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Keep calm e passeggia per Roma
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E-book513 pagine7 ore

Keep calm e passeggia per Roma

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Info su questo ebook

Attraverso brevi escursioni un viaggio alla scoperta di dettagli e curiosità insolite, che solo una città così ricca di storia come Roma è capace di offrire.

Percorsi per conoscere Roma più da vicino, lasciando che le bellezze della Città Eterna scorrano lentamente davanti a noi. Non solo monumenti, chiese e palazzi ma anche scorci, atmosfere e personaggi. Claudio Colaiacomo – già autore di Il giro di Roma in 501 luoghi, Roma perduta e dimenticata e I love Roma – prende per mano il lettore e vaga con lui tra strade, vicoli e piazze, sia nei luoghi fondamentali della storia capitolina, sia in quelli più suggestivi e in quelli meno noti. Centro e periferia, rioni storici e quartieri alla moda, palazzi secolari e aree verdi che neanche immaginavamo di avere a portata di mano: questa meraviglia chiamata Roma si svela davanti ai nostri occhi nei suoi mille volti, accompagnando i nostri passi. 

Tra le passeggiate:

• A spasso per Borgo da Porta Santo Spirito a Via della conciliazione
• Da Porta San Pancrazio alla tomba di Anita Garibaldi, in cerca dei resti della battaglia
• Da Ponte Settimia Spizzichino alla Basilica di San Paolo Fuori le mura
• A spasso nel quartiere Coppedè, da piazza Mincio a Villa Torlonia
• Dalla chiesetta del Domine quo vadis al Circo di Massenzio attraverso il parco della Caffarella
Claudio Colaiacomo
È nato a Roma nel 1970. Laureato in Fisica, lavora per una multinazionale olandese. Studioso di storia romana antica e moderna di cui si interessa da anni. È sposato e vive a Roma. Tra le sue passioni il romanesco, la scienza, lo sport e la spiritualità. Con la Newton Compton ha pubblicato Il Giro di Roma in 501 Luoghi, Roma Perduta e Dimenticata, I Love Roma e Keep calm e passeggia per Roma.
LinguaItaliano
Data di uscita21 ott 2015
ISBN9788854186965
Keep calm e passeggia per Roma

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    Anteprima del libro

    Keep calm e passeggia per Roma - Claudio Colaiacomo

    294

    Mappe: Adriana Farina

    Prima edizione ebook: novembre 2015

    © 2014 Newton Compton editori s.r.l.

    Roma, Casella postale 6214

    ISBN 978-88-541-8696-5

    www.newtoncompton.com

    Realizzazione a cura di Librofficina

    Claudio Colaiacomo

    Keep calm e passeggia per Roma

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    A papà e mamma

    Oh le disgrazie dell’aviazione di carta,

    le sconfitte degli eserciti di soldatini,

    i fallimenti a nascondino e la delusione

    a uno, due, tre stella…

    C. Colaiacomo

    Nulla conta davvero.

    Queen

    …e non c’è niente da capire.

    Francesco De Gregori

    Introduzione

    Passeggiare rilassa, aiuta a concentrarsi, riporta il corpo a ritmi più naturali, in sintonia con lo stato d’animo del momento. Passeggiamo per riflettere, per fare breccia nella muraglia di pensieri dentro la quale siamo asserragliati e prigionieri. Passeggiamo per sentirci meglio, percepire il nostro corpo e fare pace con il mondo. Ho scritto questo libro non solo per gli amanti delle scampagnate ma anche per chi ama assaporare e gustare lentamente quello che la vita offre di buono e osservare con curiosità ciò che la vita offre di meno buono, consapevole che il nostro controllo è limitato a come scegliamo di reagire a quello che la vita ci offre. Passeggiare per Roma è un’opportunità per gustare appieno la meraviglia di un luogo incantato, uno spazio multidimensionale sia nella bellezza fisica sia in quella effimera, fatta di atmosfere che si formano fuori di noi ed emozioni che germogliano dentro di noi. È questa la danza magica che genera gioia, l’incontro di essenze del passato con emozioni radicate nel presente. Il risultato sono scintille di luce che riempiono il cuore e preparano gli occhi ad apprezzare ogni dettaglio che lo sguardo incontra. Consapevole del delicato equilibrio necessario per dar vita a quel che emoziona, ho camminato per la città in cerca dei percorsi più insoliti, infilandomi tra vicoli e piazzette, chiese e cortili, strade e vedute monumentali, nel tentativo di costruire quella miscela fugace ma inebriante che inonda il cuore davanti a ogni manifestazione di Roma. Dove necessario, ho preso spunto da leggende e racconti popolari oppure ispirandomi a personaggi o eventi passati, vissuti in quelle vie e quelle piazze, per equilibrare ancor meglio il mix, aggiungendo sfumature colorate, accenti piccanti, sapori dolci e anche amari. Ho descritto itinerari facili da percorrere anche virtualmente, semplicemente sfogliando le pagine del libro, nel tentativo di donare emozioni a chi ama Roma ma ne è fisicamente distante. Per chi può dedicare tempo e un po’ di sforzo fisico, i percorsi si schiuderanno davanti ai vostri occhi in tutta la loro bellezza e fragranza viva. Ognuno ha il suo carattere cangiante in ogni momento della giornata o dell’anno. Ho scelto di non arrogarmi il diritto di dettare tempi e orari, sta a voi adeguare quel che offre la passeggiata con il vostro stato d’animo in quel momento. Voglio dire, le emozioni che genera Campo de’ Fiori quando sfoggia i colori del mercato sono diverse da quando si riempie di turisti la domenica sera, ma entrambe hanno fascino, anche se le emozioni in circolo sono diametralmente opposte. Ho cercato di dare un ritmo a ogni passeggiata per favorire il cogliere di dettagli mai visti prima o apprezzarli sotto una luce nuova, facendo attenzione a non scendere in minuzie storiche ma cogliendo il quadro d’insieme a ogni passo. Ecco che piazza Navona non è descritta come una semplice carrellata di monumenti stupefacenti ma come un insieme dove fontane, chiese, statue e palazzi sono solo dettagli di un’unica opera d’arte, un quadro perfetto dove i particolari più piccoli partecipano in egual misura insieme ai dettagli più importanti a trasmettere qualcosa. Il lettore diventa parte di quel quadro e lo colora con le emozioni che percepisce in quel momento. In questo senso mi sono divertito a pennellare quadretti di Roma, scolpire forme e forgiare curve, prendendo in prestito quella fontana, quel vicolo o quell’obelisco mescolandoli a formare il mio umile e personale dono emozionale a te che leggi, passeggi e comprendi la magia racchiusa in quattro banali lettere, Roma. Come il più piccolo pigmento crea sfumature infinite, così ho tentato di unire lo scrosciare dei nasoni alle facciate delle chiese, l’umile selciato di sampietrini all’imponenza delle statue, o il vociare tra i banchi del mercato allo splendore di antiche rovine. Mi auguro di essere riuscito nell’intento di donare un condensato di emozioni utile per scoprire Roma in ogni dimensione, e in alcuni casi per farci pace. Come una cara amica di cui conosciamo luci e ombre, Roma è sempre lì, a donare meraviglia e splendore a chi sa donarle amore e attenzione.

