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Una persona perbene
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E-book106 pagine1 ora

Una persona perbene

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Chi è una persona perbene? Una persona che apprezziamo per la sua gentilezza, perché è educato, perché è rispettoso dei doveri e dei valori del vivere civile, perché non ostenta la propria ricchezza e perché, infine, aiuta chi si trova in difficoltà?

Il notaio Alessio Demartino era considerato una persona perbene. Una mattina la segretaria lo trova cadavere. Ad ucciderlo la lama di un tagliacarte alla carotide. L'indagine è affidata al vecchio commissario Canfora sul punto di andare in pensione. Anche il commissario è considerato una persona perbene,ma...
LinguaItaliano
Data di uscita15 nov 2018
ISBN9788827856543
Una persona perbene

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    Anteprima del libro

    Una persona perbene - Antonio Annunziata

    sono.

    CAPITOLO PRIMO

    Nel paese di Sciccariddi il notaio Alessio Demartino, di anni sessantacinque e dalla corporatura massiccia, era conosciuto da tutti come persona stimata ed importante.

    Sicuramente dopo il farmacista, il parroco e il medico era tra le persone più in vista, di quelle che, quando le si incontrava per strada, ci si toglieva il cappello in segno di rispetto.

    Dopo di lui, il notaio, staccato di molte lunghezze in questa speciale classifica, veniva il Sindaco che non piaceva alla stragrande maggioranza della popolazione per il suo colore politico e perché, si diceva, aveva occhi solo per le persone di peso, di quelle ricche e potenti. Era noto altresì il fatto che fosse stato eletto grazie ai voti del boss mafioso LaPerchia il quale aveva il potere di decidere su tutti e tutto (Non muove foglia che la LaPerchia non voglia era il ritornello che si sussurrava a Sciccariddi!). Ma questo suo potere lo esercitava bonariamente, senza violenza, come può fare un buon padre, con diligenza.

    Fin dalla nascita il Demartino abitava nella lussuosa villa situata ai piedi della collina alberata.

    Ai piedi dell’edificio costruito ai primi dell’ottocento dal nonno (notaio anch’egli) si apriva la campagna verde adibita al pascolo, e tra questa distesa di trifoglio e mentuccia e la cittadina (di quattromila anime poco distante da Acitrezza) scorreva il fiume che le nevi invernali e le abbondanti piogge autunnali rianimavano dopo che le estati calde e torride ne seccavano il corso.

    Nonostante fosse persona assai gradevole e di bell’aspetto - era alto più di un metro e ottanta, capelli corvini ben curati, modi da perfetto gentlemen - non aveva mai trovato, in tutti questi anni, una femmina da maritare.

    In paese si vociferava che  molte erano state le ragazze che in un modo o nell’altro si erano fatte avanti per conquistare il suo cuore; talune addirittura avevano sacrificato  la propria verginità pur di accaparrarselo, ma non c’era stato verso di farlo capitolare.

    Si dice che ciò fosse dipeso in molti casi (per il 99% - praticamente in tutti!) dalla vecchia madre – l’arcigna signora Adriana – che doveva sempre mettere naso negli affari di cuore del proprio figliolo, il quale, qualunque donna in odore di matrimonio conducesse a casa  non riusciva mai ad ottenere la necessaria benedizione materna.

    "Se ti vuoi divertire con questa femmina fallo, sono fatti tuoi.

    E’ giusto che un uomo debba sfogare le proprie voglie, ma portarla all’altare non è proprio il caso.

    Usa le giuste misure protettive.

    Non metterle incinte!

    Poi non ne esci più dal casino che ti fanno!

    Io donne in casa non ne voglio! Quando sarò morta potrai fare quello che vuoi, fidanzarti, maritarti, fare figli; ma finché vivo io qui altre donne tra i piedi non ce ne voglio!

    E questa qui non ti ama, ama i tuoi soldi. Non fa per te!

    Questo te lo dice tua madre!"

    E questo era il ritornello che la madre ogni volta tirava fuori e che il figlio, anche se grande e vaccinato, ingoiava senza ribattere.

    All’insindacabile suo giudizio non c’era diritto di replica!

    L’ultima femmina che mise piede nella villa fu una brunetta milanese conosciuta durante una vacanza a Stromboli.

    Giovane, carina, laureata fece perdere la testa al notaio il quale le propose subito di sposarla.

    Ciò accadde quasi venti anni fa.

    All’ennesima bocciatura, il giovanotto in questione ormai stanco e nauseato del solito teatrino, ormai giunto alla non più giovane età di cinquant’anni, decise di non cercare più la donna che lo avrebbe accompagnato per tutta la vita, e di sfarfalleggiare a destra e a manca con tutte le femmine che gli giravano intorno solo per puro piacere, canalizzando il proprio campo d’azione il più lontano possibile dal paese e dalla madre.

    Quando donna Adriana venne a mancare (il fatto accadde dieci anni orsono), il notaio ormai in età matura  – anche se, ormai solo, non doveva più dipendere dal giudizio severo e insindacabile della madre – non tornò indietro sulle decisioni prese a suo tempo, anzi, diede un deciso colpo di spugna alla parola matrimonio!

    Del resto il suo lavoro gli consentiva di conoscere donne di ogni genere e tipo: giovani o di mezza età, maritate o nubili, vedove inconsolabili o allegre cacciatrici di uomini soli e facoltosi.

    E tutte, e quando si dice tutte nessuna esclusa, non potendo non restare affascinate dai modi e dalla persona del Dottor Alessio Demartino (nella intimità e dagli amici chiamato più semplicemente Lellé) erano felici di cedergli. 

    Nella villa abitavano con lui e al suo servizio la fedele Anna già governante ai tempi della vecchia madre, maritata con Antonio di mestiere giardiniere, autista e guardiano della villa, e la cuoca Felicita.

    Lo studio del notaio non era in paese ma nella vicina città di Acitrezza – distante solo nove chilometri - e occupava tutto il primo piano di un palazzotto d’epoca situato nella piazza principale.

    E proprio lì il primo lunedì del mese di agosto che fu trovato cadavere.

    Ad avvertire la polizia fu la sua segretaria, Vincenza Satta, di anni cinquanta e da venti braccio destro del notaio quando, alle nove di quella mattina, fece il suo ingresso nello studio per aprire le finestre e dare aria alla stanza impregnata dall’odore di sigaro toscano.

    CAPITOLO SECONDO

    Quando il Commissario Saverio Canfora giunse sul luogo del delitto il corpo del notaio Demartino si trovava ancora nel punto esatto dove la segretaria lo aveva trovato e cioè seduto alla sua scrivania.

    Il corpo, curvo in avanti, presentava chiari segni di ferite alla schiena.

    Ma non erano state quelle ad ucciderlo bensì un colpo alla carotide inferto col tagliacarte dalla impugnatura d’argento.

    Inutile era stato il tentativo dell’uomo di estrarlo dal collo con la mano sinistra che ancora serrava la lama.

    Sulla superficie in cristallo della scrivania in noce e lungo il corpo dell’uomo c’era il sangue che copioso si era riversato.

    La testa dell’ucciso piegato sulla parte destra restava sollevato appoggiato sul proprio avambraccio.

    Sotto di lui appariva chiaramente, seppur inzuppato di sangue, un foglio protocollo dove a chiare lettere il notaio aveva scritto di pugno:

    "Io sottoscritto Alessio Demartino nato a….il…residente in…notaio nei distretti di…nel pieno possesso delle facoltà mentali dispongo che

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