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Mi dispiace, suo figlio è autistico
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Mi dispiace, suo figlio è autistico
E-book152 pagine2 ore

Mi dispiace, suo figlio è autistico

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Info su questo ebook

«È arrivato il momento di cominciare a considerare l’umanità come una polifonia di voci e strumenti differenti che, nonostante le dissonanze, suonano insieme». 
Sono le parole di una madre, che è anche un medico, nate accanto alla realtà di vivere ogni giorno una relazione speciale. Essere genitori di bambini, ragazzi (e un giorno adulti) autistici significa essere più che mai tramite tra il figlio e il mondo. Portavoce per lui o lei di parole, desideri, emozioni. Portavoce presso le istituzioni e l’opinione pubblica di ferme richieste di attenzione a bisogni unici, di esigibilità di diritti spesso negati. Di tutto questo si legge nel testo, con riferimenti anche a biografie di personaggi noti.
Considerare la persona autistica come protagonista della propria vita è un obiettivo di sviluppo culturale e umano per tutti.
LinguaItaliano
Data di uscita22 feb 2019
ISBN9788865792070
Mi dispiace, suo figlio è autistico

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    Anteprima del libro

    Mi dispiace, suo figlio è autistico - Gabriella La Rovere

    Marchegiani

    Il libro

    «È arrivato il momento di cominciare a considerare l’umanità come una polifonia di voci e strumenti differenti che, nonostante le dissonanze, suonano insieme».

    Sono le parole di una madre, che è anche un medico, nate accanto alla realtà di vivere ogni giorno una relazione speciale. Essere genitori di bambini, ragazzi (e un giorno adulti) autistici significa essere più che mai tramite tra il figlio e il mondo. Portavoce per lui o lei di parole, desideri, emozioni. Portavoce presso le istituzioni e l’opinione pubblica di ferme richieste di attenzione a bisogni unici, di esigibilità di diritti spesso negati. Di tutto questo si legge nel testo, con riferimenti anche a biografie di personaggi noti.

    Considerare la persona autistica come protagonista della propria vita è un obiettivo di sviluppo culturale e umano per tutti.

    L’autrice

    Gabriella La Rovere è autrice di teatro, medico e giornalista. Collabora con il sito Per noi autistici. Ha scritto alcuni libri, tra i quali: L’orologio di Benedetta (Mursia, Milano, 2014), Pedagogia della lettura ad alta voce (Armando, Roma, 2018) e Alice e altre storie (Augh!, Viterbo, 2018).

    Indice

    1. Blackout

    2. Facili illusioni

    3. Parlarne

    4. Il dolore, il senso

    5. Persone e diritti

    6. Troviamo un modo

    7. Stranieri tra i simili

    8. La vita come tutti

    9. Coltivarsi

    10. Sentire in musica

    11. Genio

    12. E a letto cosa facevate?

    13. Relazione e inclusione

    14. Vita di coppia: chi, noi?

    15. Il cuore e l’ispirazione

    16. Poi tutto passa!

    17. Il bambino, non la malattia

    18. Cause ed effetti

    19. Genitori con superpoteri

    20. Nelle maglie della rete

    21. Parola al sintomo

    22. Scuola, inclusione ipocrita

    23. Te lo dico con un abbraccio

    24. I pazzi non nominano mai la pazzia

    25. Prendere parola

    26. Creatività e immaginazione

    27. Un nuovo artista

    28. Anna dei miracoli

    29. Sinestesia straordinaria

    30. Come giocolieri

    31. Nessuno è mai pronto

    32. Autodeterminazione

    33. Prove di un futuro possibile

    Postfazione scellerata, di Gianluca Nicoletti

    La persona autistica viene spesso messa nel ruolo

    di chi apprende e raramente in quello di docente.

    La nostra umiltà è arrivare a capire questo.