    A sud di piazza Venezia

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    La scalinata del Campidoglio, in un’incisione di fine Ottocento, da La Patria di Gustavo Strafforello.

    1. Da piazza San Marco al Foro di Cesare

    Altare della Patria, Ara Coeli, piazza del Campidoglio, arco di Settimio Severo, carcere Mamertino, Foro Romano, Foro di Cesare, via dei Fori Imperiali.

    La fontana della Pigna, simbolo del rione in cui ci troviamo, segna il punto d’inizio di questa passeggiata che ci accompagnerà a spasso sulle pendici del colle più importante di Roma, il Campidoglio. Oltre all’importanza istituzionale è anche il più ripido di tutte le alture della città, dunque bevete un sorso in più dalla fontana della Pigna e scaldate i muscoli. Ci troviamo in piazza San Marco nell’angolo più segreto di piazza Venezia, immersi in un piccolo e solitario giardinetto. Veniamo attratti dall’enorme busto di marmo che se ne sta solitario in un cantuccio. Attraverso le fronde di una quercia e qualche sparuto pino, si stagliano bianchissimi i monumenti di Roma, primo fra tutti l’Altare della Patria e la colonna Traiana. Ci avviciniamo alla statua per coglierne le fattezze fisiche, è una donnona dalla capigliatura ben curata e le vesti nobili. Madama Lucrezia è il soprannome che le ha dato il popolo, ma in origine era nientemeno che la dea Iside in persona, fino a quando non iniziò a parlare proprio come fece Pasquino, per mezzo di pungenti messaggi di satira e di condanna che la gente lasciava appesi sul marmo della scultura. Fino a poco più di un secolo fa, ci saremmo trovati in una piazzetta molto diversa, silenziosa e raccolta, chiusa su tre lati. Qui si svolgeva una festa popolarissima tra i poveri della città che accorrevano al cospetto della statua parlante per ballare il saltarello. Era il ballo de li guitti, ovvero poveracci e disagiati che, per una volta, si davano al pazzo svago.

    Prima di tuffarci nel caos di piazza Venezia entriamo nel portico della chiesa di San Marco in cerca di una misteriosa lastra di marmo che recita Vanoza Cathana. È la pietra tombale di Vannozza Cattanei, cortigiana e amante di Rodrigo Borgia, eletto al soglio di Pietro con il nome di Alessandro

    VI

    e padre di Lucrezia e Cesare Borgia. Il marmo di quella pietra tombale è solo uno degli elementi che formano un fittissimo intrigo di palazzo tra prostitute, potentissime famiglie e il Vaticano. Lasciamo intrighi e misteri per accogliere il monumento a Vittorio Emanuele

