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L’unificazione della Trinità. La ragazza di Hare Krishna
L’unificazione della Trinità. La ragazza di Hare Krishna
L’unificazione della Trinità. La ragazza di Hare Krishna
E-book186 pagine2 ore

L’unificazione della Trinità. La ragazza di Hare Krishna

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Info su questo ebook

Per chi è pronto ad uscire dalla propria comfort zone, per chi è disposto a mettersi in discussione e a mettere in discussione tutto ciò in cui crede. O non crede. Alessandro Giudice sfida i confini della nostra mente con i suoi concetti di bene, di male e di male innocente, di consapevolezza e coscienza, di visione cristiana. Un “Dio” che evolve attraverso le sue creazioni, che sono Lui stesso, e attraverso le dualità che danno vita e sostegno a questo processo e a questa dimensione. Padre che si fa Figlio, Figlio che cresce attraverso lo Spirito Santo, che è comprensione, Figlio che diventa Padre. Tutto è destinato a riunirsi, a chiudere il cerchio e quindi a svanire, in un grande salto evolutivo, non prima di aver attraversato fino in fondo la sofferenza, parte essenziale del percorso di autoconsapevolezza. Concetti arditissimi resi fruibili da un’esposizione chiara e concreta, che si ancora ad elementi terreni ed estremamente umani. Una lunga serie di scambi epistolari con il caro amico Frankie rende ancora più stimolanti e vivaci le profonde riflessioni filosofico-religiose dell’autore. 

Alessandro Giudice, l’autore dal cognome scomodo, è nato nel 1963. È autore della raccolta di scritti … and none of them the wiser (2014), del romanzo sperimentale Il Custode del Monumento ai Caduti (2015) e del romanzo distopico The Dream Police (2017), scritto in Italiano e in Inglese, lanciato su RadioRai. Ha ricevuto vari riconoscimenti letterari. Ha inoltre creato il dynamic reading teatrale The Lighthouse - Nella lunga notte scura (2013, trailer disponibile su YouTube). Di questo libro sono state pubblicate una prima edizione nel 2008 e una seconda edizione nel 2010. 
LinguaItaliano
Data di uscita24 ago 2018
ISBN9788893846790
L’unificazione della Trinità. La ragazza di Hare Krishna

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    L’unificazione della Trinità. La ragazza di Hare Krishna - Alessandro Giudice

    Alessandro Giudice

    L’unificazione della Trinità. La ragazza di Hare Krishna

    EDIFICARE

    UNIVERSI

    © 2018 Europa Edizioni s.r.l. | Roma

    www.europaedizioni.it

    I edizione elettronica settembre 2018

    ISBN 978-88-9384-679-0

    Distributore per le librerie Messaggerie Libri

    A mia figlia Elena Aretusa

    nella speranza che possa attraversare questa

    irrilevante illusione chiamata vita terrena

    con un costante, spontaneo, profondo,

    dignitoso, garbato, saggio sorriso

    sulla eventuale felicità come sull’eventuale dolore

    dedico lo schermo sferico invisibile del papà buono.

    L’Autore, 2002

    Il punto non è deve esserci un fine per tutto questo,

    bensì può esserci una spiegazione per tutto questo.

    L’umanità non è sempre esistita.

    Prima di essa esistevano altre forme di materia.

    Dovremmo chiederci dove questa umanità,

    dove tutta la materia conosciuta,

    sta andando.

    Dovremmo chiederci di cosa questa umanità,

    di cosa tutta la materia conosciuta,

    è riflesso.

    ipotesi

    visione

    Nota

    Al momento siamo nel 2018. Laddove in questo libro visionario si tratta, per esempio, di telefoni cellulari, occorre tener conto del fatto che il suo nucleo originario, ovvero quello intitolato Solidarietà e Miserie, è stato scritto circa venticinque anni or sono, tempi in cui - tra l’altro - non esistevano i social networks; lo stesso vale per determinati elementi nel resto del libro, ch’è risalente a una quindicina d’anni fa: alcune cose sono cambiate, per esempio, nel campo della fisica. Comunque, nel presente e nel futuro di questa umanità, tutto ciò non costituisce alcuna variazione per il contenuto del libro stesso ovvero l’unificazione della trinità.

    L’Autore

    Premessa

    L’umanità per natura tende verso il sollievo, verso il benessere sia emotivo che materiale, o verso la cosiddetta felicità; ma non è felice, né può esserlo autenticamente del tutto, per sua stessa struttura, anche poiché essa è comunque consapevole del fatto che quando o se qualcuno è felice, inevitabilmente altrove qualcun altro non lo è.

