Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Katy Zeller e la profezia del dipinto
Katy Zeller e la profezia del dipinto
Katy Zeller e la profezia del dipinto
E-book232 pagine3 ore

Katy Zeller e la profezia del dipinto

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

La passione del giovane Marco per il mistero e il paranormale lo ha portato a conoscere l’avvincente storia di Katy Zeller, eroina determinata e dalle mille risorse, capace di affrontare terribili killer dai poteri sovrannaturali e pericolose sette di fanatici religiosi.
L’ammirazione e la curiosità per Katy lo spinge a documentarsi su di lei, al punto che decide di recarsi proprio nei luoghi che erano stati teatro delle sue avventure. Qui incontra Christopher, uno dei suoi amici più cari, che gli narra l’ultima delle storie che hanno visto per protagonista proprio Katy.
Un dipinto misterioso, rinvenuto in circostanze fortuite, le ha svelato infatti l’esistenza di un nuovo enigma e di un terribile nemico dai poteri demoniaci: nell’ombra, celato sotto sembianze fanciullesche, è in attesa di vendicarsi su di lei e sull’uomo che ama, il portentoso veggente Shandor Pheldaus. Per affrontare quello che pare ormai essere il suo destino e la sua missione, Katy deve recuperare preziosi manufatti dalle proprietà straordinarie e misurarsi con oscuri segreti, fino a indagare su delitti efferati. Sul suo percorso, incrocia preziosi alleati e compagni di avventura.
In tutto il racconto, dominano il coraggio e la forza di volontà dell’affascinante Katy. Ma anche per Marco ci sarà una indimenticabile sorpresa.
Romanzo dai toni dark, intrigante e fantasioso, Katy Zeller e la profezia del dipinto si dipana in un continuo succedersi di colpi di scena e affascina il lettore con la sua ricchezza compositiva.
LinguaItaliano
Data di uscita1 giu 2018
ISBN9788832921830
Katy Zeller e la profezia del dipinto

Correlato a Katy Zeller e la profezia del dipinto

Ebook correlati

Fantasy per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Recensioni su Katy Zeller e la profezia del dipinto

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Katy Zeller e la profezia del dipinto - Marco Ciaramella

    collaborazione.

    Prologo

    Lasciare un conto in sospeso non era mai stato nel mio stile e non volevo iniziare proprio quella volta. Non solo, dovevo anche mettere a tacere uno spirito che altrimenti non mi avrebbe mai dato pace. Ormai il dado era tratto, dovevo portare a termine ciò che avevo iniziato, quindi non mi restava che decidere a chi chiedere aiuto.

    Prima di raccontare il resto della storia, credo sia opportuno fare una breve premessa per non correre il rischio di essere scambiato per pazzo.

    Tutto per me era iniziato all’età di sette anni, dopo aver rinvenuto, per puro caso, in un cassetto a scomparsa della macchina per cucire di nonna Vera, un vecchio diario. Mia nonna mi aveva raccontato che le era stato donato, alla fine della Seconda guerra mondiale, da un giovane soldato di colore rimasto vittima di un’imboscata da parte dell’esercito tedesco e che necessitava di un rifugio prima di ricongiungersi al resto della milizia alleata. Io ne avevo dedotto potessi trattarsi dello stesso Jonathan Smith.

    Grazie a quella lettura, avevo avuto modo di conoscere l’affascinante mondo dell’occulto. In esso era narrata la storia di Patrick Colman, alias Stephen Pheldaus, un crudele medium con grandi poteri che si era macchiato di numerosi delitti, tra cui aver costretto Martin, il padre di Jonathan, agente di polizia di Manchester, a uccidere brutalmente un ostaggio nel corso di un intervento in cui lo stesso Martin rimase ucciso.

    La figura che però mi colpì di più in quella vicenda fu la mitica Katy Zeller, l’affascinante collega dello sfortunato Martin. Era stato subito amore a prima vista, perché quella donna aveva dimostrato di possedere grande acume e un’apertura mentale fuori dal comune, ma soprattutto un coraggio e una lealtà che non erano pari a nessuno. Costretta a confrontarsi con Stephen Pheldaus, un avversario che possedeva poteri straordinari, contro i quali nulla potevano le armi convenzionali, non aveva esitato a combatterlo e a mettere a repentaglio la propria vita pur di far trionfare la giustizia.

