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Life is Love
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E-book378 pagine5 ore

Life is Love

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Info su questo ebook

Bestseller del New York Times e USA Today

Hearts Series

A distanza di un anno dall’improvvisa e tragica morte del suo fidanzato, Estelle stenta a far ripartire la propria vita e, per cercare di superare il dolore, decide di trasferirsi per un po’ da suo fratello Vic. Appena arrivata, si ritrova faccia a faccia con Oliver, il suo primo grande amore, ed Estelle sente il cuore tornare a battere forte anche dopo così tanto tempo. Oliver, il migliore amico di suo fratello, per lei era il principe azzurro, il ragazzo dei sogni, ma lui l’ha trattata sempre e solo come una sorellina da proteggere e nulla di più. Ciò che Estelle non sa è che anche Oliver era terribilmente attratto da lei, ma aveva deciso di ignorare i propri sentimenti per non perdere l’amicizia di Vic, il quale non avrebbe tollerato avances nei confronti della sorella. Adesso però lei è tornata in città e sono entrambi adulti e indipendenti... Oliver è deciso a prendersi ciò che ha sempre desiderato, ma Estelle non è più la ragazzina spensierata di un tempo: ha sofferto molto e neppure lei sa come coltivare, nel suo cuore ormai arido, l’idea di una seconda possibilità...

“Era il migliore amico di mio fratello. Abbiamo fatto di tutto per stare lontani ma quando si ama davvero non c’è scelta.”

«Life is Love è una miscela perfetta di sentimenti assoluti come l’attrazione sensuale e i tormenti del cuore... Rimarrà con voi a lungo dopo aver girato l’ultima pagina.»
Whitney G., autrice bestseller del New York Times

«Ci si può fidare del cuore anche quando è ferito?»
Corinne
Claire Contreras
Inizialmente autopubblicata, è entrata nella classifica dei bestseller del «New York Times» e di «USA Today» con la sua serie Hearts. Vive a Miami con il marito, due figli adorabili, tre cani e due gatti randagi (che afferma non siano suoi anche se vivono sul suo portico e aspettano che lei li nutra tutti i giorni). Quando non scrive, ha sempre lo sguardo tra le pagine di un libro.
LinguaItaliano
Data di uscita11 lug 2016
ISBN9788854198333
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    Anteprima del libro

    Life is Love - Claire Contreras

    Prologo

    Il primo ragazzo di cui mi sono innamorata mi intratteneva con racconti di re e regine, di guerre e di pace, e di come un giorno sperava di trovare una ragazza per la quale diventare un cavaliere dalla lucente armatura. Vivevo indirettamente attraverso le storie che mi raccontava a tarda notte, affascinata dal modo in cui muoveva animatamente le mani mentre parlava, e adoravo il modo in cui i suoi occhi verdi brillavano quando ridevo alle sue battute.

    Mi ha insegnato cosa si prova a essere accarezzate e baciate con passione. In seguito mi ha anche insegnato il dolore che si prova quando si perde una persona a cui si vuole bene. L’unica cosa che ha dimenticato di insegnarmi, dopo aver spezzato l’ultimo frammento rimasto del mio cuore, è stata come affrontare questo dolore che mi stringe il petto. Mi sono sempre chiesta se non fosse stata una lezione mancata. Adesso mi domando se anche lui non stesse cercando di fare chiarezza con se stesso, o se invece non avesse mai provato nulla.

    Capitolo 1

    Si dice che il miglior modo di voltare pagina sia di lasciarsi il passato alle spalle. Come se quella fosse la parte più facile. Come se cercare di affievolire o cancellare tre anni di ricordi, sia belli che brutti, possa accadere in un solo giorno. So che non è così, perché tra un paio di settimane sarà passato già un anno e il ricordo di lui è forte come se fosse ancora qui. I sandali dei San Francisco Giants sono ancora davanti al lavello, proprio dove li ha lasciati. Il suo odore rimane su alcune delle sue camicie – quelle che non ho ancora indossato per la notte. La sua presenza si sente intensamente nonostante la sua assenza. Passo in rassegna le varie stanze per assicurarmi che sia tutto in ordine, consapevole che per me questo è un passo importante del processo che mi aiuterà a voltare pagina.