    Allo stesso modo in cui, come per tutti gli opposti, il concetto di pace esiste perché esiste purtroppo anche il concetto di guerra, per apparente paradosso qui il concetto di felicità esisterà fintanto che esisterà purtroppo anche il concetto di sofferenza.

    La gioia, l’amore, l’innocua espressione artistica, potrebbero far credere o far sperare che questo gioco continui in eterno.

    La sofferenza sembra rappresentare la cupa ma esplicativa decodifica per mezzo della quale risulta costantemente possibile comprendere che in verità il cosmo, ed ogni singola o molteplice dimensione, umanamente tangibile o intangibile, del passato, presente e futuro, non è un eterno gioco perfetto.

    La pietà potrebbe essere l’unico mezzo tendente verso la perfezione del quale l’umanità dispone per il superamento di tutto ciò nella prospettiva del compimento.

    L’Autore

    Prefazione

    Se l’Assoluto, ovvero ciò che comunemente si intende per Dio, si riflette anche su questo pianeta vivente, la terra, allora pure l’Assoluto è ancora in evoluzione verso la sua stessa perfezione, poiché su questa terra accadono ancora cose terribili. L’evoluzione dell’Assoluto non si è ancora completata: essa si è riflettuta negli accadimenti del pianeta stesso, dalle prime forme di vita, ai dinosauri, alle svariate e molteplici specie animali e vegetali, ai primati, agli uomini primitivi, fino ad ora, cioè all’uomo moderno. In particolare, è proprio l’evoluzione dell’uomo, cioè dell’autocoscienza, a riflettere l’evoluzione dell’Assoluto (ecco il detto a Sua immagine e somiglianza). Se l’umanità è in conflitto con se stessa è perché l’Assoluto è in conflitto con se stesso. Se l’umanità soffre è perché l’Assoluto soffre. Se l’umanità è in disequilibrio è perché l’Assoluto è in disequilibrio. Se gli esseri viventi si cibano di altri esseri viventi è perché l’Assoluto si ciba di se stesso, in termini umani, mordendo, masticando, e deglutendo fino al tormento parti di se stesso, in una peculiare forma di autocannibalismo; a questo proposito, può essere importante considerare che per l’uomo primitivo il cannibalismo era la normalità: ci si chieda se per l’uomo adesso c’è una vera differenza fra quella pratica ed il mangiare altre specie di esseri viventi che provano comunque dei sentimenti o delle emozioni. Se l’umanità si è evoluta e si sta evolvendo è perché l’Assoluto si è evoluto e si sta evolvendo.

    Nella dimensione terrestre Dio si è sempre manifestato non soltanto all’uomo ma fondamentalmente attraverso l’uomo: l’uomo moderno, che già da tempo decide dell’esistenza di tutte le specie viventi come un essere superiore, potrebbe essere come Dio per tutti gli animali del pianeta (adesso c’è anche la clonazione); e allo stesso modo l’uomo moderno potrebbe essere come Dio per l’uomo primitivo, così come all’inizio del 1700 Robinson Crusoe, nel racconto, con la sua tecnologia, fu visto come Dio dal selvaggio cannibale chiamato Venerdì, il quale venerò la superiorità di quell’essere. Ma l’uomo non è ancora Dio, bensì soltanto uno dei molteplici imperfetti riflessi dell’Assoluto imperfetto, su questo pianeta imperfetto regolato, come finora tutta la materia, da leggi numeriche di tempo, spazio, sopraffazione, consunzione e morte.

    Il miracoloso di cui Ouspensky era alla ricerca si è manifestato continuamente nel tempo, è stato soltanto una questione di tempo, ed è sempre stato l’espressione umanamente incomprensibile del disequilibrio fra le cosiddette tre forze dell’Assoluto che è ancora incompiuto (trinità: padre, figlio e spirito santo/trimurti: Brahma, Vishnu e Siva). Il miracoloso risulta tale proprio perché contestualizzato in una circostanza che ordinariamente non riconosce certe capacità: ecco che certe cose risultano straordinarie. Ed ecco il tempo. Se un uomo primitivo vedesse una nave che vola sulle acque senza sfiorarle (hovercraft) penserebbe al miracoloso; se egli vedesse un medico resuscitare un morto (medicina moderna) penserebbe al miracoloso. I miracoli potrebbero essere manifestazioni dell’Assoluto non ancora compiuto, poteri manifestatisi attraverso l’umanità la quale non può ancora comprendere: e se l’umanità è il riflesso dell’Assoluto, allora l’umanità, nel suo caos, riflette il disequilibrio fra le tre forze dell’Assoluto che ancora non comprende se stesso, che ancora non è uno, che ancora non è compiuto.

