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Robot 86
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E-book312 pagine4 ore

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Info su questo ebook

rivista (235 pagine) - Racconti di Greg Egan - Lavie Tidhar - Nicoletta Vallorani - Linda De Santi - Andrea Viscusi - Giovanna Repetto - Fantascienza cosmopolita - Mainstream - Robot Sex - Hill House


Cosa vuol dire essere umani? O quanto meno senzienti, coscienti di se stessi? Una versione software di noi stessi quanto è diversa da noi? E conserva colpe e responsabilità delle azioni che abbiamo commesso? Le domande poste da un grande come Greg Egan non sono mai facili, e facile non è neppure la vita per il suo protagonista, solo contro il mondo. Come ostile è il mondo di un po’ tutti i racconti di questo numero: dalla società tradizionalista di Nicoletta Vallorani all’Italia sotto il controllo alieno di Giovanna Repetto. Per non parlare poi di ciò che accade in Locuste di Andrea Viscusi – dopo averlo letto non vedrete più le cavallette nello stesso modo – o della ucronia nazista slash ebrea di Lavie Tidhar. Forse qualcosa di buono potrebbe arrivare da un altro universo, attraverso la “frattura” immaginata da Linda De Santi nel racconto vincitore del Premio Robot. Ma potrebbe finire che ce la mangiamo.

Con Proietti e Pergameno esploriamo altri mondi della fantascienza in direzioni diverse, e poi c’è Daniele Barbieri, quello della Bottega, che propone un tema davvero scottante: sesso coi robot!


Fondata da Vittorio Curtoni, Robot è una delle riviste di fantascienza italiane più rpestigiose, vincitrice di un premio Europa e numerosi premi Italia. Dal 2011 è curata da Silvio Sosio.

LinguaItaliano
Data di uscita14 mag 2019
ISBN9788825408997
Robot 86

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    Anteprima del libro

    Robot 86 - Silvio Sosio

    Stop

    EDITORIALE

    La Legge di Sosio

    Silvio Sosio

    Qualche giorno prima del 25 aprile mi sono imbattuto, su Twitter, in un dialogo tra Luca Bizzarri e Maurizio Gasparri.

    Luca Bizzarri, probabilmente lo ricordate, è un comico genovese che normalmente fa coppia con Paolo Kessisoglu (spesso riferiti come Luca e Paolo); anni fa raggiunsero un discreto successo con la sit comedy Camera cafè, ora conducono Quelli che il calcio. Ma a parte ciò, Luca Bizzarri è uno piuttosto di sinistra (il loro atteggiamento critico verso il governo attuale ha anche portato all’annullamento di progetti che vedevano la coppia protagonista), e commenta su Twitter in modo ironico ma anche abbastanza deciso. Anni fa ebbe una grossa polemica con Maurizio Gasparri, oggi vicepresidente del Senato e allora portavoce del Popolo delle Libertà.

    Per farla breve: ora Bizzarri scrive questo tweet in cui si rivolge a Gasparri scusandosi per la polemica di allora, dicendogli in sostanza che vista la situazione attuale, era costretto a rivalutare e persino rimpiangere il suo interlocutore.

    Mi è apparso subito chiaro che si trattasse di un evidente esempio di applicazione della Legge di Sosio. La conoscete la Legge di Sosio, vero?

    Sono sicuro di sì, ma per completezza, venendo incontro a chi tra mille anni leggerà questo editoriale da un frammento di carta sopravvissuto all’olocausto atomico e si troverà privo di contesto, ripetiamola:

    Dato un film scarso a piacere, prima o poi uscirà un film così tanto più scarso da far rivalutare il primo.

    È una legge nata, se non sbaglio, all’epoca di Independence Day; film che tutti ci affrettammo a stroncare alla sua uscita, ma che poi negli anni, dopo diversi altri film molto peggiori, è finito per piaciucchiare almeno un po’. Conferma definitiva delle legge poi è arrivata, come spesso accade, proprio con l’uscita del seguito.

