Quei vizi...
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Quando il lettore inizia la sua immersione senza ritorno in «Quei vizi…», si rende conto, a conclusione dell'opera, che la comunità di Rennes rivela di essere un contesto più che adeguato per il genere Novella. Dai corridoi appiccicosi dell'ospedale Pontchaillou agli inseguimenti e ai pedinamenti intorno al parco Thabor, si potrebbe quasi dimenticare il tradizionale asfalto parigino del romanzo noir. Nonostante sia un romanzo breve, non ci si può che affezionare allo spessore dei principali protagonisti Corynthe, Louise, e persino ai furfanti come Baloo.
Ciò che traspare, tuttavia, quando si ha la possibilità di conoscere un po' l'autore, è che il famoso Desmund Sasse gli assomiglia sotto molti aspetti. C’è da scommettere che Danquigny, come il suo alter ego, abbia anche lui trascinato i suoi passi per le strade e sui tetti delle università della stessa città. Più seriamente, tra un certo thriller rurale, che è impotente nei confronti della critica sociale inerente al genere, e il più conosciuto thriller urbano, «Quei vizi…» scava la sua traccia nello spazio delle novelle urbane portandoci una boccata d'aria fresca.
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Anteprima del libro
Quei vizi... - Danü Danquigny
Quei vizi...
Danü DANQUIGNY
© La Salamandre Liseuse
Introduzione di Marek CORBEL
Quando il lettore inizia la sua immersione senza ritorno in «Quei vizi...», si rende conto, a conclusione dell'opera, che la comunità di Rennes rivela di essere un contesto più che adeguato per il genere Novella. Dai corridoi appiccicosi dell'ospedale Pontchaillou agli inseguimenti e ai pedinamenti intorno al parco Thabor, si potrebbe quasi dimenticare il tradizionale asfalto parigino del romanzo noir. Nonostante sia un romanzo breve, non ci si può che affezionare allo spessore dei principali protagonisti Corynthe, Louise, e persino ai furfanti come Baloo.
Ciò che traspare, tuttavia, quando si ha la possibilità di conoscere un po' l'autore, è che il famoso Desmund Sasse gli assomiglia sotto molti aspetti. C’è da scommettere che Danquigny, come il suo alter ego, abbia anche lui trascinato i suoi passi per le strade e sui tetti delle università della stessa città. Più seriamente, tra un certo thriller rurale, che è impotente nei confronti della critica sociale inerente al genere, e il più conosciuto thriller urbano, «Quei vizi...» scava la sua traccia nello spazio delle novelle urbane portandoci una boccata d'aria fresca.
Marek Corbel
Diario di Desmund Sasse, martedì
Un martedì pomeriggio sotto l’opprimente calore di una canicola che non conta più i suoi morti. Il centro cardiopolmonare, ancora da finire, è occupato solo da due persone silenziose e stanche: io e il mio collega. L’educazione vuole che gli chieda il suo nome.
—Dipende dall’orario! —mi risponde, come niente fosse.
Rimango interdetto, fissandolo. Non lontano dalla cinquantina, più basso di me, rubicondo e baffuto, i capelli grigi e i lineamenti spessi e marcati, assomiglia un po' a super Mario nella tuta da lavoro che la compagnia di vigilanza ci ha rifilato come uniforme. Puzza di un vecchio liquore e le sue guance rosse la dicono lunga su una vita di ubriachezza.
—Cosa intendi?
—È Patrick la mattina, Patrack a mezzogiorno e Patatrack la sera!
Ride di gusto della sua battuta, anche se è abituato al fatto che di solito non funziona. Mi sforzo di imitarlo. Improvvisamente, sul nostro schermo di sorveglianza trasformato in una televisione dalle sue modifiche, il titolo delle corse di cavalli internazionali cattura la sua attenzione. Si ricorda di non aver giocato. Sto per commentare il suo spirito di osservazione brillante quando degli escursionisti sperduti entrano nell'edificio.
—Vado io. —gli dico, contento di trovare una via di fuga.
Con le mani in tasca, indico il percorso del Servizio dermatologia ai due pellegrini e ne approfitto per fare un giro di ronda. Esco, giro intorno al blocco operatorio, rientro attraverso il viale del parcheggio sotterraneo, scendo al secondo piano interrato (questa porta era aperta anche prima?), esco di nuovo, scorgo una finestra aperta al secondo piano, forzo un po’ la porta di sicurezza e mi prendo tutto il tempo per salire le scale e andare a chiuderla. Con questo maledetto caldo, gli operai arieggiano spesso, per rinfrescarsi o per fumare. Tuttavia, gli operai non ci sono da venerdì scorso. Le altre guardie, ieri, non hanno certamente fatto grandi cose.
Quando torno nell’atrio, trovo Patrick - Patrack in piena conversazione con quattro persone. Mi vede arrivare e fa un gesto verso un uomo alto e magro con le tempie grigie, distinto.
—Il signore è il professor Boisleau, vorrebbe far visitare il Centro ospedaliero a...
L'uomo lo blocca.
—Sì, e non ho un pass.
Lancio un’occhiata ai suoi compagni, tre persone anziane, tra cui una donna.
—Vi accompagno.
Prendo un mazzo di chiavi e li precedo.
Prima tappa della visita, la parte universitaria, la biblioteca, l’aula magna (e accessoriamente il luogo per le partite di freccette quando le notti sono lunghe e lavoro con JP), moquette rossa, colonne, grandi uffici e bar. Uno dei vecchietti, capelli bianchi immacolati e cappotto nero, si gira verso di me.
—Quando si studiava medicina, sessant'anni fa, non si era così ben attrezzati.
L'altro, cappello e giacca da caccia, annuisce. La donna ascolta le spiegazioni del professore con vivo interesse.
L’anziano riprende.
—Al centro ospedaliero universitario Hotel Dieu, gli edifici erano in mattoni, faceva freddo. Era tutt’altra cosa.
Gli sorrido anch’io, chiedendomi quanto fosse lontano dalla moderna medicina. Ripassiamo attraverso l’atrio per andare verso l'altra ala. Il professore, stretto nel suo cappotto marrone, mi chiede se è possibile mettere in funzione gli ascensori perché suo padre potrebbe avere problemi con le scale. Sorrido di nuovo al vecchio dottore dai capelli bianchi e imbocco le scale. Salgo al trotto i sette piani che mi separano dai macchinari, attraverso un corridoio, scendo i gradini fino al livello inferiore, entro nell'ascensore e ritrovo il mio gruppo al piano terra. Saliamo al secondo piano, dove ci sono una serie di uffici e sale sovraccariche di attrezzature complesse di cui nessuno capisce granché.
—... l'attrezzatura all’avanguardia, molto, molto sofisticata. Infatti, questo è un prototipo sviluppato da un laboratorio di Kuru, è arrivato ieri. Da solo, questo dispositivo vale quasi la metà del budget dell'ospedale. Solo quella lente —dice indicando un grande piatto sopra un letto— vale una piccola fortuna. E tutti i software di gestione e sviluppo che ci sono...
Indica una grande unità centrale, nera,