    Sono in cucina che sigillo le ultime scatole, quando sento il tintinnio delle chiavi, seguito dal rumore dei tacchi sul parquet. Ecco un altro suono che mi mancherà quando avrò lasciato questa casa, ne sono certa.

    «Estelle?», sento chiamare con voce lieve e melodiosa.

    «In cucina!». Mi asciugo le mani sui jeans e le vado incontro.

    «Ehi, sei riuscita a fare parecchio ieri sera», mi dice con un sorriso triste e gli occhi lucidi, mentre si guarda attorno osservando gli spazi semivuoti. Ha gli stessi capelli ricci spettinati e gli occhi espressivi color caramello che aveva il figlio. Vederla è come riaprire una ferita.

    Scrollo le spalle e mi mordo l’interno della guancia per non piangere. Sono disposta a ricorrere a qualsiasi mezzo pur di non scoppiare di nuovo in lacrime, soprattutto perché è da tempo che non lo faccio. Quando Felicia mi stringe tra le sue braccia, espiro lentamente cercando di non perdere completamente il controllo. Cerco di essere forte per lei e Phillip. Wyatt era il loro unico figlio; per quanto la sua perdita sia difficile per me, posso solo immaginare il vuoto che provano loro. Di solito non piangiamo quando siamo insieme – nemmeno quando lei viene a trovarmi – tuttavia mettere in vendita questo posto ha un significato ben più profondo che dire addio a una casa. È come lasciarsi alle spalle le mattine di Natale e le cene del Ringraziamento. È come dire: Wyatt, ti vogliamo bene, ma la vita continua. E anche se è così che dev’essere, rimane uno dei motivi per cui mi sento in colpa: la vita continua, ma perché deve continuare senza di lui?

    «Andrà tutto bene», le dico asciugandomi le guance umide mentre mi ritraggo.

    «Lo so. Lo so. Wyatt non vorrebbe vederci piangere per una casa».

    «No, penserebbe sicuramente che siamo delle sciocche a piangere per quattro mura», le dico con una risatina. Se fosse per Wyatt, la gente dovrebbe vivere in una tenda e lavarsi con acqua piovana.

    «Già, e avrebbe tolto l’elettricità mesi fa, visto che mangi comunque solo cibo da asporto», aggiunge Felicia.

    Scuotiamo il capo e le lacrime cominciano ad affiorare man mano che le nostre risate si smorzano e il silenzio ci avvolge.

    «Sei sicura di non voler venire a stare da me e Phillip?», mi chiede mentre giriamo di stanza in stanza, per assicurarci di non aver dimenticato nulla. L’agente immobiliare comincerà a far vedere la casa da domani e deve essere perfetta per i potenziali acquirenti.

    «No. Victor si offenderebbe a morte se non accettassi la sua offerta. Probabilmente comincerebbe a rinfacciarmi di non essere voluta andare al suo stesso college, che non tifo per la sua stessa squadra di football e che non ho mai pagato pegno facendo il suo bucato per un anno all’epoca delle superiori. Infatti, a dire il vero, penso sia questo il motivo per cui è così impaziente che mi trasferisca da lui».

    Le spalle di Felicia sussultano mentre lei ride. «Be’, digli che lo saluto e invitalo a cena da noi questa domenica. Ci farebbe piacere che venisse!».

    «Certo», le dico, e il mio sorriso scompare quando noto i sandali sul pavimento.

    «Vuoi che quelli li prenda io, o preferisci tenerli tu?»

    «Io…», faccio una pausa per fare un respiro, ma è tremolante. «Puoi prenderli tu?».

