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Il grande amore che forse non fu
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Il grande amore che forse non fu
E-book182 pagine2 ore

Il grande amore che forse non fu

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Info su questo ebook

Zaccaria Ademaschi figlio, rinnegato e scacciato, della contessa

Mafalda è uno stimato giornalista indipendente e scrittore di scarsa

fama.E' cresciuto nei vicoli del centro storico genovese

nell'odiato Palazzo Ademaschi uno dei più importanti edifici

medievali iscritto nella lista dei Rolli protetti dall'UNESCO.L'insoddisfatto

35enne per riscattarsi agli occhi di sua madre e di sua moglie si fa

convincere da "G" viceministro degli Interni a spacciare droga nei

carruggi e farsi arrestare per infiltrarsi in una banda di spacciatori

di cocaina appartenenti alla 'ndrangheta. Una volta entrato nella gang

farà fallire la più grande importazione di droga mai riportata.Sotto

la Lanterna si svolgerà il carico su vagoni merci di 46 container

contenenti statue di bronzo del periodo dei conquistatori spagnoli; le

sculture sono state riempite di cocaina. Avverrà un raid delle forze

dell'ordine, Zaccaria sarà ferito gravemente e dopo essersi risvegliato

all'ospedale dal coma farà una scoperta rivelatrice e finalmente potrà

scrivere il libro più importante della sua vita "Coca scarlatta".
LinguaItaliano
Data di uscita16 set 2021
ISBN9791220356459
Il grande amore che forse non fu

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    Anteprima del libro

    Il grande amore che forse non fu - Giovanni Bertini

    I parte

    L’amore o è grande o non è

    Capitolo 1

    Coma

    Apro gli occhi e malgrado il capo sia impedito al movimento per avere la ventilazione forzata mi guardo intorno. Non sono sorpreso. Mi sorprendo ora a pensarci. Non sono più sulla nave da crociera Costa Deliziosa, adesso mi trovo in un ospedale.

    L’ultimo ricordo che ho è che sono sdraiato su un letto dell’infermeria della nave.

    Ora sto uscendo dal torpore causato dalla sedazione e un dolore in tutto il corpo mi assale. Sto soffocando. Un tubo mi ostruisce la gola. Rantolo rapidamente in cerca d’aria.

    Il braccio destro posato sull’addome stringe un pulsante.

    Premo quel coso disperatamente. Sto morendo. Soffro, tanto.

    Una bellissima dottoressa mi si avvicina.

    Lo giuro, sto esalando l’ultimo anelito e sono rapito dalla vista di quell’angelo biondo che indossa un camice bianco che mi pare fosforescente.

    Voglio la sedazione profonda sino a fine vita la dizione non è questa perché balbetto e lentamente gesticolo.

    Molte persone quando escono dal coma ricordano luci abbaglianti in fondo a un tunnel, un volto con capelli e barba biondi, occhi grandi e azzurri, oppure anche il volto angelico della Madonna. Probabilmente, se hanno la pelle scura, immaginano entità nere. Poi magari, se sono in grande agonia come me, invocano i predetti e la mamma in aggiunta.

    Io, invece, della parentesi comatosa non ricordo nulla.

    Al risveglio voglio, ordino, che stacchino la spina. Della mia vita, anzi, alla mia vita adesso non ci penso più.

    Senta, tre giorni si danno anche ai condannati a morte. Se in questo periodo non la sottraggo al suo tormento, le do la mia parola che le verrò incontro.

    Ho tanti difetti, sono egoista, egocentrico, individualista, menefreghista e tante altre cose che adesso non mi vengono in mente e che sicuramente la donna che tutti i giorni mi viene a fare visita inospedale potrebbe elencare a iosa.

    Ha un bel dire che è mia moglie (mi viene in mente adesso), ma essendo nel periodo del Covid-19 non la fanno entrare. Lascia i miei ricambi al portinaio dell’ospedale, soffia sulle dita un bacio e si raccomanda di conferirmelo. E lui lo fa. Incredibile.

    A proposito, la dottoressa, quell’essere celestiale che in effetti è il primario dell’ospedale S. Antonio Abate di Trapani, è stata di parola: non sono più in pena, però ho una grande debolezza.

    Se mi gratto un sopracciglio, il braccio mi cade sfinito. Molto lentamente, però, posso parlare e scrivere messaggini e mail sul telefonino.

    Siccome sono estroverso, piuttosto loquace e curioso, faccio amicizia con pazienti e personale, anche per deformazione professionale in quanto mi guadagno da vivere scrivendo un po’ di tutto.

    Sono freelance, o meglio un giornalista pubblicista, cioè mando i miei libri e (a volte) sproloqui a giornali, riviste e al mio agente letterario.

    Sì, un signor nessuno come me non può con i suoi scarabocchi vivere e avere un bell’appartamento a Boccadasse, che è un antico borgo marinaro vicino al centro di Genova.

