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L'ultimo Medioevo
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E-book173 pagine2 ore

L'ultimo Medioevo

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Info su questo ebook

L’Autore ritiene di aver vissuto l’adolescenza in una enclave, nel cuore del Sannio, dove la vita sembrava ferma al Medioevo.

Ha voluto raccontare questa esperienza, vissuta meno di un secolo prima dell’era digitale, computerizzata che oggi viviamo.

Nonostante il racconto metta in luce un periodo difficile, dove spesso era la povertà a stabilire il destino degli uomini, si avverte una sottile nostalgia di quei tempi lunghi, di rapporti umani sinceri; o forse è la nostalgia per la giovinezza di allora?

In tutti gli altri racconti si avverte un sentimento di sfiducia verso il genere Umano, ben evidenziata nell’Antropoide, lì dove un Uomo assume i modi e le sembianze degli Oranghi, rifiutando l’appartenenza al genere Umano.

Sergio GIULIANO nato a Napoli, licenza liceale classica Ha frequentato per quatto anni l’Accademia Navale di Livorno uscendone con il grado di Guardiamarina. Due anni presso la US NAVY FLIGHT SHCOOL il Florida e Texas; conseguiva il brevetto di volo della US NAVY E’ rimasto in marina per venti anni, alternando periodi di volo presso i Gruppi di Volo Antisommergibili, a periodi di imbarco.

Ha avuto il comando di una Corvetta e di una Squadriglia di Dragamine, ha lasciato la Marina con il grado di Capitano di Fregata, diciotto anni all’aviazione commerciale, Comandante Istruttore. Per dodici anni ha diretto il Gruppo di Volo dell’Azienda Assistenza al Volo. Laureato in Scienze della terra all’Università Federico II Napoli.

Ha scritto un libro di racconti “l’ultimo Medioevo“ e cinque commedie in napoletano; due andate in scena, raccolte nel volume EDUARDO del 2000 quattro farse raccolte nel volume “EDUARDO del 2000 2.0”.

In vecchiaia ha deciso di dedicarsi ad indagare sull’aldilà, che, per lui, non è troppo lontano, scrivendo un saggio sulla SACRE SCRITTURE
LinguaItaliano
Data di uscita16 mag 2018
ISBN9788827830680
L'ultimo Medioevo

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    L'ultimo Medioevo - Sergio Giuliano

    MEDIOEVO

    IL MEDIEVO PROSSIMO VICINO

    Il Medioevo è quel periodo che viene collocato tra la caduta dell’Impero Romano, e la scoperta dell’America.

    E’ considerato un periodo di oscurantismo, spesso definito dei secoli bui

    Con la caduta dell’Impero e la calata dei Barbari, venne meno l’ordine Romano: il controllo delle province passò dalle mani dei procuratori di Roma, alle mani di capi tribù che comandavano senza leggi e solo in virtù della loro forza, che spesso si scontrava con le ambizioni di altre tribù.

    Così l’Impero finì in pezzi che si diversificavano tra loro sempre di più.

    Le grandi arterie costruite e presidiate dalle legioni Romane, arterie che erano state il fulcro dell’Impero, consentendo il transito delle merci, in arrivo da ogni angolo del mondo conosciuto, e, cosa ancora più importante, lo scambio di idee e culture diverse che, tutte assieme, avevano formato la cultura universale, almeno per il mondo occidentale, furono abbandonate e divennero insicure, preda di briganti e armati di ogni risma.

    La moneta Romana perdeva valore e gli scambi tornarono lentamente all’antica forma del baratto.

    Più tardi ogni piccolo Stato, ogni borgo o città battè propria moneta, rendendo sempre più problematico il commercio; per sopranumero i vari despoti rimisero in auge il dazio per le merci in transito.

    Fu così che le popolazioni si disaggregarono, riunendosi in piccoli Stati, a volte costituiti solo da borghi aggrappati a castelli di proprietà di signorotti, che sfruttavano i villici in cambio di protezione.