    Non penso di riuscire a sopportare di vederli ogni giorno nella nuova casa. Ho già deciso di tenere tutte le camicie di Wyatt e comunque i suoi sandali nemmeno mi entrano – sono quasi di cinque misure più grandi – ma sono i suoi preferiti. Lo erano. Erano i suoi preferiti. Ecco una cosa sulla quale il mio analista dice che devo impegnarmi: parlare di Wyatt al passato. Talvolta mi viene da rabbrividire quando lo faccio, ma sto migliorando. Per un po’ ho vissuto in questa realtà artefatta in cui facevo finta che Wyatt fosse via per un viaggio di lavoro, o qualcosa di simile. Amava viaggiare da solo e trarre ispirazione per i suoi dipinti dalle varie culture. Dopo un mese ho cominciato ad accettare che non sarebbe tornato. Dopo tre, su richiesta del mio analista, ho cominciato a inscatolare le sue cose per non avere il ricordo costante.

    Mettere via i suoi effetti personali non è servito granché. Era la casa stessa a ricordarmi di lui, e non è che potessi imballare tutti gli oggetti della nostra galleria d’arte. Dovevo imparare a conviverci… col fatto di essere senza di lui. Dopo sei mesi sono riuscita a entrare in entrambi i luoghi senza che mi si stringesse il cuore nel petto ogni volta. E ora, a un anno di distanza, penso di essere pronta a guardare avanti. Se ho imparato qualcosa dalla morte improvvisa di Wyatt è proprio che la vita è breve e va vissuta appieno. È una cosa logica, ma ci sono giorni in cui ancora fatico a metterla in pratica.

    «Tesoro, tutto quello che Wyatt ha lasciato è tuo, lo sai questo», mi dice Felicia. Non mi rendo conto che sto ancora piangendo, finché non sento sulle labbra il sapore salato delle lacrime. Cerco di ringraziarla, ma le parole mi rimangono strozzate in gola, sepolte sotto quel macigno che ormai lì è di casa.

    Dopo esserci guardate intorno un’ultima volta, ci abbracciamo e le prometto che ci vedremo domenica. Lancio un’occhiata da sopra la mia spalla mentre cammino verso la macchina, lasciando che il cuore mi si stringa in petto un’ultima volta prima di andarmene. I ricordi… il conforto… il passato… tutto diventa un’immagine distante nello specchietto retrovisore, mentre guido verso casa di mio fratello. Sto facendo una lista mentale delle cose che devo fare, quando il telefono squilla e si intrufola nei miei pensieri.

    «Ehi, com’è andata?», chiede Mia a mo’ di saluto.

    «È andata bene. Un po’ triste, ma non terribilmente».

    «Mi dispiace di non essere potuta venire. Felicia è passata a prendere le cose di Wyatt? Come se la passa di questi tempi?»

    «Bene. L’ho trovata bene».

    «Usciamo comunque domani sera?», chiede Mia cauta, cercando di andarci con i piedi di piombo.

    «Ci sto, ma solo se rimaniamo in un solo bar. Non sono dell’umore di fare il giro dei locali e comportarmi come se fossi ancora al college, come fai tu».

    Mia non si è mai scrollata di dosso l’indole ribelle quando ci siamo laureate e abbiamo cominciato la nostra vita adulta. Adoro stare in sua compagnia, ma non posso ridurmi a pompare un quantitativo assurdo di acqua nel mio fegato, dopo averlo affogato nell’alcol la sera prima, come fa lei ogni settimana.

    «Okay, niente giro dei bar. Ho comunque un appuntamento per il brunch sabato mattina e non posso permettermi di presentarmi con un aspetto orribile, perciò ci andremo piano».

    «Un appuntamento?», le chiedo corrugando la fronte, mentre entro nel vialetto di casa di mio fratello.

    «Un appuntamento al buio. Si chiama Todd. È il curatore del Pelican. Maria sembra essere dell’idea che saremmo perrrfetti insieme», mi risponde Mia strascicando la erre in modo esagerato, per imitare l’accento della sua amica scrittrice italiana.

    «Uhm… non credo di aver mai sentito parlare di Todd», le dico.

    Io e Mia ci conosciamo da sempre. Le nostre madri crescendo erano amiche del cuore e gli uomini che hanno sposato erano amici fraterni. Con grande rammarico delle nostre madri, abbiamo capito subito che la storia non si sarebbe ripetuta, visto che Mia continuava a innamorarsi dei classici cattivi ragazzi, mentre io prediligevo i tipi più taciturni.

