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Libertaria. Volume 4: Una antologia scomoda
Libertaria. Volume 4: Una antologia scomoda
Libertaria. Volume 4: Una antologia scomoda
E-book706 pagine10 ore

Libertaria. Volume 4: Una antologia scomoda

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Info su questo ebook

Molti hanno dell’anarchia una idea assai superficiale, se non del tutto distorta. La propaganda martellante da parte dello Stato, e l’approccio passionale e irrazionale di molti auto-proclamati anarchici, hanno minato alla base l’anarchia come concezione e come pratica. Oggi, in una fase storica di profonda crisi dello Stato territoriale, è tempo di riportare alla luce alcuni scritti che, nonostante il passare del tempo, mantengono una freschezza e una lucidità straordinarie, e che per questo costituiranno forse motivo di disturbo per molti anarchici tradizionalisti e anti-anarchici viscerali.
Libertaria è il più ambizioso progetto antologico mai portato avanti sul tema dell’anarchia. I trecento saggi contenuti in questa collezione di cinque volumi mostrano non solo che la concezione e la pratica anarchica sono attualmente più che mai valide, ma ci offrono anche la possibilità di riflettere sulla crisi e sulla degenerazione di un potere dominante che non ha più ragione di essere.
LinguaItaliano
EditoreD Editore
Data di uscita25 lug 2023
ISBN9791222429755
Libertaria. Volume 4: Una antologia scomoda

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    Anteprima del libro

    Libertaria. Volume 4 - Gian Piero de Bellis

    Introduzione al quarto volume

    Il quarto volume dell’antologia Libertaria prende in esame temi estremamente importanti nella concezione e nella pratica degli anarchici.

    L’educazione e l’avvio di progetti educativi ha sempre occupato un posto di rilievo nella pratica anarchica, e anche nella letteratura anarchica varie sono le opere e le antologie che si occupano del problema. Infatti, solo attraverso un processo educativo critico, privo di costrizioni e manipolazioni, l’essere umano può liberarsi dal dominio dello Stato padronale.

    Il lavoro, come attività libera e volontaria, e l’economia, come studio dei bisogni umani e dei mezzi per soddisfarli, sono temi centrali nel divenire del pensiero e della sperimentazione degli anarchici. E le loro idee e proposte appaiono ora più interessanti e necessarie che mai.

    Infine, i saggi sulla proprietà e sulle tasse, pur non essendo questi degli argomenti ricorrenti di dibattito degli anarchici, ci offrono spunti di riflessione su cui indugiare per proseguire in una ricerca senza pregiudizi, formulando proposte che siano al passo con i tempi e con le possibilità di utilizzo generalizzato e di condivisione di beni e servizi offerte attualmente dalla tecnologia.

    Parte I – Istruzione, educazione

    La scuola è divenuta la religione universale di un proletariato modernizzato e fa promesse futili di salvezza ai poveri dell'era tecnologica. Lo Stato nazionale ha fatto propria questa religione arruolando tutti i cittadini in un programma scolastico graduato che porta a una successione di diplomi e che ricorda i rituali iniziatici e le ordinazioni sacerdotali di epoche passate. Lo Stato moderno si è assunto il compito di far rispettare le decisioni dei suoi educatori per mezzo di volonterosi funzionari addetti alla lotta contro l’evasione dall'obbligo scolastico e mediante i titoli di studio richiesti per ottenere un impiego, un po' come i re spagnoli facevano applicare le decisioni dei loro teologi servendosi dei conquistadores e dell’Inquisizione.

    (Ivan Illich, Descolarizzare la società, 1971)

    Istruzione, educazione

    I pensatori e gli attivisti anarchici hanno dedicato ampio spazio alla riflessione sull’educazione.

    Innanzitutto hanno formulato una critica della scuola di Stato. La loro avversione per la scuola di Stato è motivata dal fatto che essa è:

    Impositiva. In quanto scuola dei padroni, impone l’apprendimento di nozioni funzionali al potere e che sono, in molti casi, del tutto aliene agli interessi e ai desideri di conoscenza dei giovani discenti;

    Ripetitiva. La scuola di Stato nei suoi programmi e nelle forme cattedratiche di insegnamento non fa che ripetere il presente, divenuto passato, proiettandolo in un futuro sempre identico nelle forme di organizzazione politica e sociale;

    Manipolativa. Le famiglie mandano i loro figli alla scuola di Stato perché, attraverso la concessione di diplomi e l’assorbimento della ideologia dominante, possono sperare in un posto di lavoro e in una posizione più elevata nella scala economico-sociale.

    Contrariamente a ciò, i principi su cui si basa un’educazione nello spirito dell’anarchia possono così essere sintetizzati:

    Educazione integrale, attraverso il superamento della divisione manuale/intellettuale, pratica/teoria, corpo/mente, arte/scienza, e di tutte le divisioni-contrapposizioni generate artificialmente da un approccio convenzionale statale all’istruzione;

    Educazione razionale, attraverso un processo di apprendimento basato sulla conoscenza sperimentale della realtà e non sull’assorbimento ripetitivo di talune ideologie e comportamenti di passate generazioni, riproposti solo in quanto funzionali al ceto dominante;

    Educazione personale, sotto il controllo e la direzione dell’individuo interessato ad apprendere e in sintonia con i suoi bisogni ed esigenze. La curiosità e la voglia di esplorare la realtà sono le molle indispensabili per un apprendimento valido e duraturo;

    Educazione universale, che vuol dire disponibile per tutti gli individui, durante tutto il corso della loro vita, e in grado di creare ponti tra culture e temi e non barriere o addirittura contrapposizioni inutili e deleterie.

    Sulla base di questi principi, alcuni anarchici hanno speso notevoli energie per cercare di attuare i principi e le forme di un apprendimento libero e critico. Le iniziative e le proposte che sono state avanzate e attuate possono essere classificate sotto due forme:

    Nuove scuole. Gli esperimenti di Paul Robin (documento 4), Francisco Ferrer (documento 5), e Sébastien Faure (documento 8) rappresentano, tra gli altri, punti cardinali di una sperimentazione che avrebbe potuto produrre risultati notevoli in termini di formazione di personalità critiche e creative se non fossero stati soffocati da tutta una serie di interventi repressivi e criminali (l’assassinio di Francisco Ferrer da parte dello Stato spagnolo) e di motivi contingenti (lo scoppio della prima guerra mondiale e la fine, per mancanza di fondi, dell’esperimento La Ruche di Sébastien Faure)

    Oltre la scuola. In tempi più recenti, in presenza di nuove possibilità tecniche di comunicazione e di disponibilità generalizzata di materiali per l’apprendimento, alcuni pensatori quali Paul Goodman (documento 12) e Ivan Illich (documento 13) hanno formulato l’idea di un apprendimento personalizzato sganciato da un luogo fisico (l’edificio scolastico).

    Tutti questi spunti propositivi (apprendimento in gruppo, apprendimento personalizzato) andrebbero ripresi, ampliati e innovati per dar poi vita a nuovi progetti che possano prefigurare non solo i processi educativi del futuro ma anche le forme di organizzazione sociale di un domani in cui ogni tipo di dominazione (politica, economica, culturale) sarà del tutto assente.