    Anche quando furono ripristinati Stati di notevole estensione, come ad esempio il Sacro Romano Impero di Carlo Magno essi non tornarono alla organizzazione dell’Impero, con un controllo centralizzato in una Capitale da cui partivano gli ordini e le direttive per i Proconsoli delle Province.

    La nuova forma di Stato era basata sul vassallaggio, vari Principi e Signori prestavano giuramento di fedeltà all’Imperatore, ma ciascuno era libero di amministrare il proprio territorio come meglio riteneva, pagando un tributo e assicurando soldati e cavalieri per la difesa dell’impero.

    Ciò fu causa di continui conflitti tra i vari Principi, che spesso attentarono alla vita stessa dell’Imperatore, nel tentativo di usurparne il potere.

    In un mondo così arretrato rispetto a ciò che era stato l’Impero, la cultura fu relegata nei Monasteri, i monaci ricopiavano gli antichi manoscritti greci, romani, facendo sì che le generazioni future non fossero private dell’immenso capitale della cultura del mondo greco/romano.

    Il medioevo non ebbe caratteristiche uniformi, sia spaziali che temporali. In particolare una divisione temporale ormai accettata da tutti gli storici pone l’alto medioevo dalla caduta dell’Impero all’anno mille; il basso medioevo esteso fino alla scoperta delle Americhe.

    E’ nel basso medioevo che si pongono le basi per l’uscita dai secoli bui e il passaggio al rinascimento.

    In questo periodo le differenze spaziali sono più evidenti; nel grigiore dell’epoca si distingue la vivacità di pensiero di costumi e di relazioni di alcune realtà regionali:.

    In Italia la corte siciliana di Federico II dove si mischiavano la civiltà svevo/normanna e quella Araba, allora al suo massimo splendore, portatrice di filosofia matematica astronomia

    La Napoli del trecento, allora la città più viva e popolosa d’Italia

    Le repubbliche marinare Amalfi Pisa Genova e sopratutte Venezia che ebbe un suo peculiare medioevo, certo non oscuro, ma vivace per vita e commerci.

    Anche la datazione accettata quale fine del medioevo è indicativa se non arbitraria.

    Certo non si può considerare ancora immersa nel medioevo la Firenze del 1300.

    Mentre in altre realtà il medioevo si protrasse ben oltre il 1400.

    Ritengo di aver avuto la ventura di aver vissuto la mia infanzia e la mia adolescenza in una enclave medievale, ancora presente nella prima metà del ventesimo secolo, e cercherò di raccontare questa esperienza irripetibile.

    IN VIAGGIO VERSO IL MEDIOEVO

    Il viaggio partirà da Napoli, sia perché è lì che sono nato, sia perché negli anni bui del medioevo Napoli rappresentava un sogno aperto sul rinascimento.

    Di questa città serbavo pochi ricordi: una camera con un letto ricoperto da una coperta di broccato in oro, una macchina scoperta con me e mio fratello Michele, ferma sotto un portone, un pontile in legno, con ormeggiata una barca con sul fondo dell’acqua, io pensai che la barca stesse affondando.

    Quando, anni dopo raccontai a mia madre di questi ricordi si meravigliò asserendo che all’epoca ero troppo piccolo per averne memoria, non poté non confermare almeno la camera che io ricordavo, in quanto era la sua.

    Mi immaginavo una città dove correvano le macchine, i tram e le metropolitane, queste ultime erano difficili da visualizzare; a Napoli c’era il mare, le navi, i teatri e principalmente la luci che illuminavano le strade e i monumenti anche a notte fonda, in contrasto con le ombre che riempivano le notti medioevali di strane presenze.

    In uscita da Napoli la strada attraversa paesi, oggi completamente inglobati nella metropoli, entra nell’agro di terra di lavoro dove mi sono rimasti impressi i filari di vite stesi a tre diversi livelli, tra alti pioppi, anziché tra pali di legno, e l’olezzo, non proprio piacevole della canapa che, in estate, marciva nelle vasche, per ottenere il filato utilizzato per i sacchi e per le gomene delle navi.