    Il fatto è che godo di un piccolo lascito in quanto sono l’ultimo rampollo di una famiglia nobile la cui magione è sita in via della Maddalena, nel centro storico genovese. Ma di questo non voglio parlare; neppure voglio dilungarmi sull'ancora bellissima contessa Mafalda Ademaschi. Era mia madre fino a che un giorno, esasperata dal fatto che non volessi seguire la tradizione di famiglia e laurearmi in giurisprudenza, bensì in lettere moderne e comunicazione, proferì freddamente:

    Zaccaria Zaffai, adesso hai raggiunto il limite. Sai dove devi andare. Quella è la porta.

    E io, impettito e adontato, mi sono avviato e ovviamente ho sbagliato porta malgrado lei me l'abbia indicata di proposito.

    Il fatto è che sono nato in quel palazzo enorme pieno di colonne, marmi, stanze, quadri di antenati, persone a me estranee che ne curano il lusso antico, e porte, troppe, appunto. Lo odio da sempre. Come non sopporto le venti signore pie che collaborano assieme alla mia sempre affascinante genitrice alla fondazione filantropica creata da lei.

    Il fatto è che Mafalda è atea, come me d’altronde, mentre le venti sante donne sono cattoliche praticanti.

    Non solo. Mamma - posso chiamarla ancora così? - mi chiama con il suo cognome di ragazza e non Ademaschi come il mio nobile padre, perché afferma che non ne sono degno in quanto sono un rinnegato.

    Tra l’altro è anche la cugina di papà oltre che la consorte di colui che ormai ha raggiunto il regno dei trapassati blasonati. Non solo, il ramo di mia mother (così lei con le mie governanti britanniche si definiva in inglese quando ero piccolo) è di origini ebraiche, perciò io sono anche un pochino ebreo, anche se non so esattamente cosa sia la nutrizione kosher. Sono vegetariano. Punto.

    Dimenticavo. A proposito della mia sana, morale alimentazione che non usa cadaveri in principio di putrefazione come le carni più o meno frollate, sono anche un grande vanesio e narciso, soprattutto riguardo al mio aspetto fisico.

    La mia statura è di 185 centimetri. Da ragazzo volevo diventare un campione di culturismo, ma poi, visto che per competere dovevo gonfiarmi come Schwarzenegger da giovane, mi limito, pressappoco ogni giorno, a sollevare puntigliosamente pesi per soli 30 minuti. Perciò, come diciamo oggi, sono pure palestrato.

    In conclusione, la nave mi ha sbarcato in stato comatoso; a fianco alla bolla trasparente di plastica dove io giacevo, vicini a me, vestiti come astronauti c’erano due infermieri e mia moglie.

    La mia coniuge e io, sulla nave, avevamo una elegante cabina con balcone. Non eravamo una coppia felice in viaggio di nozze, ma purtroppo una coppia di trentacinquenni in crisi coniugale. Una volta tornati a casa nostra a Genova avremmo dovuto fare il punto della nostra traballante situazione sentimentale e decidere se era il caso di separarci e continuare a vivere per conto nostro in città differenti.

    Nel malaugurato evento della nostra separazione, con successivo divorzio, avremmo venduto l’appartamento di nostra proprietà e ci saremmo trasferiti altrove.

    Facile a dirsi. Per me che sono un casuale scribacchino che scrive in smart working non ci sono problemi, perché mi basta un computer portatile o qualsiasi altro dispositivo digitale che possa connettersi a internet. Per mia moglie, che fa la ricercatrice in un istituto genovese di virologia (sostenuto dalla fondazione di Mafalda), è un altro paio di camici.

    Ora che ci penso, essendo lei una virologa i nostri amici non ci chiedono più chiarimenti sulla pandemia da Covid-19 che ci sta affliggendo dallo scorso gennaio. Stiamo studiando, dice lei, verificando, comparando le relative ricerche, mi dice sempre lei. Secondo la rivista scientifica Nature, aggiunge, la più qualificata nel mondo… bla bla bla.

    Per distanziarmi socialmente, igienizzarmi le mani e indossare la mascherina sempre, anche, possibilmente, quando siamo a letto prima di fare l’amore, mi è bastato leggere un titolo di giornale. Se aspettavo l’avviso della super premiata virologa una volta rimessomi dalla broncopolmonite molto probabilmente sarei ritornato all’ospedale, oppure finito al cimitero, a causa dell’infezione dello stramaledetto virus.

    Per noi due il pericolo è ridotto, in quanto è da mo’ che non facciamo più l’amore. Non soltanto. Dormiamo in camere separate. Lei, Dora, ha l’uso del bagno; io, Zac, lo stanzino con water e doccia.

    Sì, ma qual è l’oggetto del contendere? Le corna? Purtroppo no. Almeno non ancora. La situazione è più complicata.