    I falsi principi della nostra educazione, di Max Stirner

    Documento 1 (1842)

    Pur attraverso un linguaggio abbastanza pesante e circonvoluto, il messaggio di Stirner appare chiaro: il sapere deve trasformarsi in volontà d’azione per essere un vero sapere e preludere alla conquista della libertà dell’essere umano che è il vero fine di ogni processo educativo.

    Fonte: Estratto da Max Stirner, Das unwahre Princip unserer Erziehung, Rheinische Zeitung, 1842.

    Ecco la fine e al tempo stesso la perennità ed eternità del sapere: il sapere che è tornato a essere semplice e diretto, quel sapere che si ridisegna e si rivela come volontà in forme sempre nuove di azione. Non è la volontà che è intrinsecamente giusta, come vorrebbero assicurarci le persone pratiche; non è la volontà-sapere che si può superare per raggiungere subito la volontà, ma è la conoscenza che si completa con la volontà, quando si dispiega e si crea come spirito che costruisce il suo corpo. Ecco perché ogni processo educativo che non sbocca su questo fine e su questa ascensione del sapere è affetto dalle infermità della temporalità, della formalità, della materialità, del decadentismo e del semplice fare. Un sapere che non si purifica e non si concentra in modo tale da spingere a volere, o in altre parole, un sapere che mi pesa solo come un avere e un possedere, invece di essere infuso in me, in modo che il mio io, libero nei suoi movimenti, senza alcuna zavorra da trascinarsi dietro, pervada il mondo in un senso nuovo, ebbene, questo sapere che non è diventato un fatto personale, offre una scarsa preparazione alla vita. Non si vuole lasciare che arrivi all'astrazione, anche se solo l’astrazione è la vera consacrazione di tutto il sapere concreto: perché attraverso di essa la sostanza viene realmente afferrata e trasformata in spirito, dando così all’individuo la vera e definitiva liberazione. Solo nell'astrazione vi è la libertà: l’essere umano libero è solo colui che è andato al di là degli aspetti contingenti e che ha ripreso lui stesso, nell’unità del suo Io, tutto ciò che gli era stato sottratto con degli interrogativi.

    Se la spinta del nostro tempo, dopo la conquista della libertà di pensiero, consiste nel perseguire la libertà fino a quella perfezione con cui la si trasforma in libertà della volontà, per realizzarla come principio di una nuova epoca, allora il fine ultimo dell'educazione non può più essere il Sapere, ma piuttosto il Volere che nasce dalla Conoscenza. E l'espressione eloquente di ciò a cui deve tendere è l'essere umano dotato di una sua personalità ovvero l'individuo libero. La verità stessa non consiste in altro che nella rivelazione di sé stessa, e questo include il ritrovare sé stessi, la liberazione da tutto ciò che ci è estraneo, l'astrazione finale o la fine di ogni autorità esterna, la riconquistata semplicità e innocenza naturale. La scuola non forma persone così autentiche; ad ogni modo, se esse esistono, ciò avviene nonostante la scuola. La scuola, è vero, ci rende padroni delle cose, al massimo padroni della nostra natura, ma non ci rende nature libere. Nessuna conoscenza, per quanto approfondita e ampia, nessuna intelligenza e perspicacia, nessuna sottigliezza dialettica può salvarci da un pensare e volere meschini. Non è certo merito della scuola se non ne usciamo fuori egoisti. Ogni sorta di vanità e di avidità, di carrierismo, di zelo meccanico e servile, di vuota ossequiosità, eccetera, possono essere il prodotto sia di un vasto sapere che di un’educazione sofisticata e classica; e poiché tutto questo insegnamento non esercita alcuna influenza sulla nostra condotta morale, è destino che lo si dimentichi nella misura in cui non è necessario, come ci si scrolla di dosso la polvere della scuola.

    E tutto questo perché nell'istruzione ci si preoccupa solo dell'aspetto formale o di quello materiale, al massimo di entrambi, ma non della ricerca della verità, dell'educazione del vero essere umano. I realisti, è vero, fanno effettivamente dei progressi quando esigono che l'allievo si sforzi di cercare di comprendere ciò che sta imparando. Diesterweg [1], ad esempio, si sofferma molto sul principio dell'esperienza; ma anche qui, l'oggetto da solo non è la verità, ma qualcosa di positivo di un certo tipo (di cui fa parte anche la religione), che l'allievo impara a mettere in relazione e in connessione con l'insieme delle altre sue conoscenze positive, senza innalzarsi in qualche modo al di sopra della grossolanità del vissuto e dell'osservazione e senza che sia stimolato a continuare a lavorare con lo spirito che ha acquisito attraverso l'osservazione e a produrre qualcosa partendo da sé stesso. In altre parole, a essere speculativi, il che significa, nella vita pratica, tanto essere che agire moralmente.

    Al contrario, si ritiene che sia sufficiente educare le persone a essere sensate; ma ciò di cui si tratta non sono realmente le persone sensate. Capire le cose e le situazioni, ecco dove finisce attualmente l'educazione. Capire sé stessi non sembra essere ciò che concerne le persone. Così si promuove il senso del positivo, sia sul versante formale che su quello materiale, e si insegna ad adattarsi a ciò che esiste. Come in altri ambiti, anche in ambito pedagogico non si lascia pieno campo alla libertà, non si permette al pensiero anticonvenzionale di esprimersi: si vuole la sudditanza. L'unico scopo è un addestramento formale e materiale. Solo degli studiosi emergono dai recinti degli umanisti, solo dei cittadini utili da quelli dei realisti, ma entrambi non sono altro che individui sottomessi. Il nostro buon fondo di irriverenza e anticonvenzionalità è violentemente soffocato e con esso lo sviluppo della conoscenza come libero arbitrio. Il risultato della vita scolastica è quindi il filisteismo [2]. Come nell'infanzia siamo abituati ad accettare tutto ciò che ci è stato imposto, così più tardi accettiamo e subiamo l'esistenza come la troviamo, ci adattiamo ai tempi, diventiamo suoi servitori o, come si dice, dei buoni cittadini. Quindi, dove mai si rafforza lo spirito anticonvenzionale al posto della sudditanza alimentata fino ad ora? Dove mai si educa l'individuo a essere creativo al posto di colui che impara a pappagallo? Dove mai l'insegnante si trasforma in un collaboratore? Dove mai si accetta che la conoscenza si trasformi in volontà, in cui il fine è l'essere umano libero, e non semplicemente l'individuo istruito?

    Purtroppo, solo in pochi luoghi. Tuttavia, occorre che ci si renda sempre più conto che non è né l'educazione né la civilizzazione il compito più alto dell'individuo, ma l'auto-attività, l'auto-affermazione. L'istruzione sarà quindi trascurata? Niente affatto, e certo non di più di quanto siamo inclini a sacrificare la libertà di pensiero permettendole di risolversi nella libertà della volontà e di esserne sublimata. Quando l'individuo metterà in primo piano il fatto di avvertire i propri bisogni, di conoscere sé stesso e di impegnarsi in attività autonome, e cioè mirerà all'autocoscienza e alla libertà, tenderà lui stesso a cancellare, di propria iniziativa, l'ignoranza perché essa, in fondo, fa dell'oggetto alieno e impenetrabile una barriera e un ostacolo alla sua conoscenza di sé. Se l'idea di libertà si risveglia negli esseri umani, costoro non smetteranno mai di liberarsi da soli. Se invece li si istruisce (vale a dire, li si manipola culturalmente) gli individui si adatteranno sempre alle circostanze, in modo colto e raffinato, per poi degenerare in servitori sottomessi. Che cosa sono diventati i nostri intellettuali e le persone colte? Dei padroni, proprietari di schiavi e schiavi essi stessi.