    II

    detto anche il Vittoriano. È la torta nuziale di Roma, o per chi è ancor più maligno, la macchina da scrivere. Ci vollero più di venticinque anni per costruirlo, dal 1885 al 1911, anno in cui fu inaugurato. È la celebrazione dell’Unità d’Italia, un trionfo di forme classiche, statue e mosaici che risplendono di un bianco accecante. È proprio questa caratteristica che ha reso il monumento controverso e mal gradito perché non si armonizza con i colori dei vicini Fori Imperiali, dominati dal rosso bruno dei mattoni e dal bianco più tenue dei marmi antichi. Dopo oltre cento anni dall’inaugurazione, i romani ancora dibattono sulla bellezza o meno dell’edificio, ormai elemento distintivo della città. Attraversiamo la piazza tra lo zigzagare di auto, motorini e turisti terrorizzati dal traffico, fino alla base del monumento. Da qualche anno la scalinata, che porta alla base della statua equestre di Vittorio Emanuele, è aperta e possiamo rendere omaggio sia al re sia alla tomba del Milite Ignoto, sistemata solennemente qui nel 1921 e sorvegliata giorno e notte da un picchetto d’onore. Da qui piazza Venezia appare mae­stosa e il rettifilo del Corso si perde all’orizzonte. È possibile salire ancora più in alto, fino alla vetta del monumento, ma per oggi risparmieremo le forze perché ci attendono altre due impegnative salite. Giriamo attorno al Vittoriano in direzione della minacciosa scalinata dell’Ara Coeli. Prima di affrontare i 124 gradini, ci soffermiamo davanti a uno strano rudere stretto tra il bianco del marmo e il verde di due pini che gli fanno da guardia. È ciò che resta di una palazzina romana del

    II

    secolo, un’insula che si ergeva per ben sei piani e di cui oggi se ne conservano solo quattro. L’edificio si è miracolosamente salvato grazie alla protezione di due santi, san Biagio e santa Rita che qui avevano le loro chiese. Quando, sotto l’impeto del piccone fascista, l’area fu sgomberata per far posto alla via del Mare, odierna via del Teatro Marcello, le chiese scomparvero. Si decise di risparmiare quel rudere superstite della grandezza di Roma imperiale. In realtà era un fabbricato piuttosto modesto, un agglomerato di oltre trecento anime ammassate in condizioni igieniche inimmaginabili. Niente acqua corrente, servizi igienici o riscaldamento. Al piano terra i nobili e ai piani alti i miseri, assediati dal caldo l’estate e dal freddo l’inverno, in costante rischio di rimanere intrappolati negli incendi che erano all’ordine del giorno. Possiamo idealmente salire ai piani superiori incamminandoci verso l’Ara Coeli. Rallentate il passo, dobbiamo risparmiare energia! Su quei gradini, fino alla metà dell’Ottocento, si ammassavano viandanti, mendicanti e venditori stagionali durante le ore notturne, in attesa di una nuova giornata tra la gente e i banconi di piazza Montanara attorno alle arcate del Teatro Marcello. Passo dopo passo, Roma si abbassa, e la nostra vista spazia raso ai tetti fino al profilo di Monte Mario. Ara Coeli è un nome che conferma le origini antichissime di questo luogo. Potrebbe essere la corruzione romanesca di Arx Capitolium ovvero il monte che sorgeva dove oggi si trova l’Altare della Patria. La tradizione cristiana, invece, individua proprio qui l’altare voluto dall’imperatore Augusto dedicato a un misterioso signore dei cieli che gli sarebbe apparso in sogno. La visita alla chiesa è riservata a chi ha vinto la sfida, degna di Rocky Balboa, contro la scalinata, e riserva non poche sorprese. All’interno, sulla terza colonna di sinistra è incisa, in alto, la scritta a cubiculo augustorum che indica la provenienza di quella colonna direttamente dal palazzo imperiale, forse proprio dalla stanza di Augusto. Immaginare quel marmo a decorazione della stanza dell’imperatore romano è un pensiero che affascina, e anche l’ipotesi di una leggenda o diceria non ne diminuisce il fascino. In una cappella si conserva la statua lignea del Bambinello dell’Ariceli una delle più note in città, cui è legata la devozione popolare dal Cinquecento a oggi. È tuttora ritenuta miracolosa e capace di guarire i malanni. In passato i frati della chiesa la portavano in processione nelle case dei malati e negli ospedali. La statua è stata più volte oggetto di furti e recuperi, e alcuni raccontano di una misteriosa capacità di tornare a casa da sola, svignandosela miracolosamente via dalle mani dei ladri di ogni tempo. Così fece nel Settecento quando i frati se la ritrovarono davanti all’ingresso della chiesa. Purtroppo dal 1994, quando fu trafugata per l’ultima volta, la statua non tornò più a casa e non fu mai più ritrovata. Quella che vediamo oggi è una copia. Tornati all’aria aperta è possibile sgattaiolare sulla terrazza dell’Altare della Patria e godere ancora un’altra prospettiva aerea su Roma. Abbiamo giusto il tempo di scendere e ci ritroviamo alla base di un’altra scalinata, quella conosciuta come Cordonata Capitolina, dove ad attenderci troviamo due leonesse egizie sputa acqua. La salita è agevolata da ampi gradoni in leggera salita pensati per rendere più facile il transito di cavalli e carrozze. Passo dopo passo giungiamo sotto lo sguardo di due grandi statue romane, i Dioscuri con i loro cavalli. Davanti a noi si apre il Palazzo Senatorio accompagnato dal Palazzo Nuovo e da quello dei Conservatori, dove trovano posto le stanze dei Musei Capitolini. La splendida statua equestre di Marco Aurelio orna il centro della piazza ovale disegnata da Michelangelo nel 1536. Sembra impossibile, ma fino a quel momento il Campidoglio era conosciuto anche come Monte Caprino perché proprio qui, dove ci troviamo adesso, i pastori venivano a pascolare le capre e le pecore. Un bell’esempio di continuità storica, se pensiamo che Romolo e Remo crebbero in una comunità di pastori non distante da qui. Intorno è una meraviglia! Tutto è elegante e ricchissimo, intriso di storia dall’antichità romana ai giorni nostri. Ai lati dei Dioscuri si nascondono due pietre miliari della regina delle vie, la via Appia. Il