    Quando Dante, Galileo, Newton, Gurdjieff, Ouspensky, Guénon scrivevano, nel cosmo non erano stati ancora individuati e studiati i buchi neri, che invece esistono da sempre, le falle nei sistemi tradizionali, sistemi connessi con tutta la violenza e la disuguaglianza dei millenni terrestri, antichi più di tutta la conoscenza dell’umanità: soltanto adesso, a seguito di tale osservazione nell’universo, si può comprendere qualcosa in più. Tutti quei sistemi tradizionali di pensiero, basati su un raggio di creazione, ora risultano inesorabilmente crollati: innanzitutto, dove vi è un centro irradiatore vi è anche distanza da tale centro stesso, e pertanto vi è già disuguaglianza, vi è già imperfezione (ecco i pianeti, le loro differenti posizioni, le loro differenti leggi, in particolare il pianeta terra e tutto ciò che i resti dei nostri antenati, o i segni delle calamità naturali e delle malformazioni congenite, o i brandelli sanguinanti dei nostri coevi in guerra ci dicono sia accaduto); se poi quel raggio di creazione viene anche fagocitato nel vuoto, in un buco nero, per l’appunto, negazione e opposto di quello stesso raggio, allora risulta incontrovertibile il fatto che quei sistemi tradizionali non sono perfetti.

    L’Assoluto si sta evolvendo, l’umanità si sta evolvendo.

    Verso l’assoluta unità e l’assoluta identificazione Assoluto-Umanità/Umanità-Assoluto. Verso la perfezione.

    L’Autore

    SOLIDARIETÀ E MISERIE

    I

    Un giorno ho incontrato una ragazza del gruppo Hare Krishna.

    Mi sono fermato presso una stazione di servizio in autostrada e lei si è avvicinata alla mia macchina. Sorrideva.

    Dopo aver scambiato alcune frasi con me, mi ha detto che io sono una persona speciale, che sono caro a Dio.

    Mi guardava quando con aria assorta, quando con perplessità, quando con tenerezza, affetto.

    E tutto questo solo perché mi trovavo in un momento di particolare e autentica prontezza, lucidità, disponibilità per lo scambio di riflessioni sull’esistenza. O forse lei si era istantaneamente innamorata di me. Tu sei illuminato, ma conti solo su te stesso, credi troppo soltanto in te stesso. Ha detto qualcosa di simile, durante il dialogo. Mi ha invitato ad incontrare il suo maestro nel gruppo per un confronto.

    Dovrebbe far riflettere il fatto che possa essere considerata eccezionale una persona che tenta di convivere consapevolmente con la tensione costante che l’idea della vita e della morte comportano, con il desiderio costante che esiste in ognuno di noi, con la paura costante che esiste in ognuno di noi.

    II

    Cerco di rispettare nel modo più autentico possibile il pensiero, i sistemi, i tentativi di soluzione delle persone.

    Credo che dalla nascita alla morte la persona viva con una costante tensione interiore. La ricerca della felicità a volte può anche coincidere con o consistere in un tentativo di alleviare quella tensione.

    A questo punto, bruscamente, mi chiedo se scrivo per me o anche per altri. Vorrei che le mie parole non venissero attaccate come un assunto o un dogma. Intendo forse divulgare il mio credo? Esattamente come i seguaci di una qualunque religione? Ma io non ho metodi da proporre. Gruppi religiosi, legittimamente convinti della funzionalità ed autenticità del loro sistema, vedono il divulgare le proprie idee, il coinvolgere l’altro, come un atto d’amore, anche se l’altro non ascolta.

    Io cerco di rispettare il tuo pensiero, ragazza di Hare Krishna, ma tu hai rispettato il mio? Hai voluto che io prendessi il tuo libro, ma sai che non lo leggerò, che non lo regalerò. Tu vuoi che io veda con i tuoi occhi, che io pensi con la tua mente. Raramente qui è dato fare ciò.