    I realisti possono vantarsi del fatto che non educano semplici studiosi, ma cittadini sensibili e utili. Infatti, il loro principio insegnare tutto in riferimento alla vita pratica potrebbe addirittura essere considerato il motto dei nostri tempi, se solo non concepissero la pratica reale in un senso assai volgare. Ma la vera pratica non è quella di farsi strada nella vita, e la conoscenza è qualcosa di più prezioso dell'utilizzarla per perseguire i propri obiettivi pratici. Piuttosto, la pratica più alta è che l'individuo abbia coscienza della sua libertà, e il vero sapere, che si sa anche oltrepassare, consiste nella libertà che produce la vita.

    La vita pratica! Con questo si crede di aver detto molto, e tuttavia anche gli animali conducono una vita abbastanza pratica, non appena la madre li ha svezzati, ed essi cercano il loro cibo nei campi o nella foresta, o sono messi sotto il giogo di un lavoro. Scheitlin, che conosce bene la psicologia animale, porterebbe il confronto molto più lontano, anche nella religione, come si può vedere dalla sua Thierseelenkunde (Scienza dell'anima animale), un saggio molto istruttivo proprio perché avvicina l'animale all'uomo civilizzato e l'uomo civilizzato all'animale. Questa preoccupazione di educare alla vita pratica produce solo dei formalisti che agiscono e pensano secondo alcune massime, e non persone di principio. In sostanza degli spiriti ossequiosi della legge, non esseri umani liberi.

    Ma qualcosa di ben diverso sono le persone in cui la totalità del loro pensiero e della loro azione si sviluppa in un costante movimento e ringiovanimento, rispetto a coloro che sono fissati sulle loro convinzioni. Le convinzioni stesse rimangono immobili, non passano attraverso il cuore come il sangue arterioso che si rinnova sempre, si congelano, per così dire, come corpi solidi, e sono ritenute, anche se acquisite dall'esterno e non ancora formate, come qualcosa di assolutamente positivo e soprattutto come qualcosa di sacro. Così, può accadere che un’educazione realistica formi dei caratteri fermi, solidi, forti, persone incrollabili, cuori fedeli, e questo è un bene inestimabile per la nostra generazione piuttosto fiacca. Ma i caratteri eterni, quelli la cui energia consiste solo nel flusso incessante della loro auto-creazione che si compie di momento in momento, e che sono eterni proprio perché si formano da sé in ogni momento, perché fanno nascere la temporalità di ogni loro aspetto del momento, della freschezza mai appassita e invecchiata e dell'attività creativa del loro spirito eterno – costoro non sono il frutto di quella educazione. Il carattere cosiddetto solido è, nella migliore delle ipotesi, solo un carattere rigido; se si vuole che sia perfetto, deve diventare allo stesso tempo un carattere che soffre, che palpita e che freme nella beata passione di un rinnovamento e di una rinascita incessanti.

    Così i raggi di tutta l'educazione convergono verso un Unico Centro, che si chiama personalità. La conoscenza, per quanto appresa e profonda, o per quanto ampia e intellegibile possa essere, rimane come possesso e proprietà finché non è concentrata nel punto invisibile dell'Io, per poi esplodere in maniera potente da lì come volontà, come spirito soprasensibile e indeterminabile. Il sapere sperimenta questa trasformazione quando cessa di riferirsi solo agli oggetti, quando diventa sapere di sé stesso, o, se ciò può sembrare più chiaro, una conoscenza dell'idea, un’autocoscienza dello spirito. Allora si trasforma, per così dire, nella pulsione, nell'istinto della mente, in un sapere inconscio, di cui ognuno può almeno avere un'idea quando lo confronta con la maniera in cui tante e ampie esperienze sono state sublimate da noi stessi in quel semplice sentimento chiamato tatto: tutte le conoscenze estese, tratte da quelle esperienze, si concentrano in una conoscenza istantanea, per cui l'individuo decide in un istante come agire. È fino a lì, a quell'immaterialità, che la conoscenza deve penetrare, sacrificando le sue parti mortali e diventando, in quanto sapere, qualcosa di immortale – la volontà.

    In questo fatto consiste, in gran parte, la miseria della nostra vecchia educazione, che la conoscenza non si sia purificata nella volontà, nell'attività di sé stessa, nella pura pratica. I realisti hanno avvertito questa mancanza, ma l'hanno risolta solo in modo miserabile, formando degli individui pratici poco creativi e non liberi. La maggior parte dei futuri insegnanti negli istituti sono la prova vivente di questo triste orientamento. Addestrati al meglio, continuano ad addestrare allo stesso modo; rivestiti di talune conoscenze, continuano a rivestire gli altri con gli stessi abiti ritenuti buoni per tutti. Ma ogni educazione deve diventare personale, e, partendo dalla conoscenza, tenere sempre presente l'essenza del conoscere, e cioè che il sapere non dovrebbe mai essere un possesso, ma diventare parte dell'io stesso. In una parola, non è la conoscenza che deve essere inculcata, ma è la persona che deve arrivare allo sviluppo di sé stessa. Lo scopo della pedagogia non deve essere quello di creare dei cittadini, ma di formare delle persone libere, dei caratteri indipendenti; e quindi la volontà, finora così violentemente repressa, non deve più essere indebolita. Dopo tutto, se non indeboliamo l'istinto della conoscenza, perché dovremmo indebolire l'istinto della volontà? Se si coltiva l'uno, che si coltivi anche l'altro.

    La testardaggine e l'impertinenza dei fanciulli ha tanto diritto di manifestarsi quanto la loro curiosità ad apprendere. Quest'ultima viene deliberatamente stimolata; facciamo sì che si incoraggi anche la forza naturale della volontà, vale a dire la critica e l'opposizione nei confronti dell'esistente. Se il bambino non impara a essere cosciente di sé, non impara la cosa principale. Non si sopprima il suo orgoglio, la sua franchezza. In presenza della sua esuberanza, la mia libertà rimane sempre sicura. Se l'orgoglio degenera in sfida, allora il bambino vuole farmi violenza; ora, io non ho bisogno di sopportare questo, perché anche io sono un essere libero come il bambino. Ma devo forse difendermi utilizzando le comode difese dell'autoritarismo? No, impiego la forza della mia libertà, e la sfida dei piccoli si frantuma da sola. Chiunque sia una persona completa non ha bisogno di ricorrere a mezzi autoritari. E se la franchezza diventa insolenza, essa perderà la sua forza davanti alla dolce determinazione di una vera madre, davanti al suo sentimento materno, o di fronte alla fermezza del padre. Bisogna essere davvero molto deboli quando si deve ricorrere all'autoritarismo come aiuto, e si commette un errore quando si crede di rendere migliore l'insolente rendendolo timoroso. Esigere paura e rispetto sono cose che, con il passare del tempo, appartengono sempre più allo stile rococò.

