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Non scuola ma scuole: Educazione pubblica e pluralismo in America
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Non scuola ma scuole: Educazione pubblica e pluralismo in America
E-book427 pagine5 ore

Non scuola ma scuole: Educazione pubblica e pluralismo in America

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Info su questo ebook

 «Chi è incaricato dell’istruzione: l’individuo, lo Stato o la società civile?». O ancora, «lo Stato dovrebbe gestire completamente l’istruzione o piuttosto condividere l’erogazione di questo servizio pubblico con il terzo settore e realtà del privato sociale?». Domande come queste costituiscono il filo rosso che percorre l’intero impianto del saggio di AshleyBerner. Un testo che mira a mettere in discussione molti dei paradigmi culturali, ordinamentali e pedagogici che hanno retto finora il sistema d’istruzione pubblico americano, al fine di superare «un assetto politico-istituzionale che privilegia lo Stato sulla società civile e un pensiero pedagogico tenacemente trincerato su posizioni che – ancorché involontariamente – rafforzano le divisioni di classe e svantaggiano gli alunni più bisognosi». Se questo capita per gli Usa si può immaginare quanto valga per un sistema molto statalista e allo stesso tempo iniquo come quello italiano. Il libro permette dunque di ri-pensare criticamente posizioni date per scontate da decenni senza in realtà esserlo affatto.
LinguaItaliano
Data di uscita22 mag 2018
ISBN9788838246944
Non scuola ma scuole: Educazione pubblica e pluralismo in America

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    Anteprima del libro

    Non scuola ma scuole - Ashley Rogers Berner

    Ashley Rogers Berner

    Non scuola ma scuole

    Educazione pubblica e pluralismo in America

    Tutti i volumi pubblicati nelle collane dell’editrice Studium Cultura ed Universale sono sottoposti a doppio referaggio cieco. La documentazione resta agli atti. Per consulenze specifiche, ci si avvale anche di professori esterni al Comitato scientifico, consultabile all’indirizzo web http://www.edizionistudium.it/content/comitato-scientifico-0.

    Realizzato con il contributo del Dipartimento di Scienze Umane e Sociali dell’Università degli Studi di Bergamo.

    Edizione italiana del testo di A. R. Berner, Pluralism and American Public Education: No One Way to School, Palgrave Macmillan, New York 2017

    First published in English by Palgrave Macmillan, a division of Macmillan Publishers Limited under the title Pluralism and American Public Education. No One Way to School by Ashley Rogers Berner. This edition has been translated and published under licence from Palgrave Macmillan. The author has asserted his right to be identified as the author of this Work.

    Copyright © 2018 by Edizioni Studium - Roma

    www.edizionistudium.it

    ISBN: 9788838246944

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

    http://write.streetlib.com

    Indice dei contenuti

    Introduzione all'edizione italiana

    Il peso della storia

    La forza della realtà

    Una via di mezzo tra statalismo e liberismo

    Il coraggio di cambiare

    Introduzione

    Che cos'è accaduto?

    Il pluralismo educativo

    Perché proprio adesso?

    Che cosa non sto sostenendo

    Questo libro

    I. Perché sono importanti le filosofie dell'educazione?

    In che senso?

    Che cosa sono le filosofie dell'educazione?

    Partire dai principi fondamentali

    Verso il pluralismo educativo

    II. Perché sono importanti le filosofie politiche?

    La teoria educativa democratica

    Dalla filosofia politica alla pratica educativa

    In sintesi

    III. Le costituzioni degli stati americani e le scuole religiose

    Principali questioni affrontate dalla giurisprudenza in materia di religione e istruzione

    Il Lemon test

    Zelman v. Simmons-Harris (2002)

    Quando il finanziamento è deciso dal Congresso: sì

    Laddove l’accesso egualitario sia messo a rischio: sì

    Quando le public schools appoggiano la fede religiosa: no

    Quando lo Stato impedisce l’esercizio della libertà di educazione: no

    Conclusioni sulla costituzionalità

    IV. Cittadinanza, risultati e accountability

    Alcune definizioni

    La ricerca internazionale

    La ricerca sui settori scolastici americani

    La preparazione scolastica

    La formazione democratica

    Domande sul perché

    V. I limiti del pluralismo educativo e come affrontarli

    Rafforzare ed espandere i vantaggi

    Rafforzare i vantaggi del pluralismo educativo: spunti conclusivi

    Migliorare l'equità nei sistemi plurali

    Sostenere i genitori nella scelta

    Assicurarsi che le forme di finanziamento garantiscano l'equità

    Limiti del pluralismo educativo: in breve

    VI. Cambiare paradigma

    L'America e il pluralismo educativo

    Bibliografia

    Indice dei nomi

    CULTURA

    Studium

    127.

