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Il lettore universale
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E-book234 pagine3 ore

Il lettore universale

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Info su questo ebook

Edizione con nuova veste grafica e un racconto inedito extra
 
Un'opera surreale e profetica come un episodio di Black Mirror

In questa raccolta di racconti, Andrea Viscusi traccia una sua personale visione dei princìpi universali che da sempre definiscono la dimensione dell’uomo: sopravvivenza, morte, autodeterminazione, entità superiori. I protagonisti delle storie devono confrontarsi con scelte che vanno oltre la loro vicenda personale e abbracciano temi ben più profondi, in grado di cambiare il mondo per come lo conoscono.
Il lettore universale porta un ragazzo qualunque a scoprire il potere delle parole; En prison vede il protagonista perdere il controllo del proprio corpo; in Spore una mutazione conduce l’umanità al suo prossimo stadio evolutivo; in Piombo contro acciaio a Elderberry Field si assiste a un duello tra l’uomo con la pistola e l’uomo con il robot in una cittadina del Far West; Voi demoni è un’investigazione che coinvolge forze antiche e potenti; la società futura di Il raccolto è un’utopia solo apparente dove gli uomini hanno perso ogni autonomia; Momento per momento è il resoconto disperato di un uomo solo come nessuno lo è mai stato prima.
In questi racconti, passato, presente e futuro si rivelano scenari ugualmente validi per mostrare tanto gli aspetti più nobili quanto quelli più oscuri di ciò che ci rende umani.
LinguaItaliano
Data di uscita19 lug 2018
ISBN9788831982016
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    Anteprima del libro

    Il lettore universale - Andrea Viscusi

    © Andrea Viscusi

    Editing a cura di Leonardo Munzlinger

    Illustrazione di copertina di Davide Abbati

    Logo realizzato da Veronica Carratello

    © 2018 Moscabianca Edizioni

    ISBN 978-88-319-8201-6

    www.progettomoscabianca.it

    info@progettomoscabianca.it

    Andrea Viscusi

    Il lettore universale

    Indice

    Copertina

    Colophon

    Frontespizio

    Il lettore universale

    En prison

    Spore

    Piombo contro acciaio a Elderberry Field

    Voi demoni

    Il raccolto

    Momento per momento

    Contenuti speciali

    Il lettore universale

    af f1dhail

    L’edificio al civico dieci rosso era un complesso di uffici, sei piani di finestre quadrate che bucherellavano una facciata di intonaco grigio chiaro scrostato. Leonardo portò il dito al pulsante accanto alla scritta lasswitz, a pennarello nero tra le placche in plastica dorata di studi medici e avvocati.

    Fermò il dito a mezz’aria. Il citofono aveva la telecamera.

    Non poteva farsi vedere in quelle condizioni. Passò il dorso della mano sulla fronte, in una direzione e nell’altra. Tastò le tasche dei jeans in cerca di un fazzoletto dimenticato da qualche lavaggio precedente, ma erano vuote. Asciugò la mano strusciandola sul retro dei pantaloni. Prese tra le labbra la bustina di plastica con il curriculum stampato e richiuse il secondo bottone della camicia. Allargò le braccia e le sventolò per farsi aria sotto le ascelle umide. La camicia era abbastanza larga da non mostrare le chiazze di sudore, ma sentiva le goccioline colare sul petto e la schiena. Era caldo per essere maggio, ma certo non così caldo.

    Calmati. È solo un colloquio.

    Solo il terzo colloquio della settimana.

    Riprese il curriculum in mano e controllò che non si fosse sgualcito. Inspirò ed espirò due volte. Sistemò i capelli con le dita, tossì per schiarire la gola secca.

    Premette il pulsante.

    «Sì?» gracchiò il citofono.

    «Salve, sono Pardi. Per il colloquio».

    Il portone scattò con un trillo metallico e si dischiuse.

    Leonardo entrò nell’atrio, occupato da un distributore automatico di bevande. Richiuse il portone e andò all’ascensore. Premette per il quarto piano.

    Uscito dall’ascensore, si trovò in un corto pianerottolo con una porta su ognuno dei lati.

    A destra un portone in legno scuro con una targa dalle lettere in rilievo: fondazione lasswitz. Si avvicinò e colse il suo riflesso distorto sulla placca metallica, sotto le impronte delle ditate di qualcuno che non aveva resistito a toccarla. Da dentro proveniva un fruscìo basso e regolare.

