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Il contrario dell'oceano
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E-book584 pagine8 ore

Il contrario dell'oceano

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Info su questo ebook

Roberto, ex-libero professionista che ha avuto il coraggio di cambiare vita, gestisce il 21.12, una “biblio-osteria” di Verona. Da osservatore esterno, in una calda estate, vede evolversi le esistenze e le relazioni tra i vari clienti: un gruppo di persone, eterogeneo per età e carattere, che hanno in comune la voglia di riscatto e di emergere dalla solitudine.
Tra crisi di coppia, amicizie inattese, nuovi amori e ricerche interiori, si dipanano le storie dei vari personaggi i quali, riconoscendo la propria incompiutezza, si protendono gli uni verso gli altri cercando ciascuno un alter ego o un interlocutore privilegiato.
Le loro vite si intrecciano, non sempre positivamente, regalando un quadro della società del nostro tempo, dove le “maschere” indossate in pubblico si scontrano con la realtà dei fatti in privato; a tratti divertenti, a tratti malinconici escono i caratteri dei protagonisti che a più riprese mettono in discussione le proprie vite.
LinguaItaliano
Data di uscita26 set 2016
ISBN9788822849526
Il contrario dell'oceano

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    Anteprima del libro

    Il contrario dell'oceano - Massimo Bertaiola

    http://write.streetlib.com

    Prefazioni

    prefazione I

    Il lavoro di revisione che Massimo mi ha affidato per questa sua opera prima mi ha riportato con la memoria molto indietro nel tempo, quando come giovane e inesperta insegnante ho preso servizio alla Moro di Villafranca, classi II e III F. Se molti ricordi sono sfuocati, alcuni sono nitidi e indelebili, ma soprattutto nel riandare a quel lontano 1983 e poi 1984, rivedo in quegli sguardi di adolescenti la gioia di vivere, la spensieratezza, il desiderio di comunicazione e relazione con il mondo esterno, la fiducia. Era quanto di meglio mi potessi augurare per iniziare il mio lungo e vario percorso professionale. Tra tutti i visi che in questo momento mi si affollano nella mente, quello di Massimo occupa un posto privilegiato, perché in questi trent’anni e più ogni tanto mi giungeva la sua voce e con la voce la consapevolezza che qualcosa di bello e di forte ancora mi legava alla II e III F. Massimo però non è uno che si accontenta: la voce non gli bastava, ci voleva la parola scritta nero su bianco, come dire… un romanzo. Questa è stata per me una piacevole sorpresa e una lusinghiera scoperta: per un insegnante constatare che un alunno si diletta di scrittura e di narrativa è motivo di soddisfazione e di orgoglio. Non potrebbe essere diversamente, tanto più che la storia è avvincente, ben condotta nell’intrecciarsi dei vari fili narrativi che si interrompono e poi si riannodano formando via via un quadro coerente; ricca per le svariate situazioni esistenziali e per i molti personaggi, ciascuno ben definito nei tratti psicologici; interessante per gli accenni sempre molto precisi all’ambiente che fa da sfondo alla vicenda.

    Del romanzo ho apprezzato molto il carattere corale; la fitta rete di relazioni – positive e negative – che lega i personaggi e che è lo specchio di una realtà sociale molto attuale; l’agitarsi di ciascuno nel mare dell’esistenza, mai isolato e in solitudine ma sempre più o meno consapevolmente e faticosamente proiettato verso l’altro da sé. I personaggi del microcosmo che gravita attorno al 21.12 sono tutti o quasi impegnati a migliorare la propria esistenza affrontando difficoltà, solidarizzando con chi ha bisogno di aiuto, conquistando una maggiore consapevolezza di sé e il senso di condivisione, dell’amicizia e dell’amore. Infine si può dire che hanno felicemente superato la linea d’ombra che li separa dalla maturità, ossia le prove – grandi o piccole che siano, ma qualche volta anche tragiche ed eroiche – che la vita ha riservato a ciascuno. Quello che Massimo chiama l’estate del cambiamento ha dato i suoi frutti, sciogliendo tutti i nodi e ricomponendo i pezzi della storia in un quadro armonico. Nella positività dei personaggi – non solo i buoni ma anche i cattivi – si riflette l’indole buona e generosa di Massimo, la sua visione ottimistica della vita appena segnata da una vena di malinconia, il suo atteggiamento fiducioso, aperto e leale, che io ricordo da allora, ma che rivedo ancora oggi nonostante abbia attraversato qualcuna di quelle prove che la vita riserva a tutti.

    Grazie Massimo, grazie II e III F.

    Giuliana Donà

    prefazione II

    Scrivere una prefazione è cercare con la testa e con il cuore di entrare nell’anima di uno scrittore. Un viaggio personale, difficile, ma interessante come lo sono tutti i viaggi difficili. Conosco l’autore fin dai tempi delle medie e ne ho sempre apprezzato la sensibilità e l’onestà d’animo. La sua idea di vita , la capacità di mettersi in gioco ed il suo incrollabile concetto di famiglia risultano molto presenti nelle pagine di questo suo primo libro e lo trasformano in uno spaccato di vita quotidiana e reale.

    Molto ruota attorno a Roberto, un uomo normale che si trova ad affrontare problemi normali di una crisi economica che ha colpito anche il ricco Nord-Est . L’incontro con il cliente dei sogni cambierà per sempre la sua vita e la sua nuova attività lo trasformerà in un circoncentro di quotidiano fatto di amicizie, amori, vittorie e sconfitte che bene rappresentano la giostra dell’esistenza. Giulia è la ragazza della porta accanto, acqua e sapone, intelligente e sagace e diventa ben presto il sole attorno al quale ruotano alcune delle vicende dei nostri protagonisti che si raccontano con uno stile scorrevole sottolineato da intelligenti metafore . Stefano è l’uomo comune, professionista e guascone, ma intimamente capace di una grande sensibilità. E poi via con Andrea divorato dal rancore verso una madre inesistente, Gpl che per combattere il bullismo diventa bullo a sua volta, Nadia che a quarant’anni capisce che per avere la vita vera deve lasciare aperta la sua porta, Mario che rappresenta perfettamente la solitudine di tanti anziani del nostro tempo. Fino a Matteo, l’Uomo dei Misteri, combattuto tra il grande dolore e il desiderio di un nuovo amore.