    ASHLEY ROGERS BERNER

    NON SCUOLA MA SCUOLE

    Educazione pubblica e pluralismo

    in America

    Introduzione e traduzione di Francesco Magni

    Introduzione all'edizione italiana

    di Francesco Magni

    « L’educazione, come la carità, è divenuta presso la maggior parte dei popoli dei nostri giorni un affare nazionale. Lo Stato riceve e spesso prende il fanciullo dalle braccia della madre per affidarlo ai suoi agenti; si incarica di ispirare ad ogni generazione sentimenti e idee. L’uniformità regna negli studi come in tutto il resto: la diversità, come la libertà, scompaiono ogni giorno».

    (Alexis de Tocqueville, La Democrazia in America (1835-1840), BUR, Milano 2015, p. 722)

    Perché pubblicare oggi un libro sul pluralismo educativo? E perché, ancor di più, pubblicare in Italia un libro sul pluralismo educativo americano? Una scelta che a primo avviso può sembrare intempestiva. Da un lato, infatti, un tema come questo può apparire relegato a dibattiti ormai lontani; dall’altro l’argomento rischia di passare in secondo piano, superato da ben più pressanti emergenze della nostra epoca. Eppure, al contrario, sono diverse le ragioni che giustificano una tale scelta.

    La prima è di carattere meramente conoscitivo. E il testo di Ashley Berner permette di ripercorrere la storia dell’evoluzione del sistema educativo americano, segnalandone i maggiori punti di svolta dal punto di vista politico, giuridico, filosofico e pedagogico.

    Un secondo ordine di ragioni riguarda l’attualità e la centralità nel dibattito pubblico americano del tema della libertà di educazione ( school choice). Lo confermano anche importanti iniziative politiche intraprese recentemente dal governo federale degli Stati Uniti [1] , nonché le numerose pubblicazioni sul tema nazionali [2] ed internazionali [3] . Inoltre, si segnala il fiorire nel corso degli ultimi anni di una notevole attività di ricerca scientifica in merito alle scelte educative compiute a livello dei distretti scolastici americani (tra questi Charlotte–Mecklenburg [4] , Florida [5] , Chicago [6] , Boston [7] ; Texas con riferimento alle charter schools [8] ; Florida [9] , New York City [10] , Milwaukee [11] , Washington, D.C. [12] per i programmi di voucher). Cionondimeno, una tale prospettiva rischierebbe di interessare solo una ristretta cerchia di specialisti della materia, studiosi o policy makers interessati allo studio dei sistemi scolastici comparati.

    Ma vi è anche un terzo motivo – ed è quello che forse qui più interessa – che riguarda gli aspetti di natura strettamente pedagogica: il saggio di Ashley Berner rappresenta, infatti, innanzitutto una sfida intellettuale a superare i confini del nostro comune modo di pensare, mettendo in discussione paradigmi che consideriamo acquisiti, magari senza saperne bene neanche il perché. Una vera e propria urgenza nell’Italia del 2018 dove, sul tema, sembrano dominare fake news e ondate emotive da social media. Un testo, quindi, che permette di pensare – o meglio di ri-pensare – certi assiomi e postulati che, sbagliando, si danno forse per ovvi dati di realtà ormai acquisiti e immutabili.

    Il libro affronta questioni radicali, nel senso di fondanti, per pensare nuovamente un sistema d’istruzione, come si intuisce fin dalle domande che l’autrice propone nel corso del testo al lettore: «chi è incaricato dell’istruzione: l’individuo, lo Stato o la società civile? In quale rapporto tra di loro? E perché?» (cap. 2, p. 68). O ancora, «lo Stato dovrebbe gestire completamente l’istruzione o piuttosto condividere l’erogazione di questo servizio pubblico con il terzo settore e realtà del privato sociale?» (cap. 2, p. 69). Domande come queste non sono solamente il punto di partenza dell’itinerario del saggio, ma costituiscono in qualche modo il filo rosso che ne percorre l’intero impianto.


