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Il sentiero che non ho percorso
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Il sentiero che non ho percorso
E-book439 pagine5 ore

Il sentiero che non ho percorso

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Info su questo ebook

È possibile, in una vita tragica dove si è succubi prima di tutto di se stessi, schiavi delle proprie trappole mentali, liberarsi da ogni vincolo? Un carnefice può arrendersi di fronte all'evidenza dei fatti e lasciare alla propria vittima la possibilità di riscattarsi? È ipotizzabile che il passato venga cancellato da un brutto incidente così da modificare il proprio cammino in cerca della felicità? Possono la passione per i libri e la cucina e la nascita di un nuovo amore farci guardare al futuro con occhi differenti?
La vita è come ce la raccontiamo.
LinguaItaliano
Data di uscita19 giu 2018
ISBN9788828338000
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    Anteprima del libro

    Il sentiero che non ho percorso - Paola D.R. Toniolo

    Cataldo

    Capitolo 1

    È una luminosa giornata di sole, anche se, attraverso le finestre, i raggi si insinuano appena per via dell’ombra del grande palazzo che sovrasta la mia piccola abitazione.

    Piccola ma mia, nostra.

    Senza più affitti da pagare, senza vincoli contrattuali, senza più diverbi per farsi rimborsare la fattura della riparazione della caldaia, perché " si tratta di spese di manutenzione ordinaria" (che toccano sempre all’inquilino) mentre gli interventi di manutenzione straordinaria, chissà per quale motivo, non si verificano mai.

    Il mio cuore è leggero, o non proprio; più che altro diciamo che mi sforzo, mi impongo di non sentire più quel senso di affanno che mi pesa sul petto, e che, saltuariamente, diciamo spesso, mi rende il respiro difficoltoso; ma non così tanto, qualche volta ho il battito un po’ accelerato (o rallentato, a seconda dei casi), o percepisco qualche extrasistole, ma raramente; insomma, capita che mi senta un po’ fuori forma, avvilita, triste, ma di quel triste che proviamo tutti, che però ci rende doloroso il vivere quotidiano, fa sì che le giornate scorrano lente e il sangue geli un poco nelle vene. E abbiamo quel sentore latente, ma sempre così presente, che succeda qualcosa, entro la fine della lunga giornata.

    Ma niente di più. Niente di eccezionale, credo che siano cose che capitano a tutte, giusto ragazze? Specialmente in quei giorni… specialmente in autunno, o in inverno (un po’ meno in primavera e in estate), o forse a ogni cambio di stagione. Forse a ogni contrasto con il marito, perché ha preso una ramanzina dal capoufficio, o ha avuto un’incomprensione con il collega, o il panino veloce della pausa pranzo gli si è fermato sullo stomaco; il treno era in ritardo, l’appuntamento di lavoro è saltato… insomma, sappiamo come vanno le cose con i mariti, se la prendono sempre con noi.

    E so che potrebbe apparire un po’ strano, che mi rivolga a qualcuno che non è qui presente, che io parli (anzi pensi) al plurale, anche a nome di altre donne… ma sapere di non essere sola nel vivere questi disagi, mi aiuta e mi conforta.

    È un po’ come quando mi recai al centro di auto-aiuto: lì ogni signora presente esprimeva i suoi affanni di fronte alle altre, e ci si sosteneva a vicenda; ma Giacomo aveva ragione, quel posto non faceva per me.

    Ogni tanto però mi piacerebbe potermi sfogare con qualcuno, un’amica; soprattutto dopo una brutta telefonata con mia suocera, che per l’ennesima volta mi fa notare quanto sia perfetto il suo bambino mentre io soltanto una donna di casa, priva di interessi e senza obiettivi, insomma, senza un minimo di personalità; mi consiglia di darmi da fare, di prendere l’iniziativa ed essere più brillante, non tanto per me stessa, ma per lui, il suo piccolo ma grande uomo, altrimenti c’è il rischio che subentri quella monotonia che lo porterebbe a cercare stimoli altrove (a mettermi le corna), ad allontanarsi da me, tanto non sono nemmeno stata in grado di dargli un figlio.

