poche piante, mentre Luca era abituato agli scenari delle ville ampie e sontuose di Roma, al rigoglio degli alberi del Colle Oppio, a spaziare tra i viali e le fontane grandiose e monumentali di Villa Celimontana e di Villa Borghese.

    La veduta della via principale, con l’austera e solenne facciata del Municipio, lo attirava soltanto per certe vecchie auto appena distinguibili, le cui forme lo incuriosivano ma stentava a riconoscerle. Esse gli facevano supporre che la foto fosse stata scattata molti anni prima.

    Poi Luca rimaneva a lungo ammaliato dalla tenebrosa veduta di Brancaleone Superiore, il paese antico abbandonato da tempo, che appariva in mezzo ai monti e sul quale aveva udito raccontare tante cupe leggende.

    La cartolina recava la data del 20 di giugno ed era stata recapitata a Roma una settimana dopo. L’aveva ricevuta dalle mani della madre, accolta e custodita come un dono inatteso e prezioso.

    Era certo, nella sua ingenuità, che quel rettangolo lucido di carta brillante dai mille colori gli avrebbe cambiato ogni cosa. Sentiva che la sua vita sarebbe stata completamente e per sempre rinnovata.

    Salutandoti con affetto attendo la tua venuta, c’era scritto sul lato opaco, con caratteri ampi e solenni, e in basso spiccava la firma di Andrea, nitida e ben formata. Era trascorsa un’altra settimana, durante la quale Luca più volte aveva riletto la frase, concisa come un epitaffio a futura memoria.

    Il termine affetto aveva meritato le prime approfondite riflessioni. Si poteva interpretare come un’espressione assai formale, ricorrente in tante altre cartoline, ma nell’animo di Luca aveva assunto un significato straordinariamente intenso.

    Attendo la tua venuta: nel verbo percepiva la trepidazione e l’ansia dell’amico, divenute ormai la sua ansia e la sua trepidazione, nutrite per lunghi giorni e per intere notti, in attesa della sospirata e sempre rinviata partenza per la Calabria, immaginando il volto e il corpo dell’adolescente che aveva conosciuto e frequentato per poco tempo, l’estate dell’anno prima.

    Ne manteneva un ricordo impreciso, ma dopo l’insperata rivelazione del possesso di una vera amicizia, il desiderio di ricostruirne i tratti e la voce lo costringeva a immani sforzi di memoria; eppure le fattezze di Andrea non assumevano contorni definiti, ma solo tanti e mutevoli aspetti.

    Ora rassomigliava a un volto visto di recente, ora i suoi tratti somatici si ricomponevano temporaneamente, dopo un prolungato indugiare di Luca sulle possibili forme di un naso, di una bocca, di un taglio degli occhi, tra le quali ogni volta sceglieva quelle che al momento gli apparivano più simili al vero.

    Poi toccava al colore degli occhi e dei capelli, alle tonalità della voce, alla ricostruzione dell’accento particolare che ne caratterizzava il parlare, e anche lì un fiorire di ipotesi e di scelte sempre provvisorie e sfuggenti.

    Luca si augurava che l’evidente prestanza fisica del ragazzo, della quale conservava una sicura nozione, non lo ponesse nuovamente a disagio, considerata la sua media statura e il suo fisico mingherlino.

    L’anno precedente il soggiorno di Luca a Brancaleone era stato contraddistinto da una triste brevità.

    Aveva dimorato la maggior parte dell’estate a Reggio Calabria, nella casa dei nonni materni: un buio seminterrato situato nel quartiere periferico di Sbarre, umido e stretto, dove abitavano in cinque.

    La prima volta che vi era sceso, aveva trovato il posto persino grazioso, per quella strana novità dell’abitare sotto terra, come se stesse giocando a vivere in un rifugio segreto e protetto dagli assalti del male, ma l’afa di luglio e di agosto gli aveva reso la vita impossibile: si pativano un caldo e un sudore continui e l’acqua corrente per bere e per lavarsi mancava sempre.

    Se si era fortunati, il cannello del rubinetto, gorgogliando e tossendo, riempiva in un tempo estenuante la vasca da bagno, una volta a settimana. Ciascuno travasava da lì un liquido indicibile, sporco di polveri, capelli e insetti, come se dal cielo stesse scendendo un grandioso miracolo.