    [1] Per esempio, la settimana dal 21 al 27 gennaio 2018 è stata proclamata ufficialmente come " National School Choice Week https://www.whitehouse.gov/presidential-actions/president-donald-j-trump-proclaims-january-21-january-27-2018-national-school-choice-week/. Ma accanto segnali simbolici" come questo, vi sono anche proposte concrete, come quello di aumentare di 1 miliardo di dollari i fondi in favore per una maggior libertà di scelta educativa nel prossimo bilancio federale per il 2018 https://www.ed.gov/news/press-releases/presidents-budget-expands-education-freedom-protects-vulnerable-students.

    [2] I programmi di school choice stanno crescendo notevolmente negli Stati Uniti: se nel 2000 erano circa 50.000 gli studenti che vi partecipavano attraverso 10 programmi; nel 2016 erano attivi 59 diversi programmi che hanno permesso a circa 400.000 studenti, provenienti soprattutto da famiglie con basso reddito o con bambini con disabilità, di scegliere tra opzioni scolastiche ed educative differenti. Cfr. H.H. Erickson, How do parents choose schools, and what schools do they choose? A literature review of private school choice programs in the United States, in «Journal of School Choice», vol. 11, n. 4, 2017 p. 491 [pp. 491-506]. L’aumento dei programmi di school choice è stato da alcuni collegato al sostanziale fallimento negli ultimi 25 anni del sistema educativo americano (così L.M. Foreman, Educational attainment effects of public and private school choice, in «Journal of School Choice», vol. 11, n. 4, 2017, pp. 642-654). Si vedano anche i recenti report a cura di L. Darling-Hammond-R. Rothman-P.W. Jr. Cookson, Expanding high-quality educational options for all students: How states can create a system of schools worth choosing, Learning Policy Institute, Palo Alto, CA 2017, https://learningpolicyinstitute.org/sites/default/files/product-files/Expanding_High%20Quality_Options_REPORT.pdf; EdChoice, The ABCs of school choice: The comprehensive guide to every school choice program in America, 2017, https://www.edchoice.org/wp-content/uploads/2017/02/The-ABCs-of-School-Choice-1.pdf.

    [3] Cfr. R.A. Fox-N.K. Buchanan, The Wiley Handbook of School Choice, John Wiley & Sons, Malden, MA 2017.

    [4] D.J. Deming-J.S. Hastings- T.J. Kane-D.O. Staiger, School choice, school quality and postsecondary attainment, in «American Economics Review», vol. 10, n. 3, 2014, pp. 991-1013.

    [5] K. Booker-B. Gill-T. Sass-R. Zimmer, Charter high schools’ effects on long-term attainment and earnings, Mathematica policy research, Working paper, 2014; Id., Charter high schools’ effects on long-term attainment and earnings, in «Journal of Policy Analysis and Management», vol. 35, n. 3, 2016, pp. 683-706.

    [6] M. Davis-H. Heller, No Excuses charter schools and college enrollment: New evidence from a high school network in Chicago, in «Education Finance and Policy», vol. 0, n. 0, 2017, pp. 1-57.

    [7] J.D. Angrist-S.R. Cohodes-S.M. Dynarski-P.A. Pathak-C.R. Walters, Stand and deliver: Effects of Boston’s charter high schools on college preparation, entry, and choice, in «Journal of Labor Economics», vol. 34, n. 2, 2016, pp. 275-318.

    [8] W.S. Dobbie-R.G. Fryer, Charter schools and labor market outcomes, NBER Working Paper Series 22502, 2016.

    [9] M.M. Chingos-D. Kuehn, The effects of statewide private school choice on college enrollment and graduation: Evidence from the Florida tax credit scholarship program, Urban Institute, Washington, DC - Cambridge MA 2017.

    [10] M.M. Chingos-P.E. Peterson, The effects of school vouchers on college enrollment: Experimental evidence from New York City, Brown center on education policy at Brookings and Harvard Kennedy school, Washington, DC 2012; M.M. Chingos-P.E. Peterson, Experimentally estimated impacts of school vouchers on college enrollment and degree attainment, in «Journal of Public Economics», n. 122, 2015, pp. 1-12.

    [11] J.M. Cowen-D.J. Fleming-J.F. Witte-P.J. Wolf-B. Kisida, School vouchers and student attainment: Evidence from a state-mandated study of Milwaukee’s parental choice program, in «The Policy Studies Journal», vol. 41, n. 1, 2013, pp. 147-168; J.R. Warren, Graduation rates for choice and public school students in Milwaukee, 2003-2009, School choice Wisconsin, Milwaukee, WI January 2011.