    Allora, di cosa ci lamentiamo quando consideriamo le carenze della nostra attuale educazione scolastica? Che le nostre scuole si basano ancora sul vecchio principio della conoscenza senza volontà. Il principio nuovo è quello della volontà, come trasfigurazione della conoscenza. Quindi non si tratta di un concordato tra scuola e vita, ma che la scuola sia la vita, e che lì, come al di fuori di essa, il compito consista nell'auto-rivelazione della persona. Facciamo sì che l'educazione universale della scuola sia educazione alla libertà, non alla sudditanza: essere liberi, questa è la vera vita. Avendo intuito che l'umanesimo mancava di vita, il realismo avrebbe dovuto spingere a questa realizzazione. Tuttavia, nell'educazione umanistica si è riconosciuta solo la mancanza di ogni capacità per la cosiddetta vita pratica (della vita sociale e non di quella personale). E allora, in opposizione a un’educazione puramente formale, ci si è rivolti verso un’educazione materiale credendo così che, diffondendo strumenti che potevano essere utili alla vita pratica, non solo si sarebbe superato il formalismo, ma si sarebbero anche soddisfatti i bisogni più elevati. Ma, anche l'istruzione pratica è ancora molto lontana dall'educazione libera e personale, e se l'una dà alle persone la capacità di farsi strada nella vita, l'altra dà loro la forza di accendere la scintilla della vita all'interno di sé stessi. Se l'una insegna a trovare la loro casa in una data società, l'altra insegna loro a sentirsi a casa propria con sé stessi. Non tutto è stato fatto quando ci muoviamo come membri utili della società; piuttosto, possiamo essere completi solo quando siamo persone libere, persone che si auto-realizzano.

    Se dunque l'idea e l'impulso di questa nuova era è la libera volontà, allora la pedagogia deve avere come inizio e come obiettivo la formazione della libera personalità. Sia gli umanisti che i realisti si limitano ancora alla conoscenza, e tutt'al più, arrivano fino al libero pensiero e, attraverso una liberazione teorica, fanno di noi dei liberi pensatori. Attraverso la conoscenza, però, si diventa liberi solo interiormente (una libertà, tra l'altro, alla quale non bisogna mai più rinunciare), mentre esteriormente si può rimanere schiavi e sottomessi nonostante qualsiasi libertà di coscienza e di pensiero. Eppure, è proprio questa libertà esterna alla conoscenza che è, per la volontà, la libertà interiore e vera, la libertà morale.

    In questa educazione, che è universale perché in essa l'essere umano più umile incontra quello più elevato, noi incontriamo la vera uguaglianza di tutti, l'uguaglianza delle persone libere: solo la libertà è uguaglianza [3].

    Si può, se si vuole, mettere un nome, porre i moralisti al di sopra degli umanisti e dei realisti, poiché il loro scopo ultimo è l'educazione morale. Ma poi arriva l'obiezione che vogliono educarci di nuovo a leggi morali positive, e che è stato fondamentalmente sempre così. Ma, proprio perché è sempre stato fatto così, il mio proposito è differente. Io voglio vedere risvegliata la forza dell'opposizione, la volontà personale non spezzata ma trasfigurata; questo potrebbe fare intendere la differenza in modo sufficientemente chiaro. Tuttavia, al fine di distinguere l'esigenza qui formulata anche dai migliori sforzi compiuti dai realisti – come appare, ad esempio, nel programma appena pubblicato da Diesterweg: «Nella mancanza di formazione del carattere sta la debolezza delle nostre scuole, come la debolezza della nostra educazione in generale. Noi non formiamo il carattere» – io preferisco dire che d'ora in poi abbiamo bisogno di un'educazione personale (non di un atteggiamento morale inculcato). Se proprio si vuole dare ancora una volta un nome a coloro che seguono questo principio, allora che li si chiami personalisti [4].

    Quindi, per ricordare ancora una volta Heinsius [5], il «vivo desiderio della nazione di avvicinare la scuola alla vita» si realizza solo quando si trova la vita reale nella pienezza della personalità, nell'indipendenza dell'individuo e nella sua libertà; poiché chi si sforza di raggiungere questo obiettivo non rinuncia a nulla del bene, né all'umanesimo né al realismo. Al contrario, porta l'umanesimo e il realismo molto più in alto e li nobilita entrambi. Né può essere elogiata la posizione nazionale che Heinsius adotta come quella giusta, poiché si tratta piuttosto di una posizione del tutto particolare. Solo l'essere umano libero e dotato di una sua personalità è un buon cittadino (un realista), e anche in assenza di una cultura speciale (accademica, artistica, eccetera), rimane un individuo di buon gusto (un umanista).

    Se dobbiamo quindi esprimere in brevi parole, alla fine, quale sia l'obiettivo del nostro tempo da cui dobbiamo essere guidati, allora la necessaria fine della scienza priva di volontà e l'ascesa di una volontà auto-cosciente, che si completa nello splendore della persona libera, potrebbe essere riassunta come segue: il sapere deve morire per risorgere di nuovo come volontà e rigenerarsi di nuovo, ogni giorno, come personalità libera.

    Educazione e formazione culturale, di Lev Tolstoj

    Documento 2 (1862)

    In questo estratto dagli scritti di Tolstoj sull'educazione si anticipano idee che faranno apparizione più di cento anni dopo sotto la voce descolarizzazione. Per questo è interessante vedere che cosa significhi per Tolstoj il termine scuola.

    Fonte: Rivista Jasnaja Poljana, n. 7, luglio 1862, in, Tolstoy on Education, The University of Chicago Press, 1967.

    L'educazione scolastica come manipolazione

    Non voglio riaffermare quello che ho già detto una volta e che è facile dimostrare, e cioè che l'educazione vista come una formazione di esseri umani secondo certi modelli prefissati è sterile, ingiusta e impossibile. Perciò mi limiterò qui a trattare un solo tema. Nessuno ha il diritto di imporre una certa educazione. Non lo riconosco io, né è stato riconosciuto o sarà mai riconosciuto dalle giovani generazioni che, sempre e dappertutto, sono contro un’educazione loro imposta.

    Come intendete voi dimostrare la legittimità di questo diritto?

    Io non so e non suppongo nulla, ma voi riconoscete e supponete un nuovo e, per noi, inesistente diritto, e cioè che un individuo possa plasmarne altri come lui vuole.

    Dimostratemi la legittimità di questo diritto senza ricorrere alla giustificazione che l'abuso di potere è sempre esistito. Non siete voi quelli che pongono domande, ma noi – voi siete coloro che devono rispondere al riguardo.

    Le mie idee, espresse su Jasnaja Poljana [6], sono state più volte criticate, sia a voce che per iscritto, allo stesso modo con cui si calmerebbero dei bambini irrequieti.

    Mi è stato detto: È sicuro che educare come si faceva nei monasteri, nel Medioevo, non è cosa buona, ma il ginnasio, le università, sono tutt'altra cosa.

    Altri hanno aggiunto: Indubbiamente, è proprio così, tuttavia prendendo in considerazione tutte le circostanze e tutte le situazioni, dobbiamo per forza arrivare alla conclusione che non è possibile fare altrimenti.

    Questo tipo di obiezioni mi sembra non riveli serietà ma debolezza di pensiero. La questione va posta in questi termini: un individuo ha o non ha il diritto di imporre a un altro una certa educazione?

    Non è affatto accettabile rispondere: No, ma…. Bisogna dire apertamente o no.