    VII

    miglio e il

    I

    miglio fanno bella mostra di sé proprio sulla balaustra che volge verso la città. Quella del

    I

    miglio è originale e immaginiamo quanta gente ha visto passarle accanto in arrivo a Roma o in partenza per chissà quale destinazione. Sulla torre campanaria sventola dal 1870 il tricolore, ma non dimentichiamo gli altri due tricolori che qui sventolarono fieri: quello bianco rosso e nero della prima Repubblica romana del 1798, e quello bianco, rosso e verde della Repubblica romana di Garibaldi del 1849. La nostra passeggiata procede costeggiando il fianco sinistro del Palazzo Senatorio. Se volete avventurarvi sul lato opposto, giungerete a una suggestiva terrazza sui Fori Imperiali. Procediamo sotto una colonna, dove è issata una copia in miniatura della lupa capitolina, simbolo della città da millenni; l’originale lo troverete al riparo nei Musei Capitolini. Sulla sinistra un’altra scalinata porta all’ingresso secondario dell’Ara Coeli, dove campeggia una colonna in ricordo del terribile terremoto del 1703. Poco distante, un vicolo interamente sviluppato su gradini è la scorciatoia perfetta per via dei Fori Imperiali, dove siamo diretti. Meglio rimanere sul percorso tracciato, perché le sorprese non terminano qui. Un piccolo giardinetto offre un’ottima opportunità per rilassarsi all’ombra di qualche albero con il panorama che spazia verso i Fori. Qui si trovano alcuni resti delle antiche mura Serviane. Continuiamo a costeggiare il Palazzo Senatorio, accompagnati da una fontanella che si fregia con fierezza del titolo di Acqua Marcia. Portare acqua corrente in cima a un colle non era cosa da poco, e la fontanella ha tutto il diritto di celebrare l’acqua che per prima giunse fin quassù. Eccoci davanti al Foro Romano, vera superstar di Roma, una distesa interminabile di resti antichi, culla della nostra cultura. L’ennesima scalinata si srotola davanti ai nostri piedi, questa volta in discesa. La percorriamo a pochi metri dall’arco di Settimio Severo, splendidamente conservato, i fregi e le iscrizioni si svelano passo dopo passo per commemorare le vittorie romane in Medio Oriente. Scorgiamo anche i resti del tempio di Saturno, altro simbolo di Roma, dove si custodivano le casse dell’impero, il tesoro di Roma. È impossibile descrivere tutto ciò che si offre ai nostri occhi, lo sguardo indugia su un rudere, poi si perde tra la miriade di antiche vestigia. Procediamo con lentezza fino allo spigolo in fondo al piazzale accompagnati dalle facciate di San Luca e Martina e di San Giuseppe dei Falegnami. È come trovarsi sulla prua di un veliero che naviga attraverso la storia che si stende davanti a noi. Scorgiamo il tondeggiante tempio di Vesta, le muraglie degli edifici imperiali del Palatino e i mattoni della Curia Julia perfettamente conservata a due passi da noi, la possiamo toccare con mano. Qui si riuniva il senato romano fin dal

    I

    secolo avanti Cristo, qui si è dibattuto e si sono letteralmente decise le sorti del mondo. Se c’è un posto dove si è impressa più volte la direzione al percorso alla storia, quel luogo è davanti a noi. Un altro sito fondamentale per la storia del mondo si trova a pochi metri da qui, dall’altro lato del piazzale. È il carcere Mamertino, prima prigione di Roma risalente addirittura ai sette re. Qui la tradizione ha individuato gli ambienti dove Pietro e Paolo furono detenuti prima del martirio. È possibile scendere nelle viscere anguste della terra per visitare quei terribili luoghi di sofferenza e angoscia, per molti l’ultima dimora prima di morire. Torniamo all’aria aperta pronti a girare attorno alla zona delimitata dal Foro di Giulio Cesare lungo il Clivo Argentario, un pezzetto di strada romana che costeggia alcune antiche botteghe. Con un po’ di fantasia siamo catapultati al tempo di Cesare: gente da ogni parte del mondo affolla il vicolo, i mercanti cercano di attrarre la nostra attenzione mentre svicoliamo tra una toga e l’armatura di qualche soldato, diretti verso il presente. In via dei Fori Imperiali svoltiamo a destra; con il Colosseo in fondo alla via ci soffermiamo davanti alle tre colonne che spuntano dal Foro di Cesare. È il tempio che il condottiero volle dedicare a Venere Genitrice per suggellare le origini divine della Gens Iulia, la sua stirpe. In questo punto il marciapiede si allunga facendo largo a una piccola aiuola, trovate la panchina a voi più congeniale e sedetevi in meditazione davanti alla pura meraviglia: intorno a voi l’indescrivibile scenario dei Fori Imperiali, l’Altare della Patria, la colonna Traiana e il Colosseo che sornione da lontano vi osserva.