    Se non ricordo male avevo esposto questa formulazione su una mailing list che era un po’ il ritrovo degli appassionati di fantascienza all’epoca, e qualcun altro l’aveva definita la legge di Sosio. Lo specifico per non sembrare troppo vanitoso: non sono abituato a chiamarmi le leggi da solo.

    Insomma, una volta formulata, nel tempo è apparso chiaro che la Legge di Sosio è applicabile a un sacco di cose, oltre che ai film. Alle serie di Star Trek, per esempio: proprio recentemente, dopo aver visto Discovery, mi sono reso conto di quanto fosse bella Enterprise, che all’epoca in cui era uscita mi aveva portato invece a rivalutare Voyager.

    È applicabile evidentemente anche ai politici. Di questi tempi molti non solo rivalutano Renzi; arrivano anche a rivalutare Berlusconi. Non tanto dal punto di vista delle idee politiche, ma quanto meno della competenza o della serietà come politici. Proprio come stava facendo con quel tweet Luca Bizzarri. Così, mi sono sentito in dovere di rispondere segnalando che, appunto, questa era una dimostrazione della Legge di Sosio, includendone la formulazione che ho citato sopra.

    La mattina dopo, appena sveglio, mi sono trovato la risposta di Maurizio Gasparri: «Asterì, scarso sarai tu». Sono riuscito a smettere di ridere solo verso l’ora di pranzo.

    Per chi non conoscesse il mio soprannome, «Asterì» non fa riferimenti a forzuti nanetti galli, ma è una sorta di vezzeggiativo romanesco da @esseasterisco che è il mio handle su Twitter.

    Naturalmente (poi gliel’ho esplicitato in una risposta) la Legge di Sosio non va applicata alla politica in modo letterale. Il politico probabilmente non piace per vari motivi, in genere di orientamento, coerenza, etica, non necessariamente per la sua scarsezza.

    Tuttavia riconosco che mi sono fatto qualche domanda. Quando c’era al governo Berlusconi, io ero tra quelli che la considerava una sciagura, lo ammetto senza mezzi termini. E devo anche ammettere che non esiterei un istante a scambiare il governo attuale con quello di allora: la Legge di Sosio, per quanto mi riguarda, si applica assolutamente.

    La Legge di Sosio però è inesorabile. Questo vuol dire che tra tot anni, magari nove, magari quattro, magari meno di uno, potrebbe scattare di nuovo. E farmi rimpiangere il governo Salvimaio attuale. Brividone.

    Eppure, non è possibile che sia così. Universalizzando, vorrebbe dire che esiste una generale tendenza verso il peggio?

    Attenzione, no: la Legge di Sosio non dice che ciò che segue sarà sempre peggio di ciò che viene prima. Per fare un altro esempio fantascientifico e alienarmi gli ultimi quattro trekker che ancora non mi odiano dopo quanto detto sopra, The Next Generation era di gran lunga migliore della Serie classica, e Deep Space Nine è stata allo stesso livello, se non migliore. La Legge di Sosio non dice che a una cosa cattiva seguirà una cosa pessima; può benissimo seguire una cosa migliore (c’è speranza, insomma!). Ma non illudiamoci: prima o poi quella pessima arriverà.

    La Legge di Sosio quindi dice cose interessanti: dice che la nostra esperienza della vita ha degli alti e bassi, ha delle oscillazioni, ma anche che queste oscillazioni tendono ad aumentare di ampiezza, alla faccia di Foucault e della seconda legge della termodinamica. Insomma, la Legge di Sosio dice che se fate come Neil deGrasse Tyson, vi mettete la boccia del pendolo attaccata alla faccia e la lasciate andare, quando torna potrebbe sfondarvi il naso.

    Un gioco interessante da fare con la Legge di Sosio consiste, per esempio, nel fare un elenco delle cose peggiori che abbiate mai visto (letto, seguito, giocato, eccetera) e poi smarcarle quando vengono superate. Ridley Scott riuscirà a fare film di Alien ancora peggiori, tanto da farci piacere Prometheus? Esordirà un cantante così più insopportabile di Povia da farci dire be’, tutto sommato? Un primo ministro inglese riuscirà a collezionare più batoste consecutive di Theresa Dismay? Arriverà mai un interprete di James Bond che ci faccia rimpiangere George Lazenby? Il remake che dovrebbe essere in produzione di Highlander riuscirà a essere peggio di Highlander II?

