Solitudini
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Anteprima del libro
Solitudini - Marcello Loprencipe
Campi di Parole – 29
Solitudini
MARCELLO LOPRENCIPE
Campi di Carta© 2024 Campi di Carta, Associazione Culturale
00141 Roma, Via Val Maggia 60
http://www.campidicarta.org
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In copertina Solitudini
, opera realizzata dal maestro Massimo Mazzieri.
ISBN 978-88-98555-90-1
Indice
Prefazione
Luoghi intermedi
La madonna con la pistola
2023
Solitudine
1978
Soluzione finale
1979
Il pendolo
1988
Tenebre
1996
Il filo d’argento
2004
Il campanello
2007
Il sogno della quercia
2008
Soli
2009
Il segreto della lente
2013
Posto 51
2015
Dialoghi
2019
Augusto
2022
Il confessionale
2023
Rose
2023
L’accordatore
2023
Il cavaliere
2023
Folla in città
2024
La targa
2024
L’autore
Prefazione
Un vecchio pendolo resta sempre ed esattamente un’ora indietro. Le misteriose apparizioni di una bambina lungo una spiaggia e gli strani sogni di un padre. Un bizzarro venditore di francobolli scompare all’improvviso, ma nessuno sembra accorgersene. Il giovane Francesco inventa un marchingegno per catturare la musica delle stelle. Un nobile cavaliere ai tempi del Barbarossa trova la propria strada. Un vedovo, il suo confessore e la magia nera. E poi ancora robot, animali, alberi, uomini e donne di diverse età ai margini di un mondo che li respinge. È la solitudine, narrata nei suoi molteplici aspetti, a fare da filo conduttore in questa raccolta. Con la sola eccezione del racconto d’apertura, si è scelto di mantenere l’ordine cronologico in cui sono stati composti perché ciò permette di seguire il percorso evolutivo dell’autore, dalle visioni premonitrici nei suoi primi scritti fino agli ultimi, nei quali non mancano riferimenti a vicende storicamente accadute e a fatti legati alla cronaca recente. Immergersi in questi racconti è varcare la soglia del reale per entrare in un mondo dove i significanti celano spesso significati profondi, allegorie, coincidenze e arcani segni.
Marcello Loprencipe
Capita
che il cuore ricordi
di aver attraversato altre esistenze
e ora svuotato è lì,
come un abito lasciato a terra
prima del sonno.
Mi vedo,
su di una vetta
che potrebbe essere il ciglio
da cui spiccare il volo in direzione di cieli
colmi di nuvole
oppure…
l’orlo di un abisso senza fine
che orrido si spalanca sotto di me,
pronto a inghiottirmi.
In fondo,
tutti i sogni
non sono altro che
luoghi intermedi.
La madonna con la pistola
2023
‟Non ti fidare, ragazzo mio,
di quelli che promettono di farti ricco
dalla mattina alla sera.
Per il solito, o sono matti o imbroglioni.„
Carlo Collodi
Gennaro sta camminando lungo vico de’ Panettieri, poco distante da via dei Tribunali. Con le mani in tasca colpisce piccoli oggetti finiti sotto i suoi piedi. A volte si tratta di una lattina e allora la calcia quasi fosse un pallone, trascinandola con sé per qualche metro. Ha la testa piena di pensieri il ragazzo.
È tornato nei luoghi dove il giorno precedente si è celebrato il funerale di mamma Titina. Durante la messa, all’interno della chiesa dei Gerolomini dedicata alla Natività di Maria Santissima e a tutti i Santi, lui era rimasto lì, nel primo banco, e poi aveva seguito il carro funebre, sempre innanzi agli altri, fino a Santa Maria del Riposo, il Cimitero Nuovissimo. Una folla aveva assistito alla cerimonia, strana all’apparenza perché officiata per una persona umile in un luogo così ricco di tesori. Ma la donna faceva parte di un gruppo di fedeli che quotidianamente si prendeva cura degli altari con tanti piccoli gesti, come rinnovare i fiori o lavare le tovaglie bianche guarnite di pizzi preziosi. Era stata una devota di Maria Santissima e non aveva mai mancato di fermarsi alcuni minuti in preghiera di fronte all’edicola con l’antica Madonna e il suo bambino, situata in un angolo della piazza.
Al funerale aveva partecipato pure don Raffaele. Lì, nella zona della città che arriva giù fino al mare lambendo a nord i quartieri spagnoli, lui è rispettato da tutti. Era rimasto in disparte perché mamma Titina non l’avrebbe voluto fra i presenti. Ma, si sa, i morti non possono metter bocca in questo genere di cose.
Quella donna sola e senza figli aveva strappato Gennaro alla strada accogliendolo nella propria casa, composta da un’unica stanza. Non era quindi la madre naturale: di quest’ultima al bambino erano restati soltanto vaghi ricordi che risalivano alla sua primissima infanzia. Fattosi grande, aveva chiesto in giro notizie e qualcuno gli aveva raccontato una storia, una storia di prostituzione e di grandi navi.
Una giovane, dopo aver abbandonato il figlioletto davanti alla chiesa dei Gerolomini, era stata vista salire su una di esse, e di lei in seguito non si seppe più nulla.