    Una vera magia quella delle parole. Senza inutili fronzoli le storie dei tanti protagonisti assumono dimensione reale, un viaggio di odori, di suoni, di visioni, di battiti di cuore, di sogni e di paure. In una parola, vita. E scorrendo le pagine non si può fare a meno di affezionarsi a tutti quei personaggi che a vario titolo entrano nel quotidiano del bar veronese 21.12. Fa da sfondo la splendida Verona con le sue piazze, i suoi vicoli, i panorami dalle colline intorno e i suoi tramonti. Verona con le sue tradizioni, le sue abitudini, il suo passato ed il suo presente.

    Un ottimo inizio questo primo libro di Massimo Bertaiola, in cui contemporaneamente ci si può sentire padre e figlio, uomo e marito, amico e compagno. Un libro in cui i sentimenti e le emozioni la fanno da padrone in una visione vera dell’animo, con la consapevolezza che la vita è un viaggio che non si può intraprendere da soli.

    Riccardo Maraia

    Capitolo 1

    Verona a giugno sapeva regalare giornate stupende, con cielo terso e aria calda già dal mattino.

    Pedalare per le sue vie era piacevole quanto passeggiare per un giardino fiorito, si aveva il modo di godere del suo paesaggio e della sua architettura senza l’assillo degli automobilisti che, allo scattare del verde ai semafori, usavano il clacson come la prova pulsante di un quiz alla televisione.

    Attraversando ponte Aleardi in bicicletta per dirigersi verso ciò che era diventata la sua nuova vita, Roberto pensava a quanto fosse bello vivere in città e a tutti i dettagli che si era perso fino ad un anno prima.

    Era sempre stato concentrato sulla destinazione senza curarsi del tragitto.

    Per ironia della sorte tutte le mattine, per arrivare al lavoro, passava davanti ai luoghi che erano stati il teatro della sua vita precedente e non provava nessun rimpianto.

    Gli sembrava impossibile aver passato quasi vent’anni tra catasto, uffici tecnici e uffici finanziari a farsi vessare da impiegati frustrati e tecnici succubi della pausa caffè.

    Passando in via del Pontiere in direzione tribunale sorrideva al pensiero di quanto fare il geometra in quel periodo fosse davvero complicato, bisognava sapersi districare tra mille leggi e clienti che faticavano a pagare e comunque non riconoscevano mai il valore del suo lavoro.

    Dopo aver superato la tomba di Giulietta, all’incrocio, svoltò a destra verso la leggera salita di via dello Zappatore che era incastrata tra il tribunale e l’istituto Ferraris.

    Su quella salita, malgrado la scarsa pendenza, si alzava sui pedali immaginando di essere Pantani sulla cima Coppi ed immancabilmente arrivava alla fine con il fiatone.

    Girando a sinistra su via del Lanciere si riprometteva tutte le mattine di andare con più calma il giorno seguente, anche perché lo aspettava un’altra salita sulla circonvallazione raggio di Sole.

    Una volta arrivato in Corso Porta Nuova il tragitto era concluso e, come ogni giorno alle otto Roberto apriva il suo locale, il 21.12, così chiamato in onore dell’inutile profezia Maya che prevedeva per quella data del 2012 la fine del mondo.

    Aveva inaugurato la nuova attività proprio quel giorno ed in un certo senso per lui era la fine di un mondo e l’inizio di un nuovo modo di vivere.

    Come un monumento al suo passato l’edificio dirimpetto era il Cangrande, la scuola superiore che aveva frequentato dopo le medie; ogni volta che si affacciava alle finestre se lo vedeva davanti con la facciata chiara e le sue file di finestre regolari.

    Aveva solcato la soglia del suo ingresso per cinque anni convinto che il suo futuro sarebbe stato la libera professione o gli studi universitari di architettura, di certo non immaginava che a distanza di due decenni gli eventi avrebbero preso una direzione completamente diversa.

    Come spesso accade nella vita delle persone, un anno prima, Roberto si era trovato di fronte al bivio che avrebbe stravolto la sua vita.

    Qualche anno prima aveva incontrato quello che tutti definiscono il cliente ideale, un imprenditore facoltoso con molti progetti da sviluppare, e tra loro le cose avevano funzionato molto bene; il signor Manetti era una persona onesta e corretta che era stata puntualissima nei pagamenti e nel rispettare ogni tipo di accordo, nel tempo era nata anche una amicizia basata sul rispetto e sulla stima reciproca.

    Roberto aveva incontrato questo sessantenne alto e dall’aria energica ad una riunione organizzata dal comune di Verona, durante la pausa caffè si erano messi a parlare di lavoro e dei problemi con le amministrazioni locali, avevano scoperto di avere le stesse idee sul modo di lavorare e sui tipi di case da realizzare.

    La loro pausa caffè si era protratta per tutto il pomeriggio e anche a cena; da quel giorno il Manetti era diventato il suo unico cliente, tale e tanta era la mole di lavoro in cui lo aveva coinvolto.

    Il costruttore vedeva in Roberto la persona adatta a gestire le sue operazioni immobiliari e gli riconosceva l’onestà intellettuale di saper dire senza problemi quando un progetto non era fattibile. Per molto tempo era stato avvicinato da tecnici che millantavano conoscenze politiche che avrebbero aggiustato ogni cosa ovviamente a pagamento, ma Manetti odiava quel tipo di faccendieri con cellulari all’ultima moda e macchine costose, spesso a noleggio o in leasing, non aveva mai amato le persone corrotte ed i politici troppo attenti ai loro interessi.

    Si era scontrato con loro più volte ed aveva pestato qualche piede, sapeva di avere nemici altolocati ma finora era riuscito sempre ad andare dritto per la sua strada senza grandi intoppi.

