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La memoria di un cuore
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E-book159 pagine2 ore

La memoria di un cuore

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Info su questo ebook

Dal Pakistan all’Italia, da una ragazza che si ribella al destino che la famiglia vuole imporle e incontra, brevemente, l’amore, a una donna che ritorna alla vita passando attraverso una intricata vicenda di traffico d’organi: le storie che si intrecciano in questo romanzo sono molte e compiono giri talvolta incredibili. Al centro, una domanda a cui è difficile rispondere facendo ricorso alla sola razionalità: può il cuore di un essere umano mantenere la memoria del proprio vissuto e trasmetterla ad altri? Forse sì, se l’esperienza è quella tragica e fortissima di Shakila e se a riceverla è una donna sensibile e fuori dal comune come Sabrina, le due protagoniste di questa storia che purtroppo ha molti aspetti di realtà.
LinguaItaliano
Data di uscita24 gen 2019
ISBN9788827867235
La memoria di un cuore

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    Anteprima del libro

    La memoria di un cuore - Romana D'Angiola

    cuore

    Prologo

    Avevo un debito. Di quelli che non si estinguono tanto facilmente, ma che ti restano attaccati e ti seguono, e che ti sconvolgono e cambiano la vita.

    Avevo una cardiopatia avanzata ed ero considerata una paziente allo stadio uno, il più serio. Insomma, avevo bisogno dell’intervento di trapianto, i benefici che ne avrei tratto erano maggiori dei rischi che correvo, la riuscita veniva valutata all’85%. L’intervento però non poteva essere pianificato in tutti i dettagli. Dal momento della segnalazione della disponibilità di un cuore nuovo avevo dalle quattro alle otto ore per raggiungere l’ospedale. Volendo, avrei avuto diritto a un posto su un volo di linea anche nel caso di sold out. Ma non doveva essere una corsa contro il tempo, dovevo arrivare all’appuntamento serena e con la consapevolezza che la mia vita sarebbe finalmente cambiata. Tutto facile, no?

    E quando fu il momento, la chiamata arrivò di notte, mentre fuori pioveva, come accade nella sceneggiatura di certi film. Niente aereo, ma macchina: Modena-Milano, 180 chilometri, tanto era lunga per me la via della speranza che percorsi con Giorgio, il mio ex marito che del mio cuore sapeva molte cose, in un’ora e trenta minuti. Sulla tangenziale ovest di Milano, a poche centinaia di metri dal traguardo, anziché tagliare il nastro, il mio ex andò in tilt e sbagliò uscita, incurante delle istruzioni del navigatore dalla voce suadente, forse troppo per un momento così importante. Andò a finire che io, che mi giocavo la vita, dovetti dirgli di restare calmo, di fare lunghi respiri, di non farsi prendere dall’ansia. Come risultato, Giorgio iniziò a sudare e disse di non sentirsi bene. Così feci spostare lui al mio posto e andai io alla guida, ma iniziavo a essere un tantino nervosa. La priorità però era arrivare quanto prima, così superai la crisi e mi ritrovai nel parcheggio della clinica dove mi avrebbero operata carica di adrenalina e con l’impiastro che ancora si scusava del suo comportamento.

    All’ingresso ero convinta che tutti stessero aspettando me. Pura illusione.

    Eccomi. Dove devo andare?

    E chi è lei? mi risposero all’accettazione. Declinai le mie generalità e il motivo per cui ero lì e finalmente fui affidata nelle mani dei medici. Ce l’avevo fatta.

    Ora non sto a raccontare dell’operazione in sé – chi non ha presente cos’è un trapianto, no? – né della riabilitazione e di tutta la trafila post operatoria, che andò. Più o meno bene, con alti e bassi, ma insomma avevo un cuore nuovo e potevo raccontarlo. Eccoci invece a un anno dopo l’operazione, quando il rischio di rigetto si riduce e non devo più sottopormi ai numerosi esami al centro trapianti e ai controlli con ricovero ogni tre settimane. Ora il cateterismo cardiaco completo, la coronarografia e le numerose biopsie nel ricordo sembrano una passeggiata (si fa per dire!) e posso dire di essere stata fortunata a non aver avuto neanche la temibile infezione, cioè la complicanza tipica legata alla terapia immunosoppressiva. Insomma, il mio testamento può aspettare!