    Su questo argomento indugio, anzi, mi blocco di colpo, resto senza fiato, e pure senza parole (non che fino a quel momento avessi obbiettato poi molto) perché è ancora troppo doloroso il ricordo, mi fa ancora troppo male, soltanto il pensiero.

    È così amaro rammentare che forse, grazie a Lui, ho perso l’ultimo treno per il più importante viaggio della mia vita, quello che mi avrebbe resa madre.

    Ma in fondo la colpa è anche mia, perché dopo quei calci al pancione di sei mesi e quelle fitte lancinanti non sono corsa immediatamente al pronto soccorso, per un controllo, per verificare che il bimbo stesse bene. Ma avevo troppa paura a farglielo sapere, puzzava di alcol, era chiaramente in stato di ebbrezza, dopo l’aperitivo con i colleghi.

    Provavo molto dolore, ma cercavo di non pensarci, sperando che tutto si sarebbe risolto spontaneamente. Era la prima volta che mi metteva le mani addosso, sto parlando di mio marito ovviamente, (e non successe mai più), ed era scoppiato in lacrime per avere perso la pazienza e avere reagito in quel modo per quella pasta un po’ scotta. Mi aveva chiesto scusa mille volte. Non mi andava di farlo sentire in colpa.

    Mi ero distratta un attimo, guardando L’eredità, ed ecco fatto, gli spaghetti non erano più al dente.

    Ma lui pranza già così male, con la breve pausa che gli concedono al lavoro, e tutta quella tensione in ufficio. Almeno per cena, si aspetta qualcosa di speciale, ed è giusto che sia così.

    Però quando la situazione divenne insostenibile e cominciai a perdere tutto quel sangue, non potei più fare finta di niente: andammo di corsa in ospedale, raccontando che ero caduta dalle scale, ed è quello che dicemmo anche agli altri, anche a mia sorella.

    Ogni tanto lei, Silvia, mi chiama; siamo gemelle. Ma di solito è per farmi notare quanto sia perfetta la sua esistenza, con la sua avviata e stimolante carriera come architetto di interni; i suoi figli sono splendidi, i miei nipotini Mirko e Nicola, gemelli anche loro; fanno solo la prima elementare ma a scuola hanno il massimo dei voti, me lo raccontano sempre, quando capita che ci sentiamo. Di vederci, proprio non se ne parla, con tutti quegli impegni extracurriculari (inglese, nuoto per Mirko e calcio per Nicola, poi gli scout).

    Mi piacerebbe tanto, potermi dedicare un po’ a loro, viziarli, come fanno tutte le zie. Gli voglio molto bene, sono la mia famiglia, l’unica. A parte Giacomo, ovviamente.

    Capitolo 2

    «Ciao tesoro, ho appena sfornato il tuo piatto preferito: arrosto di tacchino con patate.»

    «Va bene, tienilo in caldo. Prima mi faccio una doccia. Non posso mica mettermi a tavola con i vestiti da lavoro.»

    «Hai ragione, scusami, è che… vista l’ora. E poi non volevo che… Ma guarda, non c’è problema, come non detto, fai pure con calma.»

    «Lasciamo perdere, mangiamo! Stasera non sono proprio in vena di discutere.»

    «Ma tesoro...»

    «Basta! Mangiamo. Sono appena arrivato e già mi stai con il fiato sul collo.»

    «Scusami tanto, non volevo.»

    «Va bene, facciamo finta di niente. Mangiamo, che si fredda.»

    «Com’è andata la giornata in ufficio?»

    «Al solito, che vuoi che ti dica. Si lavora. Non ho mica tutto il tempo libero che hai tu.»

    «Certo, ovvio. Scusami di nuovo. Era tanto per parlare.

    Anzi volevo dirti: mi piacerebbe, cioè… è da tanto che non trascorriamo un week end da qualche parte, insieme, in un posto tranquillo, tipo in campagna… cosa ne pensi?»

    «Della campagna?»

    «Di noi due, una gita, insieme.»

    «Ma non siamo insieme anche ora?»

    «Certo ma da qualche parte, un posto romantico.»

    «Tu e il tuo romanticismo! Te lo dico sempre, che devi stare con i piedi per terra. Sai che la rata del mutuo è aumentata ancora? E le bollette da pagare?»