    Schiacciò il tasto del campanello di fianco al portone. Tre note crescenti suonarono dall’interno.

    «È aperto!» Poteva essere la stessa voce che aveva risposto al citofono, deformata dall’apparecchio.

    «Oh». Prima figura di merda.

    Spinse la maniglia sferica in ottone ed entrò. La porta era più leggera di come si era aspettato e la chiuse con troppa forza. Sbatté con un tintinnio delle chiavi che erano infilate nella toppa dal lato interno.

    «Ops, scusate…» bisbigliò come se si trovasse in chiesa. Seconda figura di merda.

    «Non ti preoccupare. Vieni qui da me».

    A parlare era un uomo sulla cinquantina, seduto a una scrivania posizionata di fianco all’ingresso, un paio di metri più avanti. Si stava sporgendo sul tavolo e gli faceva cenno con la mano di avvicinarsi. Indicò una sedia di plastica rossa davanti a lui.

    Leonardo raggiunse la scrivania, occupata da un monitor a tubo catodico, un fax e un ventilatore che girava al massimo puntato direttamente sul viso dell’uomo. Alcune striscioline di carta colorate sventolavano attaccate alla griglia frontale.

    «Salve. Sono Pardi. Per–»

    «Sì, per il colloquio. Lo hai già detto». L’uomo gli tese la mano: «Io sono Giorgio. Accomodati».

    Leonardo si sedette. Appoggiò la busta con il curriculum sulle ginocchia, raddrizzò la schiena. Distese i lineamenti del viso. Non sorridere. Rilassato ma serio.

    Dietro la piccola scrivania una parete separava la stanza dal resto dell’appartamento. Da oltre la porta provenivano radi ticchettii di tastiera e clic di mouse. Doveva essere lì che lavoravano gli altri impiegati della Fondazione.

    L’uomo ignorò la sua presenza, concentrato su qualcosa sul suo monitor. Ridacchiò tra sé, mostrando i denti troppo bianchi che contrastavano con i capelli troppo neri. Scosse la testa mentre la risata gli si smorzava sulle labbra. Tornò a guardarlo. «Allora, Pardi. Dimmi: perché hai voluto candidarti per questo posto?»

    Leonardo sostenne lo sguardo penetrante dell’altro. Il colloquio è già iniziato?

    Aprì la bocca, la richiuse subito. Non poteva dire che i requisiti erano tanto bassi che chiunque avrebbe potuto provarci. Saper leggere e scrivere era già troppo: bastava la prima delle due.

    «Mi piace leggere. Leggo un paio di libri al mese, e visto che cercavate dei lettori esperti e attenti ho pensato di poter fare al caso vostro».

    Giorgio annuì con un movimento lento e teatrale del capo, l’espressione contrita come se avesse ascoltato una citazione di Mahatma Gandhi. «C’è qualcosa che ti ha incuriosito nell’annuncio che hai letto?»

    C’era poco da essere incuriositi: cercasi lettore esperto e attento per lavoro di ufficio, perfetta conoscenza lingua italiana, masima serietà…

    «Beh, c’era un errore di battitura…»

    «Ah sì?» Giorgio indietreggiò con la schiena e si appoggiò alla poltrona.

    «Mancava una esse in massima».

    «Capisco. Hai fatto bene a farmelo notare». Ghignò. Rivolse lo sguardo allo schermo e cliccò qualcosa col mouse. Tornò su di lui. «Utilizzi tecniche di lettura veloce?»

    «No, nessuna». Stava spiegazzando un angolo del curriculum, lo lasciò e cercò di stirarlo senza farsi notare.

    «Bene. Non ti serviranno. Anzi, sono sconsigliate, nel nostro caso. Ti dispiace se facciamo un piccolo test?»

    «Di che tipo?»

    Giorgio frugò in una pila di fogli appoggiata alla sua destra, ne estrasse uno. Gli diede una breve occhiata e glielo allungò sopra la scrivania. «Prendi questa. Leggila al tuo normale ritmo e dimmi quando hai finito. Per essere sicuro che non hai saltato niente ti farò delle domande. È molto importante che tu non salti nemmeno una sillaba. Sei pronto? Ti do io il via».

