Nerd AntiZombie - Apocalisse a RozzAngeles
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Info su questo ebook
Paolo, master eremita di un gruppo di giocatori di ruolo, questa domanda se la pone da sempre e ha fatto anche di più: ha pianificato la sopravvivenza.
Così, quando gli zombie invadono Milano a poche ore da Capodanno, dal suo appartamento all’ultimo piano di una palazzina popolare di Rozzano, guida i suoi amici alla salvezza.
Già, i suoi amici: Diego, una vita spesa a fuggire da qualsiasi responsabilità; Mauro, in balia di psicofarmaci e droghe che tengono a bada le sue visioni allucinate; Colosso, il “residuato bellico” della Germania dell’Est; e poi Fulvio, Luna, Little The Rock…Sono loro gli eroi che ci meritiamo. Un gruppo di sociopatici con la passione per giochi di ruolo e cosplay, che si ritrova a lottare per la sopravvivenza.
Tra vecchiette smembrate a colpi di catena, cani parlanti, zombie sexy e badanti cresciute a pane e anabolizzanti, preparatevi ad affrontare la più improbabile delle invasioni zombie.
E, per rispondere alla domanda su chi vorresti avere al tuo fianco durante la fine del mondo, be’… ora avrai la tua risposta: di certo non loro!
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Anteprima del libro
Nerd AntiZombie - Apocalisse a RozzAngeles - francesco Nucera
massime.
L’infermiere di notte
Diego osservò il bigliettino che teneva in mano, lo accartocciò e lo mise in tasca. Sollevò lo sguardo e fissò la targa affissa sulla facciata del palazzo.
«Giuseppe Meda» lesse.
Spalancò la bocca e sbadigliò: la tensione gli giocava sempre brutti scherzi, ma questa volta non si sarebbe addormentato. Sospirò. Quello sarebbe stato il San Silvestro più triste della sua vita, persino più triste di quello in cui aveva litigato con i suoi amici e, per ripicca, si era addormentato alle undici di sera abbracciato alla bottiglia di spumante ancora chiusa.
Sollevò l’indice e premette il tasto del citofono a fianco alla scritta Fumagalli
.
«Ziii?» rispose una voce femminile.
«Sono l’infermiere di notte».
«Cvarto piano, zali!»
Uno scatto e il portone si aprì. L’androne era affrescato a tinte sbiadite, un’ampia scala in marmo saliva sulla destra, dell’ascensore nemmeno l’ombra. Avrebbe dovuto farsi i quattro piani a piedi: quella serata iniziava proprio male. Poggiò il piede sul primo gradino, ma un cigolio metallico sulla sinistra attirò la sua attenzione; un uomo in completo scuro uscì dall’ascensore, che era nascosto dietro una porta in legno.
«Lei è?» chiese questi, storcendo il naso.
Diego abbassò lo sguardo sulle scarpe lucide dell’uomo, guardò le proprie Adidas e capì perché quello stesse dubitando di lui.
«Sono il nuovo badante del signor Fumagalli» rispose, senza alzare lo sguardo.
Le Oxford si spostarono lasciandogli il passo libero, l’uomo non disse altro, lo squadrò schifato e se ne andò.
«Manichino!» bofonchiò Diego, quando quello era già lontano.
Entrò nell’ascensore e premette il quattro sul quadro di comando. Uno scossone lo sbilanciò e, per ritrovare l’equilibrio, poggiò una mano sulla seduta e l’altra sullo specchio. Una volta recuperata la stabilità, fissò la propria immagine riflessa e sospirò. Forse doveva iniziare a vestirsi come il Manichino.
Per il primo giorno di lavoro si era tagliato i capelli e aveva indossato la mise migliore, tuttavia a quarant’anni non ci si può sentire eleganti con la felpa del Milanese Imbruttito. Un altro scossone lo avvisò che era arrivato al piano; mise la mano alla maniglia, ma la porta non si aprì. Ci provò un’altra volta, senza successo.
«E che cazzo, apriti!» imprecò, sferrandole due pugni.