    – Guarda come ci si lava! – gli spiegava il nonno – Ti versi l’acqua da questa tanica e ti sciacqui il viso e le braccia, ma non la devi far scorrere nel lavandino! Devi rimetterla nella vasca, perché è preziosa, serve per il gabinetto!

    – E se voglio fare una doccia, oppure un bagno?

    – Che vuoi che ti dica? A mare devi andare, figliolo, a mare! E poi, che noi ci mettiamo sotto la doccia tutti i giorni? Non lo sai che non fa bene alla salute?

    Così rispondeva, e gli sembrava una cosa normale.

    – Ma io non posso mica andare al mare per lavarmi appena mi sveglio! Con l’acqua salata poi? – ribatteva Luca.

    – E allora devi fare come me, con il talco e con lo spirito. Ti strofini addosso lo spirito con il batuffolo di cotone, sulle mani e sulle braccia, e ti lavi il viso con un po’ d’acqua versata dalla tanica. Il talco lo passi sotto le ascelle la mattina, prima di sudare. E poi c’è anche l’acqua di colonia, e sei pronto, bello e profumato…

    Luca si stupiva e restava sconcertato.

    In quella casa esisteva una sola finestra e a livello del suolo, attraverso la quale si vedevano camminare, oltre le sbarre della grata e la rete metallica di protezione, parti di gambe di improbabili persone o si contemplavano tristemente gomme di automobili in sosta e si respiravano vapori di olio bruciato e di benzine.

    Talvolta, passando, un cane o un gatto randagio si fermavano per qualche secondo, appoggiavano il muso alla rete, fiutavano gli odori. Allora i parenti, intenti a sventolarsi con ventagli improvvisati o seduti immobili davanti a un unico ventilatore per contrastare fiumi di sudore, insistevano perché Luca si sbrigasse a guardare, come a farlo godere di uno stravolgente e sublime spettacolo della natura.

    Un cane, s’è fermato un cane, guarda che muso grazioso e com’è intelligente! dicevano con enfasi, oppure Gli piacerebbe proprio entrare qui dentro e stare a mangiare insieme a noi!.

    Luca, la prima volta e solo per compiacerli, aveva dato alla rete un’occhiata distratta.

    Ah, sì diceva per educazione ma con malcelato disinteresse le volte successive ho visto… ho capito… .

    In quella casa sotterranea, in certi giorni particolarmente caldi e afosi, disgustose mosche vorticavano numerose e senza posa sotto il lampadario della stanza, che serviva da cucina e da soggiorno. Insistevano opprimenti sulle parti scoperte e sudate dei corpi, ronzavano avide e appiccicose sui cibi più gustosi, come orride e sudice Arpie. Impegnavano per ore l’intelligenza e l’astuzia degli strani abitanti della casa, che sembravano trarre una sufficiente motivazione per il proprio esistere in vita solo dal combattere la loro nefasta presenza.

    – Lavati immediatamente le mani, bada che l’hanno toccato le mosche! – ripeteva ossessivamente la madre, – Buttalo via quel pane, è una porcheria, ci si sono posate sopra!

    Luca si vedeva costretto a gettare nel secchio, con rabbia e con dispiacere, il buon pane scuro sul quale, con cura e soddisfazione, aveva appena finito di spalmare la marmellata di ciliegie o il formaggino.

    – Passatemi il DDT… ! – tuonava il nonno nei momenti di maggior tensione – Dove avete messo lo spruzzatore? – Afferrava da un armadietto un curioso ordigno metallico a stantuffo, lo brandiva e sterminava le mosche ovunque si trovassero. Gli altri tossivano e, maledicendo il nonno, si rifugiavano al sicuro nelle stanze.

    Il pomeriggio i nonni e la madre, esauriti da quei ridicoli appostamenti e da quelle stressanti cacce interminabili, stanchi e contrariati per aver dissipato inutilmente ogni loro energia, dormivano pesantemente su un letto matrimoniale e lo zio russava con indecenza sdraiato sull’altro giaciglio disponibile.

    Così, per sopravvivere, Luca aveva imparato presto a trascorrere il giorno per la strada, lui che a Roma godeva di ogni comodità e viveva in un’abitazione grande, bella e confortevole.

    – Mamma, io voglio uscire! – aveva detto alla madre inaspettatamente e con tono risoluto una mattina – Non mi va di stare sempre qua dentro,

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