    Con Roberto si trovava molto bene perché gli ricordava sé stesso da giovane, era un entusiasta di natura e metteva passione nelle cose che faceva, era giovane e non ancora rassegnato all’idea che non sempre la passione basta a realizzare i propri sogni, ma soprattutto non era disilluso dalla vita.

    Aveva ancora quell’idea romantica di fare qualcosa di buono per sé e per la sua famiglia, impegnandosi ogni giorno senza scendere a compromessi.

    Manetti lo ammirava per questo e lo aveva preso sotto la sua ala protettrice, considerandolo parte della sua famiglia o meglio una delle sue famiglie. Si era sposato due volte ed in entrambi i casi non aveva funzionato, il suo vero amore era il lavoro e ciò mal si conciliava con il matrimonio.

    Comunque aveva mantenuto rapporti cordiali con le ex mogli dalle quali non aveva avuto figli.

    Viveva da solo in un appartamento sul lago di Garda e di tanto in tanto uccideva la solitudine con relazioni fugaci con ragazze molto più giovani di lui, le quali erano attratte più dal portafoglio che dall’uomo.

    Effettivamente non era proprio un affascinante brizzolato: aveva un naso pronunciato, le spalle strette e la pancia prominente, dimostrava tutti i suoi anni e anche se vestiva con abiti di buon taglio sembrava sempre poco elegante, i suoi movimenti erano sbrigativi come se ci fosse una urgenza a cui dedicarsi altrove.

    Malgrado fosse un conversatore piacevole attirava l’attenzione delle cacciatrici di carte di credito più per la sua auto sportiva che per il dialogo.

    Ne era consapevole e gestiva la cosa come una delle sue operazioni finanziare, considerando costi e vantaggi senza porsi grandi problemi morali.

    Lui e Roberto avevano realizzato molti edifici e avevano progettazioni in essere che avrebbero portato notevoli guadagni ad entrambi.

    Si erano incontrati a maggio dell’anno precedente per una delle solite riunioni di lavoro e per organizzare una scaletta dei pagamenti per i progetti già terminati.

    Durante quell’appuntamento nell’ufficio dell’impresario accadde l’evento che avrebbe cambiato la vita di Roberto.

    Manetti iniziò il discorso dicendo: - Ciao Roberto, so il motivo per cui sei qui, ma ti chiedo di ascoltarmi per qualche minuto poi deciderai cosa fare.-

    Sorpreso da questo preambolo disse: - Certo signor Manetti la ascolto, ma mi sta un po’ spaventando.-

    - Stai tranquillo, ho già pensato a tutto io. - disse l’imprenditore e continuò : - Tu sai la stima che ho di te, se non fosse così non ti avrei chiamato qui oggi. In questi anni abbiamo lavorato bene assieme e finché ho potuto sono sempre stato regolare nei pagamenti. Ultimamente però mi trovo in difficoltà economiche a causa di investimenti sbagliati all’estero e di qualche vendetta consumata da pseudo-politici locali. Ho avuto un’informazione riservata da parte di un funzionario di una delle mie banche e nel giro di un mese mi ipotecheranno e porteranno via tutto. -

    - Non capisco, aspetti un attimo, mi sta dicendo che sta per crollare tutto il suo impero? - chiese Roberto.

    - Il mio impero, come lo chiami tu, stava in piedi finché ho avuto credito in banca; finito quello e non riuscendo a vendere gli appartamenti che mi sono rimasti dalle varie operazioni, mi trovo qui ad aspettare che gli istituti bancari vengano a prendersi tutto ciò per cui ho lavorato una vita. Io con te ho un debito economico ma anche morale, perciò ti propongo un accordo. Hai presente il locale che ho in corso Porta Nuova? -

    - Certo che ce l’ho presente, l’idea era quella di un ristorante o bar da affittare, ma cosa c’entra quel locale? - disse Roberto.

    - Ti propongo la proprietà di quel posto per azzerare il mio debito con te, una volta tuo ne farai ciò che vuoi. E’ uno dei pochi edifici che ancora non ho ipotecato e quindi se non lo cedo a te sarà presto oggetto delle attenzioni delle banche. Se la risposta è affermativa il prossimo venerdì possiamo firmare l’atto dal notaio che ho già contattato. -

    Roberto rimase in silenzio qualche minuto, pensava ai soldi che aveva appena visto sfumare davanti ai suoi occhi e che aveva già pensato a come utilizzare: una nuova auto, un fondo per l’università dei figli e ovviamente una bella vacanza per tutta la famiglia. Con quello che sarebbe avanzato avrebbe avuto un margine di sicurezza e di tranquillità in banca.

    Valutò le alternative: accodarsi al fallimento e non portare a casa altro che le briciole o accettare la proposta di Manetti.

    Non fu una scelta facile, la sua era l’età dei bilanci, aveva superato con slancio i vent’anni dove gli sembrava di poter realizzare ogni sogno, i trent’anni carichi di prospettive e ora ai quaranta si trovava a decidere se cambiare vita o rimanere sul solito binario che portava invariabilmente all’insoddisfazione.

    Guardò negli occhi il suo interlocutore e disse: - Giuseppe, mi permetto di chiamarla per nome, accetto la sua proposta, organizzi con il notaio, ma le chiedo che ne sarà di lei? -

    Manetti si accigliò un secondo e poi rispose: - Non ti preoccupare per me, non accadrà mai che qualcuno riesca a mettere nel sacco il vecchio Manetti. -

    Il giorno dell’atto fu l’ultima volta che lo vide. Girava voce che fosse scappato in Sud America o in Tailandia, in realtà nessuno sapeva che fine avesse fatto.

    Una volta diventato proprietario del bene si trovò ad affrontare il dilemma: vendere al libero mercato realizzando un discreto introito oppure assecondare il suo sogno e così scelse il cambiamento.

    Scelse di dare una svolta radicale alla sua vita e di unire le sue passioni, la lettura ed il caffè, quindi decise di aprire un bar con rivendita e consultazione di libri.