    [12] P.J. Wolf-B. Kisida-B. Gutmann-M. Puma-N. Eissa-L. Rizzo, School vouchers and student outcomes: Experimental evidence from Washington, DC, in «Journal of Policy Analysis and Management», vol. 32, n. 2, 2013, pp. 246-270; E. Rhinesmith, A review of the research on parent satisfaction in private school choice programs, in «Journal of School Choice», vol. 11, n. 4, 2017, pp. 585-603.

    Il peso della storia

    La riflessione della Berner consente, e in qualche misura costringe, il lettore italiano ad un paragone con l’evoluzione storica e l’attuale situazione del sistema educativo d’istruzione e formazione del nostro paese [1] . Com’è noto, il tema del pluralismo educativo in Italia e della libertà di educazione è stato uno dei terreni di maggior scontro civile, politico, sociale, religioso: tra Chiesa e Stato, tra democristiani e comunisti/socialisti, laici e cattolici e così via…; anche per questo i padri costituenti nell’elaborazione della Costituzione repubblicana del 1948 decisero di non decidere senza scalfire, come rilevò amaramente Sturzo, il paradigma della scuola di Stato [2] . Con il famoso emendamento Corbino del senza oneri per lo Stato (art. 34 Cost.) si consentiva ad ambo le parti una duplice interpretazione, conforme ai desiderata ora degli uni, ora degli altri. In tutto il periodo repubblicano, poi, fallito il tentativo riformista del ministro Gonella dei primi anni ’50 [3] , i partiti politici al potere (Democrazia Cristiana in primis ) furono timidi, se non del tutto reticenti, nell’affrontare una volta per tutte un tema che sembrava dover cedere sempre il passo ad altre istanze più urgenti e importanti. Nonostante un contesto europeo complessivamente favorevole al principio della libertà di educazione [4] (come rileva d’altronde anche la stessa Berner dalla sua prospettiva statunitense), le timide aperture politiche della metà degli anni ’80 rimasero pressoché inascoltate e inattuate in Italia [5] . La stessa approvazione della legge sulla parità scolastica giuridica (L. n. 62/2000) – preceduta e accompagnata dalla stagione dell’autonomia scolastica [6] – non è riuscita ad andare oltre a un mero riconoscimento formale, talvolta poco più che simbolico, lasciando nei fatti un sistema uniforme e centralizzato, dove tutto ciò che non è istruzione statale viene guardato con sospetto e diffidenza. Tale atteggiamento ha accompagnato anche la recente legge 107/2015 [7] dove, nonostante una cospicua espansione della spesa statale in questo settore (assunzioni straordinarie, bonus da 500 euro per docenti e diciottenni, fondi per l’edilizia scolastica ecc…), non si sono registrate particolari novità, se non la mera difesa dell’esistente, all’interno del medesimo quadro regolatorio e finanziario.

    Ma il tema che qui trattiamo va ben oltre la sola questione, pur rilevante, della parità scolastica: in Italia, infatti, il tema del pluralismo educativo è stato racchiuso in una sorta di dualismo (scuola di Stato vs scuola privata, per lo più cattolica), impedendo così di cogliere e affrontare l’aspetto forse più decisivo, quello cioè del superamento dell’uniformità amministrativa, organizzativa, pedagogica e didattica del modello scolastico statalista italiano, i cui danni stanno forse iniziando ad emergere in maniera sempre più visibile [8] .

    Il ritardo e l’immobilismo italiano in materia di pluralismo educativo si fa ogni giorno più drammatico: caduti gli steccati ideologici del XX secolo anche nell’ambito delle politiche educative [9] , ci si sarebbe potuti aspettare una mossa decisa verso una direzione innovativa, capace di ripensare radicalmente il sistema d’istruzione, a partire dalle sue stesse finalità, rilanciando così un Paese che appare sempre più stanco, vecchio e in affanno [10] . Invece il tempo sembra trascorrere inutilmente, come dimostra questa sintetica e necessariamente parziale rassegna di autorevoli prese di posizione succedutesi nel corso degli ultimi 150 anni di storia italiana.

    Nel 1855 Cavour nella sua veste di Presidente del Consiglio del Regno di Sardegna, si esprimeva in questi termini:

    Penso che se vogliamo che l’educazione e l’istruzione si svolgano rapidamente e bene nel nostro paese, sia necessario che vi esistano e collegi laici e collegi religiosi, e ciò perché? Perché si stabilirà fra questi una salutare emulazione, e gli uni e gli altri gareggeranno per ottenere la fiducia dei padri di famiglia, sia col dare maggiore sviluppo allo studio delle scienze e della letteratura, sia col cercare di rendere più morali e migliori i nostri fanciulli [11] .

