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Cinque vite (eLit): eLit
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E-book373 pagine5 ore

Cinque vite (eLit): eLit

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Info su questo ebook

ROMANZO INEDITO
Cat Dupree 1

Cat Dupree, dopo la madre, ha perso anche il padre, ucciso da un misterioso uomo con il volto tatuato. Ritrovarlo è diventata la sua ossessione, e anche la sua professione: cacciatrice di taglie, determinata, coraggiosa, bellissima. Sulla sua strada, in un pauroso incendio, le si para davanti Wilson McKay. Spalle larghe di chi sa cos’è la vita, anche lui sempre alle prese con i criminali. Fra i due sono subito scintille, che li porteranno molto lontano, sino nel torrido deserto messicano.

La bellezza felina di Cat: anima ferita e inquieta in uno splendido corpo di pantera. Il fascino ruvido di Wilson McKay: tenero guerriero alle prese con il lato oscuro della vita. E fra loro il fuoco: che li fa incontrare, poi li divide, per portarli infine dove il destino vuole. Un romantic suspense che non vi concede pause, sulle tracce di un’antica ferita.
LinguaItaliano
Data di uscita5 dic 2018
ISBN9788858995587
Cinque vite (eLit): eLit
Autore

Sharon Sala

"Ho cominciato a scrivere per me stessa racconta Sharon poi ho capito che le mie storie erano catartiche anche per chi le leggeva." Così, dopo una vita molto travagliata, ha conquistato le lettrici di tutto il mondo. "Perché il successo nasce dentro di noi."

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    Anteprima del libro

    Cinque vite (eLit) - Sharon Sala

    successivo.

    1

    Era dicembre a Dallas, Texas.

    Cat Depree odiava l'inverno. Benché le sorprese facessero parte della vita di una cacciatrice di taglie, alle bizzarrie della stagione fredda non era mai riuscita ad abituarsi del tutto. E così quel periodo dell'anno rendeva più doloroso il ricordo di tutto quello che Cat aveva già perso.

    Quando aveva sei anni, lei e sua madre erano state investite da un automobilista ubriaco mentre tornavano a casa dal supermercato. Sua madre era morta sul colpo, Cat era stata ricoverata in ospedale per molti giorni. Quando finalmente era stata dimessa, il funerale era già stato celebrato e lei e suo padre si erano ritrovati soli.

    Nel corso del tempo aveva imparato a convivere con il dolore e il legame fra lei e il suo papà era divenuto sempre più forte. Poi, alla vigilia del suo tredicesimo compleanno, e soltanto qualche giorno prima che loro due partissero per le vacanze, un uomo con il volto tatuato si era introdotto nella loro abitazione. Dopo aver accoltellato suo padre, il losco figuro le aveva tagliato la gola, lasciandola in una pozza di sangue incapace di gridare e costretta a guardar morire l'uomo che le aveva donato la vita. In seguito a questa tragedia, Catherine Depree era stata affidata ai servizi sociali del Texas e durante quel periodo si era guadagnata il nomignolo di Cat.

    Durante i lunghi anni trascorsi con i servizi sociali, Cat aveva maturato l'idea di diventare una cacciatrice di taglie. Qual era il modo migliore di trovare l'assassino di suo padre se non quello di lavorare nel suo stesso ambiente? A diciott'anni aveva potuto lasciare i servizi sociali e due mesi più tardi aveva ricevuto e accettato un'offerta di lavoro da un garante di nome Art Ball.

    Ad Art era piaciuta quella ragazza dai capelli corvini e dalle gambe lunghe e l'aveva assunta affidandole l'incarico di archiviare e consegnare documenti in tribunale pur non avendo, in realtà, bisogno di un dipendente in più. Tuttavia, dopo qualche tempo, dichiarò che assumere Cat era stata la cosa più intelligente che avesse mai fatto in vita sua. All'età di ventun anni, Cat si era guadagnata la cintura nera di karate, era entrata in possesso di un porto d'armi e aveva già frequentato diversi corsi per apprendere le tecniche di investigazione privata nonché i segreti per riacciuffare coloro che non comparivano in giudizio dopo avere ottenuto la libertà su cauzione.