    E però continuo a sentirmi come in colpa. Perché per vivere la mia vita, se ne è dovuta spezzare un’altra. Il donatore resta anonimo, ma io penso a questa persona ogni santo giorno. Una donna? Un uomo? Un giovane? So che è meglio non pensarci, rischierei di impazzire. E però…

    C’è poi un sogno che si ripete continuamente. Sono confusa. È come se la mia vita si fosse sdoppiata. A volte la guardo dall’esterno, la mia immagine è riflessa in uno specchio, ma il volto non mi appartiene. Tutto mi dicono che sto visibilmente meglio, le rughe sul mio viso hanno lasciato spazio a un’espressione più giovane e spensierata. Anche le mie forze sono più energiche e la fatica non mi spaventa. Così mi dico che sì, sarà l’effetto del trapianto, l’anestesia, le cure a cui sono stata sottoposta. Non può esserci altro. Chissà se gli altri hanno notato qualcosa di diverso in me? Io cerco di non far trasparire le mie emozioni, ma mi rendo conto che più di prima mi isolo. Come da ragazzina, quando non sopportavo alcuni discorsi futili, mi rifugiavo nei miei sogni. Mi assentavo. Ma chi non ha avuto sogni? Guai a non averli! Si vivrebbe in un deserto arido e senza colori, senza fiori e senza amore.

    Come tutte le sere, dopo la solita lettura mi addormento. Mi sveglio sudata e con il cuore che mi rimbalza dentro come se volesse liberarsi dalla scatola toracica. Cerco di controllarmi senza muovermi dal letto, ma ho paura. Devo calmarmi. Faccio lunghi respiri con gli occhi chiusi. Li riapro e, come è già successo, mi riprendo pian piano la mia vita. Devo parlarne con il mio medico, ma cosa gli racconto? Eppure a qualcuno devo assolutamente raccontare queste mie sensazioni, a costo di apparire una matta. Mi alzo e vado in bagno. Allo specchio mi accorgo di essere un po’ troppo pallida. Forse ho esagerato con l’attività fisica: le passeggiate, la piscina. Vedo gonfiarsi le vene giugulari, sento i battiti del cuore rimbombarmi nel cervello. Questa crisi sembra più lunga delle altre. Ho paura perché vivo sola e non posso rischiare di ritrovarmi a terra perché nessuno può soccorrermi. Devo controllare la glicemia, sarà sicuramente bassa. È stato anche il diabete ad accelerare i miei disturbi cardiaci e ne riconosco i sintomi. Anche se non mi sono liberata da questa schiavitù, l’affronto in maniera diversa e i valori sono soddisfacenti. Anche il peso è tornato alla normalità, sebbene ne avessi preso troppo prima dell’operazione. Forse devo fare colazione. Scendo in cucina e mi preparo un bel cappuccino con i cereali. Mentre aspetto che il caffè sia pronto, mi avvicino alla finestra, scosto le tendine e guardo fuori il giorno che arriva. Un nuovo giorno, un nuovo cuore. La vita che riprende e… il caffè è salito! Tracima dalla macchinetta e mi fa tornare alla realtà, insieme al suo profumo.

    1

    Sabrina viveva in una cittadina a nord di Modena, in una cascina ottocentesca ereditata dai genitori, con due cani a farle da security.

    Era troppo grande per lei, e lo sapeva. Da quando, sei anni prima, si era separata dal marito la parte del primo piano che lui utilizzava come studio medico era rimasta vuota e ogni tanto lei pensava di affittarla, per avere un’altra entrata che non avrebbe guastato. Poi sarebbe andata ai figli, che chissà cosa ne avrebbero fatto visto che entrambi vivevano oramai stabilmente a Londra. Quanto le mancavano!

    C’era però Giorgio, con il quale i rapporti erano rimasti buoni, anche se lui aveva una nuova compagna, molto più giovane. Le era stato vicino, durante l’operazione e poi nella lunga convalescenza, a dimostrazione di un legame forte che a Sabrina aveva spezzato il cuore al momento della separazione. Ma il loro matrimonio era diventato un’altalena di alti e bassi, molti bassi, e forse era stato meglio così. Forse.

    Uscì a fare una passeggiata. Faceva molto freddo, con un’umidità pazzesca.