    Gli articoli proposti in questa raccolta sono stati pubblicati sul sito Per noi autistici (www.pernoiautistici.com), punto di riferimento per l’informazione e la riflessione in tema di autismo in Italia. I pensieri, e poi gli articoli, nascono nel cuore della notte davanti a una tazza di caffè bollente, momento irrinunciabile di calma prima che il giorno inizi. Sono scritti che prendono spunto dalla cronaca o dalle esperienze personali dell’autrice, con l’obiettivo di stimolare la riflessione sui grandi temi legati alla disabilità, anche quelli più scomodi: sessualità, amore, diritto allo studio, solidarietà, inclusione, relazione d’aiuto, educazione. Non mancano riferimenti a biografie di personaggi famosi, legati in qualche modo alla disabilità e alla pedagogia.

    1. Blackout

    Quando decisi di prendere il tesserino da giornalista pubblicista, avevo chiaro in mente cosa avrei fatto. Sicuramente non avrei scritto di disabilità e neanche di tutto quello che girava intorno a questo mondo così difficile, lontano anni luce dalla rassicurante consuetudine fatta di giorni più o meno uguali con il minimo consentito dell’imprevisto. Non volevo contaminare ciò che sarei potuta diventare come scrittrice con i tormenti e le beghe del quotidiano. La mia sofferenza era conosciuta solo in famiglia e, anche lì, mi ero trovata talvolta a omettere alcune situazioni difficili nelle quali ero incappata. Ogni buon proposito andò in malora sabato 27 settembre 2003.

    Mia figlia aveva da poco iniziato la prima media. I cinque anni delle elementari erano trascorsi abbastanza bene. Le tre maestre, espressione del modulo didattico in voga negli anni Novanta, si erano alternate nella gestione di Benedetta riuscendo a farla stare in classe per tempi progressivamente più lunghi, a tollerare ogni minimo rumore estraneo a quelli comuni di una scolaresca di bambini alle prese con la disciplina, ad abituarla all’uso della penna, ad accompagnarla nel difficile mondo delle abilità prassiche fino alla lettura, prima di brevi frasi e poi di piccoli racconti.

    L’inserimento in un’altra scuola era stato preceduto da diversi incontri con la nuova preside, il corpo docente e i due insegnanti di sostegno che si sarebbero alternati per il raggiungimento delle ore che le erano state assegnate. Sempre poche, insufficienti al bisogno, allora come ora.

    Avevo raccontato di Benedetta, delle sue abilità, delle criticità che avrebbero potuto innescare i cosiddetti comportamenti-problema. Alle mie parole si erano aggiunte quelle delle sue maestre elementari che, in un altro incontro, avevano raccontato dell’alunna dal loro punto di vista. Tutto perfetto, organizzato, sarebbe dovuto andare liscio come l’olio.

    Già dopo la prima settimana, mi ero accorta che il quaderno di Benedetta era pieno di veri e propri scarabocchi, nessuna intenzione di arte grafica, seppur alternativa. Chiesi spiegazione all’insegnante di sostegno che mi rassicurò: era tutto sotto controllo, l’aveva lasciata libera di esprimersi per favorire l’inserimento. Le ricordai nuovamente che lei era in grado di leggere e scrivere, magari avrebbe potuto ripetere gli esercizi dell’anno precedente. Altre parole di conforto e quel sorriso che si riserva da sempre ai genitori con figlio disabile.

    Passarono ancora dei giorni e un altro quaderno venne riempito di svolazzi senza senso. La rabbia cominciò a montarmi e l’esplosione si ebbe in quel fatidico sabato quando la andai a prendere a scuola e la trovai da sola a vagare all’ingresso, senza nessuno accanto. Il bidello era impegnato in tutt’altre faccende, assolutamente lontano da lei. Entrai come una furia per chiedere spiegazioni e lo stesso bidello, con lo sguardo di chi è sorpreso e non si spiega tanta rabbia, mi informò che c’era stata l’uscita un’ora prima. Presi lo zaino di Benedetta e frugai alla ricerca di una comunicazione sul diario o sul quaderno. Niente. Solo scarabocchi. A quel punto, avvampata anche più di Ade del cartone animato Hercules (Ron Clements e John Musker, 1997), pretesi di parlare con la preside. Impossibile, anche lei uscita un’ora prima. Andai via di là incapace di contenere l’enorme incazzatura.