    Aprire un bar o un’osteria a Verona non era di per sé un’idea orginalissima, ma l’abbinarci i libri, non solo in vendita ma anche in consultazione, lo rendeva unico nel suo genere.

    Era comunque un azzardo, in un’epoca dove tutto deve essere consumato in fretta offrire un posto dove fare le cose con calma sembrava totalmente fuori dal mondo.

    La domanda che si era fatto più frequentemente era: Chi verrà nel mio locale?

    I giovani sono tutti presi da cellulari e computer, le persone anziane vogliono il caffè a poco prezzo, i suoi coetanei sono concentrati nel lavoro per la logica del profitto.

    In generale, la scelta di abbandonare la libera professione per la nuova attività, non era stata presa molto bene.

    I genitori di Roberto, abituati ad essere lavoratori dipendenti con lo stipendio sicuro, già avevano mal digerito la sua scelta di lavorare in proprio come geometra vent’anni prima, avrebbero preferito che facesse un concorso pubblico e che fosse andato a lavorare in qualche comune. Gli dicevano: - Qualunque cosa accada il 27 del mese arriva lo stipendio e poi nessuno è mai stato licenziato da un comune, quelli non falliscono mai. -

    Roberto non era portato per il lavoro da passa carte attento solo all’ora in cui timbrare il cartellino.

    Questa nuova scelta di vita, ai loro occhi, era sinonimo di una follia incurabile che attanagliava la mente del figlio, il quale non aveva a cuore le sorti future dei propri bimbi tuffandosi in un lavoro non suo e senza averne nessuna esperienza.

    Elena, sua moglie, che si definiva con i piedi per terra non amava i salti nel vuoto; per lei abbandonare una carriera dopo tanti anni e ripartire da zero equivaleva a buttarsi da un aereo con un ombrello al posto di un paracadute.

    Perciò i primi tempi della sua nuova vita erano iniziati con infiniti dubbi e con la sola certezza che se avesse fallito si sarebbe trovato di fronte ad una marea di te l’avevo detto.

    Alle volte aveva la sensazione che più di qualcuno sperasse che le cose andassero male per poter dare sfoggio della propria saggezza a posteriori.

    Era odioso vedere quell’atteggiamento, solo poche persone gli avevano davvero dimostrato di apprezzare la sua voglia di cambiare vita per fare qualcosa di più gratificante per sé stesso più che per i benefici economici.

    La maggior parte delle persone che conosceva si lamentavano di avere una vita insoddisfacente sotto i più svariati punti di vista, ma nessuno di loro faceva nulla per cambiare quello stato di cose.

    Andavano avanti maledicendo il lavoro e la noia quotidiana, nessuno provava ad uscire dal binario, invariabilmente partivano da A per arrivare a B e nel frattempo non guardavano oltre, non guardavano a C, a M o a Z, c’era un intero alfabeto di possibilità eppure tutti fermi lì, non solo a piangersi addosso, ma a criticare, ipotizzando le peggiori sventure, chi invece il coraggio di provare lo aveva avuto.

    Roberto era solito dire: - Preferisco provare e fallire piuttosto che non provare e pensare tutta la vita a quello che sarebbe potuto essere. -

    Accettò il rischio e fu premiato.

    Ben presto il suo locale era diventato un luogo dove persone di diversa estrazione sociale ed età che trovavano nel 21.12 un terreno comune di incontro.

    L’orario di apertura era dalle otto alle venti tutti i giorni nel periodo estivo, d’inverno il lunedì era il giorno di chiusura.

    La presenza dei libri e l’assenza dei video poker si erano rivelate un ottimo deterrente per tutti quei ragazzi rumorosi che sceglievano i vari bar di Verona per passare le ore di berna dalla scuola.

    Anche la scarsa ricezione dei cellulari, dovuta ai muri di grosso spessore dell’edificio, aveva contribuito a tenere a distanza gli adolescenti .

    Oltre ai clienti occasionali di passaggio e ai turisti c’era un gruppo di assidui frequentatori che rappresentavano uno spaccato di varia umanità.

    Nei primi sei mesi di vita la nuova attività aveva avuto un incremento lento ma costante.

    Arrivò il giorno in cui avrebbe iniziato i colloqui per l’assunzione di una collaboratrice addetta alla vendita dei libri ed all’occorrenza al servizio bar.

    La decisione di prendere una persona a lavorare era stata motivo di infinite discussioni con la moglie, la quale sosteneva di poter essere lei la persona adatta.

    Roberto aveva obiettato che, con due figli da accudire ed un lavoro part-time al mattino, il tempo che poteva dedicare al locale era veramente poco e poi preferiva tenere distinta la famiglia dal lavoro.

    Elena aveva accettato la scelta anche perché occupare il tempo al 21.12 l’avrebbe distolta da quello che per lei era la massima priorità: pulire la casa.

    Fare i mestieri era per lei una sorta di missione che mirava all’annientamento degli acari e della polvere, ma la battaglia era pressoché persa perché ogni giorno i ragazzi trasformavano la casa in un enorme parco giochi.

    Avere figli riempie senza ombra di dubbio la vita ma, per chi vorrebbe la casa sempre perfetta come per la visita della regina, è fonte di grande stress.

    Roberto aprì la porta alla solita ora e iniziò i riti di tutte le mattine, alzò le veneziane e mise in ordine i libri rimasti la sera prima sui vari tavoli.

    Preparò il primo caffè che, fin dall’inizio di quell’avventura, era sempre per sé stesso, assaporava l’aroma diffondersi nel locale e mentre lo sorseggiava, seduto ad uno degli sgabelli del banco bar, si guardava intorno ammirato.

    Il 21.12 era di forma rettangolare con due grandi finestre ed al centro tra loro c’era la porta di ingresso, nella parte cieca del locale a destra era posto il banco bar ed a sinistra gli scaffali con i libri in vendita.