    Nel medesimo periodo aveva cominciato ad accumulare foto segnaletiche di persone con il viso tatuato, nella speranza di trovare l'assassino di suo padre. Lo cercava da sempre e spesso si chiedeva come mai trovare un uomo con un segno di riconoscimento talmente visibile fosse tanto complicato. A rigor di logica, per uno che se ne andava in giro con una specie di carta geografica stampata in faccia non doveva essere facile nascondersi.

    Ogni volta che Cat partiva per una delle sue missioni, Art la invitava a essere prudente. Le ricordava che non aveva sette vite come i gatti che popolavano il vicinato. In effetti, aveva già rischiato di morire due volte.

    Con il tempo, grazie alla sua implacabile fermezza, si era guadagnata una reputazione da dura. Il fatto che fosse alta e, agli occhi di molti uomini, bellissima, non le faceva né caldo né freddo. Era cresciuta in fretta, aveva una voce roca e modi bruschi. Esibiva un seno mozzafiato, che tuttavia lei non considerava un patrimonio. Quel seno prosperoso contribuiva però a irretire gli uomini che lei doveva riconsegnare alla giustizia. Infatti, la maggior parte delle volte, questi se ne lasciavano distrarre, cosicché Cat ne approfittava per sferrare il primo colpo.

    Sarebbe accaduto lo stesso quel giorno con Nelson Brownlee, un altro che si era rifiutato di apparire in giudizio dopo essere uscito di galera su cauzione. Dopo una soffiata, Cat era riuscita a rintracciarlo a Fort Worth, dove viveva in un condominio. Ora non le restava altro da fare che arrestarlo e metterlo al fresco.

    Nelson Brownlee era un idiota con un debole per le rapine a mano armata. L'ultima volta che era uscito di prigione aveva giurato su quanto aveva di più caro che sarebbe tornato in Michigan, ma Nelson non era mai stato bravo a mantenere le promesse, neppure quelle che faceva a se stesso.

    Per tutto il tragitto verso il Quick Stop, Nelson aveva avuto la sensazione che nell'aria aleggiasse qualcosa di strano. E tuttavia aveva ignorato questo presentimento e aveva rapinato il negozio. Dopodiché, mentre si allontanava, era stato beccato da un poliziotto fuori servizio. Aveva pensato che, in fin dei conti, se l'era meritato e del resto non aveva mai creduto di riuscire a farla franca pagando una cauzione. Invece ce l'aveva fatta. Aveva considerato quel colpo di fortuna come un segno di Dio che lo invitava a cambiare vita.

    D'altra parte, fra lui e Dio, i rapporti non erano mai stati un granché e così, invece di comparire in giudizio il giorno prestabilito, se l'era svignata. Da una settimana si nascondeva, senza un soldo in tasca, a Fort Worth, nell'appartamento della sua ex ragazza.

    Si trovava lì ormai da sei giorni e non ne poteva più dell'odore di cavolo bollito e di bratwürst. Anche il sesso gratis con lei gli stava venendo a noia. Così, quando aveva sentito bussare alla porta, aveva ignorato la vocina che lo avvertiva di stare in guardia ed era andato ad aprire.

    Cat non sentiva più le dita intirizzite dal freddo, ma la sua perseveranza stava per essere premiata. I morsi del gelo erano poca cosa se paragonati alla soddisfazione di possedere un florido conto in banca. Esibiva il distintivo sul petto, affinché non vi fossero equivoci sul motivo della sua visita, nel momento in cui avesse dovuto affrontare la sua preda. Mentre cominciava a salire le scale, controllò che le manette fossero al loro posto, nella tasca posteriore dei jeans, si assicurò che la pistola fosse nella fondina, quindi accarezzò lo spray paralizzante che teneva nella tasca del cappotto. La donna di Brownlee abitava al sesto piano di quell'edificio e, dato che si trattava di un vecchio fabbricato, l'ascensore non era stato previsto.