    «Certo tesoro, capisco, ma intendevo magari la casetta della zia. Visto che ce l’ha lasciata in eredità e ci va sempre Silvia… Questo fine settimana dovrebbe essere libera.»

    «Sì ma le zanzare, le mosche… ricordi l’ultima volta? Sarebbe meglio venderla.»

    «Ma era il mese di luglio, adesso siamo in marzo.»

    «Marzo, luglio, che vuoi che me ne importi. Sai che quel posto non mi è mai piaciuto.»

    «Soltanto per una volta.»

    «E il disordine, i cani che abbaiano?»

    «Allora che ne dici di andare sul lago, domani, in giornata. E poi per cena potremmo fermarci in quel ristorantino, come faceva di nome, Da Lucio, mi pare. Sai, dove avevi mangiato quei gamberi di fiume che ti erano piaciuti tanto.»

    «Ma che ti prende stasera? Devi per forza programmarmi la vita? Cos’è questa smania di fare, di andare, di spendere… non avrai per caso sentito tua sorella? Invece sai cosa ti dico? Io domani voglio dormire fino alle dieci, non sono mica come te, che fai finta di alzarti per prepararmi la colazione e poi ti ributti nel letto.

    Corsetta nel parco, aperitivo con Maurizio, e nel pomeriggio, se proprio mi gira, ti porto al centro commerciale.»

    «Va bene tesoro.»

    «Mi sembra il minimo.

    Ma perché fai quella faccia, allora? Ti è sempre piaciuto andare al centro commerciale.»

    «Già.»

    «E quindi?»

    «E quindi niente, non c’è nessun problema.»

    «E quindi perché non la smetti di guardarmi in quel modo e mi porti la frutta?»

    «Giacomo?»

    «Che c’è adesso?»

    «Domani è il nostro decimo anniversario».

    Capitolo 3

    Come faccia Silvia, mia sorella, a conciliare casa, marito, figli, lavoro, convegni, la forma fisica e ad avere una vita così ricca di relazioni sociali e incontri mondani, proprio non lo capisco. Deve essere una maga, possedere la lampada del genio.

    L’ammiro, l’ammiro molto. Io non le assomiglio neanche un po’, posso comprendere perché Giacomo si sia stancato di me, e ogni tanto si arrabbi un pochino. So che se ha perso la stima nei miei confronti è soltanto colpa mia, che potrei essere una moglie, una compagna migliore; ma quando mi dice che non valgo nulla mi chiudo in me stessa, invece di reagire, e così le cose non migliorano. Lui lo fa per me, per farmi aprire gli occhi, cerca di stimolarmi, ma io no, non sono proprio all’altezza.

    Sono fatta così, sono una debole, manco di determinazione; ma una volta era tutto diverso, ricordo bene, avrei voluto anche diventare… o forse mi sbaglio, non sono mai stata nessuno, non ne avevo la forza, è stato soltanto un caso, un periodo fortunato, prima di conoscere Giacomo. In realtà la mia vera fortuna è stata quella di averlo incontrato, tutto il resto non conta. Perché fosse stato per me… sono soltanto un’ingenua sognatrice che non sa vivere con i piedi per terra. Cosa sarei ora senza di lui?

    Studiare filosofia non mi avrebbe condotta da nessuna parte, si sa, tutta quella montagna di libri e poi, sono tutti disoccupati quelli come me. Soprattutto con i tempi che corrono. Soprattutto con un carattere come il mio; lui mi ha tolto dall’orlo di un precipizio e mi ha riportata sulla terra ferma. Mi ha dato tante sicurezze, come questa casa.

    Tanto i primi quindici esami non contano nulla, si sa, che il difficile viene tutto dopo. E vivere da sola a Milano? Con quello che costa la vita… non ce l’avrei fatta comunque.

    Il mio posto è qui, accanto a Giacomo, pure con sua madre, il mio mondo è questo.

    Certo mi piacerebbe potere frequentare qualche vecchia amica, iscrivermi a un corso di cucina, o di scrittura creativa, o di pittura; ma non sono queste le cose importanti della vita. E poi ho già i miei libri, mi tengono così tanta compagnia (una volta leggevo di tutto, ora soprattutto romanzi d’amore, ne ho bisogno, mi aiutano ad andare avanti. Di tanto in tanto però anche qualche grande classico, devo ammetterlo).