    Qualche decennio dopo, il Ministro della Pubblica Istruzione Pasquale Villari, intervenendo in Senato nel 1891, avanzava considerazioni analoghe:

    Io non dico a nessuno di mandare i figli a questa o a quella scuola, ma dico a tutti di mandarli alle scuole che essi giudicano migliori. Come Ministro della Pubblica Istruzione mi sforzo di dar mezzi ed opera a ottime scuole, senza impedire che sorgano scuole non statali, convinto come sono che c’è un solo modo d’impedire cattive scuole, quello cioè di averne delle ottime, qualunque sia il loro carattere [12] .

    E persino Antonio Gramsci nel 1918 scriveva su Il grido del popolo :

    Noi socialisti dobbiamo essere propugnatori della scuola libera, della scuola lasciata all’iniziativa privata e ai Comuni. La libertà nella scuola è possibile solo se la scuola è indipendente del controllo dello Stato. (…) Noi dobbiamo farci propugnatori della scuola libera e conquistarci la libertà di creare la nostra scuola. I cattolici faranno altrettanto dove sono in maggioranza; chi avrà più filo tesserà più tela [13] .

    Nel secondo dopoguerra dal fronte cattolico si sono levate autorevoli voci in favore del pluralismo educativo. Si pensi a quella di J. Maritain che, negli anni ’40 del secolo scorso [14] , auspicò il sorgere di un pluralismo scolastico che avrebbe fornito nuove energie agli insegnanti. Come recentemente ricordato, infatti, «Maritain era convinto che se fosse stata incoraggiata dallo Stato l’imprenditorialità scolastica delle diverse comunità che insieme formano la nazione, ogni comunità avrebbe tratto dai propri ideali specifici nuova linfa per alimentare l’impegno nell’educazione degli alunni» [15] .

    Pochi anni dopo, lo statista democristiano Aldo Moro in un testo del 1952, affermava di ritenere «inammissibile il monopolio statale dell’istruzione» e di mirare a «rendere effettiva la libertà della scuola»: secondo il politico pugliese, infatti, era quest’ultimo punto

    il criterio ispiratore delle norme costituzionali relative alla scuola, le quali non solo e non tanto sono volte a riconoscere la libertà d’iniziativa in materia di istruzione, quanto a superare decisamente, e proprio mediante l’istituto della parità, la fase, per così dire, nominalistica di questo riconoscimento e ad attribuire ad ogni scuola che la meriti una somma di poteri che la ponga appunto su di un piede di parità con la scuola meglio dotata e più fornita di autorità sociale. [...] La libertà d’iniziativa scolastica [...] non sarebbe compiuta e concreta se, pur data a tutti la possibilità di insegnare in accordo con le scelte ideologiche proprie della società, non fosse poi attribuita a tutte le iniziative che hanno una reale intrinseca efficienza educativa, un pari valore sociale, un’eguale efficacia discriminativa in rapporto alla funzione selettiva e qualificativa che alla scuola, specie nelle forme moderne di organizzazione ed in specie in Italia, viene attribuita. [...] Una vera attuazione del principio di libertà scolastica, una interpretazione non formalistica ma sostanziale di esso richiedono che questo riconoscimento di efficienza spetti a tutte le scuole che lo meritino, quale che sia l’iniziativa, pubblica o privata, alla quale esse fanno capo, e che egualmente a tutte sia affidato il compito fiduciario di discriminare, per conto della collettività, i capaci dagli incapaci [16] .

    Ancor più esplicito il liberale Einaudi che pochi anni più tardi nelle sue Prediche profeticamente inutili evidenzierà i due modelli di riferimento possibili, quello uniforme italiano-napoleonico e quello differenziato e disordinato di stampo anglosassone:

    L’analisi delle caratteristiche del tipo napoleonico reca ad una conclusione: il tipo attua un ideale, che è l’ideale dell’ordine, dell’euritmia, della uniformità. Unica la fonte: lo Stato. Unico il valore degli studi: quello voluto dai poteri pubblici secondo la norma costituzionale. [...] La uniformità non vieta le diversità consigliate dalla particolare natura del luogo nel quale la scuola adempie al suo ufficio; sicché si possono istituire scuole agricole, industriali, commerciali, artistiche, adatte al genio particolare delle regioni e località diverse; e non tutte le scuole agricole siano uguali, ma le une specializzate per la viticultura e l’enologia e le altre forestali o risicole o agrumiere e così dicasi per l’industria. Ma sempre ogni tipo di scuola deve ottemperare nel suo ordinamento a regole fissate dalla pubblica autorità. […] Ancor oggi, questo è il tipo dominante nei paesi anglosassoni. Non ordine, non gerarchia, non uniformità, non regolamentazione; non valore legale dichiarato dallo stato; ma disordine, varietà, mutabilità, alegalità dei diplomi variamente stilati che ogni sorta di scuole, collegi, università rilascia [17] .

    Il tema venne poi ripreso circa 25 anni fa, quando un autorevole commentatore scriveva che ormai dovrebbe essere

    accettata l’idea che lo Stato non sia più responsabile della scuola. Sono gli istituti scolastici stessi ad essere responsabili della scuola. Dunque, la scuola non è più un servizio statale, ma un servizio collettivo pubblico o nazionale, (…). La scuola non è parte o organo di un ente, sia pure di dimensioni molto vaste, come lo Stato [18] .

    Tutti d’accordo, dunque, a parole nel voler superare il modello uniforme della scuola unica [19] – per utilizzare un termine di un titolo di un libro di Charles Glenn, tra gli autori maggiormente citati dalla Berner – ma poi sappiamo che nei fatti la storia è andata in direzione diametralmente opposta.


    [1] Cfr. R. Sante Di Pol, Parità scolastica: l’eccezione italiana. Cause storiche e problemi politico-ideologici, in AA. VV., Il valore della parità. Scuola cattolica in Italia. Diciannovesimo Rapporto 2017, CSSC, ELS-Morcelliana, Brescia 2017, pp. 108-122.

    [2] L. Sturzo, Una cattiva azione (A Epicarmo Corbino), in «L’Eco di Bergamo», 8 maggio 1947, citato in U. Chiaramonte, Necessaria in democrazia, Emergenza educativa e questione scolastica negli scritti di Luigi Sturzo, Sciascia, Caltanissetta-Roma 2009, pp. 325-326: «gli articoli sulla scuola inseriti nella Costituzione hanno lasciato lo stato di fatto del monopolio statale, il sistema delle concessioni di pareggiamento, l’inserzione dell’esame di Stato, a diritto e a rovescio (manca solo l’esame di Stato per gli asili infantili) e finalmente, per codicillo, la dichiarazione polemica e incongrua che la scuola privata non creerà alcun onere per lo Stato».

    [3] Sul tema si veda G. Bertagna, Dalla riforma Gonella alla riforma Moratti: simmetrie e contrappunti, in G. Bertagna, A. Canavero, A. D’Angelo, A. Simoncini (a cura di), Guido Gonella tra Governo, Parlamento e Partito, Tomo II, Rubbettino, Soveria Mannelli 2007, pp. 337-368.

    [4] Si vedano in particolare le Risoluzioni del Parlamento Europeo sulla Libertà d’insegnamento nella Comunità Europea del 13 marzo 1984 e sul Diritto alla libertà di scelta educativa in Europa (n. 1904, F-67075) del 4 ottobre 2012. La prima, in particolare, prevede che: «7. La libertà di insegnamento e di istruzione comporta il diritto di aprire una scuola e svolgervi attività didattica. Per esplicitare: tale libertà deriva dal diritto dei genitori di scegliere per i propri figli, tra diverse scuole equiparabili, una scuola in cui questi ricevano l’istruzione desiderata; (…) 9. Il diritto alla libertà d’insegnamento implica per sua natura l’obbligo per gli Stati membri di rendere possibile l’esercizio di tale diritto anche sotto il profilo finanziario». Per un approfondimento in tema e una ricognizione aggiornata sia consentito rimandare a F. Magni, La giurisprudenza recente, italiana ed europea, in materia di istruzione paritaria, in AA. VV., Il valore della parità, cit., pp. 182-195.

    [5] Cfr. C. Martelli, Scuola cattiva? Prova col buono, in «Mondo economico», 10 marzo 1986.