    La libreria si snodava su due piani e sul lato sinistro si trovava la scala che portava al soppalco dove erano posizionati i tavoli e le poltrone per la consultazione dei libri, i quali prendevano luce dalle due finestre gemelle di quelle al piano inferiore.

    L’arredamento era moderno e comodo, alle pareti erano appesi quadri raffiguranti copertine di libri famosi o ritratti di scrittori.

    Appesa al muro, tra il banco e i ripiani per i libri, c’era una lavagna sulla quale avrebbe dovuto trovare posto il listino prezzi ma che in realtà veniva usata per annotare la parola del giorno.

    Questa abitudine era nata per scherzo e si era consolidata nel tempo.

    Tutti erano tenuti in qualunque momento a scrivere quella che era stata la parola significativa di quel giorno.

    Poteva essere un solo vocabolo ma anche una frase detta da qualcuno dei clienti, l’unica regola da rispettare era che fosse qualcosa che poteva rappresentare la giornata in corso.

    Roberto rilesse quella del giorno precedente prima di cancellarla e gli venne da ridere.

    La frase del giorno precedente era: non piangere sul latte tergiversato!

    Era stata detta da un cliente occasionale che, visto il tipo di locale, nel maldestro tentativo di fare sfoggio di un italiano forbito, una volta rovesciato il latte sul tavolo, aveva sfoderato quella perla di saggezza.

    Accese la musica di sottofondo e si mise a leggere il giornale nell’attesa dei primi avventori.

    Normalmente nella prima ora di apertura i clienti erano rari, passava qualche turista in cerca della strada più comoda per arrivare all’Arena o di una bottiglia d’acqua a prezzo contenuto.

    Gli abituali arrivavano verso le nove e trenta ed erano i proprietari o gli impiegati delle attività presenti sulla via.

    Come ogni giorno arrivava per primo Stefano, titolare di una agenzia immobiliare che si trovava a pochi metri da lì.

    Era la stessa persona che aveva curato il passaggio di proprietà del bar.

    Rappresentava in pieno il prototipo dell’agente immobiliare: ventinove anni, vestito sempre in giacca e cravatta, quest’ultima spesso di colori sgargianti o con disegni improbabili come a dire: - Sono serio ma anche simpatico. -

    Una menzione particolare la meritano le scarpe, di solito marroni e molto rigide tanto da sembrare di legno.

    I capelli neri pettinati all’indietro con grandi quantità di gel davano l’impressione di essere solidi come un casco da moto, aveva il pizzetto ed il sorriso d’ordinanza sempre pronto.

    Il suo arrivo coincideva con la fine della calma a causa della eccessiva simpatia professionale che metteva in tutte le cose, con il tono di voce sempre troppo alto ed il gesticolare esagerato.

    Stefano in una libreria era l’equivalente di un " raudo" in chiesa.

    Entrava tutti i giorni con il solito saluto:

    - Buongiorno per tutto il giorno, Roby fammi il solito macchiato di simpatia. –

    - Ciao Stefano, caffè in arrivo, vuoi anche la brioche al cioccolato? - rispose Roberto.

    - Ma sì diamoci una botta di vita. -

    Questo scambio di battute era identico tutte le mattine e rappresentava per entrambi l’inizio di giornata.

    Durante la giornata entrava più volte nel locale, spesso con i clienti ai quali offriva il caffè definendolo il migliore di Verona.

    Si esprimeva nel gergo tipico degli operatori immobiliari per i quali la vendita di una casa diventa un’operazione vantaggiosa, i passaggi di proprietà sono transazioni e gli appartamenti sono sempre luminosi ed in posizione privilegiata.

    Tutto sommato era una persona simpatica ed era piacevole la sua compagnia, metteva allegria anche quando esagerava nei suoi racconti di vita vissuta che tutti definivano alla mantovana, per il proverbiale vezzo dei mantovani di colorire i loro racconti con intercalari divertenti e particolari al limite della realtà.

    Alle nove e trenta, puntuale come le tasse, arrivò Stefano, prese la Gazzetta dello Sport, si sedette al banco e fece la solita scenetta.

    - Cosa dicono dell’Hellas? - gli chiese Roberto.

    In città era ancora alta l’euforia per il ritorno in serie A dell’Hellas Verona e tutti si chiedevano quali giocatori sarebbero arrivati.

    Molti sognavano un campionato di vertice quando in realtà sarebbe stato quasi sicuramente un anno di sofferenze calcistiche.

    - Dicono che per ora non comprano nessuno e aspettano di vendere qualche esubero. - rispose Stefano.

    - Come sempre tutti vogliono fare acquisti ma mancano i soldi, un po’ come nel tuo settore.- disse Roberto.

    - Lascia perdere, fammi bere il caffè in pace senza il pensiero del mercato fermo, delle banche che non fanno mutui e dei clienti che vogliono le case allo stesso prezzo con cui comprerebbero un tosaerba. Beato te che hai mollato le costruzioni! -

    Effettivamente la crisi economica si faceva sentire pesantemente sulla vita degli italiani ed alcuni settori ne risentivano più di altri.

    Quello messo peggio era l’edilizia che per costi e tassazioni era diventata una cosa per ricchi.

    - Quando inizi i colloqui per la nuova aiutante? Mi raccomando che sia gnocca e se poi non sa fare i caffè, pazienza! - poi esplose in una rumorosa risata.

    - Ma vah, in teoria oggi dovrebbero arrivare le prime candidate, come sai, per lavorare qui non basta un bel culo ma serve la giusta personalità, altrimenti come si farebbe a sopportare clienti come te? - rispose Roberto con un sorriso divertito.

    - Va bene ho capito, torno in ufficio, a dopo. - disse uscendo Stefano.

    Rientrò un secondo dopo e chiese: - A che ora inizi i colloqui per la nuova ragazza? –

    - All’una e mezza, durante la pausa pranzo, perché? - disse Roberto.

    - Così, tanto per sapere, ciao. - concluse Stefano ed uscì.