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    2. Da ponte Mazzini alla chiesa Nuova

    Carceri Nuove, via dei Banchi Vecchi, Spirito Santo dei Napoletani, San Giovanni in Ayno, via di Monserrato, via del Pellegrino.

    24 marzo 1944, la città attraversa uno dei momenti più bui della storia recente. Poche ore prima una bomba aveva fatto strage di soldati nazisti in via Rasella, le truppe di occupazione tengono la città in una morsa di terrore, preparano la ritorsione che il führer in persona vuole dura e fulminea. Sul ponte Mazzini dove ci troviamo noi, scorrono veloci camionette e soldati in direzione del carcere di Regina Coeli che, seminascosto, fa capolino dal lungotevere alle nostre spalle. Nell’oscurità opprimente delle corsie e delle celle, verranno rastrellate molte delle vittime che morirono nell’eccidio delle Fosse Ardeatine (vedi itinerario 93). Passeggiare oggi sul ponte non evoca più quei tempi bui, non è rimasta alcuna traccia tangibile se non nel ricordo di chi ha vissuto quel terribile periodo storico. Ponte Mazzini è tra i ponti meno frequentati della città perché non collega nessuna arteria principale se non i due lungotevere. Le cose sarebbero ben diverse se fosse stato realizzato l’ardito progetto di una scalinata monumentale su ispirazione di quella di Trinità dei Monti, che doveva sorgere proprio alla base del ponte, al posto del carcere, per srotolarsi sontuosamente fino alla vetta del Gianicolo. Mettiamo da parte le cupe atmosfere del conflitto mondiale e le fantasie architettoniche rinascimentali per procedere in direzione del Campo Marzio, attraversando il lungotevere in cerca di atmosfere più rilassate e gioiose. Prendiamo la piccola rampa di via Bravaria fino al vicolo della Scimia e infiliamoci nella stretta trama di vicoli. Da mesi la zona è interessata dai lavori per un grande parcheggio sotterraneo, alcune strade potrebbero essere temporaneamente chiuse. Confido nel vostro spirito d’intraprendenza per scovare, se necessario, passaggi alternativi. Vicolo della Scimia deve il nome, secondo il Ruffini, all’osteria della Scimmia che si trovava proprio qui. È un vicolo cupo, dominato dai grandi finestroni a sbarre delle Carceri Nuove, austero penitenziario noto in tutta la città per le terribili stanze di detenzione e tortura e voluto da Innocenzo

    X

    in sostituzione delle altrettanto terribili prigioni di Tor di Nona. Seguiamo il carcere lungo il lato che volge su via Giulia dove campeggia la grande scritta

    GIUSTIZIA E CLEMENZA

    posta sopra il portale d’ingresso. Svoltiamo ancora una volta a sinistra dentro il vicolo del Malpasso, che deve il nome proprio alla destinazione di questa zona dove i briganti erano condotti in carcere o peggio ancora al patibolo. Prima della costruzione dei muraglioni, il vicolo finiva sulla sponda del fiume con un piccolo attracco per i rivenditori di acqua, i cosiddetti acquaricciari. Tornati a via dei Banchi Vecchi, giungiamo nel suggestivo trivio con via del Pellegrino e via della Moretta, dove si apre un curioso slargo senza nome, spuntato dopo alcune demolizioni di cui si notano ancora molti dettagli. Alla nostra sinistra scorre via Giulia costeggiata dal retro dello storico liceo Virgilio. Seguiamo il rettifilo della splendida via voluta da papa Giulio

    II

    per pochi metri fino alla minuscola via di Santa Aurea dove s’innalza la chiesa nazionale del Regno delle due Sicilie, la cosiddetta chiesa dello Spirito Santo dei Napoletani che sfoggia un coloratissimo dipinto proprio sulla facciata esterna, una rarità a Roma. Imbocchiamo via di Santa Aurea fino a sfociare nell’elegantissima, e pedonale, piazza de’ Ricci proprio al fianco dell’originalissimo palazzo Ricci-Parraciani che ha l’intonaco decorato con belle pitture a vista. All’angolo con via di Monserrato sorge la misteriosa chiesa di San Giovanni in Ayno oggi sconsacrata; non sappiamo il significato di Ayno, certamente una corruzione romanesca di chissà quale nome. Dal popolo era lapidariamente chiamata la chiesa della Morte per la vicinanza con la sede della confraternita dell’Orazione e Morte che visiteremo in un’altra passeggiata (vedi itinerario 3). Proseguiamo sulla sinistra lungo via di Monserrato per tornare all’angolo con via della Moretta e svoltare ancora a destra per prendere l’altrettanto suggestiva via del Pellegrino, antica via Florea, arteria maestra assieme a via di Monserrato e via Giulia per raggiungere il Vaticano. Bastano pochi passi per arrivare a via Larga, dal nome piuttosto curioso poiché per gli standard moderni è piuttosto stretta. Chissà se si rende conto di essere gemellata, almeno nel nome, con la ben più nota e più giovane Broad-Way newyorkese. Con la facciata della chiesa Nuova perfettamente inquadrata in fondo alla via, giungiamo a Corso Vittorio, dove termina questo itinerario.

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    3. Da Santa Caterina della Rota alla Trinità dei Pellegrini

    Via Giulia, chiesa dell’Orazione e Morte, fontana del Mascherone, Palazzo Farnese, piazza Farnese, Santa Brigida, Santa Maria della Quercia, piazza Capo di Ferro, Palazzo Spada, Trinità dei Pellegrini.