    Di colpo la strada si apre su uno stradone fiancheggiato da un doppio filare di platani con in fondo la vista della reggia di Caserta, con la cascata ben visibile. Opera del Vanvitelli, nome italianizzato del architetto Olandese, che voleva essere la Versailles dei Borboni.

    Peccato che l’ampio spiazzo antistante la reggia era ed è tuttora tagliato dalla ferrovia e dalla stazione.

    Usciti da Caserta si imbocca l’Appia per pochi chilometri, fino a Maddaloni, meglio noto come il paese dei carrettieri, nel significato letterale e consuetudinale di insita volgarità; ogni portone sulla strada era una stalla o un deposito di carri; da qui partivano tutte le mattine all’alba i carri carichi di frutta e verdura per i mercati rionali di Napoli.

    Dopo il paese si lascia l’Appia per una strada allora sterrata, e bianca per il brecciolino di calcare utilizzato per la manutenzione. Da qui in poi non c’erano più strade asfaltate, ma solo sterrate, fangose per le piogge, polverose d’estate.

    La strada tortuosa si dipana tra campi coltivati e rari insediamenti umani, per lo più masserie.

    Dopo pochi chilometri si incontra il ponte della Valle di Maddaloni, un ponte ad arcate con tre ordini di arcate sovrapposte; sull’arcata superiore passa l’acquedotto che porta l’acqua per la cascata della reggia di Caserta.

    Di notevole, ricordo la raccolta delle mele annurche, profumate come nessuna altra, dopo colte venivano disposte in lunghi filari in terra sopra un letto di paglia e tutto quel rosso e giallo sembrava un tappeto per la festa del Corpus Domini.

    Si supera un ponte sul fiume calore, raggiungendo Amorosi, paese senza particolari degni di nota.

    Lo ricordo perché una volta, con il nostro Parroco ed il gruppo dei cantori andammo a servire Messa al Vescovo, il compenso fu un ottimo pranzo con pasta al forno, io ero la bugia che è colui che tiene alta una candela vicino all’officiante,

    Questa mia partecipazione mi costò il nomignolo di bugiardo, che mi perseguitò finché io smisi di arrabbiarmi.

    Lasciato Amorosi, in pochi chilometri si arriva a Telese, paese noto per una sorgente di acqua sulfurea, con annesse terme, la cui presenza si avverte ancor prima di entrarvi, specie nei giorni privi di vento, un forte odore di uova marce.

    Al tempo tutto il paese si dispiegava tra la stazione ferroviaria e l’ingresso delle terme, un lungo viale alberato univa la stazione al parco termale.

    Lungo il viale correva un binario ferroviario che finiva avanti ai cancelli dei bagni, dove, in estate, veniva istradato un treno proveniente da Napoli, con i bagnanti termali; siccome le acque sulfuree erano particolarmente indicate per le malattie della pelle, il treno ere meglio conosciuto come il treno dei rognosi.

    Le terme, con annesso un pretenzioso albergo stile primi del novecento, sembravano appassite come in autunno, pur conservando il ricordo di tempi migliori.

    Oltre Telese la strada sale lungo una bassa collina chiamata la foresta certo un ricordo di tempi passati, tutta la foresta era ridotta a pochi arbusti di querce e olmi.

    In cima alla collina si arriva alla località cancello; il nome è molto indicato, poiché è qui che si lasciava l’evo moderno per fare un salto di alcuni secoli fino al medioevo.

    L’occhio spazia sulla valle scavata da un torrente dal nome Titerno, che d’estate portava a valle un flusso d’acqua che lo faceva assomigliare ad un ruscello montano, ma con le piogge si ingrossava con piene violente. Nonostante il torrente non sembrava avere pretese da fiume, pure aveva nel tempo scavato un letto imponente in alcuni punti largo oltre cinquecento metri, tutto di acciottolato bianco di pietre calcaree rotondeggianti di dimensioni anche imponenti a dimostrare la forza che il torrente raggiungeva quando in piena. Oggi il torrente è praticamente a secco per quasi tutto l’anno.