    Se , allora la sinagoga ebraica e le scuole confessionali hanno tutto il diritto di esistere esattamente come le università.

    Se no, allora la vostra università, in quanto istituzione educativa, è del tutto illegittima a meno che non sia perfetta e che tutti la riconoscano come tale.

    Non vedo una via di mezzo, non solo in teoria ma neanche in pratica.

    Sono parimenti esasperato nei riguardi del Ginnasio con il suo Latino e nei confronti del professore universitario con il suo radicalismo e materialismo. Né lo studente ginnasiale né quello universitario hanno una qualche libertà di scelta. Da quanto ho potuto osservare, anche i risultati di tutti questi tipi di educazione sono per me ugualmente bizzarri. Non è forse ovvio che i corsi di studio nei nostri istituti di educazione superiore appariranno ai nostri discendenti, nel ventunesimo secolo, altrettanto assurdi e inutili come appaiono adesso a noi le scuole del Medioevo?

    È facile arrivare a questa semplice conclusione: se nella storia del sapere umano non ci sono mai state verità assolute, ma solo errori che sono stati sostituiti da altri errori, non vi è ragione di costringere le giovani generazioni ad accettare delle nozioni che in futuro si riveleranno essere errate.

    Mi è stato detto: Se è sempre stato così, di cosa ti preoccupi? Non si può fare altrimenti.

    Io non la vedo così. Se le persone si sono sempre uccise l'un l'altra, non ne consegue che dovrebbe essere sempre così, e che è necessario elevare l'assassinio al rango di un principio, soprattutto quando le cause di questi delitti sono state individuate, e la possibilità di evitarli è stata indicata.

    Oltre la manipolazione scolastica

    Per rispondere agli interrogativi che ci vengono posti riguardo all'educazione, li formuleremo nel modo seguente:

    Che cosa significa che la scuola non interferisce nell'educazione?

    È possibile una tale non-interferenza?

    Che cosa deve essere la scuola se non interferisce nell'educazione?

    Per evitare malintesi, devo prima chiarire che cosa intendo con il termine scuola. Con questo termine non faccio riferimento all'edificio in cui si impartisce l'istruzione, né alludo agli insegnanti o ai ragazzi, e neppure a una certa tendenza dell'istruzione ma, in senso generale, all'attività consapevole di colui che trasmette la cultura a coloro che la ricevono. Vale a dire, una parte specifica della cultura, in qualsiasi modo questa attività di trasmissione culturale possa trovare espressione. L'insegnamento dei regolamenti a una recluta significa fare scuola; delle conferenze pubbliche sono scuola; un corso di formazione alla religione islamica è scuola; una raccolta di reperti in un museo accessibile al pubblico dei visitatori è scuola.

    Rispondo adesso alla prima questione. La non-interferenza della scuola in materia di cultura significa che la scuola non interferisce nella formazione delle credenze e delle convinzioni, e nel plasmare il carattere di colui che riceve la cultura. Questa non-interferenza la si può ottenere garantendo alla persona, durante il processo di acculturazione, la libertà piena di avvalersi degli insegnamenti che meglio rispondono a ciò di cui sente bisogno e che quindi desidera, vale a dire nella misura dei suoi bisogni e desideri, e di evitare gli insegnamenti che la persona non reputa necessari e che per questo non vuole.

    Le conferenze pubbliche e i musei sono gli esempi migliori di scuole che non interferiscono in materia di educazione [7]. Le università sono invece esempi di scuole che interferiscono in materia di educazione. In queste istituzioni gli studenti sono confinati entro i limiti fissati dalla durata del corso, dal programma, dall'impostazione connessa agli studi prescelti, dalle esigenze di passare un esame e dal diritto a una borsa di studio che si basa principalmente sul fatto di superare tali esami o, più correttamente, sulla perdita di tale diritto nel caso di non-rispetto di talune condizioni predeterminate.

    In queste istituzioni ogni cosa è regolata in modo tale che lo studente, minacciato da punizioni, è costretto, durante il processo di formazione culturale, a adottare quegli elementi educativi e ad assimilare quelle credenze, quelle convinzioni, e quegli aspetti che sono graditi ai fondatori dell'istituzione. L'elemento educativo obbligatorio, che consiste nella scelta esclusiva di un certo orientamento scientifico e nella minaccia di punizioni, è estremamente forte ed evidente all'osservatore attento, alla pari di quanto praticato in altre istituzioni che impiegano le punizioni corporali e che un osservatore superficiale contrappone alle pratiche nelle università.

    Invece, le conferenze aperte al pubblico, il cui numero è in continua crescita in Europa e in America, non solo non vincolano una persona a una specifica dottrina scientifica, non solo non richiedono l'attenzione delle persone sotto la minaccia di punizioni, ma si aspettano, dagli studenti che le seguono, un certo impegno volontario. Ciò dimostra, in contrasto con le lezioni all'università, la completa libertà di scelta che le caratterizza e sulla cui base esse sono offerte.

    Ecco quello che si intende per interferenza e non-interferenza della scuola nell'educazione.

    Se mi si dice che tale non-interferenza, possibile per le istituzioni educative superiori e per le persone adulte, non lo è per le scuole di ordine inferiore e per i minori, in quanto non vi sono esempi di ciò sotto forma di conferenze per ragazzi e simili, allora risponderò così. Noi non dobbiamo intendere il termine scuola in un senso estremamente ristretto, ma dobbiamo assumerlo sulla base della precedente definizione; in tal modo troveremo che, nelle fasi iniziali del sapere e per i bambini più piccoli, sono rinvenibili molti aspetti di una libera cultura, senza alcuna interferenza educativa, che corrispondono alle istituzioni superiori e alle conferenze pubbliche. Abbiamo ad esempio l'acquisizione di capacità di lettura attraverso un amico o un fratello; oppure, i giochi popolari che praticano i fanciulli e sul cui valore culturale intendo scrivere un articolo specifico; o ancora, i pubblici spettacoli, le mostre e simili; i quadri e i libri; i racconti e le canzoni; i lavori e, per finire, gli esperimenti educativi a Jasnaja Poljana.

    La risposta alla prima questione offre una risposta parziale alla seconda domanda: è possibile una tale non-interferenza? Noi non possiamo dimostrare che ciò sia possibile in teoria. La sola cosa che conferma una simile possibilità è l'osservazione che mostra che le persone che non sono mai passate attraverso una qualche formazione culturale, e cioè quelle che sono soggette solo a libere influenze culturali, le persone del popolo, sono più fresche, vigorose, ricche di energia, più indipendenti, giuste, umane e, soprattutto, più utili, di altre che hanno ricevuto una notevole formazione. Tuttavia, può essere che molti desiderino che anche questa affermazione sia comprovata.

    In seguito, dirò qualcosa riguardo a queste prove richieste. Qui voglio solo citare un fatto. Come mai la specie delle persone educate non si perfeziona dal punto di vista della sua umanità? Questo avviene per le razze di animali da allevamento; invece, la specie delle persone educate diventa peggiore e più debole. Prendete a caso un centinaio di ragazzi di parecchie generazioni che hanno avuto un’educazione e cento ragazzi del popolo privi di istruzione e confrontateli sotto vari punti di vista: in forza, agilità, vivacità mentale, capacità di acquisire conoscenze, persino nel senso morale – e in tutti i casi sarete stupiti dalla vasta superiorità da parte dei fanciulli delle generazioni che non hanno avuto educazione, e questa superiorità sarà più grande, minore è l'età del ragazzo.