    A dire la verità qui si introduce un problema, di questa legge: quando un film è davvero brutto brutto brutto, nessuno guarda gli eventuali seguiti. Secondo IMDb, per esempio, il quarto film di Highlander sarebbe già peggiore di Highlander II. Ma neppure io ci tengo a guardarlo solo per confermare la mia legge. E forse il remake è già così brutto prima ancora di essere girato che è possibile che abbiano proprio rinunciato a farlo: è un po’ che non se ne sente più parlare, in effetti.

    Ma è applicando la Legge di Sosio alle grandi crisi della società umana che arriverete davvero a odiarmi. Ogni guerra negli ultimi mille anni l’ha confermata, facendo più morti e più danni e più orrori di quella precedente. Quando arriverà il momento in cui sarà verificata rispetto alla Seconda guerra mondiale sarà bene aver già trovato il modo di colonizzare altri pianeti, perché restare su questa palla di fango sarà poco sano.

    Ma del resto: tutti noi appassionati di fantascienza lo abbiamo sempre saputo, no? Anche senza bisogno di leggi e teorie strampalate.

    C’è una speranza però – come dicevo, c’è sempre speranza: prima dell’arrivo della guerra che ci farà rimpiangere la Seconda guerra mondiale potremmo estinguerci a causa dell’inquinamento, rendendo impossibile, almeno in quel caso, l’adempimento della Legge.

    (P.S. Questo numero è uscito parecchio in ritardo, a causa di alcuni specifici problemi; speriamo di recuperare col prossimo e speriamo che sia valsa la pena dell’attesa. A cominciare dalla copertina che ci sembra splendida e che vede l’esordio su Robot di Galen Dara. Non è bravissima?)

    Illustrazione di Matteo Di Gregorio

    NARRATIVA

    Uncanny Valley

    Greg Egan

    Traduzione di Marco Crosa

    Nel corso di un’Italcon di alcuni anni fa, Valerio Evangelisti ebbe a dire: "Se avete un amico che vuole iniziare a leggere fantascienza, prestategli un libro di Greg Egan e non vorrà provarci mai più." Ora, è vero che l’autore australiano (Perth, 1961) scrive una fs talmente hard da spiazzare il lettore meno navigato; è vero anche che a volte ha una scrittura talmente ostica da mettere a dura prova la resistenza (pensiamo a titoli come Teranesia o Distress). Però è anche vero che è capace di infilare in un testo nemmeno tanto lungo una quantità di idee che ad altri autori richiederebbe un intero ciclo di romanzi (e qui alludiamo allo straordinario Permutation City, che porta all’estremo speculazioni scientifiche come non si leggevano dai tempi de La città e le stelle di Clarke, o ai racconti delle antologie Luminous e Axiomatic).

    In realtà la fs di Egan non è solo autenticamente hard nel senso in cui lo erano i classici dell’Età d’Oro, ma lo è anche in modo, per così dire, aggiornato, spaziando dalla fisica quantistica alla psicologia, dalla genetica alle ipotesi sull’intelligenza artificiale, sulla realtà virtuale e sulla natura della coscienza e su cosa (ci?) rende umani.

    Tuttavia in molti testi Egan fa emergere gli stessi temi in maniera più lineare, spesso utilizzando il pretesto dell’indagine poliziesca o di una ricerca personale del protagonista. È il caso di TAP (Robot 47) o di questo racconto. A questo proposito, un’avvertenza: si è preferito mantenere il titolo originale perché intraducibile, o perlomeno non avrebbe una traduzione univoca, anche se sarà familiare per chi ha cognizioni di robotica. Per chi non le avesse: il termine si riferisce, grosso modo, alla sensazione spiacevole che si prova alla vista di robot o di immagini di esseri umani create al computer quando appaiono molto simili a un umano vivente. PS: ovviamente è la stessa Valle a cui Egan fa per due volte riferimento nel testo. (FL)