    Tuttavia, se non fosse giunto in suo soccorso il misterioso Shandor Pheldaus, suo compagno d’infanzia ed eterno innamorato, nonché nipote del temibile Stephen, Katy non avrebbe mai potuto avere la meglio su quello spietato assassino. Shandor, essendo dotato delle stesse facoltà sovrannaturali del serial killer a cui Katy stava dando la caccia, usando gli stessi mezzi di quest’ultimo, era stato in grado di aiutarla a uscire viva da quella situazione e di eliminare il malvagio zio.

    A quei tempi, però, non erano molte le persone propense a credere al paranormale: sarebbe stato complicato dimostrare come si erano svolti realmente i fatti la notte della resa dei conti. Katy si era allora addossata la responsabilità della morte dell’ostaggio che altrimenti sarebbe stata imputata al suo amico Martin. In quel modo era riuscita a salvare, se non la vita, almeno l’onore del compagno, il quale irrompendo per primo nella cantina in cui si trovava Stephen era stato costretto da quest’ultimo a sparare due colpi in rapida successione prima all’ostaggio e poi contro se stesso.

    Questo le era costato tre anni di reclusione e l’espulsione dal corpo di polizia. Uscita dal carcere, aveva cambiato radicalmente professione e aveva aperto un orto botanico. La ragazza però, non appagata dal successo della sua nuova attività, aveva ancora un desiderio: riconquistare l’affetto di Jonathan, il figlio di Martin, e dimostrargli di non essere la responsabile della morte del padre, come risultava dagli atti del processo.

    Anche per raggiungere quel proposito era stato necessario l’intervento di Shandor. Durante un incontro, lui le aveva donato il potere di influenzare la crescita e lo sviluppo delle piante, la capacità di apprendere con facilità qualsiasi lingua desiderasse e la facoltà di fungere da canale di comunicazione tra la dimensione terrena e quella spirituale. Proprio grazie a quest’ultima, mettendosi in contatto con Martin, aveva infatti potuto dimostrare a Jonathan la sua innocenza.

    Erano trascorsi diversi anni dal ritrovamento del manoscritto ed ero già un adulto quando decisi che era finalmente giunto il momento di approcciarmi al mondo dell’occulto.

    Il fascino magnetico che esso esercitava su di me mi spinse a organizzare una seduta spiritica. Fu in quest’occasione che venne a farmi visita lo spirito di cui ho accennato prima. La sua misteriosa esortazione Marco devi recarti alla biblioteca di Manchester e guardare dove gli altri non leggono mi colpì a tal punto che seguii le istruzioni alla lettera nella speranza di scoprire qualcosa di più su Katy Zeller: non potevo credere infatti si trattasse di coincidenza il fatto che venissi spinto ad andare proprio nella città in cui si era svolta la vicenda di cui avevo letto da piccolo. Con un po’ di fortuna, riuscii nell’intento: trovai un libro che nascondeva una mappa, la seguii e tornai a casa con un altro diario in cui era narrato il prosieguo della storia di cui era stata protagonista la mia eroina: questo diario, incredibilmente, era stato nascosto nella tomba di Dok, l’adorato cane di Katy.

    Leggendo quelle pagine ebbi di nuovo la conferma di quanto quella donna fosse speciale e sorprendente. In quella vicenda, infatti, Katy aveva dovuto affrontare non solo uno spietato assassino che riusciva a far passare i suoi delitti per semplici suicidi, ma anche una setta di fanatici religiosi, di cui facevano parte anche alcuni sedicenti amici che cercavano di carpirle informazioni nel modo più vile: sfruttando il suo senso di lealtà e l’affetto che nutriva nei loro confronti.

    Come sempre Shandor aveva cercato di darle una mano, ma non si era potuto esporre in prima persona, perché l’assassino da sopraffare era il suo fratellastro Angelus Augustinus, frutto delle violenze subite da sua madre a opera di Stephen Pheldaus, lo stesso medium che aveva freddato Martin e che Shandor aveva a sua volta ucciso, guidando con la forza della mente la mano di Katy per farle sparare con la propria pistola.