    [1] marinare la scuola

    Capitolo 2

    Mario come ogni mattina da qualche mese si preparò per uscire, in realtà i suoi preparativi non occupavano molto tempo, si trattava esclusivamente di cura di se stesso.

    Con la costanza che solo gli ultrasettantenni riescono ad avere, si svegliava tutti i giorni alle sette, faceva la doccia e poi si radeva davanti allo specchio che lo aveva visto invecchiare negli ultimi cinquant’anni.

    Mise il dopobarba, si sistemò il riporto ed indossò una camicia bianca pulita, con il colletto che sembrava un deltaplano, sopra la canottiera, poi strinse la cintura sui pantaloni marroni e infilò le scarpe lucidate di fresco.

    Non sarebbe mai uscito in disordine, aveva sempre pensato fosse di pessimo gusto uscire di casa con le scarpe impolverate o con la camicia non stirata.

    Vedeva molti suoi coetanei in giro con tute e mocassini o peggio ancora vestiti alla tedesca in canottiera, pantaloni corti e sandali con calzino bianco fino a metà polpaccio.

    Molti sembravano invecchiare prima per il tempo che passavano nelle osterie a bere vino a tutte le ore, lui non era mai stato un tipo da briscola e bicchiere di bianco, a dire il vero non era mai stato nessun tipo.

    Il suo incedere, malgrado gli anni, era energico e veloce, camminava con la schiena dritta e lo sguardo fisso davanti a sé.

    Uscì dal bagno e diede un’occhiata distratta al suo appartamento arredato con l’essenziale per vivere, non c’erano fronzoli o abbellimenti, ogni cosa sapeva di stantio.

    Non c’erano vasi con fiori freschi o piante, l’unico odore nell’aria era quello del suo dopobarba mischiato a quello della cena della sera precedente.

    Si notava a prima vista che non c’era la presenza di una donna.

    Non era mai stato sposato ed era sempre bastato a se stesso; con l’arrivo della pensione e del maggior tempo libero aveva iniziato a risentire della mancanza di compagnia.

    Per questo motivo, se possibile, il suo umore era peggiorato, aveva un carattere burbero e si lamentava in continuazione.

    La sua esclamazione tipica era: - Ci vorrebbe il Benito a sistemare questa Italia che va a rotoli, lui sì che farebbe rigare dritto tutti. -

    Questo accenno al ventennio era più un modo di dire che una reale convinzione politica, anche perché era nato durante la guerra e non poteva ricordare la reale situazione del tempo.

    Finiti i preparativi uscì di casa e si incamminò verso il panificio dove ogni giorno comprava due rosette, una per il pranzo ed una per la cena, pasti che consumava seduto sulla sedia con le spalle rivolte alla televisione che raramente accendeva e solo per guardare i telegiornali.

    Dopo il panettiere il suo percorso proseguiva verso l’edicola dove acquistava i cruciverba, il giovedì era il suo giorno preferito perché usciva la settimana enigmistica, ritenuta da lui di gran lunga la migliore rivista nel suo genere.

    Fatto l’acquisto si incamminava verso il 21.12, che da mesi era diventato il luogo dove passare il tempo che a casa non scorreva mai.

    Gli piaceva molto il fatto di poter stare seduto tutto il giorno in un locale bevendo un caffè e poco altro senza che nessuno lo assillasse con l’obbligo di ulteriori consumazioni.

    Un altro punto a favore era il sostanziale senso di quiete di cui si poteva godere stando seduti al piano superiore, leggeva l’Arena commentando tra sé e sé e borbottando a mezza bocca sul decadimento della società.

    Prima di arrivare passò a fianco di un gruppo di giovani tatuati con il ciuffo sugli occhi, come voleva la moda del momento, che stazionavano abitualmente su quel lato di Corso Porta Nuova.

    Quando arrivò a pochi metri da loro li guardò con disapprovazione, tanto che uno dei ragazzi lo apostrofò: - Nonno che hai da guardare? –

    - Non sono tuo nonno e non vedo nulla di interessante, pensavo di aver visto lo spazzolone che uso per lavare il cesso di casa mia, ma lui non ha tatuaggi. - rispose Mario.

    Il giovane, toccato sul vivo dal sorriso dei suoi amici alla risposta del vecchio, per salvare la faccia si alzò dalla sella della moto e fece per avvicinarsi quando uno dei suoi amici che per mole e aspetto pericoloso non aveva nulla da invidiare al primo, lentamente si frappose tra i due e voltando le spalle all’amico disse con uno strano sguardo complice: - Vecchio non fare come il Minotauro, esci dal labirinto di Minosse in cui ti sei cacciato e vai per la tua strada. -

    Mario rimase interdetto, forse più per la citazione colta che per la paura di finire male.

    Alle sue spalle il primo ragazzo disse: - Ecco, ascolta Sdinsa [1] e non fare il Gino Tauro... -

    Sdinsa si girò e parlò all’amico: - Gpl lascialo perdere, non ne vale la pena. -

    A questa frase Mario si disse che forse non tutti nel gruppo erano allo stesso livello e proseguì mandando decisamente a quel paese tutto il branco di scapigliati.

    Arrivò al locale ancora con un senso di agitazione, un po’ per il nervoso ed un po’ perché, realisticamente, sapeva di averla scampata bella.

    Una rissa con un armadio cinquant’anni più giovane non poteva che finire male per lui.

    Ordinò il suo solito caffè corretto con il vino bianco e si incamminò su per la scala quasi senza guardare in faccia nessuno.

    Dopo qualche minuto arrivò Roberto con il suo caffè e gli chiese: - Mario va tutto bene? Ti vedo strano stamattina. –

    - Ho avuto una discussione con i perditempo parcheggiati più in giù sul marciapiede, ma ti pare possibile che non ci sia più rispetto per le persone anziane? Ai tempi del Benito quei capelli non avrebbero potuto portarli e i tatuaggi erano prerogativa dei galeotti. -

    - Mario i tempi sono cambiati, l’educazione è molto relativa, basta passare senza guardarli e tutto va bene. –

    - Che i tempi siano cambiati non c’è dubbio, di sicuro non sono cambiati in meglio. Poi che razza di nomi hanno... Sdinsa, Gpl... - commentò Mario.