    Leonardo annuì. Prese il foglio: era coperto di scritte in corpo dieci, senza alcun margine, punteggiatura o ritorni a capo.

    «Via!» Un bip del suo orologio accompagnò l’ordine.

    Cominciò a leggere.

    Rodrigo si alza alle otto e va in bagno fa la pipì e si lava la faccia si asciuga con l’asciugamano viola con le iniziali

    ts

    e torna in camera…

    Si interruppe. Giorgio lo fissava, gli fece cenno con la mano di proseguire.

    Per una prova di lettura si era aspettato di leggere un brano tratto da qualche classico, invece aveva davanti una sequenza di frasi dal nesso vago. Arrivò alla fine e alzò un braccio.

    «Finito». Posò il foglio sulla scrivania.

    «Ooo-kay». Giorgio premette un pulsante sul suo orologio. Riprese la pagina e la poggiò con il lato non stampato in cima alla pila di fogli. «Quanti gattini c’erano nella cesta?»

    «Sei».

    «Qual è il suo gusto di gelato preferito?»

    «Menta e cioccolato».

    «Come lo saluta il suo amico?»

    «Mi pare… Ci vediamo dopo».

    «Va bene». Annuì, cliccò due volte sul mouse e gli sorrise. «Direi che ci siamo. Sei veloce, e anche abbastanza attento. Credo che tu possa entrare a far parte del progetto. Ma potrò illustrarti i dettagli del tuo lavoro solo se prima accetti e sottoscrivi il contratto».

    Alla parola contratto i peli sulla nuca di Leonardo si drizzarono. Possibile che lo volesse già assumere? Di solito chi era così svelto a sceglierti ti mandava a vendere contratti luce-e-gas porta a porta.

    «Ok, però se posso…» Indicò i documenti sparsi sopra la scrivania, come a intendere che il suo contratto fosse lì. Come gli dico che prima voglio leggerlo?

    «Eh?»

    «Il contratto, dicevo…»

    «Ah!» Giorgio si alzò in piedi. Si stiracchiò le braccia e molleggiò sulle ginocchia. «Questa sedia mi spezza le ossa…» Si chinò e aprì un cassetto, ne estrasse un pacchetto di fogli spillati. «Facciamo così, io ti lascio il contratto in bianco, questo qui, tu mi lasci i tuoi dati e torni domani, e te lo faccio trovare compilato per la firma. Nel frattempo ti faccio preparare anche la postazione di là, ché ora non so se c’è un cavo di rete libero».

    Leonardo si alzò a sua volta. «Uhm, va bene, sì». Sfilò una a una le pagine dalla busta trasparente fino a trovare le fotocopie della carta d’identità e del codice fiscale. Le porse a Giorgio e prese in cambio il contratto. Scorse le prime righe ma si bloccò, per paura di apparire maleducato.

    «Allora a domani, ok? Vieni verso quest’ora, anche una mezz’ora più tardi, e iniziamo». Gli porse la mano.

    «Ok. Grazie». Lui gliela strinse. «Arrivederci».

    «Ciao ciao». Giorgio gli girò le spalle, come se fosse sparito, e superò la porta che lo separava dall’altra stanza. Leonardo colse l’immagine di un paio di ragazzi seduti a una scrivania, gli sguardi concentrati sui monitor. Nessuno parlava, niente cuffie o microfoni, per cui non si trattava di telemarketing, come aveva temuto. La porta si chiuse dietro Giorgio.

    Aveva i battiti accelerati. Tutto qui? Adesso ho un lavoro?

    Si diresse all’uscita, la mente annebbiata come dopo una passeggiata in montagna.

    Lasciò l’appartamento e scese con l’ascensore.

    Uscì dal palazzo, camminò verso il parcheggio a testa bassa.

    Sfilò il curriculum dalla busta di plastica, la sua foto in bianco e nero sorrideva come una miss durante il televoto. Accartocciò le tre pagine e le buttò in un cestino sul lato del marciapiede.

    nue0 voufi tchio

    Giorgio gli aveva detto di presentarsi pressappoco alla stessa ora, ma Leonardo era sotto l’edificio della Fondazione Lasswitz con quindici minuti di anticipo. Era uscito di casa prima possibile, per non ascoltare i discorsi sull’accettare un lavoro che nemmeno sai cosa fai che erano iniziati la sera prima.