    Iniziamo questo percorso rendendo omaggio a Giuseppe Vasi, l’incisore siciliano che con i suoi disegni ha lasciato un patrimonio di vedute e mappe della Roma settecentesca. Riposa all’interno della chiesa di Santa Caterina della Rota nell’omonima piazza. È una chiesetta deliziosa, seppur bisognosa di restauro almeno della facciata esterna. L’intonaco rossastro rovinato gli dona un fascino antico. Troviamo il sepolcro del Vasi nella prima cappella a sinistra dell’altare maggiore, non distante da una statua di sant’Anna alla quale è legata un’usanza piuttosto curiosa. La santa era portata in processione solenne ogni 26 luglio durante la suggestiva processione de’ le panze ovvero un corteo di donne incinte che sfilavano, candela in mano e volto coperto, in cerca di buoni auspici per il parto imminente. Usciamo nella deliziosa piazza, dove vi consiglio un caffè nel piccolo e decisamente vintage caffè Perù. È qui da generazioni e volge timidamente lo sguardo alla modernità rimanendo saldamente ancorato alle tradizioni. Entriamo in via di San Girolamo della Carità fino a spuntare in via Giulia, in uno dei tratti più suggestivi di questo stradone lungo un chilometro, sul cui sfondo si staglia un grosso arco ghirlandato di verdissima edera. Si tratta dell’arcata che sorregge i giardini di Palazzo Farnese, concepita per un fantomatico ponte, mai costruito, che doveva collegare la residenza con la villa della Farnesina sulla sponda opposta del Tevere. Avviciniamoci a passi lenti, per non dare fastidio alla più lugubre delle chiese romane, che ci scruta sulla destra. Teschi e scheletri sono gli ornamenti della chiesa dell’Orazione e Morte sede dell’omonima confraternita che dal Cinquecento si prendeva cura dei morti affogati nel fiume. Due lapidi di marmo ai lati del portale d’ingresso raffigurano macabri angeli scheletrici. Uno ci ricorda che oggi è toccato a lui ma domani toccherà a noi… mentre l’altro ci invita a fare l’elemosina per i poveri morti che si «pigliano in campagna». Se siete in vena di cose funebri, la porta di sinistra è ciò che fa per voi. Da lì si accede al cimitero sotterraneo dove sono custodite decine di teschi di morti affogati con tanto di data di recupero impressa sulla calotta cranica e in alcuni casi il nome. Torniamo in strada, alla luce del sole, riprendiamo fiato, e continuiamo oltre l’arco fino all’angolo con via del Mascherone seguendo le tracce dell’edera che si fa sempre più fitta. Il mascherone, cui si riferisce la via, è l’ornamento della fontana che sgorga acqua fuori dalle fauci di un faccione scolpito nel marmo. Via del Mascherone ci accompagna lungo il lato di Palazzo Farnese fino a sorprenderci con la veduta improvvisa della piazza omonima, una delle più belle di Roma. Da questa prospettiva si apprezza tutta l’eleganza cinquecentesca del luogo. Le fontane gemelle e il piccolo campanile di Santa Brigida sembrano inginocchiati in venerazione al cospetto del maestoso edificio, il dado, come lo soprannominavano i romani per la forma squadrata e imponente. Alzate lo sguardo, una delle meraviglie è proprio il cornicione che corona l’edificio e che sporge spaventosamente verso l’esterno. È opera di Michelangelo che subentrò al Sangallo in corso d’opera al cantiere che durò decenni. Il Buonarroti ci ha regalato anche l’enorme finestrone centrale che oggi permette a noi, comuni mortali, di sbirciare gli splendidi affreschi riservati agli occhi di ambasciatori e diplomatici. Le due fontane sono opera di Carlo Rainaldi che riciclò abilmente due vasconi provenienti dalle Terme di Caracalla tramutandoli in bacini per la raccolta dell’acqua che zampilla allegramente da un unico getto centrale. Fateci un giro intorno, noterete che non sono del tutto uguali, alcune differenze che v’invito a scovare rivelano la natura del riciclo. Sembra strano ma da quando furono inaugurate, rimasero a secco per quasi un secolo, fino al Seicento, quando furono allacciate