    - I ragazzi amano darsi dei soprannomi e comunque, malgrado l’aspetto, non hanno mai causato problemi. -

    Mario non aggiunse altro e pensò che quel mattino, se non fosse intervenuto quel ragazzo qualche problema ci sarebbe stato ma solo per lui.

    Si immerse nel suo primo Bartezzaghi di giornata.

    Alle 10 arrivò Matteo con la sua borsa portadocumenti, si piazzò al tavolo vicino alla finestra ed iniziò a tirare fuori i suoi plichi di fogli stampati, la penna, i post-it ed il blocco notes.

    Aveva circa 35 anni, vestiva in modo semplice, spesso jeans e camicia oppure una polo, capelli corti scuri e brizzolati sulle tempie, era molto cordiale con tutti e pronto al sorriso.

    Dava l’impressione di essere molto impegnato con i fogli che leggeva avidamente, di tanto in tanto si fermava e scriveva qualcosa sul suo blocco o maneggiava il suo smartphone.

    Sedeva quasi sempre allo stesso tavolo, arrivava alla solita ora ogni mattina e rimaneva fino alle 17, si alzava solo per andare in bagno o per fare un’ordinazione al banco.

    Poteva essere definito il cliente abituale per antonomasia vista la sua metodicità nei comportamenti, la sua ordinazione tipo era il caffè alle 11, un aperitivo analcolico alle 12.30, un toast farcito alle 13 seguito da un altro caffè e infine un succo alla pesca prima di andare a casa.

    La ripetitività lo rassicurava, gli dava modo di concentrarsi sul suo lavoro e di lasciare fuori ogni altro pensiero.

    Alle volte il suo sguardo rimaneva assorto, fissava verso l’esterno dalla sua vista privilegiata in prossimità della finestra.

    Nessuno sapeva bene di cosa si occupasse, i più pensavano fosse un professore o un ricercatore.

    Non c’erano informazioni nemmeno sulla sua vita privata, contrariamente a quel che si pensa in merito ai baristi identificati come confidenti, Matteo non aveva mai condiviso notizie su di sé con Roberto.

    Dopo averlo salutato, Roberto tornò a passare la spugna sul banco e guardò verso il soppalco dove Mario sembrava essersi appisolato.

    Preparò un caffè e salì a portarglielo, prese al volo un libro di Terzani e glielo mise sul tavolo.

    - Mario molla i cruciverba e leggi questo libro, per te sarà come partire per un viaggio. - gli disse.

    - Ti sembro uno a cui piace viaggiare? Mettermi in colonna sull’autostrada o salire su un treno in uno scompartimento con degli sconosciuti? Per andare dove poi? Bah, tempo perso i viaggi! –

    - Dai Mario non fare così, provaci almeno, magari scopri che ti piace. - poi si girò e scese le scale.

    A dire il vero un viaggio nella sua vita lo aveva fatto ed era quello che lo aveva portato da Verona a Codroipo a fare il servizio militare nel 1960 e ciò che gli aveva causato non gli portava bei ricordi.

    [1] scintilla

    Capitolo 3

    Alle 13.20 nel locale c’erano solo Mario con i suoi cruciverba, Stefano ed i suoi due giovani collaboratori, Matteo che armeggiava con il cellulare mentre aveva sul tavolo i suoi immancabili appunti e, nel tavolo d’angolo, una ragazza intenta a leggere un libro.

    A minuti sarebbe entrata la prima candidata al posto di lavoro al 21.12, si respirava un senso di attesa nell’aria.

    Puntualissima all’una e mezza entrò una ragazza che, decisamente, non passava inosservata; grandi occhiali da sole, vestita con un abito giallo a fantasia floreale e scarpe rosse abbinate alla borsa.

    Si presentò allungando la mano destra e dicendo: - Piacere, sono la dottoressa Laura de Marzi, sono qui per l’impiego. -

    Lui a sua volta porse la mano e disse: - Piacere Roberto, accomodati. -

    Appena si sedette Roberto notò alle spalle della ragazza Stefano e i suoi scagnozzi alzare delle palette con dei numeri tipo votazione: 7 – 6.5 – 7 fu il verdetto. Lui scosse il capo trattenendo a stento un sorriso.

    Iniziò dicendo: - Come avrai letto sull’annuncio si tratta di un lavoro di barista e commessa, tu ti sei presentata come dottoressa, posso chiederti che tipo di dottoressa sei? -

    Lei si tolse gli occhiali da sole ed indossò vistosi occhiali da vista griffati con la montatura piuttosto ampia e disse: - Sono una psicologa e penso che lavorare in un bar sia l’ideale per esercitare la mia professione, d’altra parte si sa nei bar ci si sfoga ed il barista è da sempre una sorta di psicologo. Io con la mia preparazione sarei perfetta qui. Nella mia tesi, mi sono laureata con 110 e lode, ho portato uno studio effettuato su un campione di 1500 persone che frequentano bar e discoteche ed ho riscontrato che il male del nostro tempo è la solitudine, cioè nessuno sa con chi parlare, quindi ho pensato di offrire la mia esperienza ai suoi clienti. Trovo importante che ci sia una netta distinzione tra chi sta di qua e chi sta di là del banco bar, in questo senso il look per me è fondamentale, si capisce subito chi è il paziente e chi il dottore. Non so se ha notato, ma io al mio aspetto ci tengo molto e penso che questo sia un valore aggiunto che potrebbe far guadagnare di più il suo bar, si sa che se c’è una bella ragazza il locale si riempie. Quindi avrei pensato che per tutti questi motivi un compenso adeguato per il mio lavoro sarebbe circa 2000 euro più contributi e mance, che ne pensa? -

    Travolto da questo monologo Roberto non seppe rispondere altro che: - Laura sono lieto che tu abbia tanta stima di te come psicologa e della tua avvenenza, ma un caffè lo sai fare? -

    Laura rimase un attimo in silenzio e poi aggiunse: - Ma davvero dovrei fare il caffè? Con la mia preparazione sarebbe come sminuirmi. –

    - Scusa ma in un bar il minimo è saper fare il caffè non trovi? Comunque sia cerco una barista e commessa e credo che sia troppo poco per una come te. - disse Roberto divertito.