    Durante l’indagine, Katy era anche giunta in possesso di un documento molto antico legato a una famosa leggenda. Anch’esso era conservato tra le pagine del diario che avevo rinvenuto nel mio viaggio a Manchester. Si trattava della pagina di un libro sulla quale era riportata una particolare preghiera con la quale, ai tempi dell’Inquisizione, gli uomini di chiesa riuscivano a purificare, in vita o dopo la morte, le anime di coloro che avevano stretto un patto con il maligno. Nel primo caso, la persona esorcizzata poteva essere sottratta a un processo inquisitorio che l’avrebbe condannata al rogo; nel secondo, invece, si consentiva una sorta di riabilitazione del defunto, evitandogli così la dannazione eterna. Tuttavia, ciò era possibile soltanto recitando la supplica entro cinque giorni dal decesso. Nel caso in cui non si fosse trovato subito un sacerdote che conoscesse la procedura, occorreva imprigionare l’anima e impedirle il passaggio nell’altra dimensione custodendo il corpo all’interno di una bara di piombo fino al completamento del rito.

    Come appresi dalle ultime pagine del secondo diario di Katy, il fratellastro di Shandor era stato proprio sepolto in una bara di quel tipo, ma il rito di purificazione non era stato eseguito: ecco perché lo spirito, che io ritenevo essere quello della madre di Shandor, mi aveva parlato, il suo intento era di farmi portare a termine la missione.

    Dopo varie riflessioni, decisi di mettere la parola fine a quella storia rimasta in sospeso per tanti anni.

    La riuscita dell’impresa, però, era subordinata alla presenza di un prete e i tempi in cui frequentavo abitualmente la chiesa erano passati da un po’.

    Erano ormai lontani i giorni in cui indossavo la veste rossa con la cotta bianca per servire la messa la domenica e anche quelli immediatamente successivi in cui da chierichetto ero passato a primo cantore. Dovevo escogitare il modo di convincere qualcuno a seguirmi in quell’avventura che rasentava quasi il limite della follia.

    Non potevo certo rivolgermi a un qualsiasi parroco, specialmente a don Giulio, il sacerdote della parrocchia di Fuori del Ponte, dove all’epoca la mia famiglia si era appena trasferita. Nonostante fosse un uomo molto disponibile e dalla mentalità aperta, non avevo ancora con lui un grado di confidenza tale da permettermi di fargli quella bizzarra richiesta.

    Dovevo senza dubbio indirizzarmi altrove, magari trovare qualcuno disposto ad assecondarmi in virtù di una vecchia amicizia. Mi venne in mente un solo nome: il mitico don Stefano, che era stato cappellano al duomo di Pontedera all’epoca in cui frequentavo assiduamente, insieme a mio fratello Nicola, l’oratorio.

    Nonostante fossero passati già alcuni anni, ricordavo come fosse ieri i momenti trascorsi in sua compagnia. A lui dovevo anche la mia passione per la musica e per il teatro.

    Un giorno, mentre stavo servendo la messa, mi unii al coro dei fedeli per intonare il ritornello dell’ Alleluia quando improvvisamente don Stefano si voltò verso di me dicendomi sottovoce: A messa finita dobbiamo parlare.

    Io, tremendamente preoccupato di aver commesso qualche errore, pur non avendo la più pallida idea di quale potesse essere, attesi con ansia il termine della celebrazione per scoprirlo, ma, con mia grande sorpresa, le parole che uscirono dalla sua bocca furono: Sei proprio sicuro di voler continuare a fare il chierichetto?

    Perché, ho forse sbagliato qualcosa, don? risposi io istintivamente.

    Marchino, tu sei sempre preciso e attento e soprattutto molto presente, non è certo mia intenzione sgridarti, anzi il contrario. È che oggi mi sono reso conto che hai un registro vocale molto bello e forse sarebbe meglio, sempre ammesso che tu lo desideri, che ti unissi al coro. Di chierichetti ne ho in abbondanza, ma di voci belle come la tua no. Potresti anche duettare con Maria, sono certo che le vostre voci si fonderebbero perfettamente insieme. Quindi, se a te va bene, vorrei verificare meglio le tue capacità canore, che ne dici?

    Non lo so. A me piace cantare, ma non credo di essere così bravo.

    Quello lascialo giudicare a me.