    «Dannazione. Speravo di sì. Non conosci praticamente tutti nel campo dell’arte? Todd Stern?», mi dice lei con un tono speranzoso nella voce.

    Mi viene da ridere perché non è poi tanto lontana dalla realtà. Io e Wyatt abbiamo aperto Paint It Back – uno studio-barra-galleria d’arte – un paio di anni fa e contando i nostri amici artisti, più tutti quelli che sono proprietari di gallerie d’arte, per non parlare dei contatti che aveva Mia nel campo della fotografia, conoscevamo praticamente tutti. Be’, non tutti, ovviamente.

    «No. Rob non lo conosce?»

    «Non ho intenzione di chiederglielo! Lo sai che mio fratello è un chiacchierone. Andrebbe subito a dirlo a nostra madre e insieme comincerebbero a organizzare il mio matrimonio con un tizio che nemmeno conosco».

    Mi metto a ridere sapendo che ha ragione. «Be’, non ho mai sentito parlare di questo tizio».

    «Maria ha detto che si è appena trasferito qui da San Fran, perciò ho pensato che lo conoscessi. Sai, tizio nuovo in città e così via».

    «Mia, non è mica come alle superiori».

    «A dire il vero è esattamente come alle superiori, il che mi porta a credere che se fino a ora non girano voci su di lui, probabilmente è un cesso».

    «Probabilmente hai ragione», concordo ridendo.

    «Merda. È arrivato Stefano per il servizio fotografico. Fammi sapere se vuoi che passi da Vic più tardi. Ti voglio bene!».

    Mia attacca mentre la sto salutando, allora metto via il telefono e spengo il motore dell’auto. Mi controllo velocemente il viso nello specchietto retrovisore per assicurarmi che il mascara sia ancora intatto e mi passo due dita tra i capelli castani ondulati, per poi raccoglierli in una veloce coda di cavallo. Mentre mi dirigo verso la casa, tenendo in mano l’ultima borsa di vestiti, si sente solo il rumore della ghiaia che scricchiola sotto le mie pianelle e quello delle onde dalla spiaggia situata a pochi passi.

    Comincio a fremere per l’emozione mentre mi chino per recuperare la chiave di riserva da sotto lo zerbino. Entrando chiamo il nome di mio fratello e mi dirigo verso il salotto, pensando che la sua auto sia parcheggiata in garage. Non ricevo risposta. Salgo al piano superiore, dove si trovano le stanze per gli ospiti. La camera da letto di Victor è al piano di sotto: piuttosto comodo per un ventottenne single, considerato che la cucina e il salotto (provvisto di un gigantesco televisore) sono solo a pochi passi dalla sua stanza. Quando entro nella mia camera rimango sorpresa da ciò che vedo. Non solo Vic ha rifatto il letto con le lenzuola che ho portato l’altro giorno, ma ha anche ridipinto la stanza in una lieve tonalità di grigio che adoro.

    Lascio la borsa sul letto e mi dirigo verso il balcone adiacente la camera. I balconi sono una delle caratteristiche che preferisco di questa casa, e la cosa che più mi aveva fatto impazzire quando Victor stava pensando di comprarla. C’è n’è uno in ognuna delle due stanze del piano superiore, ed entrambi si affacciano sulla spiaggia sul retro della casa. Mentre sto per uscire sul balcone, il mio telefono suona avvisandomi che ho ricevuto un sms da Vic, il quale mi informa che sarà qui tra pochi minuti. Sto per digitare una risposta, quando vado a sbattere contro un cavalletto che non era qui l’ultima volta che sono venuta a trovarlo. Ci giro attorno e leggo la scritta a caratteri cubitali nella calligrafia di Vic: Benvenuta a Casa, Pulcino, e sotto il disegno di un pulcino di cui soltanto un bambino di cinque anni potrebbe andare fiero. Prorompo in una risata e gli scatto una foto, inviandola a Mia e a mia madre, visto che sono le uniche che capirebbero la battuta. Mio fratello ha cominciato a chiamarmi pulcino quando avevo cinque anni e avevo paura del buio – come la maggior parte dei bambini di cinque anni – e per qualche motivo il soprannome mi è rimasto. Forse perché, crescendo, mi chiamava pulcino ogni volta che voleva sfidarmi, sapendo che così non mi sarei tirata indietro.