Ora, trascorsi dieci anni, ha smesso di pensare alla sua vera madre perché i figli sono di chi li cresce. Lui lo aveva tirato su mamma Titina che, terminata la guerra, campava vendendo sigarette fuori dall’uscio di casa, nel vicolo di fianco alla chiesa. Era riuscita persino a mandarlo a scuola fino alla licenza elementare, ma poi i soldi avevano iniziato a venir meno. Di certo smerciando altro ci sarebbe riuscita, ma si era sempre rifiutata di avere a che fare con la droga.
Un calcio di Gennaro colpisce una bottiglia di birra vuota che, dopo aver rotolato per alcuni metri, si mette prima a girare come una trottola e più avanti si arresta contro un muro.
Da un po’ di tempo però il ragazzo qualche quattrino a casa aveva cominciato a portarlo, impegnandosi in mille lavoretti: rimaneva in fila per altri alla posta, consegnava la spesa e i caffè dei bar, faceva il guardamacchine. Addirittura era riuscito ad andare allo stadio due volte a tifare per gli azzurri, anche se nel campionato 2010-2011 il Napoli di Maradona sembrava solo un ricordo.
Gennarì, vieni accà!
È la voce di don Raffaele a raggiungerlo e lui vorrebbe cambiare direzione per non incontrarlo, ma ormai è troppo tardi. L’uomo ha bisogno di manovalanza come quella: giovani privi di futuro.
A disposizione don Raffae’!
Ora che mammà non ci sta più, cci penzo io a te
, e appoggia una mano sulla sua spalla in un gesto che non è di affetto, ma una vera e propria imposizione.
Stanno buone cinquecento euro al mese in canciu di qualche lavoretto per me?
Eh! Cinquecento euro... magari!
Prima però tieni a dimmustrare di essere ‘nu bravu guaglione.
Ditemi!
Vedi Gennarì, carcheduno penza d’esse’ chiù furbo e va dicendo che non tiene bisuognu de’ prutezione.
Sono in mezzo alla via, fra macchine che passano e persone che ossequiano don Raffaele.
A me basta tu gli mostri lu ffierru e gli fai capire che ti mando io
continua con un tono di voce più basso.
Ma io non tengo una pistola!
replica Gennaro sentendosi già con le spalle al muro. Per questo l’altro lo incalza:
Non ti preoccupare, te la faccio avere io.
Dove, don Raffae’?
Chella cap‘ e cazz’ proprio ccà viene. Ogni matina quando rape putega si ferma ‘nnanzi a la maronna, a chiazza Gerolomini. E io proprio là te la faccio arrivare, apprimma ‘e passa isso.
Don Raffaele fa una pausa scrutando la reazione del ragazzo. Lui resta in silenzio, poi abbassa la testa annuendo.
Vuostru servu.
Dimanammattina fatti trovare apprimma delle sei nella chiazza addò sta la maronna.
Quella notte Gennaro non riesce a prendere sonno. Pensa a mamma Titina e a un posto in cui stare, perché già al camposanto il proprietario di casa gli ha fatto capire che aria tira.
Nun te precoccupa’ Gennarì, niesciuno vulè caccià de casa, poi ‘spettà una, duie anche tre simmane!
Ma dove potrebbe andare senza un lavoro e una lira in tasca?
I pensieri gli affollano la mente…
Bello di papà
, chissà come devono suonare queste parole.
Papà…papà… Cerca di immaginarlo visto che non l’ha mai conosciuto…
Papà…
Sono trascorse da poco le cinque ed è sceso in strada, però non va subito all’appuntamento perché non vuole destare sospetti.
In piazza invece c’è già Totonno che ha un bar da aprire alle sei e mezza: è lui che tutte le mattine prima di alzare la saracinesca si ferma dinanzi alla madonna.
Intanto fila la moto guidata dal soldato di don Raffaele. Tiene la pistola sotto al giubbotto e sfreccia per via Foria, a poche centinaia di metri da piazza Gerolomini.
È giunta l’ora e il ragazzo percorre il breve tratto di strada che separa via dei Tribunali da quell’immagine tanto cara nel rione.
Toh, chi ce sta! Gennarino!
A parlare è la persona davanti alla madonna. Gennaro è sorpreso, non si aspettava di trovarsi di fronte a Totonno. Dunque è contro di lui che deve rivolgere la pistola, anche se è solamente per minacciarlo. No, non può essere…
Nello stesso istante all’altezza di via Miracoli la moto tampona una macchina che ha frenato bruscamente: l’uomo di don Raffaele dopo un volo di parecchi metri finisce sull’asfalto. Resta a terra appena qualche secondo mentre i passanti gli si avvicinano. Poi si rialza senza alcun grave danno apparente, ma solo con graffi alle mani e una lieve contusione alla spalla. Però si accorge di non avere più la pistola con sé, forse è finita sotto una delle macchine parcheggiate. La cerca, ma non è facile recuperarla lì in mezzo al traffico, e fra la gente che si sta radunando c’è chi ha già fermato una volante.
La pistola…
Bòna jurnàta Toto’!
risponde il ragazzo.
L’uomo è dinnanzi alla madonna, immobile, ma non sta pregando, fissa qualcosa a sinistra appresso all’edicola.
Gennarì, chista nun ce steva fino ajere.
Mentre lo dice indica il muro dove in effetti si vede un murales in bianco e nero che il giorno prima non c’era.
All’apparenza è una immagine sacra accanto a un’altra, lì chissà da quanto. Tuttavia una stranezza salta subito agli occhi, non tanto nella rappresentazione in sé: qualcuno ha dipinto una madonna con una