    Uscita la ragazza si rivolse al tavolo degli agenti immobiliari dicendo: - Stefano ma sei scemo? Ancora un po’ e le rido in faccia, come ti è venuta in mente sta’ cosa delle palette? –

    - Mi sembrava divertente e poi la nuova barista deve avere il gradimento dei clienti. –

    - Mi meraviglio dei due fenomeni che hai per collaboratori, sembravano più seri di te, comunque sia questa era perfetta per te. –

    - Perché? Fisicamente non era male. –

    - Era perfetta perché è psicologa e tu ne hai gran bisogno, anzi andrebbe meglio una psichiatra, sei completamente matto. - disse ridendo Roberto.

    Alle 14 arrivò la seconda candidata, se la prima dava nell’occhio questa era ancora più eccentrica nel modo di vestire.

    A prima vista si notavano le origini sudamericane, abbondantemente sopra la taglia 46 per un’altezza di un metro e cinquanta, vestiva una canottiera molto stretta che metteva in evidenza il seno prosperoso e i leggins neri che facevano risaltare il lato B tutt’altro che esile.

    Si presentò dicendo con accento brasiliano: - Piassere Florìpis. -

    Roberto la fece accomodare e le chiese: - Piacere di conoscerti, da dove vieni? -

    Osservò il tavolo di Stefano ed i voti erano piuttosto bassi.

    - Io vengo de Sao Paulo, so a Verona de quindisci giorni e vo cercando por un traballio. –

    - Quindi è da poco che sei in Italia e conosci poco la lingua; pensi di riuscire a comunicare con i clienti? –

    - Desculpa ma no capiscere bene lo che tu ha detto, io so aqui por la caipirinha e la bebida. -

    Roberto la salutò direttamente dicendo che aveva necessità di una persona che sapesse servire i clienti anche nella ricerca dei libri da vendere.

    Si voltò verso Stefano: - Che cattivi con i voti, non era così male, era carina di viso. –

    - Diviso due forse, ma dai era più larga che alta! –

    - Ha parlato Brad Pitt. Lo sai che per me non conta l’aspetto quanto il saperci fare nel lavoro, la ragazza era anche simpatica ma non capivo una parola di ciò che diceva e soprattutto lei non capiva nulla delle mie parole. -

    Alle 16 dopo diverse candidate poco adatte si alzò dal tavolo d’angolo la ragazza che leggeva il libro e disse: - Sono Giulia, per il colloquio delle quattro, sono in ansia per il voto che mi daranno i tre scemi al tavolo in fondo.-

    Roberto, nel vederla, rimase colpito dallo sguardo sincero e leggermente malinconico della ragazza che aveva la tendenza ad abbassare gli occhi, si spostò e indicando una sedia la fece accomodare.

    Era vestita con semplicità, jeans e maglietta nera senza maniche, scarpe ballerine, capelli scuri leggermente mossi lunghi fino alle spalle, una specie di fusciacca in vita dello stesso colore di un bracciale che portava al polso sinistro e della borsa, particolare che faceva la differenza tra chi veste casual e chi invece si veste con cura, ogni dettaglio nel vestire e negli accessori era perfetto come un bouquet di fiori in primavera.

    Malgrado l’evidente timidezza, si faceva notare oltre che per la bellezza naturale anche per il portamento elegante nei movimenti semplici come camminare o porgere la mano per stringere quella della persona che aveva di fronte.

    La stretta era decisa anche se un po’ frettolosa, le mani le tremavano leggermente quando le appoggiò sul tavolino.

    - Vuoi bere qualcosa? Un caffè o altro? -

    Sorridendo rispose: - No grazie, ho già preso un caffè prima mentre ero in attesa. Allora? –

    - Allora cosa? - disse Roberto

    - Che voti ho preso? Non mi dica bugie mi raccomando. -

    Alzò gli occhi e vide tre 7.5 sulle palette dei venditori di case: - Unanimità 7.5 non è male, che ne pensi dei voti? Per favore diamoci del tu. –

    - Direi buono ma non so se lo merito, probabilmente non hanno guardato bene e poi mi sembra che ci siano state poche insufficienze oggi, forse i ragazzi sono di bocca buona. –

    - Non te la prendere, sono clienti abituali, il rapporto con loro è uno dei problemi di questo lavoro. - disse con ironia Roberto e aggiunse: - Mi hai sorpreso, avevi appuntamento alle quattro e sei qui dall’una e mezza, come mai? –

    - Mi piace sapere con chi ho a che fare e quindi sono venuta a vedere com’era l’ambiente e le persone che lo frequentano, se non mi fosse piaciuto mi sarei alzata e avrei saltato l’appuntamento con te. - rispose lei.

    - Quindi finora sono promosso, è un bel passo avanti anche in considerazione del fatto che dovrei essere io a fare la scelta. Hai letto il mio annuncio, cosa ti aspetti da questo lavoro? –

    - Sinceramente non so, da quando ho finito di studiare ho sempre fatto lavori diversi, sono alla ricerca della mia strada, vorrei un lavoro che mi permetta di stare a contatto con la gente. Ho fatto esperienza in un bar estivo sui bastioni qui in città e mi piacciono i libri, quindi ho pensato che lavorare in un posto così sarebbe divertente e non noioso come fare la segretaria in un ufficio. Qui l’ambiente è gradevole e in più sono vicina a casa, per me sarebbe perfetto. Economicamente in questo momento mi basta guadagnare abbastanza per vivere, ma non è la cosa principale, quello che vorrei è capire quale può essere il mio percorso. –

    - Qui l’unica esigenza è il sorriso e ricordarsi

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