La porta si spalancò e Diego si trovò davanti due grossi seni, malcelati sotto una maglietta bianca. Alzò lo sguardo e intravide degli occhi celesti che lo fissavano.
«Ezzere nuofo infermiere?» chiese la donna Colosso, che non gli permetteva di vedere l’esterno.
«Ja!»
Colosso socchiuse gli occhi. «Zimpatico» disse, allargando le labbra sottili «tu ora zegue me, poi io fetere ze te diverte ankora tomani mattina». Si voltò e gli fece strada.
Appena fuori dall’ascensore, Diego capì perché la porta non si apriva. Non era arrivato a un pianerottolo, ma dritto nel disimpegno dell’appartamento. C’erano due poltrone di pelle, un portaombrelli e, sui muri, alcune litografie della Milano perduta
.
«Zegve me, pvikkolo vuomo!»
Diego si scosse, era la prima volta che entrava in una casa tanto ricca, lui era abituato ai microappartamenti della periferia, dove avere la porta d’ingresso senza adesivi che testimoniavano Geova, intagli zingareschi o segni d’effrazione, ti elevava a un rango superiore.
«Kvesto essere incresso di zervizio» disse la donna, imboccando un corridoio. Con le spalle lambiva le pareti e la testa sfiorava le lampadine «pvikkola porta a destra essere ingresso a zona ciorno, ma tu non può antare di lì» la donna si voltò e lo fulminò con lo sguardo «tu ha capito?»
«Sì signore!» Diego batté i tacchi e portò la mano alla fronte.
Lei inspirò a fondo e i seni si sollevarono fin sopra la fronte di lui che, per un attimo, rivide le mille immagini ignorate su Youporn alla voce BBW
.
«Kvi invece ezzerci stanza di altro pvikkolo vuomo, lui controlla te kon monitor e telecamere».
«Che culo!»
Colosso si voltò di scatto e abbassò la fronte al livello di quella di Diego.
«Tu no dice parolacce con avvocato Fumacalli! Lui molto educato con te, molto buono, ma se dice parolaccia lui andare fuori di testa. Capito?»
La mole della donna sarebbe bastata a convincerlo, ma il pollice che lei si fece correre sotto il mento rimarcò il messaggio.
«Ecco invece tua stanza. Qui tu riposa e crogiola con orecchio teso a monitor».
La donna aprì una porta e si scostò. Diego abbassò la testa e piegò le ginocchia, passò sotto le mammelle di lei ed entrò.
Definire quello uno sgabuzzino era riduttivo: c’erano una branda, un lavandino con annesso water e una scrivania su cui avevano appoggiato un piccolo schermo che proiettava l’immagine di un anziano sdraiato su un letto a baldacchino.
Diego deglutì, storse il naso e si girò verso la donna.
«È qui che tenete i prigionieri?» chiese.
Lei abbozzò un sorriso.
«Zolo quelli buoni, celle zono da altra parte».
Diego cercò di capire se stesse scherzando, ma la donna non mutò espressione.
«Antiamo, prezenta Fumacalli e poi antare a festa».
«Come antare a festa
?»
«Certo, io finisce turno dieci minuti fa, a diciotto. Ora tuo turno. Io spiega te due cose e antare».
«E mi lasci solo?»
«No, con pvikkolo vuomo di monitor».
«Quindi se ho problemi chiedo a lui?»
«No, lui no infermiere. Lui cuoco che guardiana: se tu sbaglia, lui dice a figli di padrone; se tu ruba, lui chiama polizia; se tu uccide, lui uccide te».
Diego scoppiò a ridere, ma vedendo il volto contrito di lei si bloccò.
«Stavi scherzando, vero?»
«Tu vuoi scopre?»
Dopo un lungo silenzio, lei iniziò a elencare nomi di farmaci e a spiegargli come trattare l’avvocato Fumagalli, ma la mente di Diego continuava a ripetere la stessa domanda: Ma chi me l’ha fatto fare?! Il pensiero che quella sera i suoi amici si sarebbero divertiti lo mandava in bestia.