    Volto la pagina del blocco per schizzi e lo lascio aperto su una pagina bianca, poi volgo la mia attenzione all’oceano. Osservo le diverse tonalità di blu che risplendono alla luce del sole: blu ceruleo, verde acqua e blu notte. È una vista impossibile da ignorare. Mi rammenta quanto sono piccola rispetto al grande schema dell’universo. Quanto piccoli siamo tutti noi. Non so per quanto tempo rimango a fissare l’oceano, a respirare, ad assaporare il gusto di salsedine sulla lingua, un effetto della suggestione provocata dall’odore del mare. Sento poggiarsi una mano sulla mia spalla e faccio un salto, risvegliandomi con un sussulto da questo mio stato meditativo.

    «Porca miseria, Victor!», lo sgrido, portando entrambe le mani sul cuore.

    «Ti piace il regalo?», mi chiede ridendo, mentre mi tira a sé per abbracciarmi.

    «Sì, idiota che non sei altro», gli rispondo sorridendo, mentre gli do un colpetto sul petto per gioco.

    «Idiota? Ti compro il miglior regalo del mondo e mi chiami idiota? È per quel disegno orribile del pulcino, vero?»

    «Sai che detesto quel soprannome», borbotto e entro in casa, seguendo Victor al piano di sotto. «Hai portato il pranzo? Sto morendo di fame».

    «Dovrebbe arrivare a momenti. Vado a cambiarmi», mi dice. «Devo tornare subito in ufficio».

    «Vai di nuovo in ufficio?»

    «Il caso a cui sto lavorando è un tale casino. La moglie del mio cliente sta cercando di portargli via tutto ciò che possiede col divorzio. Mi chiedo quando mai impareranno questi atleti che devono firmare un dannato accordo prematrimoniale».

    «Oh», gli dico rabbrividendo un po’. Era una cosa di cui io e Wyatt avevamo discusso quando eravamo fidanzati – e sulla quale eravamo in vasto disaccordo ogni volta che affrontavamo l’argomento. Non pensereste mai che un artista si preoccupi di una cosa del genere, ma Wyatt era di successo e benestante. Al compimento dei trentatré anni aveva già venduto le sue opere per anni a un gruppo di ricchi acquirenti. Quello stesso gruppo di persone lo convinsero che parlare di matrimonio senza un contratto era come gettare le basi per una rognosa causa di separazione.

    Mi giro sui tacchi appena sento bussare alla porta. Sono in uno stato di stordimento mentre vado ad aprire, pensando che, col senno di poi, il nostro disaccordo era davvero sciocco. Non eravamo nemmeno sposati quando Wyatt è morto, e i suoi genitori insistono che rimanga tutto a me. Sono anziani – molto più anziani di quanto non saranno i miei genitori quando arriverò all’età che aveva Wyatt quando è morto – e sono già benestanti. Per come la vedono loro, quel denaro non gli serve e appartiene a me a pieno diritto, visto che ero co-proprietaria di Paint It Back quando Wyatt ci ha lasciati. Ma ahimè, ormai fa parte del passato. Non voglio pensarci più di quanto non faccia già – questo sarà il mio nuovo inizio.

    Questo pensiero mi strappa un sorriso che mi rimane stampato sul viso mentre spalanco la porta, ma che ben presto si tramuta in sbigottimento quando vedo l’uomo in piedi davanti a me, con indosso la divisa verde da chirurgo e il camice bianco. Lui ha lo sguardo rivolto verso il basso, mentre cerca di togliersi la terra dalle scarpe da ginnastica, e i capelli biondo cenere gli coprono gran parte del viso. Riesco solo a intravedere la mascella forte e la parte inferiore delle labbra carnose, ma lo riconosco immediatamente. Quando finalmente alza lo sguardo, i suoi occhi verdi assimilano la scena e si spostano lungo il mio corpo, fino a raggiungere i miei occhi. Le sue labbra si piegano lentamente a formare quel sorriso asimmetrico che mi toglieva sempre il fiato.