    È spaventoso affermarlo, considerando le conclusioni a cui ciò ci conduce, ma la cosa è vera.

    Una prova conclusiva della possibilità di non-interferenza nei primi gradi della scuola, per le persone a cui l'esperienza personale e i sentimenti interiori non dicono nulla a favore di una tale idea, può essere ottenuta solo attraverso uno studio approfondito di tutte quelle libere influenze per mezzo delle quali la gente ottiene la sua cultura, affrontando il problema con discussioni dettagliate e con una lunga serie di esperimenti e resoconti al riguardo.

    Quindi, che cosa deve essere la scuola se non deve interferire in tema di educazione? Una scuola, come ho detto precedentemente, consiste nell'attività consapevole di colui che promuove la cultura presso coloro che la ricevono. Come deve agire il primo al fine di non violare l'essenza della cultura, e cioè la libertà del secondo?

    Rispondo: la scuola deve avere una finalità – la trasmissione dell'informazione e delle conoscenze senza cercare di coprire la sfera morale delle convinzioni, delle credenze e del carattere della persona. Il suo scopo deve consistere solo nella conoscenza, senza mirare a manipolare la personalità umana. La scuola non deve cercare di prevedere le conseguenze che produrrà la diffusione del sapere ma, diffondendolo, deve lasciare piena libertà per quanto riguarda la sua applicazione. La scuola non deve considerare nessuna disciplina in particolare o l'intero ventaglio delle discipline, come necessario, ma deve trasmettere le informazioni in suo possesso, lasciando gli studenti liberi di accettarle o meno.

    Riflessioni conclusive

    Allora, che cosa sarà la scuola con un’educazione che non interferisce con la libertà del discente? Sarà un’attività consapevole, complessa e varia, promossa da una persona nei riguardi di un'altra, con lo scopo di promuovere le conoscenze, ma senza obbligare lo studente, con la forza o con l'astuzia, ad assorbire quello che noi vorremmo egli assorbisse. La scuola, forse, non sarà una scuola come la intendiamo comunemente – con i banchi, la lavagna, un insegnante o docente su una pedana – ma potrebbe essere una mostra, un teatro, una biblioteca, un museo, un dialogo. Le discipline scientifiche, i programmi, saranno probabilmente dappertutto molto vari.

    (Sulla base del mio esperimento a Jasnaja Poljana, la suddivisione dei soggetti di studio cambiò completamente verso la metà dell'anno sia a seguito delle esigenze degli studenti e delle richieste dei genitori, sia in relazione alle capacità conoscitive degli insegnanti).

    * * *

    Forse solo tra un centinaio di anni le idee che ho qui espresso, in maniera poco chiara, goffa, non convincente, diventeranno un luogo comune. È probabile che solo allora queste istituzioni pronte all'uso, le scuole, i ginnasi, le università, scompariranno e che, nel corso del tempo, sorgeranno centri formativi autonomi che avranno come base la libertà delle nuove generazioni di discenti.

    L’istruzione integrale, di Mikhail Bakunin

    ​Documento 3 (1869)

    Bakunin propone il concetto di educazione integrale e di unione tra attività manuali e intellettuali, idee che saranno riprese successivamente da una folta schiera di anarchici che si dedicheranno, teoricamente e praticamente, al tema dell'educazione e dello sviluppo della persona.

    Fonte: Estratto da Mikhail Bakunin, L’instruction intégrale, L’Égalité, n° 28-29-30-31, luglio-agosto 1869.

    L’emancipazione degli operai potrà mai essere integrale fino a quando l’istruzione che essi ricevono sarà inferiore a quella che ottengono i borghesi; o fino al momento in cui ci sarà una classe qualsiasi, più o meno numerosa, che per nascita, sarà destinata a godere del privilegio di un’istruzione superiore e di un’educazione più completa?

    Porre così il tema, non ci conduce forse a una soluzione implicita?

    Non è forse chiaro che tra due persone dotate di un’intelligenza naturale pressoché uguale, colui che possiede maggiori conoscenze, il cui intelletto sarà maggiormente sviluppato a contatto con la scienza, e che afferra meglio il concatenamento dinamico dei fatti naturali e sociali che si chiamano leggi naturali e sociali, costui sarà quello che padroneggerà più facilmente e più profondamente gli aspetti dell’ambiente in cui vive? In sostanza, che è possibile affermare che questo individuo si sentirà più libero e più forte dell’altro? Colui che sa di più dominerà naturalmente quello che sa di meno. E anche se esistesse, all'inizio, tra due classi di individui, questa sola differenza di istruzione e di educazione, essa genererebbe, in poco tempo, tutte le altre differenze, e la società umana si ritroverebbe nella condizione attuale, vale a dire, sarebbe nuovamente divisa tra una massa di schiavi e un esiguo numero di padroni, i primi costretti come adesso a lavorare a vantaggio di questi ultimi.

    Si capisce adesso perché i socialisti borghesi chiedano soltanto un po’ di istruzione per il popolo, un po’ più di quanto non ne abbia adesso, mentre noi esigiamo per il popolo l’ istruzione integrale, tutta l’istruzione, un’istruzione piena, come consentono le potenzialità intellettuali di questo secolo, di modo che, al di sopra delle masse operaie, non possa collocarsi più alcuna classe in grado di saperne di più; e proprio per il fatto di saperne di più possa dominare e sfruttare il popolo lavoratore. I socialisti borghesi vogliono mantenere la divisione in classi, ciascuna di esse rappresentando, secondo loro, una differente funzione sociale; l’una, ad esempio, la scienza e l’altra il lavoro manuale. Noi vogliamo, al contrario, la scomparsa definitiva e completa delle classi, una società unita, e l’uguaglianza economica e sociale di tutti gli esseri umani che vivono sulla terra. I socialisti borghesi vorrebbero mantenere le disuguaglianze e le ingiustizie e solo attenuarle, addolcirle e renderle più accettabili, mentre noi vogliamo distruggere queste basi storiche della società attuale. Da ciò ne deriva in maniera molto chiara che non è possibile alcuna intesa né conciliazione tra loro e noi.

    Tuttavia, si dirà, e questa è la tesi che ci è opposta più di sovente e che i Signori Dottrinari di tutte le tendenze considerano come un’argomentazione irrefutabile, che non è possibile che l’umanità tutta intera si dedichi alla scienza. Si morirebbe di fame. Occorre dunque che, mentre alcuni si dedicano agli studi, altri lavorino, in modo da produrre i beni necessari per vivere, innanzitutto per sé stessi, e poi per le persone che si sono votate esclusivamente alle opere dell’intelletto. Infatti, queste persone non lavorano solo per sé stesse; le loro scoperte scientifiche, oltre ad ampliare lo spirito umano, non si applicano forse anche all’industria e all’agricoltura e, in generale, alla vita politica e sociale? Non migliorano forse, senza eccezione, la condizione di tutti gli esseri umani? Le creazioni artistiche non nobilitano l’esistenza di tutti quanti?