    [6] L’introduzione nel nostro ordinamento giuridico dell’autonomia delle istituzioni scolastiche avvenne tramite la c.d. Legge Bassanini 15 marzo 1997, n. 59, poi attuata tramite il D.P.R. 8 marzo 1999, n. 275. Sul punto si rimanda, ex multis, a G. Bertagna, Autonomia. Storia, bilancio e rilancio di un’idea, La Scuola, Brescia, 2008; R. Morzenti Pellegrini, L’autonomia scolastica. Tra sussidiarietà, differenziazioni e pluralismi, Giappichelli, Torino 2011.

    [7] Sul tema sia consentito a rimandare a F. Magni, Le scuole paritarie e la legge 107/2015, in «Nuova Secondaria Ricerca», Anno XXXIII, n. 8, 2016, pp. 27-32. Tra i primi commenti alla Legge n. 107/2015 si rimanda inoltre anche ad A. Monia Alfieri, Luci e ombre della riforma della scuola (L. 107/2015), «Iustitia», n. 4, Giuffré, 2015, pp. 429-438; A. M. Poggi, Linee di tendenza della legislazione recente in materia di parità scolastica, pp. 196-207; in Aa.Vv., Il valore della parità, cit.

    [8] Cfr. G. Bertagna, La pedagogia della scuola. Dimensioni storiche, epistemologiche ed ordinamentali, in G. Bertagna-S. Ulivieri (a cura di), La ricerca pedagogica nell’Italia contemporanea. Problemi e Prospettive, Edizioni Studium, Roma 2017, pp. 34-111. Per riflessioni sulla libertà di scuola che superino una logica di difesa e di mera rivendicazione di spazi, per avviare invece una discussione a tutto campo sul tema del sistema dell’istruzione pubblica nel suo insieme, si vedano L. Ribolzi-G. Vittadini, S.O.S. Educazione. Statale, paritaria: per una scuola migliore, Fondazione per la Sussidiarietà, 2014; A. M. Alfieri-M. Grumo-M.C. Parola (a cura di), Il diritto di apprendere. Nuove linee di investimento per un sistema integrato, Giappichelli, Torino 2015; G. Vittadini (a cura di), Far crescere la persona. La scuola di fronte al mondo che cambia, Fondazione per la Sussidiarietà, 2016.

    [9] G. Bertagna, La Buona caduta degli steccati, in «Nuova Secondaria», XXXII n. 9, 2015, pp. 3-4.

    [10] Basti su tutto il dato demografico recentemente rilevato dall’ISTAT: se nel 2016 ci sono stati solo 473.000 neonati, il 2017 ha registrato un ulteriore calo segnando il record storico negativo di 464.000 nascite.

    [11] Camillo Benso conte di Cavour, discorso alla Camera dei Deputati, seduta del 23 febbraio 1855, riportato anche in G. Limiti, Cavour e la scuola, Armando, Roma 1965, pp. 121 ss.

    [12] Riportato in A. Moro-G. Gonella-R. Resta, Libertà e parità della scuola non statale nella Costituzione, Problemi della scuola cattolica, quaderno n. 3, FIDAE, Roma 1957, p. 33.

    [13] Articolo non firmato in «Il Grido del Popolo», n. 738 del 14 settembre 1918, riportato in A. Gramsci, Scritti 1915-1921, a cura di S. Caprioglio, Quaderni de Il Corpo, 1968, p. 85; più recentemente anche in D. Antiseri-L. Infantino, Le ragioni degli sconfitti nella lotta per la scuola libera, Armando, Roma 2000, p. 53.

    [14] J. Maritain, L’educazione al bivio, Editrice La Scuola, Brescia 1963, in particolare l’appendice Il problema della scuola pubblica in Francia. L’opera costituisce la traduzione italiana del volume edito in Francia nel 1947 e che aveva avuto una prima edizione ridotta negli Stati Uniti d’America nel 1943.

    [15] Così G. Zanniello, Identità e qualità di una scuola. Il valore aggiunto dell’appartenenza a una comunità, in Aa.Vv., Il valore della parità, cit., p. 60.

    [16] A. Moro, La Parità della scuola, in A. Moro-G. Gonella-R. Resta, Libertà e parità della scuola non statale nella Costituzione, Problemi della scuola cattolica, quaderno n. 3, FIDAE, Roma 1957. In realtà l’articolo era già stato pubblicato in precedenza in «Civitas» del 5 maggio 1952, pp. 7-8.

    [17] L. Einaudi, Scuola e libertà (1955), in Prediche inutili, Einaudi, Torino 1959, pp. 15-61.

    [18] S. Cassese, La scuola italiana tra Stato e società: servizio pubblico statale e non statale, in «Il Foro Italiano», vol. 114, n. V, 1991, pp. 215-216.