    Dopo essersi seduto all’organo, mi chiese di fare alcuni vocalizzi per classificare la voce, verificarne il timbro, l’intonazione e il senso ritmico, dopodiché iniziò a eseguire il brano che avevamo scelto insieme. Al termine dell’esecuzione ebbi la conferma che non solo potevo essere inserito nel coro della chiesa, ma che, con il dovuto esercizio, sarei potuto diventare perfino una voce solista. L’idea di possedere un talento tale da permettermi di poter cantare insieme a Maria, la punta di diamante del nostro coro, mi riempiva di orgoglio. Da quel giorno, quindi, terminò la mia carriera di chierichetto e iniziò quella di cantore.

    Dopo alcuni anni, però, a don Stefano venne affidata una parrocchia tutta sua e venne trasferito. Con la sua partenza molte cose cambiarono e fu proprio a causa di questi mutamenti che, con il tempo, finii per abbandonare il coro con tutti gli annessi e connessi. Anche la compagnia teatrale che con il suo aiuto avevamo messo in piedi dovette far calare il sipario. Nonostante il suo trasferimento, però, don Stefano si teneva informato su ciò che accadeva nella sua vecchia parrocchia e, appena apprese la notizia dello scioglimento della filodrammatica, segnalò i nominativi di tutti quelli che ne facevano parte a un gruppo di San Lorenzo a Pagnatico che stava cercando di mettere in piedi un laboratorio teatrale.

    Anche se ormai ne era passata di acqua sotto i ponti, non era possibile che lui si fosse dimenticato di quei ragazzi per cui si era dato tanto da fare. Ero certo che doveva aver conservato gelosamente i ricordi di quel periodo, quindi non mi restava che andare a trovarlo e verificarlo di persona. Ma dove si trovava in quel momento? Era sempre a Buti, dov’era stato mandato subito dopo aver lasciato Pontedera, oppure era stato trasferito di nuovo?

    L’unico che avrebbe potuto rispondere a queste domande era il mio amico Giovanni Taliani che prestava volontariamente servizio all’archivio parrocchiale. Sicuramente, se anche non lo avesse saputo, avrebbe avuto modo di chiederlo a qualcuno. La sua propensione ad aiutare il prossimo non era pari a nessuno, quindi ero certo che avrebbe fatto carte false per darmi una mano. Quando mi recai a trovarlo, appena mi vide, mi accolse calorosamente. Anche se era passato molto tempo dal nostro ultimo incontro, il suo aspetto serafico e il sorriso gentile, che illuminava quel viso rubicondo, non erano cambiati di una virgola. Dopo i saluti, iniziammo a ricordare le tante esperienze calcistiche vissute insieme. Giovanni, infatti, oltre a essere stato il mio catechista, era stato anche il mio allenatore di calcio. La passione che ancora oggi nutro per questo sport nacque proprio ai tempi in cui giocavo nelle categorie giovanili del gruppo sportivo della Juventina. Avevo iniziato dai pulcini per finire negli allievi e, nonostante il passaggio di categoria, la sua presenza era stata un elemento costante che mi aveva accompagnato durante tutto il mio percorso agonistico.

    Quando venni al motivo della mia visita, come previsto, Giovanni si mostrò subito molto disponibile. Con la solita discrezione che lo contraddistingueva, però, non si azzardò a chiedermi il motivo che mi spingeva a fare visita al prete. Dopo avermi detto che avrei dovuto fare una capatina in Versilia, perché don Stefano era divenuto prevosto del Duomo di San Martino a Pietrasanta, mi fornì il suo numero telefonico.

    Tornato a casa, provai immediatamente a contattarlo.

    Pronto?

    Pronto, don Stefano?

    Sì, con chi parlo?

    Sono Marco Ciaramella, non so se si ricorda di me, ero…

    Senza darmi tempo di terminare la frase: Non sono mica rimbambito! Marchino, come stai? Che bello risentirti. Dimmi tutto.

    Vorrei venire a fare due chiacchiere con lei, don.

    Che fai ora, mi dai del lei? Come mai siamo così formali?

    Non so se mi posso permettere!

    Ma scherzi davvero?! Permettiti, permettiti.

    Avendo in programma una riunione con il gruppo di Lourdes per il pellegrinaggio che stava organizzando a fine mese, quello stesso giorno non mi poté ricevere, ma mi diede appuntamento per l’indomani.

    Erano circa le nove del mattino quando partii per Pietrasanta. Man mano che mi avvicinavo a destinazione i gruppi di nuvole, che mi avevano accompagnato durante tutto il tragitto, sembravano voler scomparire per lasciare il posto a un timido sole e a un cielo più terso.