    E so che Giacomo ama trovarmi qui ad aspettarlo quando rientra la sera, e anche a me piace; facciamo tutto insieme, noi due: il sabato è il momento della spesa settimanale. Invece pane e latte ce li consegna il fattorino, di giorno in giorno. In lavanderia se c’è la necessità passa lui al ritorno dal lavoro, e in questo modo mi alleggerisce il carico dei compiti. Pensa a tutto lui, anche il nostro conto corrente è a suo nome, dice che così non sono obbligata a uscire e a fare quelle lunghe code che ci sono sempre in banca, in posta, e poi grazie a lui non mi devo preoccupare proprio di nulla. Preferisce non darmi troppe responsabilità, il mio Giacomo, così non ho pensieri. Che brava persona, devo riconoscerlo.

    Come farei senza di lui?

    Giacomo, ti amo così tanto… sei l’unico per me, grazie di esistere. Sappiamo entrambi che meriteresti di meglio, tu non lo dici, ma l’ho capito, sai, che lo pensi… da come parli delle tue colleghe, da come elogi tua madre, la tua amica Paola, che preferisci che io non frequenti, e forse hai ragione, mi rendo conto che vuoi soltanto proteggermi dalle brutte delusioni.

    Perché non sono mai stata tanto espansiva, non ci so fare con gli altri; la mia timidezza mi blocca, e le persone tendono a evitarmi.

    Non sono brava a relazionarmi e per questo capisco che tu non voglia portarmi con te alle cene di lavoro, ti metterei in imbarazzo.

    Eppure quando facevo la commessa in quella libreria, part-time, per mantenermi gli studi… ma forse no, mi sbaglio di nuovo, nemmeno in quel caso, ho sempre avuto una fervida immaginazione.

    A volte ho l’impressione di piacere alla gente ma poi Tu mi fai notare che si stanno soltanto prendendo gioco di me.

    Sei molto comprensivo, Giacomo, ad accettarmi nonostante tutti questi miei difetti, sei paziente con me anche se devi continuamente guidarmi nelle strade della vita, devi insegnarmi come comportarmi, perché da sola combino solo pasticci. Tu sei il mio maestro e io soltanto una studentessa, nemmeno troppo perspicace.

    È per questo che ti amo, è per questo che ti stimo, è questo il motivo per cui non potrei mai pensare a una vita senza di te. Siamo fatti l’una per l’altro. Tu meriteresti anche di più, hai ragione, però mi tieni con te.

    Avrei tanto voluto adottare un cucciolo (un altro bambino non avrei mai osato chiedertelo), dopo che il ginecologo disse che dovevamo attendere un po’, prima di riprovarci di nuovo, che c’erano scarse probabilità che rimanessi incinta ancora, dopo quell’intervento così invasivo; ma so che tu non ami gli animali, e di un figlio non ne riparlasti nemmeno più, quindi pensai di bastarti, che non necessitavi di altro, e io ero soltanto un’egoista che pretendeva troppo.

    Invece tu sei stato così generoso, mi hai fatto capire che sono tutto ciò di cui hai bisogno, e di questo te ne sarò infinitamente grata.

    Mi sento in debito con te, non ti ringrazierò mai abbastanza.

    Capitolo 4

    «Allora, dove ti porta di bello il tuo Giacomo?»

    «Parliamo piano Silvia, che sta ancora dormendo.»

    «Ma non mi avevi chiesto le chiavi della casa della zia? A che ora partite?»

    «No, in verità… abbiamo cambiato programma.»

    «Ah, e che fate di bello?»

    «Ma’, qualcosa di tranquillo.»

    «Ah, ristorantino tête-à-tête.»

    «Forse, poi vediamo.»

    «Ma non avete ancora deciso nulla? Dieci anni sono da festeggiare.»

    «Sì, cioè, in realtà Giacomo era un po’ stanco.»

    «Certo, ma… mica gli fanno lavare i piatti, al ristorante!»

    «Senti, Silvia, so che la tua vita è molto movimentata ma noi due… lo sai, che stiamo bene anche così, qui a casa.»

    «Va bene ma non ti dico di organizzare un viaggio alle Seychelles, un ristorantino di pesce, il giorno del vostro decimo anniversario di matrimonio… ma almeno si è ricordato di farti un regalino?»