    Ma niente affatto. E la più grande critica che rivolgiamo alla scienza e alle arti è proprio quella di non diffondere tra tutti i loro benefici e di esercitare un influsso salutare solo su una parte infima della società, escludendo e quindi anche svantaggiando l’immensa maggioranza delle persone. Si può dire al giorno d’oggi riguardo ai progressi della scienza e delle arti ciò che è stato già detto, a ragione, dello sviluppo prodigioso dell’industria, del commercio, del credito, in sostanza della ricchezza sociale, nei paesi più civilizzati del mondo moderno. Questa ricchezza è del tutto esclusiva e tende ogni giorno di più a diventare tale, concentrandosi nelle mani di un gruppo sempre più ristretto di individui. Avviene quindi che gli strati inferiori della classe media, la piccola borghesia, precipitino in basso, nel proletariato, per cui lo sviluppo della ricchezza è in relazione diretta alla miseria crescente delle masse operaie. Da ciò ne risulta che l’abisso che già separa la minoranza soddisfatta e privilegiata dai milioni di lavoratori che la fanno vivere attraverso il loro lavoro, si allarga sempre più; e che, più migliora la qualità di vita degli sfruttatori, più cresce l'infelicità dei lavoratori sfruttati.

    * * *

    Lo stesso avviene per i progressi moderni della scienza e delle arti. Questi progressi sono immensi, è vero! Ma più sono grandi, più diventano causa di asservimento intellettuale e, di conseguenza, anche materiale. Una causa di miseria e di inferiorità per il popolo perché essi allargano sempre più il solco che già separa l'intelletto del popolo da quelle delle classi privilegiate. Il primo, dal punto di vista delle capacità naturali, è oggi, con tutta evidenza, più ingenuo, meno usurato, meno sofisticato e meno corrotto dalla necessità di difendere degli interessi ingiusti, e di conseguenza esso è naturalmente più potente dell’intelletto dei borghesi. Tuttavia, questi ultimi hanno a loro disposizione tutti gli strumenti della scienza, e questi sono formidabili. Capita molto spesso che un operaio assai sveglio di intelletto sia costretto a tacere davanti a un idiota saputello che lo supera non per le capacità creative, che egli non ha, ma per l’istruzione ricevuta e di cui l’operaio è privo. E questo è avvenuto perché, mentre la dabbenaggine del primo si sviluppava scientificamente nelle scuole, il lavoro dell’operaio lo vestiva, lo alloggiava, lo nutriva e gli forniva tutte le risorse, gli insegnanti e i libri necessari alla sua istruzione.

    * * *

    I borghesi hanno camminato più in fretta sulla strada della civiltà, rispetto ai proletari, non perché il loro intelletto fosse naturalmente più potente di quello di questi ultimi – attualmente si potrebbe sostenere l’esatto opposto – ma perché l’organizzazione economica e politica della società è stata finora tale che solo i borghesi hanno potuto istruirsi, che la scienza è esistita solo per loro, che il proletariato si è trovato condannato a un’ignoranza forzata per cui, anche se avanza – e i suoi progressi sono indubbi – non è grazie alla società borghese ma malgrado essa.

    In sostanza, nell’organizzazione attuale della società, i progressi della scienza sono stati la causa della ignoranza relativa del proletariato, così come i progressi dell’industria e del commercio sono stati la causa della sua miseria relativa. I progressi intellettuali e quelli materiali hanno quindi contribuito entrambi ad accrescere il suo asservimento. Che cosa si ricava da tutto ciò? La consapevolezza che noi dobbiamo superare e combattere questa scienza borghese, così come dobbiamo superare e combattere la ricchezza borghese. Combatterle e superarle nel senso che, ponendo fine all’ordine sociale che fa della scienza e della ricchezza il patrimonio di una o più classi, noi le rivendichiamo come beni comuni a disposizione di tutti.

    * * *

    Abbiamo mostrato che, fino a quando ci saranno due o più livelli di istruzione per i differenti strati della società, ci saranno necessariamente delle classi, vale a dire dei privilegi economici e politici per un numero ristretto di fortunati, e l’asservimento e la miseria per un gran numero di persone.

    Come membri dell’Associazione Internazionale dei Lavoratori, noi vogliamo l’Uguaglianza e, proprio perché la vogliamo, dobbiamo anche volere l’istruzione integrale per tutti.

    Ma, si domanda qualcuno, se tutti sono istruiti, chi vorrà più lavorare? La nostra risposta è semplice: tutti devono svolgere un’attività produttiva e tutti devono potersi istruire. A ciò si risponde molto spesso che l’unione di attività industriali e di attività intellettuali non potrà avvenire se non a detrimento dell’una e dell’altra: i produttori saranno dei pessimi scienziati e gli scienziati non saranno che dei terribili produttori. Questo è forse vero nella società attuale in cui il lavoro manuale così come il lavoro intellettuale sono entrambi falsati dall’isolamento, del tutto artificioso, a cui sono entrambi condannati. Ma noi siamo convinti che nell’essere umano vivo e pienamente sviluppato, ciascuna di queste due attività, quella muscolare e quella mentale, deve essere parimenti sviluppata e che, lungi dal nuocersi reciprocamente, ciascuna di esse deve sostenere, allargare e rinforzare l’altra. Le conoscenze dello scienziato diventeranno più feconde, più utili e più vaste allorché egli non sarà più ignaro delle attività manuali, e l’operaio istruito sarà più intelligente e più produttivo nello svolgimento del suo lavoro rispetto all’operaio ignorante.

    Da ciò ne consegue che, nell’interesse stesso dell’attività produttiva così come della scienza, occorre che non vi siano più esclusivamente né degli operai né degli scienziati, ma solamente degli esseri umani.

    Il risultato sarà che le persone che, per la loro intelligenza più spiccata sono attualmente attratte verso il mondo esclusivo della scienza e che, una volta collocate in tale mondo, cedendo all’attrattiva di una condizione del tutto borghese, indirizzano tutte le loro invenzioni per il vantaggio esclusivo della classe privilegiata di cui essi stessi fanno oramai parte – queste persone, diventando davvero solidali con tutti, solidali non solo in teoria o a parole, ma nei fatti, attraverso il lavoro, metteranno anche e necessariamente le scoperte e le applicazioni della scienza a disposizione di tutti. E lo faranno, innanzitutto, per alleggerire e rendere più attraente l’attività produttiva, che è la sola base legittima e reale della società umana.

    * * *

    Si parla tanto di libertà individuale al giorno d’oggi, ma quello che domina non è affatto il singolo essere umano, l’individuo in generale, ma l’individuo privilegiato a causa della sua condizione sociale. Quella che prevale è quindi la posizione di classe. Se un individuo intelligente della borghesia osasse semplicemente levarsi contro i privilegi economici della sua classe, vedreste allora quanti bravi borghesi, che parlano in continuazione di libertà individuale, rispetteranno la libertà di espressione di quell’individuo! Non ci parlano forse di capacità individuali? E non vediamo forse, ogni giorno, operai e anche borghesi che sono dotati di grandi capacità e che, nonostante ciò, devono cedere il passo e addirittura inchinare la fronte davanti a stupidi ereditieri di grandi fortune? La libertà individuale, priva di privilegi e semplicemente umana, permetterà lo sviluppo integrale delle capacità reali degli individui solo in presenza di una piena uguaglianza. Quando ci sarà una parità nelle condizioni di partenza per tutti gli esseri umani che vivono sulla terra (salvaguardando comunque l’esigenza più elevata di solidarietà, che è e resterà sempre la molla più importante di tutti i fenomeni sociali, quali il processo conoscitivo e la produzione di beni materiali) soltanto allora si potrà dire, ben più di oggi, che ciascun individuo è figlio delle sue opere.