    «Bean», sussurro, e il suo sorriso si fa ancora più grande, rivelando le fossette su entrambe le guance.

    «Ehi, Elle», risponde lui. Mi aggrappo ancor più forte alla maniglia della porta. Non lo vedo da così tanto tempo che avevo dimenticato il suono della sua voce. «Ho portato il pranzo».

    I miei occhi cadono sulle borse che ha in mano e faccio un passo indietro, spalancando la porta. «Oh! Certo. Non mi aspettavo di vederti».

    «Ne è passato di tempo», mi dice entrando e fermandosi di fronte a me. Indietreggio contro la porta e rimango completamente senza respiro quando lui china il capo e sfiora delicatamente le sue labbra sulla mia guancia. Faccio di tutto per non inspirare quel suo odore così familiare che un tempo mi faceva girare la testa. «È bello rivederti», mi dice tirandosi indietro. Il tono delle sue parole e il bagliore che ha negli occhi mi fanno piombare il cuore nello stomaco. Com’è possibile che abbia ancora questo effetto su di me? Anche dopo Wyatt. Lo odio.

    «Fa piacere anche a me rivederti», sussurro, e lo seguo dopo aver chiuso la porta.

    Non mi fa affatto piacere rivederlo, invece. Nel corso degli anni ho imparato molte cose di Oliver Hart, ma l’unica che vale la pena ricordare è che è deleterio per la mia salute.

    Capitolo 2

    «S tai benissimo», dice Mia quando mi vede entrare nel bar che ha scelto per il nostro happy hour settimanale.

    «Anche tu, milady», le rispondo facendo un inchino, mentre lei cerca di reprimere una risatina. Mia indossa un vestito in stile vittoriano, con un bustino che le comprime il seno al punto che pare stia per esplodere. I lunghi capelli biondi sono acconciati in morbidi ricci tirati all’indietro e divisi in due sezioni sul davanti.

    «Spiritosa. Ho convinto Rob e i miei a fare un servizio fotografico con tutta la famiglia per Halloween, per poi esibire le foto allo studio il mese prossimo, e non ho avuto il tempo di cambiarmi prima di raggiungerti qui». Mia si gira verso la cameriera: «Due vodka lemon, per favore».

    «E da cosa diavolo ti sei mascherata? Da regina Vittoria?», le chiedo, guardando sotto il tavolo per vedere il resto del vestito. Quando rialzo lo sguardo, vedo che lei mi osserva come se fossi pazza ed è allora che mi rendo conto che Mia non ha idea di chi sia la regina Vittoria.

    «No! Sono Cersei Lannister».

    «Ooohhh…», rispondo, bevendo un sorso del cocktail che la cameriera ha poggiato davanti a me.

    «Rob si è vestito da Jamie».

    «Che?», le chiedo, risputando nel bicchiere metà del sorso che avevo appena fatto.

    La risata gorgogliante che le sfugge dalle labbra si trasforma ben presto in una risata isterica. «Ti giuro», mi dice cercando di riprendere fiato, «avresti dovuto vedere la faccia di mia madre!».

    Robert è il fratello di Mia. Sono gemelli… e mi pare ovvio che nessuno dei due è normale.

    «Avete un umorismo perverso. E i tuoi che hanno detto?», le chiedo, ridendo con lei.

    «Mia madre non sa nemmeno cosa sia Il Trono di Spade. Mio padre è inorridito quando lo ha scoperto e non voleva che mia madre usasse le foto come biglietto di auguri per Halloween, come intendeva fare, ma è la prima volta che posiamo per delle foto per Halloween da quando io e Rob avevamo, credo, otto anni. Ad ogni modo, la mamma si è vestita da Mary Poppins, mentre papà da Bert».