    «Sai com’è fatto Giacomo, è preso da tante cose.»

    «No no, fosse il mio Antonio, a dimenticarsi del nostro anniversario… per una settimana a stecchetto!

    Sai cosa intendo, no?»

    «Dài Silvia, lo sai che io non sono fatta così. E poi per voi è diverso, siete ancora sposini. Tra di noi è un’altra cosa.»

    «Sposini? Sei anni anche noi eh!

    E per te è diverso perché tu non riesci mai a farti valere, gliele concedi tutte al tuo Giacomo!»

    «Non parlarmi così.»

    «Senti Laura, hai poco più di trent’anni, sei una donna, e certo, fai la casalinga, ma dopotutto non sei mica da buttare, no?»

    «Che c’entra, è che io e Giacomo siamo abituati così, lo sai.»

    «Sei tu, che ti sei abituata a tutto pur di dargliela sempre vinta.»

    «Ora esageri.»

    «Non esagero affatto. Certo, non posso dire che tu sia mai stata forte e determinata, ma se ti vedesse la mamma, con quei grembiuloni che porti addosso tutto il giorno… Sai che lei desiderava vederci sempre belle.»

    «Ricordati che l’aspetto non è tutto.»

    «Sì, ma nemmeno conciarsi come… eppure sei magra. Certo, io sono più in forma, ci tengo. Ma qualcosa di meglio di quei pantaloni di velluto che ti metti per uscire potresti anche comprartelo.»

    «Sai che a Giacomo dà fastidio se mi metto troppo in mostra.»

    «Sì, però quelle con la minigonna le guarda, le guarda eccome! Ma non te ne accorgi nemmeno?»

    «Perché mi dici questo?»

    «Perché è ora che tu apra un po’ gli occhi.»

    «Cosa dovrebbe significare?»

    «Lo sai bene.»

    «No, non lo so.»

    «Allora te ne accorgerai.»

    «Accorgermi di cosa?»

    «Ma dài, Laura, so che sei ingenua, ma ancora fingi di non capire?»

    «Sai che hai torto.»

    «Niente affatto.»

    «Ora basta.»

    «Arrangiati!»

    «Ma perché mi tratti così?»

    «Perché te lo meriti. Sei troppo accondiscendente.»

    «Sai che non ho carattere.»

    «Tira fuori le palle, una volta per tutte.»

    «Ma cosa mi manca, non mi manca nulla!»

    «Hai gli occhi spenti. Ogni quanto fate l’amore tu e tuo marito? Ti coccola ogni tanto, ti dedica delle attenzioni?»

    «Queste non sono cose che ti riguardano.»

    «Sono tua sorella. E ho due figli, un bel lavoro… ma mi diverto. Tu invece?»

    «Sei proprio crudele. Ma ti voglio bene comunque.»

    «E va bene, scusami. Ma dammi retta, cerca di essere più indipendente, fatti anche tu la tua vita.»

    «La mia vita è con Giacomo.»

    «E con tutte le altre!»

    «Che cosa stai insinuando, adesso esageri davvero!»

    «Non senti qualcosa sulla testa?»

    «Ma smettila di ridere, di fare l’idiota!»

    «Io rido ma tu, tu dovresti preoccuparti!»

    «Grazie!»

    «Scusami Laura, ma quando lo troverai a letto con un’altra, non correre a piangere da me!».

    Capitolo 5

    Dio, perché mi fai questo? Perché permetti che certe persone, a cui voglio bene, che queste persone parlino così male del mio Giacomo? Che insinuino nella mia testa certi dubbi? Ti prego, ti prego tanto, ti prego sempre.

    Ti prego di aiutarmi a trovare almeno un po’ di serenità.

    Ti prego per lui, perché ottenga un lavoro migliore, affinché non sia sempre così arrabbiato, nervoso, e torni da me per una volta con un sorriso.

    Ti prego perché tu possa concedermi la forza di andare avanti, di lottare, per un po’ di complicità, per un po’ di passione.

    Sai Dio, penso spesso a quando ero giovane, certo, non ho mai avuto una forte personalità, ma stupida non ero, i voti erano buoni… e neanche tanto brutta non mi sembrava di essere. Ma soprattutto, avevo fiducia, per quanto la mia indole inquieta me lo permettesse.