    * * *

    In fondo, persino nella società attuale, se si escludono due categorie di persone, i geni e gli idioti, e se si fa astrazione dalle differenze generate ad arte attraverso l’influsso di mille cause sociali, come ad esempio l’educazione, l’istruzione, la posizione economica e politica, fattori che differenziano gli individui non solo all’interno di ogni strato sociale, ma quasi all'interno di ogni famiglia, si riconoscerà che, dal punto di vista delle capacità intellettuali e della forza morale, l’immensa maggioranza degli individui si assomiglia parecchio o quanto meno si equivale [8]. Infatti, la debolezza di uno, per certi aspetti, è quasi sempre compensata da un’energia equivalente sotto altri aspetti, di modo che è impossibile affermare che un essere umano preso a caso nella massa sia molto al di sotto o molto al di sopra di un altro. L’immensa maggioranza delle persone non sono identiche ma si equivalgono, e sono di conseguenza uguali. Per cui, ai nostri avversari, per sostenere la loro tesi contro l’uguaglianza non resta che far riferimento ai geni o agli idioti.

    L’idiotismo, lo si sa, è una malattia psicologica e sociale. Deve essere quindi trattata non nelle scuole ma negli ospedali, e si può sperare che l’introduzione di un’igiene sociale più razionale e soprattutto più attenta alla salute fisica e morale degli individui di quanto non avvenga oggi, assieme a un’organizzazione ugualitaria della nuova società, finiranno per far scomparire del tutto dalla faccia della terra questa malattia così penosa per l’umanità. Quanto ai geni, occorre innanzitutto osservare che, fortunatamente o sfortunatamente, come meglio si crede, essi non sono mai apparsi nella storia se non come eccezioni assai rare alla prassi corrente, e un’organizzazione sociale non si basa sulle eccezioni. Speriamo comunque che la società futura troverà nella organizzazione autenticamente popolare della sua energia collettiva, il modo di rendere questi grandi geni meno necessari, meno dominanti e più benefici, nei fatti, per tutti. Non bisogna mai dimenticare la frase profonda di Voltaire: «C’è qualcuno che ha più forza creativa dei più grandi geni, ed è l’insieme degli esseri umani» [9]. Non si tratta quindi che di lasciare che questa umanità tutta si organizzi attraverso la più grande libertà basata sulla più completa uguaglianza economica, politica e sociale, in modo da non avere più nulla da temere dalle velleità dittatoriali e dall’ambizione dispotica di uomini di genio.

    * * *

    L’istruzione in tutti i casi deve essere dello stesso livello per tutti e di conseguenza deve essere integrale, vale a dire, deve preparare fanciulli e fanciulle sia alla vita intellettuale che alle attività manuali di produzione, di modo che tutti possano diventare parimenti delle persone pienamente sviluppate.

    La filosofia positiva, avendo eliminato negli spiriti deboli le favole della religione e i sogni della metafisica, ci permette di individuare già quale debba essere, in futuro, l’istruzione scientifica. Essa avrà la conoscenza della natura come base e la conoscenza della società come fine. L’ideale, cessando di dominare e stravolgere l’esistenza, come avviene sempre in tutti i sistemi metafisici e religiosi, non sarà null’altro che l’ultima e più bella espressione del mondo reale. Cessando di essere un sogno, l’ideale diventerà esso stesso realtà.

    * * *

    I fanciulli, come le persone mature, non diventano saggi se non attraverso esperienze dirette, mai per interposta persona.

    Nell’istruzione integrale, accanto all’insegnamento scientifico o teorico, ci deve essere necessariamente l’insegnamento industriale o pratico. Soltanto così si formerà una persona completa: l’essere attivo che comprende e che conosce.

    * * *

    Accanto all’insegnamento scientifico e industriale ci sarà necessariamente anche l’insegnamento pratico, o piuttosto una serie successiva di esperienze della morale non divina ma umana. La morale divina è stata basata su questi due principi immorali: il rispetto del potere e il disprezzo dell’umanità. La morale umana, al contrario, si fonda sul disprezzo del potere dominante e sul rispetto della libertà e dell’umanità. La morale divina considera il lavoro come un fatto degradante e come una punizione; la morale umana vede nell’attività produttiva una condizione elevata di soddisfazione e di dignità umana. La morale divina, per logica conseguenza, sfocia in una politica che riconosce dei diritti solo a coloro che, per la loro posizione economica privilegiata, possono vivere senza lavorare. La morale umana accorda i diritti solo a coloro che vivono svolgendo un’attività; essa riconosce che solo attraverso un’attività produttiva l’essere umano diviene tale.

    L’educazione dei fanciulli, prendendo avvio da una situazione di autorità intesa come autorevolezza, deve poi condurre alla più completa libertà. Noi intendiamo per libertà, dal punto di vista positivo, il pieno sviluppo delle facoltà insite nella persona; e dal punto di vista negativo, l’indipendenza totale della volontà del singolo rispetto alla volontà altrui.

    L’essere umano non è e non sarà mai libero per quanto concerne le leggi naturali e le norme sociali. Le leggi, che sono ripartite in due categorie per maggiore comodità conoscitiva, appartengono in realtà solo a una stessa categoria in quanto sono tutte ugualmente leggi naturali, leggi imprescindibili che costituiscono la base e la premessa stessa dell’esistenza di tutti, di modo che nessun essere vivente sarebbe in grado di rivoltarsi contro senza, così facendo, annientarsi.

    Ma occorre distinguere bene queste leggi naturali dalle leggi autoritarie, arbitrarie, politiche, religiose, del diritto criminale e civile, che le classi privilegiate hanno introdotto nel corso della storia, sempre nell’interesse di sfruttare il lavoro delle masse operaie, e con il solo fine di annientarne la libertà. Tali leggi, sotto il pretesto di introdurre una presunta moralità, sono state sempre la fonte della più grande immoralità. Per cui, obbedienza senza costrizioni a tutte le leggi che, indipendentemente dalla volontà umana, costituiscono la base della vita stessa della natura e della società; ma indipendenza assoluta, per quanto possibile, da parte di ognuno nei confronti di tutte le pretese di dominio espresse da volontà umane sia collettive che individuali, le quali vorrebbero imporre al singolo non una norma naturale ma la loro legge dispotica.

    Quanto all’influenza naturale che le persone esercitano le une sulle altre, questo fatto costituisce una di quelle condizioni della vita sociale contro cui ribellarsi sarebbe sia inutile che impossibile. Questa reciproca influenza è la base stessa, materiale, intellettuale e morale, della solidarietà umana. L’essere umano è un prodotto della solidarietà cioè della società; esso, pur restando sottomesso alle sue leggi naturali, può assai bene, fino a un certo punto, reagire contro il suo ambiente sociale, e questo sotto l’influsso di idee provenienti da fuori, e in particolare, da una società diversa dalla sua. Ma l’individuo non può abbandonare del tutto una società senza entrare a far parte di un’altra sfera di solidarietà e sperimentare ben presto nuovi influssi. E questo

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