    Sì, le tentazioni non ci mancano. Lei per giunta è più bella di me. È alta quasi come me e mia mamma. Come la mia genitrice si è pagata gli studi all’università indossando abiti e camminando con gli occhi estraniati, fissi, di fronte a lei, sulle passerelle in giro per il mondo. Come facesse per le lezioni e gli esami è un mistero. Mia mamma a suo tempo mi ha detto che bastano poche passerelle ogni tanto se si è titolate.

    Sarò esagerato ma su mia moglie ci ho sempre messo la mano sul fuoco, so che un freno ancestrale la rende a prova di essere sedotta perfino da don Giovanni.

    Per quanto riguarda me e il mio pavoneggiarmi e civettare su qualsiasi super figa che entra nel mio raggio visivo, non mordo, non arriverei mai al dunque. Che mi piaccia o no sono geneticamente monogamo, noiosamente abitudinario e ho la fobia delle complicazioni e delle perdite di tempo. Sono pure nevrotico, la vita, come la gioventù del resto, è corta oltre che unica nel senso che non si rivive, perciò il tempo viene prima del denaro. Almeno per me.

    Io e mia moglie amiamo la vita semplice, cucina vegetariana, un bicchiere di birra ai pasti, vestiti casual; per me i pantaloni, le giacche, le camicie e i giacconi sahariani o militari devono avere tante tasche; non dico cosa ci faccio stare, un po’ di tutto. A Genova diciamo maniman, non si sa mai.

    I soldi li spendiamo soprattutto per viaggi e i nostri costano perché amiamo le comodità. Poi vengono cinema e teatri. E libri, tanti, ma adesso sono anche in versione digitale perciò risparmiamo spazio, denaro e TEMPO; per l’uso del vocabolario basta premere il ditino sulla parola interessata e ci suggerisce il significato e la traduzione nella lingua che vogliamo e altre funzioni.

    Aggiungo che non sono uno stacanovista perché sono un appassionato lettore, in quanto gli scrittori sono lettori instancabili. E invidiosi degli altri scrittori. Anche quando leggo il giornale noto che tutti gli autori degli articoli sono più bravi di me e io cerco di imitarli; naturalmente non ci riesco e come scrivo non lo so.

    Non so fare altro che scrivere. Se non lo faccio quasi ogni giorno ne sento la mancanza. E divento nervoso. La mente di uno scrittore è sempre focalizzata sullo scrivere.

    Un giorno Joseph Conrad si sfogò con un amico. Mia moglie si lamenta continuamente che non faccio nulla tutto il giorno e non l’aiuto con i lavori di casa. Ma come faccio a spiegarle che quando mi affaccio dalla finestra e guardo fuori sto lavorando?

    Forse amo scrivere come amo mia moglie. A parte gli ultimi tempi.

    E allora? Il fatto è che io e lei siamo insieme da quando con il nostro cestino e la mano in mano andavamo all’asilo. Altro che crisi del settimo anno.

    Pertanto bisogna vedere, analizzare, testare la nostra già lunghissima unione. Bisogna sapere che ci sono diverse scuole di pensiero. Diverse sensibilità. Magari consultando gli articoli che riguardano le crisi matrimoniali sulla rivista Nature… bla bla bla… bzzz…

    Capitolo 2

    Il migliore amico

    Boccadasse è il più bell’angolo di Genova. Verso sera sembra una pittura acrilica di Bruce Tomlin al tramonto.

    Il minuscolo borgo è vicino al centro cittadino. Una volta era abitato quasi esclusivamente da pescatori, oggi gran parte della piazza è riempita da decine di barche di pescatori dilettanti che a pescare ci vanno ben poco.

    Il 2 giugno del 2020, proprio a ridosso di quelle casette dai colori vivaci, Dora e io siamo scesi dal tassì e abbiamo alzato gli occhi al nostro balcone.

    L’ospedale di Trapani mi ha dimesso il giorno prima. A parte il fiato corto stavo bene.

    Tre mesi e mezzo li abbiamo trascorsi felicemente sulla Costa Deliziosa, poi io per uno e mezzo sono stato ricoverato all’ospedale di Trapani per polmonite e Dora è stata ospitata in un alberghetto lì nei pressi.

    Le nostre persiane sono chiuse, però sul balcone a fianco Angelo e Anna ci salutano con urla e sbracciamenti. Noto con piacere che lui ha una carrozzella nuova e un sorriso che m’inquieta. Anna è smagliante.

    I nostri appartamenti sono contigui. Noi quattro abbiamo alcune cose in comune oltre agli appartamenti nello stesso edificio. Per esempio non abbiamo figli, però abbiamo deciso che quando avremo compiuto 40 anni ci rivolgeremo ai medici per chiedere delle alternative, magari potremo anche pensare all’adozione di un bambino. Loro decideranno un anno prima di noi perché quella è la differenza di età che ci separa.

    Mentre salivamo gli antichi scalini di ardesia non ho voluto pensare alla decisione che Dora e io avremmo dovuto

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