    1

    Durante una pausa nel flusso delle immagini, gli venne in mente che stava sognando da un tempo immemorabile e che voleva smettere. Ma quando provò a immaginare la scena che lo avrebbe accolto al risveglio, la sua mente agguantò la domanda e la sviscerò, non tanto cambiandone l’argomento quanto evocando dall’oscurità risposte che secondo lui avevano cessato da tempo di essere corrette. Ricordò il letto a castello dove lui e suo fratello avevano dormito fino ai nove anni, con quei pezzi di molle rotte che gli penzolavano sopra la testa come minuscole stalattiti grigie. Il paralume della lucetta da lettura aveva piccoli fori a forma di diamante: lui li copriva con le dita e fissava la luce rossa che filtrava tra la sua carne, finché il calore della lampadina non diventava troppo intenso per sopportarlo.

    Più tardi, in una stanza tutta sua, il letto era provvisto di spalliere metalliche cave con tappi di plastica facilmente rimovibili, cosa che gli aveva consentito di gettarvi dentro mozziconi di matite masticati, spille che avevano mantenuto accuratamente piegate le camicie di scuola appena acquistate, puntine deformate da maldestri colpi di martello nel tentativo di incidere immagini con lo zinco su ceppi di legna da ardere, ciottoli di ghiaia che gli erano in qualche modo finiti nelle scarpe, moccio disseccato grattato via dal fazzoletto e minuscoli pezzetti di carta appallottolati, ognuno dei quali riportava un riassunto in quattro o cinque parole di qualcosa che all’epoca era sembrato importante; il tutto andava a costituire una testimonianza della sua vita simile a un campione di carotaggio degli strati geologici, un ritrovamento che i futuri archeologi avrebbero trovato assai più emozionante di qualsiasi diario.

    Ma ricordava anche un’annebbiata visione dall’angolo in basso di indumenti sparsi sul pavimento, in un monolocale senza letto, ma solo con un divano pieghevole. Gli appariva remota quanto la sua infanzia, ma qualcosa lo spingeva a continuare ad arricchire i dettagli della stanza. C’era una macchina da scrivere su un tavolo. Sentiva l’odore del nastro inchiostrato e rivedeva la scatola in cui era stata imballata, riposta su uno scaffale d’angolo in una cartoleria, con le lettere bianche su sfondo blu, ma le parole esatte che formavano gli sfuggivano. Aveva sempre dato la caccia ai nastri completamente neri, benché la maggior parte delle cartolerie vendesse solo quelli in nero e rosso. Chi mai aveva bisogno di scrivere qualcosa in rosso?

    Pulendosi le dita macchiate d’inchiostro su una pagina scartata dopo un cambio di nastro, capì che l’intera scena era un anacronismo e cercò di seguire quell’intuizione fino alla superficie, come un tuffatore cerca il barlume del sole lontano. Ma c’era qualcosa che lo appesantiva, lo ancorava alla fredda sedia di legno nella stanza priva di riscaldamento, con una risma di carta bianca alla sua destra, una pila di fogli terminati a sinistra, un cestino per la carta straccia sotto il tavolo. Doveva urgentemente rimediare al modo in cui l’occhiello della e a volte veniva fuori completamente nero, spingendolo a ripulire tutti i martelletti con una vecchia T-shirt inumidita con alcol metilico. Se non ci avesse pensato adesso, temeva che non ne avrebbe più avuto la possibilità.

    2

    Adam decise di fare il contrario di tutto ciò che gli avevano consigliato e di partecipare al funerale del vecchio.

    Il vecchio in persona lo aveva avvertito di astenersi. – Perché andarsi a cercare i problemi? – aveva chiesto, guardando Adam dal letto d’ospedale con quella sconcertante bramosia vampirica che era andata intensificandosi verso la fine. – Più glielo sbatti in faccia, più è probabile che vengano a tormentarti.

    – Credevo avessi detto che non potevano farlo.

    – Ho detto solo che avevo fatto del mio meglio per fermarli. Vuoi tenerti l’eredità o sperperarla in avvocati? Non trasformarti in un bersaglio, se non occorre.