    Suonò e fu di nuovo Giorgio a rispondere: «Sì?»

    «Sono Leonardo».

    «Ah, bene! Vieni».

    Il portone si aprì e Leonardo prese l’ascensore.

    Nella busta di plastica del giorno prima adesso teneva il contratto. A casa lo aveva letto un paio di volte in cerca di cavilli, ma non aveva trovato nulla di sospetto: un fisso mensile per sei ore di lavoro al giorno; non erano richiesti straordinari; posizione contributiva in regola; scadenza a un anno. Non aveva le ferie pagate, ma era quanto di meglio gli fosse mai stato proposto negli ultimi otto mesi. Il contratto però non diceva niente sulla sua mansione, oltre a una generica qualifica di impiegato d’ufficio. Su questo punto si era scontrato per tutta la sera con i genitori e la sorella.

    Il portone della Fondazione era già socchiuso, Leonardo entrò e lo accostò dietro di sé. Giorgio si alzò dalla scrivania e gli andò incontro. «Buongiorno, buongiorno». Gli cercò la mano e gliela strinse, scuotendola su e giù. Era avvolto da un’aura di dopobarba dolciastro. «Allora, sei dei nostri?» Sorrise e gli mise una mano sulla spalla, come se stesse parlando con il suo nipotino preferito.

    Leonardo si contorse appena, in cerca di spazio. «Sì, ho riportato questo». Sollevò il contratto e lo frappose tra lui e Giorgio.

    «Ma questo non ci serve mica!» Prese la busta di plastica e la buttò sulla scrivania. Frugò tra i fogli accumulati sul tavolo e tirò fuori un mazzetto di pagine spillate. «Firmami questo, che è quello compilato». Appoggiò il nuovo contratto in cima alla pila da cui lo aveva estratto e gli porse una penna.

    Leonardo lesse le prime righe. Gli sembrava tutto uguale, a parte l’aggiunta dei suoi dati. Non posso chiedergli di rileggerlo ancora. A questo punto mi devo solo fidare.

    Prese la penna e si chinò. Firmò a margine su ogni pagina e alla fine nello spazio designato. Per ultimo c’era il foglio con l’autorizzazione al trattamento dei dati. «Ecco».

    Giorgio raccolse le pagine e le rimise in ordine. «Adesso, Leonardo, posso darti il benvenuto alla Fondazione Lasswitz!» Prese il contratto e gli strinse di nuovo la mano con più energia.

    «Grazie». Sorrise e si sfilò dalla presa. Arretrò di un mezzo passo. «Quindi, come… quando comincio?»

    «Anche subito». Scrollò le spalle, si girò e tornò alla scrivania. Stiracchiò le braccia durante il breve tragitto, sventolando il contratto. Appoggiò i fogli sul tavolo e si mise a sedere.

    Leonardo lo seguì. Giorgio si era messo ad aprire e spostare finestre sul suo monitor, sembrava essersi dimenticato di lui.

    «Vado… di là?»

    «Eh? No, aspetta». Gli indicò la solita sedia rossa. «Vieni qui un attimo, ti spiego il tuo lavoro. Sennò che vai a fare di là?» Ridacchiò tra sé.

    Leonardo si sedette. Giorgio batté qualcosa sulla tastiera, poi riprese il suo contratto e lo siglò pagina per pagina con uno scarabocchio. Sull’ultima appose un timbro e la sua firma. Mise da parte i fogli e appoggiò i gomiti sulla scrivania, si sporse in avanti verso di lui. Abbassò il tono della voce. «Quello che sto per dirti ti sembrerà incredibile. Per ora ascoltami, se hai domande me le fai dopo». Annuì e sorrise ancora coi suoi denti bianchissimi. «Intanto devi sapere che il lavoro che facciamo qui è segreto, almeno fino a un certo punto, quindi non sei esattamente libero di riferirne i dettagli, ok?»

    Nel contratto che aveva letto e firmato non c’era nessun accordo di riservatezza, ma non sarebbe stato quello a fargli cambiare idea. «Va bene».

    «Bravo. Allora, intanto… il nome della Fondazione ti dice nulla?»