all’acquedotto dell’acqua Pao­la (quello del fontanone del Gianicolo), appena ripristinato. Un elegante bar si trova all’angolo con via dei Baullari accompagnato da un’edicola, risorsa perfetta per comporre il classico quadretto italiano fatto di giornale e cappuccino sorseggiato all’aperto. Da qui si apprezza l’interezza della piazza e il lento viavai della gente rallentato dall’assenza di autovetture. Il francese è la lingua ufficiale di questo angolo di Roma, lo si sente non di rado aleggiare nell’aria. Prima di proseguire lungo il vicolo del Giglio, diamo un ultimo sguardo alla piazza per catturarne ancora un’altra prospettiva. La chiesetta di Santa Brigida con il suo minuscolo campanile ci saluta, alcuni raccontano sia il più piccolo di Roma ma non è così, il primato appartiene al campanile di San Benedetto in Piscinula a Trastevere (vedi itinerario 73). Il fascino di vicolo del Giglio è dovuto sia all’andamento tortuoso tra i palazzi settecenteschi sia ai numerosi carretti del vicino mercato di Campo de’ Fiori, che qui sostano. Nonostante l’appellativo nobiliare preso in prestito dal simbolo dei Farnese, ha un’aria piuttosto popolare; vi aveva sede l’osteria amichevolmente chiamata della testa di morto per le fattezze dell’oste, il cui charme evidentemente non era nell’aspetto fisico ma immaginiamo nelle pietanze che serviva. Svoltiamo a destra, dove si concentravano i costruttori di balestre e lasciamo che via dei Balestrari ci catapulti nella deliziosa piazza della Quercia, tra gli angoli più suggestivi di Roma. È proprio un grosso albero ad accoglierci, che sembra proteggere il delicato prospetto della chiesa di Santa Maria della Quercia. Qui ha sede l’arciconfraternita dei Macellari, protagonisti di una brevissima processione fino a Palazzo Spada che si svolgeva nel periodo di Pasqua. Seguiamo idealmente i fedeli al seguito del gonfalone dei Macellari mentre si dirige verso il grande portale a pochi metri da qui, nella suggestiva piazza Capo di Ferro. Antichi fregi e statue romane ci osservano dalla facciata rendendo magico tutto il circondario. Una fontana zampilla sul frontespizio di un austero caseggiato. È la controfigura della fontana delle Mammelle, scolpita dal Borromini e scomparsa nella notte dei tempi lasciando solo la nicchia che vediamo ancora oggi. Una sagoma femminile decora un bel sarcofago romano dove si riversa l’acqua gettata da una testa di leone. Ci siamo attardati, la processione è ormai entrata nel Palazzo Spada e noi facciamo appena in tempo a seguire l’ultimo confratello dentro il cortile, dove si trova l’incredibile galleria prospettica del Borromini. Nello spazio di appena otto metri, l’architetto ha creato un effetto ottico impressionante: una infinita serie di colonne si allungano apparentemente per decine di metri fino a una statua che sembra colossale ma che in verità non è più alta di sessanta centimetri. L’effetto è così ben congeniato che non riuscirete a capire l’inganno a meno che non paghiate il biglietto al museo che vi permetterà di curiosare più da vicino. Torniamo nella piazza e proseguiamo in via Capo di Ferro fino al trivio con vicolo della Madonnella e vicolo delle Grotte, nel quale abitò Aldo Fabrizi e una lapide lo ricorda teneramente: «…se riuscirete a fermarvi un momento sentirete ancora nell’aria la sua risata, Aldo è ancora qui, non se ne è mai andato». Ci sembra di percepire l’eco lontano del suo sghignazzo mentre ci allontaniamo per entrare in piazza della Trinità dei Pellegrini dominata dall’omonima e piuttosto malmessa chiesa. Fino al Cinquecento si chiamava San Benedetto de Arenula, poi convertita da san Filippo Neri a chiesa del vicino ospizio dei pellegrini e convalescenti, dove nel 1849 morì il giovanissimo Goffredo Mameli ferito sul fronte del Gianicolo mentre difendeva Roma dall’attacco francese, al fianco di Garibaldi. Terminiamo qui il nostro itinerario, immersi in una delle zone più intricate di vicoli della città.