    Passando da un piano all'altro, Cat arricciò il naso. Il miscuglio di cattivi odori che giungeva fino a lei da dietro le porte le provocava il voltastomaco. Le sembrava di distinguere un odore di gabinetto frammisto a quello del cavolo bollito - una combinazione per nulla gradevole. Tuttavia quegli effluvi non la indussero a desistere dal suo scopo, che era quello di portare davanti ad Art l'ennesimo avanzo di galera.

    Raggiunse il sesto piano, con passo sicuro percorse il corridoio, esitando solo una frazione di secondo prima di bussare all'appartamento 609. Si accertò ancora una volta, con un gesto veloce, che la pistola e lo spray fossero al loro posto. Quindi, si preparò all'azione.

    Nelson Brownlee venne ad aprire.

    «Dannazione!» esclamò non appena la vide e cercò di sbatterle la porta in faccia.

    Ma Cat fu più veloce nell'inserire il piede a fianco dello stipite e, caricando tutto il peso del proprio corpo contro la porta, irruppe nell'appartamento.

    «Ti ho preso, Nelson» ringhiò Cat, afferrando l'uomo per il collo e schiacciandogli la faccia contro il muro. «Non è gentile accogliere così chi bussa alla tua porta. Fuori fa freddo. Il minimo che potessi fare era offrirmi una bella tazza di caffè fumante.»

    «Va' a farti fottere!» gridò Nelson, inarcando la schiena e girandosi di colpo, nel tentativo di sferrarle un pugno.

    Cat fece un rapido passo di lato, schivando il colpo. Quindi assestò a Nelson un calcio che lo colpì dritto dritto sul mento. L'uomo cadde a terra come un animale abbattuto da un unico, ma preciso, colpo d'arma da fuoco. Cat lo ammanettò in fretta e, mentre si accingeva a trascinarlo fuori dall'appartamento, sentì gridare qualcuno.

    Lasciò Nelson e corse fuori a vedere che cosa stesse accadendo. Un'acre nube di fumo che proveniva dai piani superiori stava invadendo la tromba delle scale.

    «Oh, mio Dio» mormorò Cat, lanciando un'occhiata all'interno dell'appartamento. Brownlee era ancora immobile dove lei lo aveva lasciato. Non poteva abbandonare l'edificio senza di lui, tuttavia l'uomo pesava come un macigno e trascinarlo fuori di lì le sarebbe costata una fatica immane.

    Cat lanciò un'altra occhiata lungo il corridoio, dopodiché tirò fuori il cellulare e compose il 119. Dopo avere comunicato al centralino l'indirizzo dell'edificio, tornò da Brownlee. Il fumo aveva già invaso il sesto piano, tanto da renderle difficoltosa la respirazione. Cat si precipitò in cucina, prese uno strofinaccio, lo bagnò e poi se lo legò attorno al viso. Una volta inumidito, quel pezzo di stoffa tornò a emanare con forza l'odore di cui era già pregno e il doverlo inalare quasi provocò a Cat un conato di vomito. Ma avere la nausea era sempre meglio che bruciare viva.

    Il fumo cominciava a invadere anche l'appartamento mentre Cat tornava di corsa nel soggiorno e trascinava Nelson verso la porta. Nel varcare la soglia, tirando l'uomo per i piedi, questi sbatté la testa contro lo stipite, ma non poté fare nulla per evitarlo.

    «Forza, Brownlee, svegliati!» gridò Cat, ma questi non le rispose.

    Inveendo fra sé e sé, si chinò e, con uno slancio indotto dalla paura, sollevò di peso l'uomo e se lo caricò su una spalla come facevano i pompieri. Poi cominciò a scendere le scale barcollando leggermente sotto il peso di Nelson.