    Leonardo aveva googlato Fondazione Lasswitz la sera prima, per assicurarsi di non essersi imbattuto nella solita fregatura, ma non aveva ottenuto risultati riferibili alla Fondazione. Gli erano usciti diversi collegamenti a uno scienziato tedesco di fine Ottocento, quindi forse…

    «Kurd Lasswitz?»

    Giorgio picchiò il palmo sulla scrivania e gli puntò l’indice contro. «Proprio lui! Kurd Lasswitz era uno scienziato del diciannovesimo secolo. Filosofo, matematico, fisico… un pensatore di quei tempi, hai presente?»

    «Sì, ok».

    «Scriveva anche delle storielle sul futuro, inventandosi le cose».

    Si chiama fantascienza, avrebbe voluto intervenire Leonardo, ma rimase in silenzio.

    «È stato lui il primo a parlare della Biblioteca Universale. L’hai mai sentita nominare?»

    «Come… Borges?»

    «Chi?»

    «Voglio dire… la Biblioteca di Babele?»

    «Ah! Sì, il concetto di base è lo stesso». Scosse la mano come per togliere delle briciole. «Quindi sai come funziona?»

    Il colloquio lo aveva già superato, quella domanda non era un test. Ma forse poteva ancora mettersi in luce: aveva letto il racconto di Borges quando aveva dodici anni, qualcosa gli era rimasto in testa.

    «In pratica, si combinano le lettere dell’alfabeto a caso, fino a creare qualcosa di comprensibile. Se si ha abbastanza spazio per conservare milioni e milioni di volumi, allora si può raccogliere tutto quello che potrebbe mai essere scritto».

    Giorgio annuiva assorto durante le sue parole. «Sì sì, esatto. Proprio così. Però Lasswitz e anche quest’altro qui…»

    «Borges».

    «Borges, sì. Tutti e due commettevano un errore di fondo».

    E lui avrebbe trovato l’errore di un filosofo tedesco del 1900? «Cioè?»

    Giorgio raddrizzò la schiena, si grattò un orecchio. «Tutti e due consideravano la biblioteca come qualcosa di concreto, di materiale. Ma io e te sappiamo che oggi non c’è bisogno di stampare un volume in tipografia per poterlo leggere. Ci basta questo». Batté la mano tre volte sul monitor di fronte a lui.

    «Il computer?»

    «Eh sì, Leo. Questa bestia infernale che assorbe tre quarti delle nostre giornate». Rivolse lo sguardo allo schermo e la sua attenzione fu catturata da qualcosa. Si mise a cliccare e digitare. Riprese a parlare continuando ad armeggiare coi tasti. «Pensaci: con un computer si possono generare tutte le combinazioni possibili. E soprattutto, per conservarle basta qualche terabyte di hard disk». Si rialzò in piedi. Lo guardò dall’alto, compiaciuto. «È questo che facciamo alla Fondazione Lasswitz. Diamo vita alla Biblioteca Universale».

    «Wow».

    Non si era aspettato un progetto così grandioso dentro un ufficio così modesto. Ma ancora gli sfuggiva quale fosse la sua parte in tutto quello.

    «Vieni, ti faccio vedere», disse Giorgio, e si diresse alla porta dietro la scrivania.

    Leonardo lo seguì nell’altra stanza. Era un open space largo e afoso, con due finestre quadrate che davano sulla strada, chiuse nonostante il caldo. Quattro ventilatori piantati su piedistalli a ogni angolo smuovevano l’aria, insieme a qualche apparecchio più piccolo appoggiato sui tavoli. In fondo alla sala c’era una porta in legno con l’insegna della toilette, il disegno stilizzato della donna a testa in giù. L’intera stanza era attraversata da quattro file di scrivanie, per un totale di otto postazioni. Sette di queste erano occupate da ragazzi che avevano sollevato la testa dal monitor e seguivano i movimenti dei nuovi arrivati. Erano tutti abbastanza giovani, pressappoco suoi coetanei.

    Giorgio li indicò uno per uno dalla soglia: «Paola, Claudio, Gerardo, Manilo, Susanna, Tony, Federico». I ragazzi gli rivolsero a turno un cenno di saluto con la mano o la testa. «Signori, questo è Leonardo, il nostro nuovo lettore universale».

    «Salve a tutti…» Saltò con lo sguardo da

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