«Ora presenta padrone. Tu sta calmo e aspetta un passo dietro me».
Finalmente il tour era giunto al termine. La donna aprì la porta e fece un passo nella stanza padronale. Timoroso, Diego la seguì. Oltre al letto a baldacchino, circondato da tappeti spugnosi, nella stanza c’era una serie di mobili antichi, le pareti erano foderate con una tappezzeria anni Sessanta e non c’era il televisore. L’unica tecnologia che aveva varcato quella porta era rappresentata dalle telecamere e da un Daikin che doveva valere quanto la vecchia Punto di Diego.
«Zignore, lui è nuofo infermiere di notte. Il zignor…» la donna, china sull’anziano, rimase con il braccio teso a sollecitare le presentazioni.
«Diego» si affrettò a dire.
Fumagalli inclinò il capo, socchiuse gli occhi e aprì la bocca. «Diego? È un nome spagnolo!»
«Sì signore, ma io sono di Milano».
L’anziano abbozzò un sorriso.
«Già, ormai lo siamo tutti. Di dove sono i tuoi?» chiese con modi garbati.
«Mio padre è di Cremona, mia madre bresciana».
«Bene!» si limitò a dire il vecchio, che poi abbassò la voce e tornò a rivolgersi alla badante.
Diego non riusciva a togliergli gli occhi di dosso. Fumagalli pareva un ramoscello rinsecchito. Le poche parti del corpo scoperte erano attraversate da vene bluastre, la pelle simile a una pellicola trasparente, gli occhi appannati. Per respirare gonfiava in maniera spropositata la cassa toracica. Diego era preoccupato: quell’uomo non sembrava attrezzato per superare la notte.
Un ringhio soffuso lo strappò dalle sue riflessioni. Incuriosito, distolse lo sguardo dal vecchio – che gli pareva stesse scambiando effusioni con la badante – e si chinò, certo che il verso provenisse da sotto il letto. Portò la mano alla coperta e la sollevò: un canetopo
, di nemmeno due spanne di lunghezza, uscì allo scoperto e iniziò a squittirgli contro. Diego ritrasse la mano e fece due passi indietro.
«Pvikkolo Blondi, ezzere venuto a zalutare la mamma?»
La badante raccolse l’animale che occupava poco più del suo palmo e iniziò a carezzarlo; il canetopo
scodinzolò e cominciò a leccarle le dita.
«No ha paura, pvikkolo vuomo. Blondi essere cane affettuoso».
La donna lo appoggiò sul letto.
«Vieni a carezzarlo, è meglio che facciate conoscenza subito» lo invitò l’anziano.
Diego si sistemò la giacca e avanzò sicuro. Raggiunse il ciglio del letto e allungò la mano. Il canetopo
, che aveva iniziato a leccare la faccia del suo padrone, si acquattò sulle zampe davanti e ricominciò a ringhiare.
«Pello Blondi, non ti piace pvikkolo vuomo?»
Diego ci riprovò e questa volta l’animale, bloccato sul materasso dalla presa della donna, si fece carezzare.
«Pene, ora voi amici e avvocato kontento di kvesto, qvindi io potere andare. Ci vedere domani di mattina alle zette, io viene con cornetto per te e zucca per pvikkolo vuomo di monitor».
La badante carezzò la guancia dell’avvocato e si incamminò verso l’uscita; arrivata alla porta si bloccò.
«Piccolo Tiego, qvesta sera alle ticianove figlia di avvocato Fumacalli passare a vedere come sta. Tu porta qui senza tire niente a lui, poi fare antare via. Lui non vuole scocciatrice anche occi».
Il tono piccato della donna e l’espressione severa dell’uomo fecero sì che Diego non ponesse domande. Gli avevano detto cosa fare e lui avrebbe obbedito.
«Non vuoi toglierti la giacca?» gli chiese l’anziano, appena la badante uscì dalla stanza.
«Certo, signore!»