    Cat non aveva considerato la difficoltà di mantenersi in equilibrio mentre scendeva le scale con un peso morto sulle spalle. A ogni scalino, la testa di Brownlee le sobbalzava sulla schiena, rischiando di farla cadere. Ma il forte calore e il fumo che incombevano su di loro erano sufficienti a ricordarle che non poteva fermarsi. Si erano lasciati il quinto piano alle spalle e si trovavano sul pianerottolo del quarto, quando a Cat parve di avvertire la presenza di una persona sulle scale proprio davanti a lei. La sua sensazione si rivelò corretta un attimo dopo, non appena ebbe posato il tacco dello stivale sul gradino.

    Cat vacillò e, per non perdere il suo carico, afferrò con una mano la ringhiera delle scale e con l'altra la tasca posteriore dei jeans di Brownlee.

    «Presto, si dia una mossa o si scansi! Devo uscire immediatamente!»

    Wilson McKay era quello che una delle cameriere del suo ristorante preferito definiva un bellone. Era alto oltre un metro e ottanta, aveva un fisico da sportivo e ostentava un taglio di capelli militare. Portava un piccolo cerchietto d'oro al lobo e sia che sfoggiasse camicie denim sia che indossasse completi di pelle nera l'effetto era il medesimo: Wilson McKay era un uomo attraente. Si era fratturato per ben due volte il setto nasale e aveva un piccola cicatrice sotto l'occhio destro. Ogni cicatrice, ogni segno e ogni ruga sulla sua faccia era la testimonianza del fatto che della vita aveva una discreta esperienza.

    Aveva compiuto quarant'anni il giorno prima e un gruppo di amici gli aveva organizzato una gran festa nel bar dall'altra parte della strada rispetto all'ufficio per la riscossione delle cauzioni. Avevano celebrato l'evento con fiumi di birra e persino con una torta del giorno prima presa al reparto Delicatessen di uno dei grandi supermercati della città. Gli amici avevano regalato a Wilson una serata con Wanelle, la sgualdrina più sexy in quel quartiere, un titolo di cui lei si fregiava con orgoglio nonostante le fosse stato conferito con molta generosità.

    Tuttavia Wanelle poteva vantarsi del fatto che i denti erano tutti suoi e che aveva una bella pelle, e quando rideva era quasi carina. Wilson la conosceva appena. L'aveva vista in giro per Fort Worth di tanto in tanto, ma comprare i favori di una donna non era nel suo stile. Si era sentito in trappola quando i suoi amici gliel'avevano presentata, soprattutto perché avevano avuto la brillante idea di legare attorno al collo della ragazza un grosso fiocco rosso. Rifiutare il regalo sarebbe stato un'imperdonabile mancanza di riconoscenza nei confronti dei suoi amici e di Wanelle stessa. Così, piuttosto che ferire i sentimenti di qualcuno, Wilson aveva graziosamente accettato e i due avevano trascorso la notte nell'appartamento della prostituta al quinto piano dell'edificio, per essere infine svegliati dal pungente odore del fumo.

    Wilson si accingeva a uscire dal bagno, quando vide che da sotto la porta d'entrata si infiltravano spirali di vapore grigiastro che formavano delle volute dirette verso il soffitto.

    «Oh, merda!» sibilò fra i denti, correndo verso la porta. Sfiorò la maniglia e, constatando che non era ancora ustionante, si azzardò ad aprire la porta.

    Nuvole di fumo invadevano la tromba delle scale scendendo dall'alto. Di fronte a quello spettacolo, Wilson richiuse immediatamente. Afferrò la sua camicia, appesa allo schienale di una sedia, e si precipitò nella camera da letto.

    «Wanelle! Wanelle! Svegliati, tesoro. L'edificio è in fiamme! Dobbiamo squagliarcela!»

    La ragazza si girò nel letto. Aveva un'aria stravolta, i capelli appiccicati sul viso e gli occhi pesti per via del trucco sbavato.

    «Che c'è? Che cosa hai detto?»

    Wilson raccolse i vestiti di lei e li lanciò sul letto.