    Ma poi, in piedi sotto la doccia e godendosi la sensazione dell’acqua bollente che gli tamburellava sulla pelle, Adam sentì crescere la propria risolutezza. Perché non doveva osare farsi vedere? Non aveva nulla di cui vergognarsi.

    Qualche tempo prima il vecchio gli aveva regalato alcuni completi e lui li aveva appesi accanto ai suoi vestiti. Adam ne scelse uno e lo stese sul letto, poi si fermò a far scorrere le dita sulla manica consunta di una vecchia camicia color verde oliva. Era sicuro che gli andasse ancora bene e per un attimo pensò di indossarla, ma poi il pensiero lo mise a disagio e scelse una di quelle che gli erano arrivate insieme ai completi.

    Mentre si vestiva guardò il letto intatto, cercando di pensare a una buona ragione per cui ancora non aveva lasciato la stanza degli ospiti. Nessun altro sarebbe venuto a occupare questa. Ma non doveva mettersi troppo a suo agio lì; forse avrebbe dovuto vendere la casa e traslocare in un alloggio assai più modesto.

    Adam avviò la procedura per prenotare un’auto, poi si rese conto di non avere idea di dove si svolgesse la cerimonia. Trovò infine i dettagli in fondo al necrologio del vecchio, dove si diceva che era aperta al pubblico. Mentre sostava fuori dalla porta in attesa dell’auto, cercò per la terza o quarta volta di leggere il necrologio, ma gli occhi continuavano ad annebbiarglisi. Morris bla bla bla… Morris bla bla bla…

    Il suo telefono emise un bip, poi il cancello si aprì e l’automobile entrò nel vialetto. Sedette al posto del passeggero e guardò il volante eseguire il suo trucchetto da poltergeist mentre faceva l’inversione a U. Sospettò che qualunque vittoria gli avvocati fossero riusciti a ottenere, lui avrebbe continuato a pagare il sovrapprezzo per guida non sorvegliata ancora per un bel po’.

    Mentre l’auto imboccava il Sepulveda Boulevard, il panorama gli sembrò strano — in parte familiare, in parte sbagliato — ma forse c’era stata qualche recente ristrutturazione. Smorzò la polarizzazione dei vetri, sperando di spezzare la perdurante sensazione di trovarsi separato da ogni cosa. Il riverbero del marciapiede sotto il cielo azzurro senza nuvole era spietato, ma lui tenne i finestrini trasparenti.

    Il sito era una specie di edificio simile a una cappella che probabilmente serviva per sette diversi tipi di sala riunioni, ed era in ogni caso libero da vistosi simboli di ispirazione religiosa o spirituale. Il vecchio aveva lasciato i suoi resti a una scuola di medicina, quindi perlomeno si sarebbero risparmiati un viaggio al cimitero di Forest Lawn. Scendendo dalla macchina, Adam vide uno dei nipoti, Ryan, dirigersi all’ingresso in compagnia della moglie e dei figli adulti. Il vecchio non aveva mai passato troppo tempo con nessuno di loro, ma aveva trovato delle foto recenti e le aveva mostrate a Adam affinché non si facesse cogliere alla sprovvista.

    Adam rimase indietro e attese che gli altri entrassero prima di attraversare il piazzale. Quando si avvicinò alla porta e vide il grande ritratto del vecchio, in versione decisamente precancerosa, su un cavalletto accanto al podio, il suo coraggio cominciò a vacillare. Ma si fece forza e proseguì.

    Tenne lo sguardo basso mentre entrava nel salone e scelse un posto sulla prima panca non occupata delle prime file, tenendosi abbastanza lontano dalla corsia da impedire che qualcuno potesse strusciarsi su di lui per sedersi più avanti. Dopo circa un minuto, un uomo anziano occupò il posto della corsia; Adam scoccò una rapida occhiata al suo vicino, ma non lo riconobbe. Il suo tempismo era stato perfetto: appena un po’ più tardi e il suo arrivo avrebbe attirato l’attenzione, mentre se fosse arrivato prima ci sarebbe stata gente che indugiava all’esterno. Qualunque cosa succedesse poi, nessuno avrebbe potuto accusarlo di fare uno sforzo cosciente per piantare grane.