    «Oh, che cosa carina… voi due però siete così strani», borbotto. «Raccontami di questo Todd. Hai scoperto nulla di lui?»

    «Il cognome è Stern…».

    «Sembra un nome da avvocato o roba simile», la interrompo.

    Mia alza gli occhi al cielo. «Fa il contabile».

    «Pensavo facesse il curatore».

    «Non so cos’avesse in mente Maria. Te lo giuro, talvolta credo sia un problema di barriera linguistica».

    «Cosa te lo fa credere?», le chiedo, cercando di non ridere.

    «Questo è il quinto ragazzo con cui cerca di combinarmi un appuntamento, ed è un maledetto contabile! Ti sembro forse tipo da uscire con uno che fa il contabile?»

    «Be’, no, però non è che tu abbia esattamente buon gusto nella scelta degli uomini, per cui forse è meglio così».

    «Ad ogni modooo», continua Mia biascicando le parole, prima di buttar giù l’ultimo sorso del suo cocktail e fare cenno alla cameriera di portarcene altri due. «Com’è andata la tua prima notte da Vic?».

    Rilascio un lungo sospiro… la mia prima notte da Vic. Straziante, desolante, strana, triste, felice, strana…

    «È andata bene», rispondo alzando le spalle.

    Mia pone la sua mano sulla mia per impedirmi di disegnare delle righe con l’acqua sul tavolo, richiamando la mia attenzione. «È okay non essere okay, Elle».

    «Ma io sto bene», rispondo accigliata.

    «Non c’è bisogno che ti mostri forte con tutti, sai? È concesso anche a te perdere il controllo. Hai perduto l’amore della tua vita, stai per vendere la casa che avete condiviso e ti sei trasferita da tuo fratello. Sono tante le cose da metabolizzare. È okay non essere okay. È okay prendersi una pausa dal lavoro, se ne hai bisogno».

    «È passato un anno. E mi sono già presa una pausa dal lavoro», le rammento. Dopo la morte di Wyatt non sono andata a lavorare per due mesi, ma finivo col rimanere sempre a casa. Sono persino andata a vivere dai miei genitori per un paio di settimane, per allontanarmi da quelle quattro mura. Non riuscivo a vivere lì senza di lui con tutti quei ricordi, ma non si possono voltare le spalle alle proprie paure e aspettarsi che scompaiano da sole. Non è così che funziona. Perciò sono tornata a casa e ho affrontato il fatto che Wyatt non sarebbe tornato. Ho iniziato ad andare dall’analista e adesso sono serena. Però non vivere più in quella casa è come… se fosse veramente tutto finito.

    «A volte mi sento una stronza per aver venduto la casa», dico infine. «Mi sento come se lo stessi cancellando dalla mia vita, o qualcosa di simile».

    Mia stringe la mia mano. «Oh, tesoro, non lo pensa nessuno. Devi guardare avanti. Sei giovane, intelligente, hai talento da morire e sei spiritosa. Non puoi smettere di vivere a causa di un fantasma».

    La guardo dritta negli occhi. «Non ho smesso di vivere. È solo che non è così che voglio voltare pagina. Se mi capita di innamorarmi di qualcuno, ben venga – se non capiterà, pazienza». Mia ha cercato di incastrarmi in due appuntamenti al buio negli ultimi due mesi. Persino Felicia ha cercato di convincermi ad andare a uno di questi, ma non mi sentivo pronta. Penso ancora di non esserlo, malgrado ciò che dicano tutti. Persino mia madre mi sta facendo diventare matta con questa storia, come se un uomo potesse magicamente far scomparire il dolore.

    «Elle…».

    «Sto solo dicendo che non mi interessa uscire con nessuno in questo momento. Inoltre, non mi serve un uomo. Adoro stare da sola».

    «Elle…».

    «Dico sul serio, davvero. Senza contare che mi trasferisco a casa di Vic, pensando che sarà un po’ come tornare al campo estivo, o qualcosa di simile, e quel maledetto di Oliver si presenta lì dopo neanche quindici minuti, quindi in effetti è esattamente come tornar…».