    «Vestiti e fai in fretta! L'edificio è in fiamme.»

    «Oh, mio Dio! Oh, Signore!» gridò Wanelle e cominciò a piangere.

    «Riservati le preghiere per dopo» le disse Wilson, trascinandola giù dal letto. «Forza, mettiti questi.»

    Wanelle guardò gli slip e il reggiseno come se non li avesse mai visti prima.

    «Mmh... prima devo fare la pipì...»

    «Sbrigati!» la incitò Wilson.

    Wanelle corse subito in bagno. Meno di trenta secondi dopo, Wilson stava già bussando alla porta con veemenza.

    «Datti una mossa. Dobbiamo lasciare l'edificio.»

    Wanelle lo guardò con gli occhi sgranati e borbottando qualcosa fra sé e sé. Wilson cominciò a vestirla come se fosse una bambina piccola, poi le mise in mano gli stivali e il cappotto.

    Wanelle era dietro di lui quando Wilson aprì la porta. Il fumo che invadeva il corridoio cominciò a entrare anche nell'appartamento. Non appena la ragazza se ne accorse, si mise a strillare. Se Wilson non l'avesse afferrata per un braccio, Wanelle avrebbe chiuso la porta e sarebbe rimasta nell'appartamento.

    «Non possiamo restare qui» gridò Wilson.

    Lei cercò di liberarsi dalla sua presa, con una forza che lui non avrebbe mai sospettato. Il fumo si addensava, il tempo a loro disposizione per mettersi in salvo stava per esaurirsi.

    «Mi dispiace, tesoro, ma non mi lasci alternativa.»

    Senza esitare, Wilson le sferrò un pugno sul mento e di colpo davanti agli occhi della ragazza calò il buio come se si fosse spenta una luce. Wilson riuscì a prenderla prima che cadesse a terra, se la caricò in spalla e si diresse veloce lungo il corridoio. Pochi istanti dopo stava già affrontando la discesa delle scale con la ragazza abbandonata a peso morto contro la schiena. Il fumo si infittiva sempre di più, impedendogli di vedere dove metteva i piedi.

    Wilson si sollevò sul naso il collo del maglione dolcevita a mo' di maschera, mentre Wanelle si lamentava. Lui sapeva che la ragazza stava inalando troppo fumo, ma non poteva impedirlo.

    Avevano appena attraversato il pianerottolo del quarto piano, quando si sentì qualcuno alle calcagna. Prima che potesse voltarsi per vedere di chi si trattava, sentì una donna che si rivolgeva a lui gridando. Wilson avvertì il panico nella sua voce, si girò di colpo, ma, attraverso la coltre di fumo, non riuscì a scorgere altro che un'ombra. Dovette quindi girarsi per sistemare meglio Wanelle sulla spalla.

    «Mi segua, sto scendendo anch'io!» gridò Wilson, cominciando a fare due gradini alla volta.

    Nonostante avvertisse un indolenzimento dei muscoli del collo e delle spalle, Cat non si fermò né rallentò il passo. Dopo un attimo, sentì i passi di qualcuno che stava scendendo le scale alle sue spalle. Temendo che questi le finisse addosso, facendola cadere giù dalle scale insieme a Brownlee, si mise a gridare.

    «Traffico sulle scale! Traffico sulle scale!»

    Sentì i passi alle sue spalle farsi incerti, poi riprendere la discesa, ma più lentamente. Dopo aver superato il pianerottolo del terzo piano, Cat raggiunse il secondo piano e, quando finalmente approdò al pianoterra, si diresse verso l'uscita dell'edificio proprio mentre una squadra di pompieri vi si precipitava all'interno.

    Wanelle era sul punto di riprendere i sensi mentre Wilson l'affidava a un paramedico al quale spiegò che la ragazza aveva inalato una gran quantità di fumo e che lui l'aveva stordita quando si era reso conto che si stava lasciando prendere dal panico.

    I medici compresero la situazione e trasferirono Wanelle su una barella per dirigersi poi verso un'ambulanza.