    Arrivato vicino a piazza del Duomo, cercai subito un parcheggio e poi proseguii a piedi. Giunto dinanzi alla famosa collegiata di San Martino, prima di entrare, diedi un’occhiata all’esterno per ammirare l’architettura dell’edificio. Notai immediatamente il marmo bianco che rivestiva le tre navate e i bassorilievi situati sulle tre porte che raffiguravano la Crocifissione, la Deposizione e la Resurrezione. Dopodiché il mio sguardò si catalizzò sul campanile di trentasei metri in laterizi rossi collocato su un basamento marmoreo che si innalzava sulla sinistra.

    Entrato in chiesa, fui letteralmente colpito dalla bellezza delle opere d’arte site al suo interno, però, notando don Stefano raccolto in preghiera, preferii sedermi in disparte su una delle ultime panche per non disturbarlo. Quando si alzò, facendosi il segno della croce, come per congedarsi dal suo interlocutore celeste, compresi che era arrivato il momento di farmi notare. Appena mi vide, mi corse immediatamente incontro. Più ci penso e più mi sembra di avvertire ancora oggi il calore di quell’abbraccio paterno.

    Marchino, che gioia vederti!

    Ciao don, anche per me.

    Allora tutti bene a casa?

    Abbastanza.

    Anche il cartaio pontificio?

    Certo, però da quando monsignor Bertelli è diventato vescovo di Volterra ha perso la sua carica.

    Era mio fratello Nicola, il cartaio pontificio a cui alludeva don Stefano: quel titolo se l’era guadagnato per tutte le volte che aveva giocato a carte con don Vasco Bertelli.

    "Ti dirò di più: ha anche smesso di urlare la notte dagli scalini del sagrato Peccatori, pentitevi!"

    Questo è preoccupante davvero! Devono essere cambiate molte cose da quando sono partito! Comunque che ne dici di fare un giro all’interno della chiesa?

    Con piacere.

    Fu così che mi mostrò la statua dell’ Annunziata, un crocifisso ligneo risalente al XIV secolo, il crocifisso bronzeo di Ferdinando Tacca, le due acquasantiere di Stagio Stagi e il pulpito a forma esagonale di Andrea Baratta. Dopodiché fu la volta degli affreschi, fino ad arrivare al dipinto della Madonna del Sole, patrona della città e del comune di Pietrasanta. Per finire, un vero e proprio capolavoro di architettura nel suo genere: il campanile con la famosa scala elicoidale che si avvolge su se stessa intorno al vuoto centrale senza alcun sostegno al centro.

    La visita guidata, però, non poteva ancora dirsi completa senza il battistero. L’oratorio di San Giacinto all’inizio era stato commissionato dalla Compagnia del Santissimo Sacramento; poi, con l’abolizione delle confraternite e delle compagnie religiose voluta nel 1687 dal granduca Pietro Leopoldo, era stato donato alla collegiata di San Martino che lo aveva utilizzato come battistero. Ecco la spiegazione dei due fonti battesimali: il primo, più antico a forma esagonale con bassorilievi su ogni lato, e il secondo a tabernacolo.

    Usciti dal battistero, ci imbattemmo in un parrocchiano, un uomo tarchiato e corpulento con il volto paonazzo, in cui erano incastonati due occhi grandi neri e penetranti. La ciocca che l’uomo si era fatto crescere, con l’intento di mascherare la sua evidente calvizie, non assolveva più il compito iniziale, tant’è che il parroco, quando lo vide, esclamò: Detopis, ma che ti è successo? Sei venuto in Vespa? Guarda che il riportino è andato tutto dalla parte opposta!

    Il tono confidenziale con cui si era rivolto all’uomo era sintomatico che fosse una persona a lui piuttosto vicina. Anche quando era a Pontedera era solito affibbiare dei nomignoli ai suoi collaboratori, e quel Detopis… Qualcosa mi diceva che non doveva essere un cognome!

    Magari, avrei fatto meno fatica! Mi ha detto Carlo che ti avrei trovato qui e sono venuto di corsa.

    Allora ora riprendi fiato e dimmi tutto.

    L’uomo, cercando di ricomporsi la capigliatura, fece un lungo sospiro per riossigenare un po’ i polmoni e poi aggiunse: In magazzino non troviamo i flambeaux per la processione di stasera.

    "Se è questo

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1