    E in tutto questo occorre comunque voler accettare la condizione esistenziale dell’umanità e l’ineluttabile grado di sofferenza che ognuno di noi su questa terra ha da esperire in relazione al proprio inevitabile percorso, breve o lungo che sia. E occorrerebbe voler altresì accettare il fatto che non ci è dato conoscere oggettivamente il senso del soddisfacimento dei nostri desideri e bisogni, né ci è dato conoscere oggettivamente il motivo delle nostre sofferenze. Ognuno interpreta a modo proprio.

    Come Paul Eluard, la parola che voglio scrivere è libertà.

    Ma quale tipo di libertà è stata possibile su questa terra finora?

    Forse la mia idea della vita non è necessariamente quella giusta, quella vera, quella da seguire. Allora è semplicemente la mia. Alla fine della lettura di queste righe, ognuno rimarrà se stesso, ognuno forse continuerà a credere in Krishna o nel Dio dei cattolici o in Maometto o in Buddha.

    Ognuno nel proprio sistema. Purché funzioni.

    In quanto a me, dicevo, non ho soluzioni pratiche da applicare. Per questo motivo il mio libro potrebbe non avere popolarità: se ne avesse, allora magari ciò significherebbe che l’umanità sta andando incontro inconsapevolmente al cambiamento che io auspico. Anche ogni gruppo religioso auspica il cambiamento: il punto è che ciascuno di essi crede che ciò debba avvenire soltanto al proprio modo e non in un altro. Sarebbe forse giusto per me ammettere che pure io voglio la stessa cosa? Ammettere che pure io credo che il cambiamento debba avvenire soltanto a modo mio, ovvero che il percorso finora compiuto dall’umanità porti nella sua continuità alla progressiva trasformazione indolore che io ipotizzo? Se dipendesse da me, tale compimento della perfezione non sarebbe affatto lontano.

    III

    1

    Credo che tutti qui abbiamo ancora paura.

    I rapporti con le dimensioni circostanti, esterne rispetto a ciascuno di noi, risultano essere effetto e causa di una tensione alla quale si reagisce con barriere difensive e, allo stesso tempo, con il tentativo consapevole o inconsapevole di celare la tensione stessa. Tutto questo va ricondotto, secondo me, alla sofferenza esperita fin dai primi giorni di vita.

    Come molti avranno già detto, il mancato soddisfacimento di un desiderio o di un bisogno genera un dolore, un’angoscia, una frustrazione. A questo proposito, sarà opportuno superare subito la ovvia eventuale distinzione fra desideri e bisogni, poiché la si conosce già; inoltre, talvolta potrebbe non esistere alcuna distinzione fra desideri e bisogni autentici e fittizi, e, se una tale distinzione esiste, comunque essa potrebbe risultare un irrilevante, non sostanziale gioco speculativo su semplici definizioni: ciò che in verità qui conta è che, sia nel caso del desiderio e sia nel caso del bisogno, si tratta in sintesi del tendere strutturalmente verso qualcosa per ricevere soddisfazione, o per allontanare la tensione, o per alleviare la sofferenza. Proprio le esperienze di sofferenza possono essere numerose e diventare sempre più complesse e sofisticate durante il percorso esistenziale. Il neonato che ha fame e che è tormentato dal dolore provocato dal movimento dei suoi primi dentini, prova sofferenza. Verosimilmente, nel caso della fame, il neonato tende verso più obiettivi: il godimento dato dall’assunzione del cibo, il soddisfacimento della necessità di alimentarsi e l’annullamento della sofferenza generata dalla fame stessa. Nel caso della crescita dei dentini, il soddisfacimento consiste solo nell’alleviare la sofferenza. In genere, il mancato soddisfacimento genera una tensione che, nella fattispecie, il neonato tenta di scaricare con il pianto.

    Il punto è: non tutti i desideri vengono soddisfatti subito, e non tutti i desideri vengono soddisfatti.

    Con l’età, la persona sviluppa delle capacità di mediare le proprie esigenze con la realtà circostante. Per fare altri esempi elementari, l’infante deve tendere le braccia in avanti per impossessarsi del giocattolo desiderato, e non sempre arriva a prenderlo, perché troppo lontano. Il bambino che desidera la presenza gratificante di una persona cara, oppure che desidera un oggetto, con l’esperienza avrà imparato a capire che dovrà attendere per rivedere quella persona o per avere quell’oggetto; avrà imparato anche a comprendere che l’attesa può prolungarsi oltre il previsto. E, intanto, vive il presente. Inoltre, cosa fondamentale, col tempo si

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