    4. Dal Monte di Pietà a ponte Sisto

    Santa Maria in Monticelli, ministero di Grazia e Giustizia, San Paolo alla Regola, via delle Zoccolette, conservatorio di San Clemente, via dei Pettinari, ponte Sisto, fontana di ponte Sisto.

    Il Monte di Pietà nasce a Roma nella metà del Cinquecento, ma non avrà sede fissa fino al Seicento quando s’insediò nel palazzo che oggi domina la piazza omonima. Un enorme orologio indica l’orario di partenza di questa passeggiata che ci godremo con tutta calma, noncuranti del procedere delle lancette. Un racconto popolare narra di meccanismi sapientemente sabotati per non segnare mai l’ora esatta, un dispetto del maestro orologiaio verso il committente che evidentemente non pagò mai il suo lavoro. Sulla piazza si addensano alcuni negozi che comprano oro e personaggi di contorno alle attività del Monte, pronti a proporre polizze assicurative o alternative all’impegno di gioielli e preziosi. È anche un posto molto frequentato da chi è in cerca di affari, non a basso costo, ma che possono riservare sorprese. Entriamo in via degli Specchi e poi subito a destra attorno al palazzo fino a via San Salvatore in Campo, dove ci attende l’omonima chiesa, sede del collegio dei missionari dello Spirito Santo. Entriamo in via di Santa Maria in Monticelli in direzione dell’alto campanile in mattoni che scorgiamo in fondo alla strada. È qui da circa mille anni, fedele compagno della chiesa che scoviamo appena svoltato l’angolo nel retro del ministero di Grazia e Giustizia. Deve il nome al monticello probabilmente venutosi a formare sui resti del grande tempio di Nettuno di cui non è rimasto più nulla. Siamo in un angolo della città, dove l’antico si fonde con il vecchio e tracce del remoto tessuto urbano fanno capolino ovunque. Un gruppetto di case medievali sono l’ultima memoria degli edifici che sorgevano qui prima del ventennio fascista, quando Piacentini edificò il grande palazzo istituzionale. Un’altra traccia del tessuto urbano di una volta la scoviamo imboccando via di San Paolo alla Regola. La targa marmorea, che porta il nome della via, nasconde a malapena la vecchissima targa dipinta sull’intonaco dell’edificio; è uno di quei ricordi di un tempo passato, appesi a un filo e al buon cuore dell’imbianchino che presto lavorerà al rifacimento della facciata. In pochi passi giungiamo alla chiesa che dà il nome alla via e che secondo la tradizione sorge sul luogo della casa di San Paolo. Prima di proseguire lungo via del conservatorio, vi consiglio di sbirciare pochi metri oltre fino a una vecchia insegna che inneggia al vino dei Castelli, dietro l’angolo si trova un sito archeologico sotterraneo sorprendente, i resti di una insula romana. Entriamo in via del Conservatorio, cupa e silenziosa, che ci accompagna in via delle Zoccolette, dove capiremo il perché dei nomi di queste due strade. Via delle Zoccolette deve il buffo nome alle orfanelle che dal Settecento erano ospitate nel conservatorio di San Clemente proprio in questa via. Le giovani donne, orfane di entrambe i genitori, crescevano sotto la protezione dei religiosi, che oltre a una rigida dottrina cattolica, insegnavano arti e mestieri nella speranza di un impiego una volta fuori dall’istituto. Il sarcasmo romanesco dava poche speranze a queste donne che, se non riuscivano a trovare marito, sarebbero finite con ogni probabilità a svolgere i lavori più umili, inclusa la prostituzione. A Roma zoccola significa univocamente prostituta, ma in questo caso il nome è stato teneramente addolcito con il diminutivo, segno di un intento non volgare. Alcuni sostengono che il nome potrebbe riferirsi agli zoccoli calzati dalle giovani donne oppure a quelli che imparavano a confezionare. A circa metà della strada, incontriamo una piccola lapide sull’intonaco del palazzo alla nostra sinistra. È proprio questo l’edificio dove erano ospitate le zitelle zoccolette, come recita l’antica scritta. Eccoci a via dei Pettinari dove scorgiamo il selciato di ponte Sisto che ci aiuta a ricomporre l’atmosfera antica di quando il dedalo di vicoli scorreva ininterrotto fino a Trastevere. In pochi passi eccoci all’imbocco di ponte Sisto, un’iscrizione in latino sulla balaustra di sinistra ci racconta delle vicissitudini della fontana che oggi si trova in piazza Trilussa. Il nome originale è fontana di ponte Sisto perché nel 1613, quando fu costruita, si trovava proprio dove siamo adesso, esattamente all’imbocco del ponte dove scorre il lungotevere. Nel vascone centrale zampillava l’acqua proveniente dal fontanone del Gianicolo che fa capolino tra gli alberi in cima al colle davanti a noi. Solo nel 1898, quando la costruzione del lungotevere la sfrattò, fu traslocata nell’odierna piazza Trilussa. Procediamo verso la fontana, sul quattrocentesco ponte Sisto, uno dei più belli di Roma, costruito sulle rovine dell’antico Pons Aurelius risalente al 215 d.C. Da qui si gode di una magnifica vista sulle case di Trastevere che si arrampicano verso il Gianicolo, le sponde del Tevere e lo sfilare dei platani verso San Pietro. Fino a pochi decenni fa, era ornato da due passerelle in ferro sporgenti ai lati, utilizzate per il transito pedonale e andate perdute nel recentissimo e controverso restauro. Giunti sulla sponda trasteverina, non attraversate la strada ma cercate un angoletto per sbirciare il profilo del ponte in cerca del famoso occhialone. Si tratta di un’apertura circolare ideata dagli ingegneri di Sisto

    IV

    per diminuire la pressione della corrente durante le piene. Nei secoli servì anche da campanello d’allarme perché, quando era sommerso, significava straripamento certo. Siamo davanti a una delle porte di Trastevere, piazza Trilussa, luogo d’incontro della movida notturna. È dedicata al grande poeta romanesco che ha il suo monumento sotto un pino alla destra della piazza (vedi itinerario 71). Si può raggiungere ogni propaggine del rione scegliendo una delle sei strade che si diramano da qui, ciascuna con la sua atmosfera, segreti e storie da raccontare.

    5. A spasso nel ghetto dal Teatro di Marcello al Monte dei Cenci

    Via del Teatro di Marcello, palazzo dell’anagrafe, San Nicola in Carcere, Teatro di Marcello, Santa Rita, Tempio di Apollo, Portico d’Ottavia, Sinagoga, Santa Maria in Campitelli, Foro Piscario, Santa Caterina, piazza Mattei, Palazzo Mattei, fontana delle Tartarughe, Palazzo Costaguti, Dimora Maniliana, Santa Maria del Pianto, piazza delle Cinque Scole.

    Faremo un’entrata piuttosto insolita sul palcoscenico del ghetto partendo da via del Teatro Marcello all’angolo con via Montanara. La strada prende il nome dalla vecchia piazza Montanara demolita durante il fascismo per l’apertura dell’odierno viale che prosegue ininterrotto fino a via Petroselli. Davanti a noi, verso il grande palazzo dell’anagrafe, la chiesa di San Nicola in Carcere. Da qui si apprezza benissimo come sia stata costruita sui resti di antichi templi romani,

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