    Non sentivo questo peso sul cuore.

    Eppure lo so, che Giacomo mi ama, io, lo amo, profondamente.

    Eppure ho tutto quello di cui ho bisogno; certo, insieme non facciamo scintille, ma dopo dieci anni di matrimonio… non pretendo baci, abbracci e regali, sorprese me ne ha fatte tante, ai tempi del fidanzamento. Non mi aspetto grandi slanci emotivi da parte sua, soltanto un po’ di tenerezza, di spontaneità.

    Sono sicura della sua sincerità, soltanto che a volte è un po’ chiuso, non ha voglia di parlare, è così stressato.

    Ti prego, insegnami a prendermi cura di lui, a dargli un po’ di conforto, perché probabilmente la colpa è soltanto mia, se le cose non vanno sempre come vorrei, come lui si aspetterebbe.

    Sono io la colpevole, sono sempre stata una donna piuttosto riservata, una volta mi ha anche definito frigida… ci sono rimasta davvero male, era poco che stavamo insieme, io avevo poca esperienza; lui è stato il primo per me. Il mio primo amore.

    Sono stata soltanto con lui, Io e Giacomo, insieme, per sempre.

    Ed è quello che ho sempre sognato, sempre desiderato… forever in love.

    Eppure perché non sono in grado di essere la donna che lui si aspetta che io sia?

    Aiutami, Dio, insegnami a renderlo felice, perché proprio non so più cosa fare.

    Madre, tu mi hai amato, ci hai amato, e molto.

    Quando nostro padre se n’è andato, tu eri molto giovane, noi ancora non esistevamo. Eravamo soltanto dei piccoli feti. Non ho ricordi legati a lui, perché tu non hai mai voluto parlarcene, né in bene, né in male. Ma l’hai sempre difeso, mio padre.

    E non si è saputo più nulla di lui.

    Ti sei data molto da fare per noi; è stata dura per te, non potevi contare sull’aiuto di nessuno. Eppure sei stata forte, sei stata grande, non come me ora.

    Te la sei cavata da sola, con due bimbe piccole, e tutti gli straordinari che facevi, per non farci mancare nulla.

    E sul tuo volto, c’era sempre un sorriso.

    Sei stata così speciale, perché, nonostante tutto, non ci hai mai fatto pesare nulla, e ti mostravi spensierata, anche se crescendo ho capito, che avevi tante preoccupazioni.

    Ma con una buona dose di ironia, cercavi sempre di guardare avanti, di superare ogni ostacolo insieme a noi.

    Sei stata una madre esemplare, affettuosa, diligente, attenta e coscienziosa. Hai cercato di educarci con il buon esempio, non solo con le imposizioni.

    Non ti sei mai lamentata di nulla, nemmeno dell’uomo che amavi e ti ha lasciato così, all’improvviso, quando gli hai detto che aspettavi noi due; ti ha risposto che non se la sentiva, non se la sentiva proprio. Già un figlio era una bella responsabilità… che aveva un programma lui, una vita davanti, che non contemplava un impegno così. Figurati due gemelle!

    Tu l’hai capito subito, che non era pronto; non era per mancanza d’amore, lui ti desiderava, ma non era pronto per una famiglia. Doveva concludere il suo percorso di studi, doveva seguire le sue aspirazioni.

    Anche i suoi genitori non avrebbero compreso, non l’avrebbero permesso; appartenevano a un altro mondo, anzi, eravamo noi, ad appartenere a un altro ambiente. Lo sapevi che non ti avrebbero mai aperto le porte, lasciata entrare.

    Eri così orgogliosa, hai deciso di non chiedergli nulla.

    Così gli dicesti che avresti abortito, e lui sparì dalla tua vita, dalla nostra, per sempre.

    Non volesti mai dirci il suo cognome, com’era il suo volto.

    Nemmeno a Silvia, anche se insisteva così tanto (è sempre stata un po’ ribelle, lei; ma tu riuscivi sempre a farla calmare. Ragionare. Col tuo modo di essere, pacato, gentile, riuscivi sempre a rassicurarci, a farci credere che fosse tutto normale così).