    «Hai visto Oliver?», grida Mia, di fatto zittendo sia me che un paio di persone lì vicino.

    Annuisco, bevendo un sorso del mio cocktail.

    «Che è successo? Oh. Mio. Dio. Cos’è successo quando ti ha vista? Sapeva che saresti stata lì? E tu sapevi che ci sarebbe stato anche lui? E Victor non ti ha nemmeno avvisata? Oh merda!», dice Mia praticamente squittendo.

    «Ecco perché non ne volevo parlare».

    La mia amica mi lancia un’occhiataccia. «Sputa il rospo. Immediatamente. Voglio che mi racconti ogni singolo dettaglio di quanto è accaduto. È ancora figo da morire?»

    «Secondo te?», le dico, facendo una breve risata.

    «Credo che maturi come il buon vino. Porta ancora i capelli lunghi? I capelli erano così sexy», mi dice, sventolandosi con la mano.

    «I capelli erano sexy? Sì, sono ancora lunghi. Non come una volta, ma lunghi abbastanza», le rispondo, prima di rendermi conto che il mio tono può essere frainteso – non per via delle parole, ma perché mi riporta alla mente l’immagine di quando gli passavo le dita tra i capelli.

    «L’intero pacchetto era sexy. Ma com’è stato rivederlo?», chiede Mia.

    «Per lui, credo come ai vecchi tempi. Per me, non lo so. È stato…».

    «Come ai vecchi tempi pre-Oliver o post-Oliver?», incalza Mia interrompendo di nuovo.

    «Piano con le domande, Colombo».

    «Non puoi dirmi una cosa del genere e poi censurare. Assecondami e basta!», si lamenta Mia.

    «D’accordo. Rivederlo… mi ha messo a disagio. Mi sono sentita colta in contropiede, sebbene Oliver se ne stesse semplicemente lì con il cibo da asporto in mano. Ha portato tramezzini e sushi».

    Mia scruta il mio volto. «Quindi lui sapeva che ti avrebbe trovata lì».

    Alzo le spalle. Ovviamente lo sapeva, avendo portato viveri a sufficienza per il pranzo, sia per loro che per me, ma non so con quanto anticipo ha saputo che mi avrebbe trovata lì. Non è che sia difficile trovare un ristorante di sushi a Santa Barbara, ma in ogni caso… Victor e Oliver non vanno matti per il sushi, però è il mio cibo preferito. Potrei mangiarlo all’infinito.

    «Non sono stata a fare domande», le dico piano. «Non abbiamo parlato molto, solo del suo internato e delle mie sculture».

    «Ti ha chiesto dei cuori?», chiede Mia sottovoce.

    Annuisco.

    «Gli hai detto perché li fai?»

    «Certo che no», le rispondo in tono derisorio. «Non sono mica così coraggiosa».

    Facciamo entrambe un breve e patetico sorriso di commiserazione, prima che Mia lasci correre l’argomento. «Allora, che piani hai per questo weekend?».

    Comincio a raccontarle di cosa ho in programma per il fine settimana e chiacchieriamo confortevolmente di quello. Qualsiasi cosa pur di evitare di parlare di Oliver Hart.

    Capitolo 3

    Vado su e giù per lo studio e sistemo una tela bianca su ciascun cavalletto, facendo il giro della stanza. Il sabato sera è la Serata Solo Donne. Stasera ci sarà un gruppetto che festeggia l’addio al nubilato e questa è la prima tappa delle celebrazioni. La damigella d’onore è già passata a lasciare il vino da mettere al fresco e un cd di musica che vuole suonare. A parte una piccola presentazione all’inizio della festa, la mia partecipazione non è richiesta. Solitamente pagano per divertirsi e spettegolare tra amiche. L’ultima cosa che vogliono è proprio che io mi metta a spiegare quali pennelli usare per i loro capolavori creativi.

    Alle sette vado in bagno a controllarmi il trucco. Mi sento bene. Indosso una camicia rossa con dei fiocchi neri sulle maniche, tacchi neri e jeans attillati

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