«Chiamami Benito, ma non spogliarti qui. Va nella tua stanza, ti chiamerò se avrò bisogno di te. Altrimenti ci vediamo per la terapia della notte».
Nonostante l’aspetto poco florido, l’anziano aveva una voce vigorosa, molto più di quanto si potesse immaginare. Diego chinò il capo in segno di riverenza e si congedò, sotto lo sguardo attento del canetopo
che ancora non sembrava convinto della loro amicizia.
Sdraiato sul letto, Diego fissava il soffitto e si interrogava su quanto potesse essere stupido. Un conto era fare il badante, un altro era fingersi infermiere.
L’idea era venuta a Carlo, il suo amico dell’agenzia interinale.
«Tranquillo, vai lì e ti prendi trecento euro a notte» gli aveva detto e, con una prospettiva simile, Diego non si era più fatto scrupoli.
In fondo era vero che aveva frequentato Scienze infermieristiche; magari era un po’ meno vero che si era laureato, ma qualcosa se la ricordava e badare a un vecchio non doveva essere poi così difficile.
Il cellulare, appoggiato sul materasso, vibrò; lo impugnò, lesse la prima notifica e sorrise. Il gruppo WhatsApp NFS - Nerd For Speed si stava animando.
Paolo: Ragazzi, è arrivato il grande giorno!
Andre: Finalmente trombi?
Paolo: Simpatico! Scherzi a parte, è arrivato il giorno nefasto: gli zombie sono tra di noi.
Filippo: Guarda che tua madre arriva il 6 gennaio.
Tu: Quindi di trombare non se ne parla nemmeno quest’anno?
Paolo: Non è uno scherzo, ne stanno parlando tutti i tg!
Filippo: Il mese scorso stavano parlando anche di tua madre!
Paolo: Filippo, hai quasi quarant’anni, quando ti decidi a crescere?
Filippo: È la stessa cosa che dice sempre tua madre. Parlando con il mio IO!
Andre: Cazzo, Paolo ha ragione, ne stanno parlando davvero!
Sorridente, Diego stava per rispondere ancora, ma un campanello si mise a trillare. Guardò il monitor poggiato sulla scrivania: era il vecchio che aveva bisogno di lui. Prima di uscire prese il cellulare e scrisse un altro messaggio.
Tu: Scusate ragazzi, ma il mio zombie personale mi reclama. Ci sentiamo dopo!
Mise il telefonino in tasca e corse nell’altra stanza.
«Mi dica, avvocato Fumagalli».
L’anziano lo fissò qualche secondo, si portò la mano alla bocca e tossì. «Tu non indossi il camice?» chiese quando riuscì a riprendere fiato.
Imbarazzato, Diego abbassò la testa e guardò la scritta sulla sua felpa: CHE SBATTA… in effetti non era il modo più professionale per presentarsi.
«No… sa… è che ho appena smontato dall’ospedale e non sono riuscito a passare a casa» si inventò al volo.
«Strano, avevo capito che non lavoravi, ma la mia mente gioca brutti scherzi ultimamente, forse lo sapevo. Dimmi, dove lavori?»
Non ci voleva quell’interrogatorio: prima o poi avrebbe sbagliato qualche risposta e l’avrebbero scoperto.
«Humanitas».
«Bene, io sono in cura lì da dieci anni. In quale reparto?»
Cazzo!, imprecò nella sua mente. Che gli poteva dire? Di certo non Oncologia, c’erano altissime probabilità che lui avesse un tumore. Un’idea brillante lo folgorò.
«Ginecologia» scandì con la stessa enfasi che avrebbe usato un pokerista dichiarando una scala reale.
«Quindi conoscerà il dottor Invernizzi? Brav’uomo, ha seguito mia moglie fino all’ultimo».
«Certo che lo conosco… Ma ora mi dica, come posso esserle utile?» provò a cambiare argomento.
«Sì, hai ragione. Potresti aiutarmi a mettermi sulla carrozzina?»
«Va bene, avvocato. Ma non è più comodo a letto?»
«Non è per quello. Da qualche