    Arrivata a casa preparai il pranzo per Benedetta, ovvero il solito menù monocromatico fatto di pasta al burro e mozzarella e, con la rabbia ancora dentro, scrissi una lettera aperta a tutti i giornali italiani. La disorganizzazione e l’incompetenza non potevano più essere tollerate.

    La notte tra il 27 e il 28 settembre 2003 accadde il più importante blackout nella storia del nostro Paese e tutta l’Italia rimase senza corrente elettrica per più di dieci ore. All’interno di casa si consumò un vero dramma perché Benedetta si svegliò in concomitanza con l’inizio dell’interruzione di corrente, e cioè alle 3.30, quando si spense la luce sul comodino. Da lì fu un alternarsi di pianto, disperazione affinché io accendessi la televisione e la luce in camera. Cercai in ogni modo di calmarla e appena spuntò l’alba la misi in macchina e vagammo fino all’ora di pranzo.

    Il giorno dopo i giornali titolarono del grande incidente elettrico e io, sfinita dalla giornata precedente, mi ero scordata quello che avevo scritto. Ma quella lettera era stata la prima a denunciare apertamente le mancanze della scuola, a sconfessare la tanto strombazzata inclusione, a ridicolizzare il sentimento di uguaglianza con il quale ancora ci si riempie la bocca, senza far seguire i fatti concreti alle parole.

    L’8 ottobre la lettera era sulla prima pagina del manifesto e da lì non è stato più possibile tirarmi indietro.

    Mia figlia a scuola

    Sono la mamma di una splendida bambina di 11 anni affetta da sclerosi tuberosa. Ma non è della malattia che vorrei parlare, anche se ci sarebbe da chiedere un maggiore impegno da parte della comunità scientifica verso quelle malattie che definisco perle rare, ma che non sono di moda e non portano alcun vantaggio alle case farmaceutiche. Ciò che vorrei rendere noto è la situazione scolastica e l’ipocrita concetto della integrazione. Faccio una breve, ma doverosa, premessa. Sono contraria a tutte le etichette usate e continuamente cambiate, tipo handicappato, disabile, fino all’illuminante diversamente abile. Chi abbiamo di fronte è una persona con una patologia di base. Ma si parla di persone, caratterizzate da un aspetto esteriore e da tutto un mondo interno fatto di emozioni ed esperienze che meritano le giuste considerazioni. Io mi rifiuto di definire mia figlia disabile, quando questo appellativo tende a classificarla in un gruppo a parte. Lei è diversa da tutti perché è lei.

    Detto questo, ritorno al problema scuola. Siamo arrivati al 2003 e ancora noi genitori dobbiamo combattere con la carenza numerica e formativa degli insegnanti di sostegno. Sembra che poi la nuova riforma scolastica porterà a bambini più proiettati verso l’Europa, rendendoli parte di questo villaggio globale. Ma per fare questo occorre dare un taglio alle spese meno importanti: quelle che riguardano i diversabili.

    Si riducono le ore dedicate alla loro formazione in rapporto 1:1 e aumenta l’ansia del corpo docente che non sa gestire la classe arricchita da quell’elemento così particolare. Perciò il bambino viene abbandonato a se stesso o alle cure di una bidella paziente: scarabocchia, gioca, insomma né più né meno di ciò che farebbe a casa se venisse lasciato allo stato brado.

    Ci sono genitori, economicamente più fortunati, che hanno pensato bene di far seguire privatamente il loro figlio da un insegnante e solo così si sono potuti raggiungere obiettivi cognitivi importanti. Ma la malattia o la diversabilità non ha preferenze di casta e coloro che non hanno la possibilità di organizzarsi al meglio sono destinati a raggiungere il minimo.

    Non si dà loro alcuna chance di cambiare, di migliorare. Non sarebbe meglio ripristinare la Rupe Tarpea¹, invece di nasconderci dietro un’ipocrisia che non dà spazio all’altro, sia esso di nazionalità diversa, di età diversa, o semplicemente malato?

    E se la scuola elementare, per un verso o per l’altro, sembra galleggiare nel mare dell’insoddisfazione, si arriva alla scuola media e ci si trova di fronte a un altro mondo, ancora meno preparato ad accettare questi ragazzi.

    Sono passate tre settimane dal primo suono della campanella e ancora non si sa

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