    E crescemmo senza di lui, senza conoscerlo mai; questo Silvia non te l’ha mai perdonato, ma tu sapevi come farti amare, tu eri così dolce con noi, ma anche forte.

    Non come me. Silvia, lei sì, ha preso un po’ del tuo carattere, ed è stato devastante per lei, quando sei venuta a mancare.

    Ti prego, madre, aiutami a trovare la strada.

    Io darei la mia vita, per lui, per il mio Giacomo; io apro gli occhi al mattino e li chiudo la sera soltanto per lui, lui è l’inizio e la fine, lui è tutto per me.

    Aiutami Dio, aiutami madre, aiutatemi a essere una donna migliore.

    Come lo eri tu, madre.

    Migliore per me e per lui.

    Anzi, per me non importa, soltanto per lui.

    So che non saresti fiera di me, se mi vedessi in questo momento; Silvia ha ragione.

    Tu ci hai insegnato a non mollare mai, a non scendere a compromessi, perché la dignità è tutto.

    Hai preferito crescerci da sola, piuttosto che chiedere aiuto; invece io non so badare nemmeno a me stessa, figurati a lui.

    Dipendo completamente da lui, ma so che questo è quello che desidera. Almeno su questo punto non ci sono dubbi. Ma su tutto il resto sì.

    Mi vergogno tanto, madre.

    Una volta avrei pianto, ma ora basta, non ho più lacrime da versare.

    Soltanto questo peso sul cuore.

    Solamente tante incertezze, insicurezze, paure, che durante i miei sogni o le lunghe notti trascorse insonni a pensare si tramutano in incubi.

    Sono così spaventata, a volte, che altro non posso fare che aggrapparmi più forte al mio Giacomo. Ma da un po’ di tempo a questa parte sento che lui non mi sostiene, anzi, mi allontana, rifugge il mio corpo, mi rifiuta. Non percepisco più il suo calore umano, non mi cerca, non mi desidera più. Lo sento così lontano, empaticamente siamo su due pianeti differenti. E so che è soltanto colpa mia.

    Non riesco più ad avere un dialogo con lui; è sempre così prevenuto, scontroso. Se gli racconto di me, dei miei problemi, mi accorgo, mi rendo conto immediatamente che non mi sta ascoltando; è lì, presente, con il suo corpo, il suo bel fisico, ma la sua mente, la sua anima è altrove.

    Non ci comprendiamo più, una volta non era così.

    Ogni tanto a me piacerebbe fare due chiacchiere, sono sempre così sola… ma lui pensa subito che io mi voglia lamentare, e allora si mette immediatamente sulla difensiva, e io non so come fare per fargli comprendere che invece ho soltanto bisogno di parlare. Di confrontarmi con lui. Solo di sentire la sua voce. Non ho intenzione di scaricargli addosso nessuna colpa, voglio soltanto sfogarmi un pochino, anche perché so che spesso, a molti problemi, non c’è soluzione, almeno al momento; e forse non resta che accettarli. Cercare di conviverci. Perché la vita non è facile, non è mai facile per nessuno.

    Ma di questo sono cosciente, lui invece non mi capisce; vorrei soltanto avere qualcuno accanto con cui condividerla, davvero, questa vita, nel bene e nel male. Fino a che morte non ci separi…

    Invece Giacomo è sempre così assente.

    E non solo fisicamente, ultimamente.

    Mi manca così tanto la persona che ho conosciuto, diversi anni fa; certo, forse l’avevo un po’ idealizzato, sono sempre stata una sognatrice e un’inguaribile romantica.

    Ma con lui potevo parlare liberamente di tutto, ora non più.

    Non comprende le mie ansie, è così distante che quando cerco di comunicargli qualcosa, lui capisce sempre male. E si arrabbia con me. Mi aggredisce. Invece di supportarmi.

    Non faccio nulla per attirarlo a me, saresti così delusa, madre, tu eri sempre così bella, nonostante tutto. Nonostante la stanchezza, la sveglia all’alba, le notti in bianco a fare lavatrici e a stirarci i grembiulini dell’asilo.

    Appena fui in grado, iniziai io a occuparmi delle faccende domestiche, a occuparmi di tutto. Ero la più matura, si sa, che i gemelli sono così diversi.