    [19] C.L. Glenn, The Myth of the Common School, University Of Massachusetts Press, Amherst MA 1988 (trad. it. di A. Balzarini, Il mito della scuola unica, a cura di Elisa Buzzi, Marietti, Genova-Milano 2004, p. 302).

    La forza della realtà

    Il testo della Berner, però, non ha una prospettiva solamente storica ma riguarda innanzitutto la realtà attuale delle cose. Registrando la decadenza e l’inefficienza dell’attuale sistema educativo americano, l’autrice individua tre principali cause di fondo: in primo luogo l’errata convinzione che «solo le scuole statali possano formare buoni cittadini», quindi che «solo le scuole statali possano offrire pari opportunità per tutti i bambini» e infine che «ogni altro assetto ordinamentale» diverso dall’uniformità della scuola di Stato «sia di per sé da guardare con sospetto» (introduzione, pp. 25-26).

    L’obiettivo del testo è dunque quello di mettere in discussione ciascuno di questi tre punti, al fine di superare, «un assetto politico-istituzionale che privilegia lo Stato sulla società civile e un pensiero pedagogico tenacemente trincerato su posizioni che – ancorché involontariamente – rafforzano le divisioni di classe e svantaggiano i bambini più bisognosi» (introduzione, p. 25).

    A questa amara quanto icastica triplice accusa, l’autrice fa seguire la considerazione che nonostante il sistema d’istruzione americano miri all’uniformità, «non c’è nessun chiaro vantaggio per un sistema di istruzione uniforme nella sua capacità di preparare gli studenti dal punto di vista scolastico e civico» (cap. 4, p. 161), vantaggi che al contrario si potrebbero conseguire «attuando un sistema plurale ben delineato» (cap. 6, p. 209). Infatti, «le scuole pubbliche americane non sono uniformi dal punto di vista operativo: esse si differenziano per risorse finanziarie, qualità degli insegnanti, contesto territoriale, dati demografici degli studenti e perfino per alcuni accenti specifici dei programmi curricolari. Esse sono, ad ogni modo, concettualmente uniformi, poiché sono state create con l’intento di suscitare un’esperienza uniforme» (cap. 2, p. 66). Si guarda anche con preoccupazione e realismo al tema della sostenibilità economica di un sistema di welfare educativo come quello attuale, affermando chiaramente che «così com’è strutturata, l’istruzione pubblica non è più sostenibile» (introduzione, p. 27).

    Emerge dunque una prospettiva molto realistica nel guardare alla situazione attuale, che presenta non pochi punti di analogia con il caso italiano, anche se l’accusa che l’autrice fa al sistema delle public schools americane che si comportano «come agenzie burocratiche piuttosto che come comunità organiche che lavorano bene per molti studenti» (cap. 4, p. 161) sembra forte, quasi eccessiva, per un lettore italiano: ci si potrebbe infatti chiedere, se le scuole americane così differenziate e plurali sono agenzie burocratiche, le scuole italiane che al massimo possono fregiarsi di una autonomia funzionale cosa dovrebbero essere [1] ? Basta infatti un rapido sguardo al sistema educativo americano per vedere quanto sia maggiormente plurale rispetto al nostro: si pensi, per esempio, all’introduzione – seppur solo in alcuni Stati – dei vouchers nel 1990, delle charter schools nel 1992, del credito fiscale nel 1997 e degli ESAs ( Education savings accounts) nel 2011.

    D’altronde, le critiche avanzate nei confronti del sistema americano potrebbero essere indirizzate in maniera ancora più convinta al nostro sistema d’istruzione:

    …lo Stato gestendo in condizione di monopolio le risorse pubbliche per l’istruzione, è condannato fatalmente ad offrire un cattivo servizio, sottratto alla fine ad ogni criterio di efficienza e di funzionalità e dominato invece dalle logiche sindacali e corporative di coloro che operano nella scuola. Una scuola per gli insegnanti invece che per le giovani generazioni e per la società è, alla fine, il fatale punto di arrivo della rivendicazione del monopolio statale nell’utilizzazione delle risorse pubbliche per l’istruzione, che sono ormai tanta parte del denaro pubblico. In questo campo solo un criterio di sana concorrenza può rianimare la stessa scuola pubblica e sottrarla al decadimento cui sembra condannata in Italia. Il problema è certamente delicato e complesso, ma bisogna quanto meno liberarsi da pregiudizi

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