    Ancora pochi giorni e sarebbe andata a trovare la sorella a Napoli, glielo aveva promesso e non vedeva l’ora. A volte pensava che sarebbe dovuta anche lei emigrare al sud. A Napoli si sentiva sempre a suo agio, le piaceva andare per i Quartieri spagnoli, fermarsi ad ascoltare i discorsi delle donne dai balconi. E poi il lungomare della città, la salsedine che si respira… Ecco perché i napoletani sono tutti schizzati, matti: troppo iodio nell’aria. Allora mettiamoci un po’ di camomilla, sbianchiamo un po’ le facciate degli edifici sporchi e pericolanti, puliamo le acque putride e risaniamo anche la Terra dei fuochi. Sediamo la rabbia generale. Questo sognava quando pensava a Napoli.

    Il motivo per cui restava in Emilia era il lavoro: lo amava troppo. Dopo un anno intero di aspettativa forzata non vedeva l’ora di riprendere. Le mancavano i suoi alunni, ragazzi speciali con problemi di natura psichica e motoria. La maggior parte erano autistici e le riempivano le giornate ben oltre l’orario di scuola, perché portava a casa le loro storie, non riusciva mai a staccarsi completamente da loro. Per questo motivo aveva anche trascurato la famiglia, che glielo rimproverava, pur non sentendosi mai soddisfatta dei risultati, che in questo campo sono a volte impercettibili, ma importantissimi.

    Decise di uscire. Prese solo le chiavi di casa, lasciò apposta il telefono. Voleva immergersi completamente nella natura. A febbraio la campagna è ancora secca dal gelo invernale ma ha comunque un certo fascino, specie quando tiepidi raggi di sole si insinuano tra i rami e s’infrangono sulla terra tempestata di foglie gialle e umide. Dopo una bella passeggiata a passo veloce, si riposò su una panchina, chiuse gli occhi e si mise in ascolto, cercando di immaginare cosa potesse nascondere ogni piccolo rumore che tagliava il silenzio. Tutto intorno a lei si agitava in modo naturale. Piccole folate di vento annunciavano già i profumi della primavera. Allora i colori saranno radiosi e illumineranno persino le notti senza luna. Le stelle si accalcheranno, ce ne saranno per tutti. Ognuno avrà la sua in cui custodire speranze e desideri.

    Tornò alla realtà per il freddo. Non si era coperta abbastanza e ora faceva anche un po’ fatica a respirare, decise di rientrare.

    A casa, diede da mangiare ai cani, una coppia di golden retriver color miele: Oscar e Wilde. Li accarezzò, grata della loro presenza in quella casa vuota. Si preparò la borsa per la piscina, dove sarebbe stata al caldo e in compagnia.

    Appena in acqua, tutto le scivolò via. L’ansia, le paure, i dolori. La fatica di nuotare non le pesava, anzi si sentiva libera. Bracciata dopo bracciata raggiunse pian piano il traguardo fissato e uscì dalla vasca solo quando iniziò ad aver freddo per la stanchezza. Ancora una volta le sembrò un miracolo tutto ciò. Al bar ordinò un succo di frutta, per tirare su la glicemia che sentiva troppo bassa e per rivedere il ragazzo che già un’altra volta le aveva sorriso in un modo un po’ speciale. O faceva così con tutte? Nel darle il resto le sfiorò la mano e Sabrina arrossì. Lui era troppo giovane, però le piaceva e provò un brivido lungo la schiena come non le capitava da tempo. Aveva quasi dimenticato la scossa che può dare il contatto fisico con un uomo e qualcosa in lei si sciolse.

    Era appena uscita dal circolo sportivo che ricevette una telefonata dal figlio, da Londra: voleva che lei lo raggiungesse lì per passare insieme un po’ di giorni. Sabrina intuì che voleva anche farle conoscere la sua nuova compagna e pur senza dire subito di sì fu felice di quella prospettiva. Un viaggio, dopo tanto tempo. Non era lungo ma avrebbe dovuto comunque sentire il suo medico: l’avrebbe fatto già l’indomani mattina.

    Sulla strada del ritorno si fermò in farmacia e al supermercato. Infine, mise su della musica e in pochi minuti fu a casa. Sistemò la spesa, rendendosi conto di aver esagerato un po’. Mi toccherà invitare qualcuno, si disse ma in realtà le piaceva cucinare per gli altri, e per sé. Dopo una bella bistecca si sentì meglio, accese la televisione ma la testa era altrove. Negli ultimi tempi stare la sera da sola le pesava, troppi pensieri le affollavano la mente e aveva avuto bisogno di qualche sonnifero per prendere sonno.

    Alle dieci chiamò Giorgio, un orario insolito per lui ma Sabrina ne approfittò per raccontargli di

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