    Wilson sentiva un tremore alle gambe mentre osservava i medici portarla via. Sapeva che la ragazza si sarebbe ripresa presto. Poi, spinto dalla curiosità, si mise a cercare la donna che era dietro di lui sulle scale.

    Dapprima pensò che si fosse già confusa tra la folla che si era raccolta fuori dell'edificio, ma un attimo dopo notò una donna alta dai capelli corvini con un uomo poggiato sulla spalla. Quando l'aveva sentita scendere dalle scale, non si era accorto che stesse trasportando qualcuno. Gli sembrò strano che la donna non avesse già consegnato l'uomo, apparentemente privo di sensi, ai medici. Chissà per quale ragione si stava dirigendo verso un SUV parcheggiato dall'altra parte della strada. La cosa che lo sorprese di più era il fatto che, a occhio e croce, l'uomo doveva pesare il doppio di lei.

    «Accidenti, una vera Wonderwoman» mormorò tra sé e sé. Quindi, decise di seguirla.

    Wilson attraversò la strada scansando i pompieri muniti di idranti. L'aria fredda che piano piano cominciava a circolare di nuovo nei suoi polmoni pieni di fumo gli procurò qualche colpo di tosse. La donna aveva già raggiunto la sua automobile e si accingeva a scaricare l'uomo sul sedile posteriore, quando Wilson le si avvicinò.

    «Scusi, signora, posso...»

    Istintivamente Cat infilò la mano sotto il cappotto per ritrarla con una pistola in pugno.

    «Si sposti» gli intimò.

    Wilson rimase per un attimo immobile, dopodiché sollevò le braccia in segno di sottomissione. Gli erano caduti gli occhi sulla pistola e aveva notato un distintivo appuntato alla cintura.

    «Calma...»

    «La calma non è il mio forte» ribatté lei.

    Wilson represse un sorriso. Ci avrebbe scommesso che non era un tipo calmo.

    Lui si sforzava di non fissarla, ma quella donna era davvero uno schianto. Aveva le guance sporche di fumo e gli occhi arrossati dovevano bruciarle parecchio, visto che continuava a sbatterli. Ma aveva gambe lunghe e fianchi stretti come quelli di un ragazzo, e aveva l'aria di chi è pronto a combattere. I capelli corvini le scendevano oltre le spalle e c'era una piccola goccia di sangue sul suo labbro inferiore. Se non fosse stato per le apprezzabili dimensioni del suo seno, l'avrebbe definita magra.

    «Era lei quella che mi ha gridato qualcosa sulle scale?» le chiese.

    «Le ho gridato contro? Mi dispiace di avere ferito i suoi sentimenti.»

    Lui sorrise. «Volevo soltanto accertarmi che stesse bene» rispose Wilson. Quindi allungò la mano e con la punta del pollice le tolse una goccia di sangue che le colava dal labbro.

    Cat restituì la cortesia allontanando la mano di lui con un gesto brusco. «Sto benissimo» sbottò, poi si pulì la bocca come per cancellare il fatto che era stata toccata da lui.

    Wilson represse un secondo sorriso. Una dura. Gli caddero gli occhi sulle manette attorno ai polsi dell'uomo e chiese, sarcastico: «Che cosa è successo... avete perso le chiavi nel bel mezzo di qualche giochetto?».

    Cat lo fissò stringendo gli occhi con rabbia. La stava accusando di essersi dedicata a passatempi erotici con quel pezzo di merda che aveva appena scaricato sul sedile posteriore della sua auto. Si ripeté ancora una volta che avrebbe dovuto ignorare quell'uomo, ma poi, suo malgrado, si giustificò.

    «Era fuori su cauzione e non si è presentato in giudizio. Lo sto portando dentro. Le interessa?»

    Wilson la valutò per un lungo istante. L'unica donna che in Texas si occupava di rintracciare gentaglia di quel genere era Cat Depree, ma lui non l'aveva mai vista.