    Tu mi dicevi di lasciare stare, che l’avresti fatto tu al rientro; ma lavoravi già così tanto... e Silvia aveva le sue amicizie. Io sono sempre stata più riservata.

    Ma tu eri così bella, così forte, così speciale... non come me.

    Non eravamo le uniche a notare il tuo carisma, il tuo fascino era contagioso. Eri una persona così incredibile. Sempre pronta a darti da fare, sempre una buona parola per tutti, sempre una soluzione a ogni problema.

    I tuoi datori di lavoro ti elogiavano sempre, quando venivano a bere il caffè da noi, però non ti ricompensavano adeguatamente, anzi, ti sfruttavano con la promessa dell’assunzione regolare, che non avvenne mai. Dicevano che dovevamo essere orgogliose di te, e noi lo eravamo davvero, anche se a volte non te lo dimostravamo.

    Ho cercato di essere forte, per una volta, quando te ne sei andata, l’ho fatto per Silvia, era già così disperata. Ma ho sofferto molto anch’io, sai?

    La tua morte improvvisa ha lasciato un vuoto incolmabile dentro di me.

    Ho cercato di prendermi cura di lei, di Silvia, come tu facevi con noi due; ho fatto del mio meglio, anche se forse non era abbastanza. Lei era una ragazzina così vivace, io più pacata, giudiziosa; e non è stato semplice.

    Ogni volta che penso a quell’auto che ti sei ritrovata addosso, scontro frontale, e che ti ha portato via da noi... eravamo troppo giovani per restare anche senza di te.

    Inizialmente la zia si è occupata di noi, è diventata il nostro tutore legale fino alla maggiore età, e ci ha aiutato ad amministrare il denaro che avevamo ricevuto come indennizzo per il danno derivante dalla tua morte… ma non c’era prezzo che il colpevole avrebbe potuto pagare per rimediare al fatto che tu non eri più con noi.

    Zia ci è rimasta accanto più che altro per senso del dovere, e perché non poteva fare altrimenti, visto che glielo imposero; ma i rapporti con lei non sono mai stati particolarmente buoni, come non lo erano i vostri.

    Eravate così diverse, tu e zia Agata; forse per la grande differenza d’età. Anche voi avete perso i genitori, i nostri nonni, quando eravate ancora molto giovani.

    E anche io e Silvia siamo diverse, ma ci vogliamo davvero bene. Ce l’hai insegnato tu, che in una famiglia bisogna sempre sostenersi.

    Dopo il diploma zia Agata ci disse che dovevamo diventare responsabili. In pratica, ci fece sapere che, se volevamo continuare gli studi, dovevamo cavarcela da sole, e così è stato.

    Ma io le sono grata lo stesso, farci da tutore è stato un grande impegno per lei che aveva deciso di non avere figli, e anche una grande responsabilità; soprattutto nei confronti di Silvia, che a quei tempi mostrava tutti i segni tipici della ribellione adolescenziale. Siamo rimaste in contatto fino a poco prima della sua morte, per quel tumore al pancreas, è stato così rapido e invasivo. Ma non era facile aprirsi con lei, parlavamo del più e del meno, non ci raccontavamo mai davvero come stavano le cose. Ma mi ha lasciato la casa (non avendo discendenti diretti né un marito); l’aveva acquistata con tanti sacrifici grazie ai proventi dell’attività di maglieria avviata con l’appoggio economico dello zio, prima che si separassero.

    Si era trasferita in campagna per trascorrere una vecchiaia tranquilla in mezzo al verde. Ma non ha potuto beneficiare a lungo di questa pace. La malattia l’ha colpita così all’improvviso e violentemente…

    Silvia no, ha interrotto definitivamente i rapporti con lei quando le disse che si sarebbe trasferita in Inghilterra, dopo la laurea, per frequentare quel corso di specializzazione. È durante questo periodo all’estero che ha conosciuto Antonio; lui era lì per una vacanza studio, benestante di famiglia.

    Ecco madre, ora sai tutto. Questa volta non ho avuto segreti con te, sono stata onesta e sincera anche con me stessa.

    E ora sono qui, ma non so proprio come comportarmi.

    Saresti delusa di me, madre. Perché non sono una vera donna, come

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