    Ryan salì i gradini del podio. Adam tenne lo sguardo fisso sulla spalliera della panca di fronte; si sentiva come un bambino intrappolato in chiesa, sebbene nessuno lo avesse costretto ad andare lì.

    – L’ultima volta che ho visto lo zio – cominciò Ryan – è stata quasi dieci anni fa, al funerale di suo marito Carlos. Fino ad allora avevo sempre pensato che quassù a declamare l’elogio funebre ci sarebbe stato Carlos, molto più bravo ed eloquente di me o di chiunque altro.

    Adam sentì come se un treno merci gli attraversasse il petto, ma tenne gli occhi puntati su una chiazza scolorita nel lucido del legno. Era stata una pessima idea, ma ora non poteva più fare marcia indietro.

    – Lo zio era il figlio più giovane di Robert e Sophie Morris – proseguì Ryan. – Sopravvisse a suo fratello Steven, a sua sorella Joan e a mia madre, Sarah. Anche se non siamo stati mai molto intimi, mi rincuora vedere così tanti dei suoi amici e colleghi riuniti qui a rendergli omaggio. Guardavo le sue serie, ovviamente, ma chi non lo faceva? Mi sono chiesto se non sarebbe stato opportuno proiettare una raccolta dei suoi momenti migliori, ma persone informate mi hanno riferito che ci sarebbe stato un tributo speciale alla cerimonia degli Emmy e ho deciso di non fare concorrenza ai bot montatori professionali.

    Quella battuta provocò qualche risatina sommessa, e Adam si sentì obbligato ad alzare gli occhi e sorridere. Nessuno in quella famiglia era una specie di mostro, qualunque cosa aspirassero a fargli. Avevano semplicemente le loro personali opinioni sul suo rapporto con il vecchio, acuite dal miraggio di qualche milione di dollari, ma probabilmente avrebbero provato gli stessi sentimenti a prescindere dai soldi.

    Ryan mantenne breve il suo contributo, ma quando lasciò il posto a Cynthia Navarro, Adam dovette riportare lo sguardo sulla panca. Dubitava che lei lo avrebbe riconosciuto — aveva lavorato con il vecchio nel periodo sbagliato — ma il calore e il cordoglio nella sua voce resero i suoi aneddoti molto più difficili da ignorare rispetto alla sintesi automatica di voci di database e citazioni sbagliate di cui era fatto il necrologio. Finì raccontando di quella volta che avevano passato tutta la notte a cercare il modo di salvare le riprese in esterni con seicento comparse dopo che Gemma Freeman si era rotta una gamba e avevano dovuto portarla via in elicottero. Mentre lei parlava, Adam chiuse gli occhi e immaginò le pagine del copione coperte di annotazioni sparpagliate sul tavolo, e Cynthia che restava incredula a bocca aperta davanti ai rimedi sempre più disperati escogitati dal suo amico.

    – Comunque alla fine è andato tutto bene – concluse lei. – La svolta narrativa che nessuno spettatore si aspettava, quella che portò la terza stagione a un livello completamente nuovo, deve la sua esistenza alla chiazza d’olio perduta da un generatore che per puro caso era stato posizionato tra la roulotte della signorina Freeman e…

    Fu interrotta dalle risate che si levarono dall’assemblea, e Adam si sentì costretto ancora una volta ad alzare lo sguardo. Ma prima che il rumore dell’ilarità si smorzasse, il suo vicino di posto si chinò verso di lui e gli chiese bisbigliando: – Ti ricordi di me?

    Adam si girò appena, senza voltarsi direttamente verso l’uomo. – Dovrei? – L’altro aveva un accento della West Coast difficile da individuare, e anche se induceva un certo senso di déjà-vu, lo stesso valeva per le voci fuori campo della pubblicità o per le conversazioni casuali captate in ascensore.

    – Non saprei – rispose l’uomo. Il suo tono era più divertito che sarcastico; intendeva quelle parole alla lettera. Adam si sforzò

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