    «Va bene, signora. Non se la prenda. Sembra che io e lei lavoriamo nello stesso ambito» le disse, tirando fuori il distintivo e un documento d'identità.

    «Mi chiamo Wilson McKay.»

    «Dello studio McKay?» chiese Cat, ben sapendo di trovarsi di fronte al concorrente del suo capo. «Buon per lei» gli disse, poi sentì dei rumori provenire dall'auto e capì che Brownlee stava riprendendo coscienza.

    Nelson aprì gli occhi, sentì l'acciaio freddo attorno ai polsi e cominciò a scalciare. La portiera dell'auto colpì Cat sulla schiena prima che lei riuscisse a girarsi e a bloccarla, e il contraccolpo la mandò dritta fra le braccia di Wilson McKay.

    Quella di Wilson fu una reazione istintiva: lui l'afferrò e le evitò una rovinosa caduta, ma la lasciò subito libera quando lei si divincolò per avventarsi sull'uomo che giaceva nella sua macchina.

    «Maledetto bastardo! Avrei dovuto lasciarti arrostire!» ringhiò. Poi spruzzò lo spray paralizzante contro Brownlee, mentre questi cercava di uscire dall'auto.

    L'uomo emise un grido di dolore e cadde all'indietro.

    «Basta! Basta!» la scongiurò.

    Cat guardò l'uomo in cagnesco mentre lo costringeva a mettersi seduto e a ritirare le gambe dentro l'auto. Gli allacciò la cintura di sicurezza, dopodiché sbatté la portiera con tanta foga da far tremare il vetro del finestrino. Prima di salire a bordo del SUV, Cat estrasse un manganello da sotto il sedile anteriore e lo sventolò sotto il naso di Nelson.

    «Lo vedi questo, Brownlee?»

    «Oh, sì, mio Dio, lo vedo, lo vedo. Ti prego, non colpirmi più.»

    «Allora rimani fermo dove sei» ribatté lei con durezza. «Non sono io quella che ha rapinato un Quick Stop e non sono io quella che non si è presentata davanti al giudice, quindi prendertela con me non ti servirà a risolvere i tuoi guai. Hai fatto lo stronzo e hai tradito la fiducia di una persona che aveva deciso di farti un favore e di pagarti la cauzione: è così che la ringrazi?»

    Brownlee venne scosso da una serie di brividi per effetto dello spray paralizzante.

    «Lo so, lo so, ma non volevo fare del male a nessuno. È soltanto che mi sono svegliato così confuso e allora... non avrei mai...»

    «Chiudi la bocca, Nelson. Sei un bugiardo, entrambi lo sappiamo bene. Hai già provato una volta a fottermi. Adesso stai seduto buono buono che andiamo a farci un giretto.»

    Cat montò in macchina, chiuse la portiera e si mise la cintura di sicurezza senza rivolgere nemmeno un'occhiata a Wilson McKay.

    Lui, invece, la stava guardando. Sapeva che i suoi sospetti avevano un fondamento: aveva appena conosciuto la famosa Cat Depree. Era la prima volta che si imbatteva in lei ed era davvero impressionato dalla sua bellezza. Tuttavia lo aveva contrariato un po' il fatto che lei lo avesse snobbato senza troppi problemi.

    Ci vollero alcuni minuti prima che si rendesse conto che minuscole particelle d'acqua, provenienti dai manicotti dei pompieri, lo stavano investendo, ghiacciandosi sulla sua giacca di pelle.

    «Accidenti» mormorò fra sé e cominciò a incamminarsi quando, strada facendo, una cosa che luccicava in una grossa pozzanghera attirò la sua attenzione.

    Si chinò per raccoglierla e vide che si trattava di un piccolo ciondolo d'argento a forma di gatto. Rivolse lo sguardo verso la macchina di Cat Depree ormai all'orizzonte e, sorridendo, si ficcò il ciondolo in tasca. Ora aveva una buona scusa per incontrarla di nuovo.