    LA VALLE

    La valle si estende lungo l’asse est ovest per una lunghezza di circa sette chilometri, la larghezza non supera, i due chilometri, attraversata dal torrente Titerno.

    A sud chiudono la valle le basse colline della foresta, tra queste ed il greto del torrente c’è spazio per campi, prima degradanti e poi pianeggianti, coltivati a cereali e ricchi di alberi da frutta, vigneti e uliveti.

    A est si erge una montagna alta non più di settecento metri, il monte Coppe, sulla cui cima si profilano due rocce solitarie, poste una di fronte all’altra che ricordano le teste di un leone ed una leonessa.

    A nord la vallata è schiacciata tra il greto del torrente e i primi contrafforti dei preappennini, i pochi campi sono ricavati rubando terreno alla montagna o al greto del torrente, piccoli appezzamenti a gradoni con muri a secco per contenere il terreno, che altrimenti dilaverebbe a valle.

    A ovest la valle si restringe a circa un chilometro, ed è bloccata dal monte Acero, un antico vulcano, il torrente si fa strada in una stretta gola per uscire nella pianura dove scorre il Volturno di cui è affluente.

    La viabilità consisteva di una strada che dalla località cancello correva verso est e poi a nord, fino al costone della riva sinistra del torrente; qui incontrava la strada che univa Cerreto con San Lorenzello.

    Una garitta in pietra era il rifugio del postino di San Lorenzello che qui aspettava la corriera che, due volte al giorno, da Cerreto scendeva a Telese in coincidenza con i treni, per consegnare la posta in partenza e ritirare quella in arrivo. La corriera era un vecchio autobus con dodici posti che faceva fatica nel salire la strada da Telese, spesso l’attesa era inutile perché le avarie erano frequenti e mancavano i ricambi.

    Due strade costeggiavano le rive destra e sinistra del torrente verso ovest, uscendo dalla valle passando a nord e sud del monte Acero. La strada della riva destra scavalcava il Titerno su un ponte in ferro lastricato in traversine di legno.

    C’erano viottoli tra i campi, sterrati, fangosi d’inverno e polverosi in estate.

    Un sentiero si inoltrava nei campi dal torrente verso sud, sfociando alla località cancello, in estate era la via più breve per scendere a piedi fino a Telese, in inverno il fango non consentiva il transito se non riempiendone le scarpe e, dato lo stato precario delle stesse, il fango arrivava ai piedi. Il sentiero attraversava due sorgenti che uscivano da rocce di tufo vulcanico e formavano piccoli ruscelli, con acqua limpida e fresca, per attraversarli nel greto erano posti dei massi tra loro distanziati di un passo.

    Da San lorenzello la strada a nord si inoltrava stretta tra i monti e il torrente fino a Faicchio, l’ultimo paese ad ovest.

    La mobilità era ristretta tra Cerreto, San Lorenzello e Faicchio, pochi si avventuravano fino a Telese e solo pochi commercianti si spingevano fino a Benevento e ancor meno a Napoli.

    A testimoniare la scarsa mobilità delle popolazioni, i dialetti si differenziavano anche da paese a paese, a soli due chilometri di distanza, quanto divideva San Lorenzello e Cerreto, non solo gli accenti erano differenti, più aperto il cerretese, noi dicevamo sguaiato, più stretto il Laurentino. ma anche i termini differivano, ciò era causa di reciproco dileggio.

    Oltre la corriera gli altri mezzi di trasporto erano le carrozze, non erano molte, due a Cerreto, una a Faicchio e una a San Lorenzello, nessuno ricorda il nome del cocchiere di San Lorenzello conosciuto come quattro e quattro; Il viaggio verso

    Telese durava

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