    Wilson si sentì percorrere da un brivido mentre guardava i pompieri che ancora cercavano di domare l'incendio e si rendeva conto di avere rischiato la pelle. Affondò le mani in tasca e si avviò lungo la strada per andare a recuperare l'auto nel punto dove l'aveva parcheggiata la sera prima. Sarebbe voluto andare a casa, per farsi una doccia calda e mettersi sotto le coperte, ma le buone maniere gli imponevano di fare un salto all'ospedale per assicurarsi che Wanelle stesse bene.

    Cat sentiva ancora i polmoni bruciare quando consegnò Brownlee alle autorità.

    Il tragitto da Fort Worth a Dallas aveva dato all'uomo tutto il tempo per considerare l'accaduto. Era evidente che Cat Depree lo aveva rintracciato allo scopo di portarlo dietro le sbarre; quella era la conclusione inevitabile della sua fuga. Tuttavia la donna gli aveva anche salvato la vita, dunque non poteva serbarle rancore. Così Brownlee si lasciò portare in prigione senza dire una parola e senza rivolgere uno sguardo a Cat.

    A lei non interessava affatto quali fossero le considerazioni esistenziali che attraversavano la mente di Brownlee. Anche questa volta, la cacciatrice di taglie più temuta del Texas aveva portato a termine la sua missione. Ora non desiderava altro che immergersi in un bagno caldo e abbandonarsi a dodici ore filate di sonno.

    Dalla centrale di polizia a casa sua, il tragitto fu più trafficato del solito, per via della pioggia ghiacciata che aveva cominciata a scendere. Giunta a destinazione, si ritrovò ad aprire la porta di casa con mani tremanti, mentre i brontolii del suo stomaco le ricordavano che per tutto il giorno non si era concessa un pasto decente.

    Lanciò le chiavi dell'auto dentro un vaso collocato sul tavolo nell'ingresso; mentre appendeva il cappotto nell'armadio, arricciò il naso nel sentire lo sgradevole odore di fumo di cui si era impregnata la stoffa. Gettò l'indumento a terra, vicino alla porta per ricordarsi di portarlo in tintoria il mattino dopo, e cominciò a spogliarsi dirigendosi verso il bagno. Si fermò in cucina per prendere una bottiglia d'acqua e notò la lucina lampeggiante della segreteria telefonica che l'avvisava della presenza di un messaggio. Mandò giù una lunga sorsata e si ripromise di ascoltare i messaggi dopo essersi concessa una doccia calda.

    Era in piedi davanti allo specchio appeso sopra il lavandino, quando si accorse che le mancava qualcosa. Si trattava del piccolo ciondolo a forma di gatto appeso alla collanina d'argento che portava sempre al collo.

    «Oh, no!» esclamò, scorrendo invano con il dito tutta la lunghezza della collana, sperando di ritrovare il ciondolo, l'unica cosa che le era rimasta della sua vita precedente alla morte dei suoi genitori. Ripensò ai luoghi dov'era stata nelle ultime ore, rivide se stessa durante il pedinamento, l'incendio, la vivace discussione con Nelson Brownlee. Anche se fosse tornata sui propri passi, molti di questi li aveva mossi nell'edificio andato in fiamme. Doveva accettare la realtà: aveva smarrito il suo ciondolo.

    Si sentì un nodo alla gola mentre distoglieva lo sguardo dallo specchio. Il dolore era tale che non riusciva a guardare il riflesso della propria immagine ferita.

    La scoperta la lasciò vuota e apatica. Aprì i rubinetti della doccia e, senza aspettare che il getto si intiepidisse, vi si mise sotto lasciando che un brivido la percorresse lungo la schiena. Prese il detergente e cominciò a insaponare la spugna.

    Quando le sembrò di essersi finalmente sbarazzata della fuliggine e dell'odore di fumo, si massaggiò la testa con la schiuma dello shampoo e poi sciacquò i capelli rivolgendo il viso verso il getto d'acqua, con gli occhi chiusi.

    Cat considerò che

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